Premessa: Che cosa inusuale,
un angolo autore prima della fan fiction @_@. Beh, ci sono un po’ di cose che desidererei dirvi prima che cominciate la lettura.
Innanzitutto, segnalare la presenza di pesanti Spoilers sulla trama di Beach,
sopratutto del recente capitolo 348. Ed è proprio da quest’ultimo
che la mia fanfic prende vita, proponendosi lo scopo
di dare una visione alternativa dei fatti che avverranno a
partire da questo capitolo in poi.
Per tale
motivo, la fanfic presenta l’avvertimento What if…?.
In secondo
luogo, ci tengo a precisare che l’idea sviluppata in questa fan fiction non è
mia, bensì di Yue (su EFP Juuichi), e
probabilmente di altri fans
che, come lei, hanno ipotizzato una teoria del genere.
Infine,
voglio precisare che ho deciso di utilizzare, per esigenze mie, un POV alquanto
mutevole, che vari dalla terza persona alla prima, o da personaggio a personaggio. Spero che non renda la
lettura difficoltosa >__<”.
Detto ciò, vi lascio a questo primo capitolo, con la speranza che sia
di vostro gradimento e che vogliate continuare nella lettura dei capitoli che
verranno.
Attendo recensioni, consigli e critiche <3.
P.S., spero di pubblicare a breve il secondo Capitolo di Send ahead the pendolum. XD
The
sinner -That which lie behind the mask-
- Ciò che giace dietro la maschera -
***
Capitolo 1: Rinascita
Rimase
immobile.
Non
ricordava come ci si muovesse. Non ricordava come respirare. Strinse gli occhi una, più volte, nel tentativo di scacciare via quella visione
orribile che assomigliava tremendamente ad un sogno, ad un bruttissimo incubo –doveva essere un incubo-, ma quella non
svanì.
Allora
lanciò uno sguardo disperato a Renji, in cerca di
conforto, aspettandosi che lui le dicesse “Non è vero, tranquilla”,
ma neppure lui rispose. Teneva gli occhi spalancati e vitrei, fissava un
punto davanti a se –Dio, se lei lo
sapeva, cos’è che stava fissando-, le labbra socchiuse come se non ricordasse
come chiuderle e Zabimaru abbandonata lungo un
fianco.
Allora
guardò Inoue, le mani strette in grembo e gli occhi
sbarrati che parevano vedere un altro mondo, guardò Ishida
che si sforzava di proteggerla e tenerla lontana [proteggerla da chi?], guardò Chad
che restava immobile e stringeva i pugni tanto forte
da sanguinare.
E
poi, la gola stretta in un grumo che pareva volesse soffocarla ed un leggero
senso di nausea alla bocca dello stomaco, Rukia
guardò lui.
Lo guardò
e non vide lui.
Vide
l’altro.
Stava
ritto davanti al gruppetto di shinigami e ragazzi
terrestri e li fissava ad uno ad uno, i lineamenti
contratti in una smorfia ridacchiante che non era la sua e gli occhi anneriti,
ad eccezione delle pupille, che brillavano dorate.
Rukia
pensò di rivivere un incubo.
Nella sua
testa si susseguirono rapidi gli ultimi quanto eterni
minuti trascorsi: vide se stessa giungere, angosciata e ansante, in cima alla
torre semi-crollata, si vide sgranare gli occhi alla vista dello squarcio che
dilaniava il petto di Ichigo, e allora ricordava
d’aver urlato e d’essersi scagliata senza esitazione –Sode no Shirayuki stretta in mano- su Ulquiorra,
quando Renji gliel’aveva impedito dicendole che non
era tardi, non era troppo tardi, che lui era vivo.
E poi, ricordava
Ichigo guardarla e tendere una mano sanguinante verso
di lei, ma prima che potesse afferrarla era successo.
Ichigo
aveva urlato e s’era stretto la testa tra le mani, mentre la ferita vomitava
sangue, s’era piegato su se stesso ed aveva gridato di dolore nel momento in
cui qualcosa di terribilmente simile alla maschera di un Hollow
aveva preso a germogliare sul suo viso. Poi, tutto era piombato nel silenzio
nel momento stesso in cui aveva smesso di urlare.
Si era
eretto e li aveva guardati tutti, una smorfia orribile
a deturpargli il viso, e poi, con un movimento rapido, aveva strappato dal
volto l’orrenda maschera che cadde al suolo con un tonfo.
A quel
punto, Rukia e gli altri avevano visto con orrore lo
squarcio sul petto rimpicciolirsi e smettere di grondare sangue, fino a
trasformarsi in un foro perfettamente sferