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Autore: amberxtomlinson    03/01/2016    1 recensioni
Quando i desideri più oscuri si rivelano maledizioni, quando ciò che hai sempre amato diventa ciò che odi più di qualsiasi altra cosa, quando la magia è in realtà stregoneria. E' allora che sai che il demone ha scavato i suoi artigli nel tuo cuore e ha mangiato ciò che ti rendeva umano.
Jacob Golden.
Un accumulo di sogni infranti, vita mediocre ed esistenza senza senso.
Cosa succede quando la realizzazione di quella che credeva essere la massima aspirazione nella sua vita, diventa una lenta discesa verso l'inferno?
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Jacob quella mattina si svegliò sul pavimento.

Il trillare della sveglia, poggiata in qualche luogo indefinito alla sua destra, era come un continuo martellare che gli spaccava il cranio a poco a poco. Con un mugugno alzò di poco la testa, per poi riabbassarla immediatamente a causa dell’allucinante mal di testa che stava iniziando a farsi sentire. Aveva solo vaghi ricordi della notte precedente: qualcosa legato al fatto che gli era stato dimezzato lo stipendio di paga perché “Sono tempi difficili, Jacob” e che subito dopo si fosse rifugiato nel bar all’angolo della strada in cui si trovava il supermercato dove lavorava 64 ore a settimana. E, preso dalla frustrazione, aveva speso i risparmi in bere perché, al diavolo tutto. Questo significava che per una settimana sarebbe andato avanti con i cracker che gli davano a lavoro. Perfetto.

Con una mano si strofinò gli occhi assonnati, li aprì e il mondo gli apparve in una macchia sfocata e confusa.

Buttò lo sguardo sul cellulare che continuava a trillare, così, seppur con fatica, lo raggiunse e spense la sveglia. Guardò l’orario.

9.10

O porca miseria, era in ritardo di due ore.

Con un balzo corse a mettersi i primi vestiti che gli capitarono sotto mano e per coprire l’odore maleodorante che emanava utilizzò i campioni di profumo che aveva sgraffignato dal supermercato alcuni giorni prima. Inciampò in alcuni vestiti e oggetti buttati sul pavimento, afferrò le chiavi di casa (non che ce ne fosse davvero bisogno, visto che da tempo ormai la porta non si chiudeva più, ciononostante non era ancora stato vittima di un furto perché, andiamo, cosa avrebbero mai potuto rubargli? Le mutande?) e corse giù dalle scale, rischiando di rotolare e rompersi l’osso del collo.

***

“Signor Golden, si rende conto che questo inciderà sul suo stipendio settimanale, vero?”

Jacob annuì, quando in realtà tutto ciò che avrebbe voluto fare era sferrare un cazzotto al suo dirigente dal quadruplo mento. Del resto, però, se l’era cercata.

Trattenendo un sospiro, fece finta di ascoltare la ramanzina che gli stava venendo data, cercando di ignorare quegli occhi vuoti e superficiali che lo giudicavano. Già, sembrava che giudicarlo fosse tutto ciò che le persone sapessero fare nei suoi confronti. Era solo un altro ragazzo di 26 anni che aveva buttato al vento il suo futuro nel momento stesso in cui aveva lasciato la scuola perché era troppo stupido, troppo sfaticato, perché il ragazzo ha le capacità ma non si applica, signora, perché possibile che tu non voglia fare niente, Jacob?, e tanti altri perché che lui aveva fatto finta di far scivolare oltre, ma che in realtà erano come catene cigolanti che si portava dietro da una vita.

Quando infine l’uomo lo lasciò andare, andò ad indossare la divisa e poi si diresse dietro la cassa, dove si lasciò cadere con un sospiro, per niente pronto a un’altra giornata di lavoro massacrante e inutile.

***

Erano le dieci di sera quando uscì.

Quello schifoso gli aveva fatto fare le ore che aveva perso e lui era arrivato al punto che avrebbe letteralmente ucciso per andare a fumarsi una sigaretta in santa pace.

Ed era esattamente quello che stava facendo in quel momento, seduto sul muretto pieno di graffiti che circondava il suo condominio. Fumava, guardava le famigliole felici e contente che si godevano le vacanze natalizie, e si chiedeva come fosse possibile che a ventisei anni si fosse già stancato di vivere. Si sdraiò di schiena e chiuse gli occhi, mentre una rapida successione degli eventi che avevano segnato la sua vita gli passava dietro gli occhi.

Quel breve periodo di illusoria felicità che era stata la sua infanzia, segnata dall’essere sempre all’ombra del suo talentuoso e brillante fratello. Il figlio perfetto: voti perfetti, carattere perfetto, il Gesù Cristo moderno praticamente. E il suo affannarsi nel tentativo di raggiungerlo, i fallimenti esemplari uno dietro l’altro, finchè, semplicemente, aveva smesso di fregarsene e aveva capito che, diavolo, nemmeno voleva diventare come quel santarellino.

Dell’adolescenza aveva un ricordo impresso come un marchio nel suo cervello. Aveva mandato a quel paese la scuola, tanto glielo ripetevano sempre che non era capace. Poi c’era stato un breve periodo in cui era stato in quel gruppo della scuola pieno di drogati e idioti che credevano di essere trasgressivi, finchè non aveva capito che stava decisamente meglio da solo.

I giorni passati chiuso in camera a disegnare scarabocchi, scarabocchi a cui poi aveva iniziato a dare forma e significato e che per lui risultavano l’unico momento di vera felicità nella sua vita. E allora aveva capito. Aveva capito che solo quando si chiudeva nel suo mondo e c’erano lui, la matita e il foglio bianco da riempire era davvero felice.

E la realizzazione di quell’amore era stato l’inizio della sua discesa verso l’inferno.

Il seguito era stato un rapido succedersi di eventi sparati come flash nella sua mente.

I suoi genitori che trovavano i suoi album pieni di disegni, quel vedi che sprechi il tuo tempo facendo scarabocchi invece di pensare al tuo futuro? che lo aveva fatto sbottare e gli aveva dato il coraggio di dire che disegnare era ciò che voleva fare nella vita. Il litigio che ne era seguito e la sua fuga di casa quella sera stessa. Non era mai ritornato, sebbene spesso, nei momenti difficili, ci avesse pensato.

Il vagabondaggio di qualche settimana, mangiando ciò che poteva con i risparmi che si era portato, finchè non erano finiti anche questi. Quel momento in cui si era ritrovato a dormire nella neve, stringendosi nel cappotto e battendo i denti per il freddo e per un istante durato ore si era chiesto se era così che alla fine sarebbe morto.

Iniziò a cercare un lavoro. Per fortuna alcuni ebbero pietà di lui e gli permisero di lavorare in nero. Per mesi mangiò poco e niente e non  comprò nulla che non fossero cibo e acqua, dormendo per strada con i barboni e conservando soldi per poter affittare un posto dove vivere. Alla fine c’era riuscito e aveva avuto quell’appartamento pietoso in una delle zone più malfamate della città, ma almeno era qualcosa.

I suoi genitori non vennero mai a cercarlo.

Voleva iscriversi a una scuola d’arte, ma non aveva abbastanza soldi. Stava lavorando duramente per ottenerli, ciononostante era ben lontano dall’obbiettivo, e in ogni caso giorno dopo giorno si faceva strada nella sua mente la consapevolezza che in lui non ci fosse nulla di straordinario, che non sarebbe mai diventato qualcuno, che i suoi disegni erano davvero solo scarabocchi. E questa consapevolezza aveva messo radici nel suo cervello, come una muffa persistente e maleodorante che ogni singolo istante della sua vita gli ricordava chi fosse.

E Jacob era un perdente, ecco chi era.

***

Quando Jacob aprì gli occhi capì che doveva essersi addormentato fuori.

Con una mano tastò la tasca del giubbotto e, quando si rese conto che gli avevano rubato il pacchetto di sigarette, imprecò tra i denti.

Si mise seduto e passò una mano tra i capelli.

La strada deserta e il freddo pungente che gli aveva congelato le ossa gli fecero capire che fosse molto tardi. Fece per scendere dal muretto, ma un’improvvisa folata di vento lo immobilizzò e un misterioso odore di gelsomino lo colpì.

Provò a muoversi, eppure sentiva come se qualcosa lo stesse trattenendo lì seduto.

Era confuso e spaventato, ma lo divenne ancora di più quando, improvvisamente, una dopo l’altra le luci aranciate dei lampioni che illuminavano la strada si spensero. Quando infine il buio coprì ogni cosa, il panico lo pervase completamente. Provò a gridare, ma le sue labbra erano come incollate.

Tutto era immobile e silenzioso.

Poi un rumore sottile squarciò il silenzio.

E un altro.

E un altro ancora e Jacob si rese conto che erano dei passi. Fece correre gli occhi ovunque ma tutto ciò che vedeva era solo nero. Capì che qualcuno stava venendo verso di lui.

Aspettò che l’uomo, o forse donna, arrivasse da lui e tutto ciò che riusciva a sentire erano i passi sempre più vicini e il proprio respiro affannoso. Infine percepì la persona fermarsi al suo lato e dopo alcuni secondi questa si sedette al suo fianco.

“Come va?” chiese la voce di una donna, con un tono gioviale che mal si addiceva all’atmosfera.

Jacob si rese improvvisamente conto che gli era tornata la capacità di parlare e balbettò con voce roca un “C-chi sei?”

Sentì la donna sbuffare. Il fatto che non potesse vederla lo rendeva ancora più ansioso.

“Sono venuta per parlare di chi sei tu. Chi sono io non è davvero importante, credimi” si liberò in una risata cristallina.

“Un giovane ragazzo sfortunato che, purtroppo, non è riuscito a realizzare i suoi sogni” continuò e Jacob percepì il sorriso sulle sue labbra. Gli venne quasi da ridere perché quella donna era stata capace di descrivere la sua intera esistenza in una sola frase, nonostante non lo conoscesse.

“Sì, diciamo che ti ho un po’ tenuto d’occhio in questi anni” rise di nuovo “ma adesso passiamo alle cose importanti”

Avvertì un fruscio e pensò che la donna si fosse spostata i capelli o qualcosa del genere.

“Che tipo di cose importanti?” sussurrò. Cercò di darsi un’aria sicura, ma la paura gli faceva ancora martellare il cuore nel petto. Lentamente girò il volto a destra, nel tentativo di vedere la persona con cui stava parlando, ma il buio ancora copriva ogni cosa e non riusciva a scorgere nemmeno la punta del proprio naso. Non sentiva nemmeno il suo respiro.

“La tua vita è abbastanza pietosa, non trovi?” commentò, cambiando totalmente argomento “Insomma, è abbastanza ovvio che passerai la vita nell’ombra e che morirai nell’oblio, dimenticato da tutti e solo”

Jacob non commentò, sebbene ogni parola, detta con leggero menefreghismo, fosse stata come un pugno nello stomaco. Una cosa era sapere queste cose, un’altra era sentirsele dire.

“C’è poco che io possa fare, ormai” disse, pensando che assecondare la sconosciuta fosse la cosa più sicura per il momento, finchè non avesse riacquistato il controllo delle proprie gambe.

“E se invece…” improvvisamente la voce della donna era diventata un sussurro accanto il suo orecchio e Jacob sobbalzò, ciononostante continuava a non sentire alcun respiro, seppur a una distanza così ravvicinata “… io potessi donarti ciò che hai sempre voluto e dare una svolta al tuo misero destino?”

Rabbrividì.

“In che senso?”

“E’ più semplice di quanto appaia, in realtà” ridacchiò, tirandosi indietro.

“Ti darò tutto. Fama, donne, ricchezza. Talento. Diventerai il pittore più talentuoso della tua epoca, verrai ricordato nei libri accanto a nomi come Picasso e Monè. Potrai avere tutto e tutti sapranno chi sei, il tuo nome verrà ricordato nei secoli a venire.”

Il cuore di Jacob martellava a un ritmo più frenetico a ogni parola detta dalla donna, i suoi occhi si sgranavano con stupore. E non capiva se fosse ancora a causa della paura.

“Questo è impossibile” affermò con una sicurezza che non aveva, certo tuttavia che probabilmente qualcuno gli stesse facendo uno scherzo di davvero pessimo gusto.

“Possiamo saltare la parte in cui credi che sia tutto uno scherzo e che ti stia prendendo in giro?” sbottò scocciata “Ti sto dicendo che posso darti tutto questo. Tu lo vorresti?”

“E cosa vorresti in cambio?”

“Nulla di così importante, tesoro. Semplicemente, potrai poterti godere tutto questo per ben dieci anni e al termine di questi…” sentì le unghie della donna serrarsi sul suo braccio, come artigli, e la sua voce nell’orecchio “…dovrai darmi la tua anima

Jacob deglutì.

“Cosa sei?” mormorò, ma la donna ignorò la sua domanda e riprese a parlare.

“Per te non ci sarà né Paradiso, né Inferno, ma un oblio eterno” finì.

“Allora? Cosa scegli? Un vita breve come la fiamma incandescente di un momento, o una vita lunga tra monotone ceneri?”

E quando Jacob rispose, non perse davvero tempo a pensare all’assurdità di quello che stava accadendo, ma si fece guidare puramente dall’istinto.

***

Era passata una settimana da quella fatidica notte e ancora niente era cambiato nella vita di Jacob.

Stessa noiosa routine, stesso lavoro sfiancante, stessa vita mediocre.

Quando, subito dopo aver accettato il patto con la misteriosa donna, si era improvvisamente svegliato nello stesso punto dove già credeva di essersi svegliato (ovvero disteso sul muretto), era giunto alla realizzazione che si trattasse tutto solamente di un sogno e immediatamente lo aveva pervaso la delusione, ma, del resto, che ti aspettavi, che la tua vita cambiasse magicamente grazie a una fata madrina?

Era questo il suo problema, sempre. Sperare troppo nelle cose e rimanere inevitabilmente ferito.

Solo una cosa era cambiata.

Disegnare era diventato sempre di più un bisogno fisico: se non liberava forme e figure dalla sua matita le mani gli formicolavano per tutta la giornata. Ciò comportò che il numero dei suoi disegni fosse aumentato drasticamente in solo una settimana.

Quella notte, comunque, Jacob fece un incubo.

Quando si svegliò, ansimante e sudato tra le coperte, aveva già dimenticato cosa avesse sognato e tutto ciò che ricordava era la risata familiare di una donna e artigli che gli graffiavano il petto, all’altezza del cuore.

Cercò di riaddormentarsi, ma l’eco di quella risata ancora risuonava nelle sue orecchie, così alla fine decise di uscire e iniziare ad andare a lavoro. Quando scese, si accorse che era appena l’alba e mancava ancora un po’ prima del suo turno, quindi decise di sedersi da qualche parte e disegnare. C’era un parco, sulla strada, dove andavano di solito i bambini del quartiere. Era deserto e lui decise di trovare una panchina dove sedersi.

L’aveva giusto vista, quando qualcosa lo colpì improvvisamente da dietro e lui finì per inciampare, lasciando cadere il quaderno dei disegni.

“Mi scusi!” esclamò qualcuno alle sue spalle, inginocchiandosi per aiutarlo a raccogliere i disegni sparpagliati per terra. Con la coda dell’occhio, Jacob si rese conto che era un uomo sulla cinquantina con indosso una tuta da jogging, evidentemente per farsi una corsa mattutina.

Non rispose e mise velocemente tutti i disegni nel quaderno, ma prima di alzarsi, notò che l’uomo ne stava fissando alcuni che aveva tra le mani con espressione stupita.

“Li hai fatti tu questi?” chiese.

“Uhm, sì” grugnì Jacob in risposta.

“Davvero niente male, sai? Hai frequentato una scuola d’arte?” il modo in cui stava osservando con occhio critico i suoi disegni fece capire a Jacob che quell’uomo dovesse essere esperto in quel campo e ciò lo rese ancora più nervoso: voleva solo riprenderli prima che gli venissero ripetute le stesse parole dei suoi genitori, ovvero che era inutile sforzarsi in qualcosa in cui non avrebbe mai avuto successo.

“No” dopo una risposta secca, afferrò i fogli dalle mani dell’altro e si alzò velocemente con l’intenzione di andarsene per la sua strada.

“Aspetta!”

Con un sospiro si fermò e annoiato lo guardò mentre cacciava il portafoglio e gli porgeva un biglietto.

“Se sei interessato a frequentarne una, chiamami pure” Jacob osservò il biglietto da visita con espressione stupita “E se i soldi sono un problema, posso farti avere una borsa di studio. Non mi importa, ma ti voglio nella mia scuola. Tu hai davvero talento”

“Ma ho ventisei anni…” protestò debolmente il ragazzo, timoroso di lasciarsi sommergere da quella goccia di speranza che lo stava inondando.

“Questo non è un problema, credimi”

L’uomo lo guardava con occhi brillanti e Jacob, davvero, non riusciva a credere che tutto ciò stesse accadendo. Sembrava quasi la scena di uno di quei film scadenti che insegnano a non mollare mai i sogni.

Lo sguardo gli cadde su quel biglietto che era la chiave della nuova vita che lo aspettava.

“Sì… sì, voglio farlo”

***

Jacob fu sottoposto ad alcuni esami e colloqui e dovette mostrare alcuni suoi lavori, ma alla fine riuscì ad ottenere la borsa di studio. Era pronto a realizzare il suo sogno.

Lo stesso giorno che gli era giunta la notizia, non aveva esitato un solo istante a chiamare il suo dirigente di lavoro e dirgli che doveva cercare qualcun altro da schiavizzare al suo posto; poi aveva preparato degli scatoloni in cui mettere la sua roba (ne bastarono tre) e li portò nel dormitorio in cui da quel giorno avrebbe alloggiato, il quale sempre veniva pagato dalla sua borsa di studio.

Stava sistemando la sua roba nella sua parte di stanza, visto che avrebbe dovuto condividerla con qualcun altro a quanto sembrava dal letto a una piazza posizionato contro l’altro muro, quando sentì la porta aprirsi e vide un ragazzo di massimo ventitré anni entrare.

Stava bevendo un frullato e appena lo vide la cannuccia gli cadde di bocca.

“Uhm, che ci fai nella mia stanza?” chiese. Era alto e magro, con capelli di un rosso fiammeggiante.

“Sono il tuo nuovo coinquilino” rispose Jacob, a disagio, indicando con un cenno del capo le scatole aperte contenenti i suoi oggetti e vestiti.

“Oh. Oh, sì, la segretaria me l’aveva detto” balbettò, posando il bicchiere su quella che doveva essere la sua scrivania e sedendosi sopra questa.

“Io sono Brad, comunque.”

“Jacob” disse, prima di tornare a mettere in ordine le sue cose.

“Scusa se te lo chiedo, ma quanti anni hai? Sei più grande della maggior parte di noi” osservò.

“Ventisei” quel ragazzo stava iniziando a irritarlo, quindi decise di non aggiungere altro per evitare di creare attrito proprio con la persona con cui avrebbe dovuto condividere buona parte delle sue giornate.

Nei giorni successivi, comunque, Jacob dovette ricredersi. Brad alla fin fine era okay, nonostante magari fosse un po’ appiccicoso. O forse era lui a non essere più abituato ad avere qualcuno con cui passare il tempo.

Nel corso del mese, era rapidamente diventato lo studente modello della scuola. Tutti rimanevano affascinati e strabiliati dalle sue opere e il fatto che per la prima volta in vita sua qualcuno riconoscesse il valore dei suoi disegni lo rendeva intimamente felice.

Eppure… era davvero merito suo? Aveva davvero talento?

O, se non avesse fatto quel patto con il Diavolo, tutti avrebbero continuato a pensare che i suoi fossero solo disegni senza valore?

Non aveva una risposta. O meglio, la sua risposta era nell’arte. Le mani gli prudevano se non aveva una matita o il pennello tra le mani e ogni cosa su cui si posavano i suoi occhi gli sembrava insulsa e inutile se questa non era la tela bianca da riempire con colori e immagini.

Non usciva con i compagni di corso, passava le nottate sveglio a disegnare o dipingere, andando avanti a forza di bere caffè, finchè non sveniva per il sonno, altrimenti non riusciva a dormire. Usciva solo per seguire le lezioni e mangiare, il resto della giornata lo passava chiuso nella stanza, a volte con la compagnia di Brad.

Non pensava ad altro.

***

Era il suo secondo mese all’accademia, quando venne dato l’annuncio di una mostra a metà giugno.

Avrebbero presentato le opere dei migliori studenti e a quanto sembrava sarebbero stati presenti anche alcuni critici d’arte. Erano, ovviamente, tutti molto eccitati e non parlavano d’altro: quell’occasione rappresentava un’importante possibilità di iniziare a farsi strada nel mondo dell’arte.

Jacob stava uscendo dal corso di arte moderna, accompagnato da Brad che non smetteva un secondo di parlare riguardo quanto sperasse di venire scelto per presentare una sua opera alla mostra. Venne però fermato dal preside, che lo stava aspettando là davanti (aveva inoltre scoperto che l’uomo che gli aveva offerto la borsa di studio quel giorno al parco era proprio il preside).

“Golden, avresti due minuti?”

Jacob annuì e fece un cenno a Brad per salutarlo mentre questo si allontanava, osservando la scena da lontano incuriosito.

“Ascoltami, Jacob,” iniziò il preside sorridendo “vorrei che tu preparassi qualche opera per la mostra del 16 giugno. Sei interessato?”

Non rimase troppo sorpreso da questa proposta, in realtà si aspettava che gli avrebbero chiesto di partecipare. Sorrise, felice, e per un momento il prurito alle mani si affievolì mentre annuiva.

 “Bene” l’uomo gli diede una pacca sulle spalle e Jacob si scostò, ma lui sembrò non farci caso “Il tema della mostra sarà L’uomo e l’individualismo. Non vedo l’ora di vedere cosa ne tirerai fuori. Ah e, tra parentesi,” abbassò la voce, avvicinandosi “ho parlato molto bene di te ad alcuni miei amici, nonché critici d’arte che verranno personalmente alla mostra. Questa potrebbe essere la tua occasione di spiccare il volo, non sprecarla”

Un altro sorriso e se ne andò.

Jacob raggiunse Brad alla lezione successiva in silenzio.

C’era un laboratorio appositamente per gli studenti, dove questi potevano lavorare, ma lo trovava troppo affollato. Troppa gente che lo guardava, gente che parlava, gente che lo distraeva.

Le persone si mettevano tra lui e i suoi dipinti e questo non andava bene.

Perciò, rimaneva sempre nella sua stanza a dipingere. A volte Brad gli faceva compagnia, probabilmente per pietà, ma sinceramente non gli cambiava molto che restasse o se ne andasse.

“Quanti dipinti presenterai alla mostra?” chiese Brad, bevendo il suo solito frullato mentre lo guardava dipingere. Il rosso gli aveva rivelato che gli piaceva disegnare, per questo frequentava alcuni corsi di disegno insieme a lui, ma la sua strada era la recitazione. Qualche volta lo aveva visto recitare e, per quanto sapesse al riguardo, cioè non molto, gli sembrava portato: sapeva come muoversi sul palco.

“Quanti me ne accetteranno” rispose, senza staccare gli occhi dal proprio dipinto.

“Mancano ancora molti mesi, potresti riposare un po’. So che rimani tutta la notte sveglio” gli fece notare, una nota preoccupata nella voce.

Non rispose.

Mesi dopo, il giorno della mostra, Jacob indossava uno smoking elegante, così come Brad al suo fianco, nonostante quest’ultimo partecipasse non come artista ma come suo accompagnatore.

I dipinti che Jacob aveva realizzato erano 200, ma a quanto pareva c’era un limite di 10 opere che poteva presentare ciascuno studente (che aveva comunque sforato arrivando a 20, grazie all’entusiasmo del preside per i suoi quadri).

Quest’ultimo inoltre si premurava di portarlo in giro, per presentarlo ai suoi “amici” come il gioiello dell’accademia. Jacob quella sera strinse molte mani e dovette sforzarsi di sorridere fin troppo spesso per i suoi gusti. Anche se alcuni dei critici d’arte cercarono di mostrarsi riluttanti o inventarono imperfezioni che, ne era certo, non esistevano, non riuscivano a nascondere completamente l’entusiasmo che si celava nei loro occhi.

Quella notte, Brad lo costrinse a festeggiare insieme ad alcuni suoi amici per il successo. Con l’alcool, l’irritazione alle mani diventava più sottile e, per la prima volta dopo tanto tempo, si divertì davvero.

Più tardi, comunque, quando il bisogno si ripresentò, tornò presto nella sua stanza a dipingere.

***

Un anno dopo, Jacob era già conosciuto in tutta Inghilterra come l’artista più promettente degli ultimi decenni.

Aveva perso il conto delle mostre (questa volta esclusivamente sue) che aveva fatto e dei dipinti che aveva realizzato. Tutti erano affascinati dalla sua immagine di ragazzo geniale e tormentato. Un solitario che non era interessato alle cose terrene, questa era l’immagine che le riviste diffondevano di lui.

Quel giorno di inizio autunno, era seduto su una poltrona di pelle nera, con una donna fin troppo sorridente davanti e una telecamera puntata in faccia. Stava per essere intervistato per la prima volta in televisione e il suo disagio era ben evidente nel modo in cui continuava a spostarsi sulla poltrona e si aggiustava la giacca nera.

La donna gli chiese se era pronto e lui annuì, pensando che non era pronto proprio per niente, quando una luce rossa si accese sulla telecamera e lei iniziò a parlare.

“Bentornati su Good morning, London! Siamo qui con la stella dell’arte contemporanea, il giovanissimo Jacob Golden.”

La telecamera puntò sulla sua faccia e lui sforzò un sorriso.

“Buongiorno”

“Jacob, in tantissimi ormai conoscono il tuo nome. Hai davvero tantissimo talento, i tuoi dipinti sembrano quasi divini!

“Grazie” rispose, grattandosi la nuca.

“Hai spiccato il volo, se così si può dire, davvero molto rapidamente. Ma cosa hai da dirci invece sul tuo passato? Cos’eri prima di essere conosciuto in tutta Inghilterra?”

“Non… non capisco la domanda” balbettò.

“Beh, quello che i tuoi fan si chiedono ardentemente è proprio qualche informazione sul tuo passato così misterioso. Perché non ci racconti come sei arrivato fino a questo altissimo livello?”

Jacob fece saettare lo sguardo per tutta la stanza, cercando le parole.

“Non c’è molto da dire…”

La donna fece un gesto con la mano per invitarlo a continuare.

Sospirò.

“Non andavo bene a scuola, preferivo disegnare. I miei genitori erano- sono persone molto severe e hanno sempre disprezzato i miei disegni. Un giorno abbiamo litigato pesantemente e sono scappato di casa, avevo, credo, diciassette anni. Per qualche anno ho vissuto sulla strada facendo dei lavoretti, finchè non sono riuscito ad avere abbastanza per affittare un appartamento a Hackney. Non ho mai avuto un lavoro fisso, passavo sempre al più conveniente. Un anno e mezzo fa facevo il commesso in un supermercato di quel quartiere, Express night Supermarket. Quel posto fa davvero schifo, l’igiene è pessima e a volte il cibo scaduto viene fatto passare per ancora commestibile”

Jacob fece un sorrisetto, godendo interiormente nel pensare alla faccia che il suo ex dirigente stesse probabilmente facendo in quel momento.

“Santo cielo!” esclamò la donna, afferrando con aria teatrale il suo braccio “E chi avrebbe mai immaginato che un ragazzo così brillante avesse avuto un passato tanto burrascoso!”

Jacob annuì, senza sapere cosa dire.

“Beh, Jacob, ho comunque una bella notizia da darti” il sorriso che gli rivolse non preannunciava nulla di buono.

“Prima dell’intervista, ci hanno raggiunto qui in studio i tuoi famigliari. E sembra che abbiano qualcosa da dirti! Facciamoli entrare, prego!”

Jacob sgranò gli occhi mentre un applauso si diffondeva in studio e i suoi genitori, accompagnati da suo fratello, entravano, salutando le persone sedute sugli spalti.

“Jackie, bambino mio!” sua madre, in lacrime, corse verso di lui, abbracciandolo di slancio. Il suo profumo Chanel lo colpì forte alle narici, portando con sé tanti ricordi.

‘Jackie’? Quando mai lo aveva chiamato ‘Jackie’?!

“Figliolo” suo padre gli diede una pacca sulla spalla “Siamo tremendamente dispiaciuti per aver dubitato di te. Noi volevamo solo il tuo bene, mai ci saremmo sognati di farti soffrire. Non hai idea di quante nottate in lacrime abbia passato tua madre, abbracciando il tuo cuscino”

“Ehi, Jacob” Matthew gli si avvicinò, scompigliandogli i capelli come faceva sempre quando erano piccoli per dargli fastidio. Aveva gli occhi lucidi “Mi sei mancato tanto, sai? Sono successe tante cose da quando te ne sei andato. Mi sono sposato, puoi crederci? Dovrò presentartela presto, mia moglie. Sono sicuro che ti piacerà”

Jacob non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Non vedeva la sua famiglia da dieci anni e adesso erano lì, in diretta nazionale e in lacrime, a recitare la parte della famigliola pentita. Assurdo.

Rimase lì a farsi abbracciare, ciononostante presto l’attenzione dei suoi genitori si rivolse verso l’intervistatrice. Andò avanti così per un po’, finchè la donna non concluse l’intervista con un “Ci vediamo domattina, come sempre, su Good morning, London!”

La mattina dopo, i suoi genitori gli consegnarono un contratto per diventare suoi manager, che lui firmò.

***

Si stava avvicinando il suo trentesimo compleanno e sua madre e suo padre stavano organizzando già le cose in grande.

Molto era cambiato da quando i due si erano aperti un varco a forza nella sua vita. Il numero delle mostre annuali era quadruplicato, gli avevano fatto una casa più grande, erano riusciti a fargli avere un appuntamento con una famosa attrice, con la quale avevano confermato avesse una relazione prima ancora che lui sapesse quale fosse il suo nome. Era diventato testimonial di varie compagnie ed era anche il volto impresso su alcuni cartelloni pubblicitari (su questo, avevano chiaramente sfruttato il fatto che fosse oggettivamente attraente).

Aveva smesso di vedere i quasi amici che si era fatto alla scuola d’arte e ora era costantemente circondato da scalatori sociali appiccicosi e superficiali. Solo Brad se ne era fregato di tutto e di tutti ed era rimasto al suo fianco, ignorando le occhiate disprezzanti e i commenti fatti alle sue spalle.

Quindi, il giorno del suo compleanno, era naturale che il Signor e la Signora Golden avrebbero organizzato tutto in grande stile. Jacob non prese parte ai preparativi, ma sinceramente neanche era tanto interessato. Passò mattina e primo pomeriggio chiuso nel suo studio, a dipingere. Dopo pranzo era anche arrivato Brad per fargli compagnia.

Si stava esercitando per un provino: voleva cercare di diventare il protagonista di una serie tv che avrebbe preso avvio a ottobre. Jacob lo stava dipingendo, trovando la sua forza d’animo davvero genuina e ispiratrice.

“Secondo te come vado?” chiese, passandosi preoccupato una mano tra i capelli fiammeggianti. Jacob per tutta risposta girò il treppiede, mostrandogli il dipinto, poi uscì per andare a mettersi lo smoking.

Durante la serata, varie persone che sembravano importanti ma che per lui erano solo tante facce incipriate tutte uguali, cercarono di spingerlo a conversare. Per fortuna Brad rimase accanto a lui, quindi non si annoiò del tutto. Si erano separati solo quando la sua fidanzata, che aveva scoperto essere Emily Blunt, gli aveva presentato i suoi genitori.

“Allora, amico, ti stai divertendo?” gli chiese con una spallata. Jacob decisamente non si stava divertendo. Voleva tornare nel suo studio e dipingere. Non faceva altro che grattarsi le mani e per non far notare i graffi che si era procurato su queste, teneva le maniche tirate giù.

“Bevi un po’, forza” lo spinse Brad. Afferrò il bicchiere che gli stava porgendo e lo buttò giù tutto d’un sorso. Appena sentì il prurito affievolirsi, anche se di poco, prese una bottiglia e ingoiò tutto.

La testa gli girava, ma almeno l’irritazione era passata. Qualcos’altro, però, stava iniziando a martellare contro il suo cranio.

Tu non hai nulla in comune con queste persone.

Un sussurro che lo fece sobbalzare e cadere addosso a un cameriere.

“Jacob!” sentì Brad afferrarlo e aiutarlo ad alzarsi, ma era tutto così confuso e rumoroso “Dio santo, che hai?”

“Sto bene… devo andare… devo andare” sussurrava, cercando di spingere via le persone per andare verso il suo studio.

Si mettono tra te e la tua arte. Non vogliono farti dipingere. Mandali via! Via!

“Andatevene!” gridò, gli occhi rossi per l’alcool e il vestito stropicciato “Uscite tutti da qui! ADESSO!”

Un vociare scandalizzato si diffuse tra i presenti, ma lui li ignorò, così come ignorò sua madre che lo afferrava, cercando di trattenerlo. La spinse per terra e salì le scale, corse lungo il corridoio ed entrò nello studio, dove si chiuse a chiave.

Spalmò la schiena contro la porta, ansimando ad occhi chiusi.

“Cosa mi sta succedendo?” sussurrò.

Non è colpa tua. Sono loro. Loro sono malvagi. Vogliono impedirti di dipingere.

“Loro sono malvagi” ripetè.

Non puoi fidarti di nessuno.

“Non posso fidarmi di nessuno.”

Per fortuna ci sono io con te. Non preoccuparti, sarai al sicuro finchè mi ascolterai. Adesso dipingi e non fermarti fino a quando non ti sanguineranno le mani.

Jacob aprì gli occhi. Prese i colori e il pennello e dipinse, dipinse tutta la notte fino a farsi sanguinare le mani, e anche oltre, perché non fermarti, non fermarti o morirai.

***

La voce aiutò molto Jacob, davvero.

Gli diceva cosa fare, come liberarsi dei malvagi, e di questo Jacob le era davvero grato.

I suoi genitori erano morti. Incidente d’auto. A quanto sembrava, i freni erano malfunzionanti.

Suo fratello si era suicidato. Per la disperazione, ovviamente. Si era sparato dritto tra gli occhi.

Anche la sua fidanzata si era suicidata, dopo che l’aveva lasciata. La poveretta non poteva vivere senza di lui, quindi aveva buttato giù un bicchiere di candeggina. Era davvero innamorata.

Ogni giorno Brad veniva a casa sua e cercava di parlargli, ma la voce non voleva che avesse più nulla a che fare con lui. Il problema era che quest’ultimo era davvero troppo insistente e non riuscivano proprio a convincerlo a lasciarli da soli.

La voce voleva che Jacob si liberasse anche di Brad.

Era l’unico argomento su cui si trovavano in disaccordo. Spesso litigavano, su questo, e Jacob finiva per urlarle contro, lanciando oggetti vari contro il muro. Subito dopo, però, si scusava, perché era stato davvero maleducato e irrispettoso da parte sua trattarla così, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, dopo averlo aiutato così tanto.

Jacob aveva scoperto che solo quando beveva molto riusciva ad affievolire la voce nella sua testa, ma non era abbastanza. Così pensò che forse qualcosa di più forte avrebbe funzionato meglio.

Dove stai andando?

Jacob prese il cappotto e la sciarpa, poi uscì di casa, diretto alla metropolitana, visto che aveva licenziato il suo autista molto tempo prima. In realtà, aveva licenziato tutto il personale. E aveva smesso di fare mostre.

Prese la linea per Hackney, il suo vecchio quartiere. Lì avrebbe sicuramente trovato ciò che gli serviva.

Vuoi liberarti di me? E’ così?

“Non è vero” disse. Alcuni dei passeggeri nel suo stesso vagone lo guardarono, a disagio.

Dopo tutto quello che ho fatto per te, è questo il tuo modo di ringraziarmi?

“Sta zitta!” esclamò, sferrando un pugno contro il palo a cui si stava reggendo, prima di scendere subito dopo.

Tutto quello che devi fare è ascoltarmi. Liberati di Brad, lui è solo un ostacolo.

E’ mio amico” disse. Il marciapiede era deserto e, anche se era buio, ciò non lo preoccupava, visto ricordava ancora molto bene la strada. La voce rimase stranamente in silenzio, come se stesse osservando le sue mosse.

Capì di essere arrivato a destinazione appena vide un gruppo di ragazzi e ragazze che fumavano.

“Chi vende?” chiese, fermandosi in mezzo a loro. Lo guardarono con cipiglio, finchè uno di loro venne verso di lui.

“Dimmi cosa ti serve”.

“Dammi la cosa più forte che hai” disse.

“Wooh, ok, ma ce l’ho a casa mia. Seguimi” il ragazzo si girò e Jacob lo seguì, finchè non arrivarono ad un condominio pieno di graffiti. Salirono le scale e raggiunsero una porta, il ragazzo la aprì e così entrarono.

“Ti vedo disperato, credo che un po’ di eroina sia ciò che fa per te” Spostò un mobile, rivelando un buco nel muro dal quale estrasse una piccola busta con polvere bianca.

“Quanto vuoi?” chiese, prendendo il portafoglio, pronto a cacciare qualsiasi cifra, visto che il denaro da tempo non era più un problema per lui.

“Il primo assaggio è sempre gratis” strizzò l’occhio, sorridendo e mostrandogli così una fila di denti giallognoli “Solo, ricordati da chi venire quando ne vorrai ancora. Chiedi di Danny Dan.”

Annuì. Danny Dan gli mostrò come iniettarsi l’eroina e, nel momento stesso in cui questa cominciò a scorrere nelle sue vene, la voce sparì. Anche se prima era stata in silenzio, riusciva ancora a percepire la sua presenza, mentre adesso sembrava completamente svanita.

Jacob era felice.

Nei giorni successivi abbandonò la casa a tre piani in cui aveva vissuto fino ad allora e si ritrasferì nell’appartamento in cui abitava prima che tutto avesse avuto inizio. Fece perdere le sue tracce: non voleva che Brad lo trovasse. Più stava lontano da lui, più sarebbe stato al sicuro.

***

Gli anni passavano uno dietro l’anno. Anni che Jacob passò quasi come una visione offuscata dalla droga e di cui gli unici momenti di lucidità erano quelli in cui dipingeva. Il mondo si era fatto un’idea precisa di lui: sconvolto dalla morte delle persone che gli erano più care, il giovane e brillante Jacob Golden aveva deciso di ritirarsi dalla vita mondana e aveva dato un taglio all’arte.

Jacob stava camminando per un marciapiede affollato, sfiorando con le dita l’eroina che aveva appena comprato e che era nella tasca del suo cappotto. Lanciò un’occhiata alla vetrina alla sua destra e non si riconobbe nel proprio riflesso. I suoi capelli erano più lunghi, il volto era bianco come la morte e una barbetta malcurata copriva la sua mascella. La cosa che però più lo spaventavano erano gli occhi: vuoti e neri. Sembravano quelli di un morto, mancava completamente quella scintilla di vita che invece era presente nello sguardo di chiunque incrociasse per strada.

Dovresti morire. La tua vita non ha senso.

Eccola, sempre presente. La voce.

Tu hai voluto tutto questo, non ricordi? E’ colpa tua. Io sto cercando di aiutarti, ma non vuoi ascoltarmi. Se non mi ascolti, morirai.

“Zitta!” si sferrò un pugno contro la tempia, per poi girare nel vicolo più vicino.

Sai cosa devi fare, per farmi stare in silenzio. Uccidilo. Uccidilo e io me ne andrò.

Con mani tremanti, Jacob cacciò in fretta la bustina. Si mise il laccio emostatico, poi prese la siringa e procedette.

Una nebbia bianca coprì ogni cosa e la voce volò via così come la sua coscienza. Chiuse gli occhi e cadde per terra.

Quando si svegliò, era su un letto morbido, con un cuscino sotto la testa.

“Oh Jacob… cosa ti è successo?” sussurrò qualcuno.

Jacob aprì gli occhi, cercando di capire dove si trovasse e chi avesse parlato.

“Brad?” il cuore gli balzò nel petto e si sedette di botto, causando un forte giramento di testa.

Sapeva che la voce era presente, tuttavia questa non parlava: si limitava ad osservare il tutto. Doveva andarsene prima che lo spingesse a fargli del male.

“Dove credi di andare?” Brad gli si avvicinò: il suo sguardo era un misto di rabbia e tristezza “Devi riposare, idiota”

Cercò di spingerlo a stendersi, ma Jacob lo spostò e si alzò in fretta.

“Come mi hai trovato?” sussurrò, la voce graffiata.

Brad si passò una mano tra i capelli rossi. A Jacob fece male il cuore rivederlo dopo tutto quel tempo. I capelli indomabili e rossi come sempre, il viso più marcato e adulto, la voce leggermente più rauca. Ma lo sguardo preoccupato che gli rivolgeva era esattamente lo stesso.

“Ti ho visto mentre andavo al set per le prove, così ti ho seguito e dopo averti trovato svenuto in quel vicolo ho chiamato un taxi e ti ho portato a casa.” fece un passo verso di lui, toccandogli la spalla “Tu stai male. Hai bisogno di aiuto. Non so perché mi hai cacciato dalla tua vita, ma adesso sono qui e voglio aiutarti

Sta mentendo.

Jacob scosse la testa per far tacere la voce, ma l’altro interpretò il gesto come un dissenso a quanto aveva detto.

“Ti prego ascoltami. Io-”

“Devi stare lontano da me” lo interruppe, girandosi con l’intenzione di uscire da lì il prima possibile.

“Dove stai andando?” ringhiò il ragazzo, afferrandolo per un braccio e costringendolo a girarsi “Vuoi tornare ai tuoi stupidi dipinti? Non lo capisci che sono stati proprio loro a ridurti così? E’ un’ossessione! Devi smettere di dipingere o diventerai pazzo!”

“Cosa?”

Jacob si voltò lentamente a guardarlo, gli occhi sgranati e le mani che tremavano.

Te l’avevo detto.

“Tu vuoi impedirmi di dipingere” sussurrò.

“Lo faccio per il tuo bene, lo capisci questo?” Brad aveva gli occhi lucidi.

E’ una minaccia. Te l’avevo detto.

Liberati di lui.

Liberati di lui.

Liberati di lui.

Jacob gli si buttò addosso, afferrandolo per le spalle e sbattendolo a terra sotto il suo peso. Brad imprecò e cercò di spostarlo, ma lui gli diede un pugno nello stomaco. Il rosso lo spinse via e si alzò, schivando il suo pugno.

“Che diavolo ti prende?!”  ansimò, indietreggiando sempre di più verso la finestra. Jacob cercò di afferrarlo di nuovo e Brad bloccò le sue braccia per respingerlo. Gli diede una ginocchiata e lui sibilò, piegandosi.

“Non voglio farti del male, Cristo!” lo ignorò. Brad cercava di tirarlo indietro e aveva ormai le spalle contro il vetro della finestra. Anche lui gli diede un pugno, sul naso, che prese a sanguinare, ma Jacob non ci faceva caso.

Uccidilo.

Jacob gridò e lo tirò indietro prima di spingerlo con più forza contro la finestra, che si ruppe. Il vetro tagliò entrambi in vari punti, facendoli sanguinare. Spingeva Brad oltre la finestra, ma questo si era aggrappato alla sua giacca, urlando disperato. Era ormai per metà oltre di questa e anche Jacob era stato costretto a sporgere il torso oltre.

“Ti prego, Jacob! Ti prego!” gridò.

Si fermò e lo guardò dritto negli occhi, immobile.

Posò le mani su quelle di Brad.

Uccidilo.

Gli tirò via le mani, levandole dalla sua giacca, e poi lo spinse completamente oltre la finestra.

Lo vide cadere urlando e agitando gli arti spasmodicamente, prima di schiantarsi contro la strada.

***

“No… NO!”

Jacob battè il pugno contro il muro e uscì di corsa dall’appartamento. Scese le scale e, una volta fuori dal condominio, corse per i vicoli bui, sporco di sangue e finalmente in sé. La voce aveva mantenuto la promessa e se ne era andata, ma a quale prezzo?

Corse per Islington fino ad arrivare ad Hackney che era quasi l’alba.

Le decorazioni natalizie lo stordivano e il freddo gli congelava le cervella, ma non ci faceva caso.

Finalmente arrivò di fronte casa sua e salì le scale fino all’appartamento. Era pieno di quadri. Quei quadri erano la sua maledizione. In cucina aprì in fretta i cassetti fino a trovare ciò che stava cercando. Afferrò il coltello più grande e tornò in soggiorno.

Guardò quell’arte nata dalle stesse mani con cui aveva assassinato il suo amico solo poco prima e con un grido squarciò un dipinto col coltello. Così fece con quello affianco, e quello dopo, e quello dopo, finchè ogni tela era stata mutilata. Ansimò e dopo qualche secondo si rese conto che ciò che colava dagli squarci non era vernice, ma sangue. Sangue rosso che scorreva giù, fino a cadere in piccole gocce sul pavimento, formando delle pozze.

Indietreggiò, il coltello che tremava nella sua mano destra.

Cadde in ginocchio, sporcandosi ulteriormente di sangue.

Alzò il coltello, girandolo nella sua direzione.

Alzò il volto verso l’alto e chiuse gli occhi.

Il secondo dopo, la lama era affondata nella sua carne e lui si era accasciato sul pavimento, sorridendo mentre finalmente diventava libero per la prima volta in vita sua.

Era l’alba.

***

I tacchi della donna producevano un fastidioso ticchettio sul pavimento sporco di sangue. Si allisciò il vestito rosso mentre rivolgeva appena un’occhiata all’uomo di trentasei anni steso, chiaramente morto.

“Beh” soffiò, arricciando gli angoli della bocca verso l’alto “Sembra che dieci anni siano passati, Jacob.”

Si inginocchiò e afferrò il volto dell’uomo tra le mani. Lo baciò morbidamente, poi allontanò il viso e si alzò.

Uscì, sorridendo, alla ricerca di un’altra anima di 

cui nutrirsi.







N.d.A.
ciao! allora, questa storia è mooolto diversa da quelle che scrivo di solito, lo so. E' una storia che ho scritto come regalo di natale per i miei genitori e ho avuto solo una settimana di tempo per scriverla, perciò scusate se ha un andamente un po' rapido.
Passate anche alle mie altre storie :P e soprattutto fatemi sapere che ne pensate!!!!
All the love xx






   
 
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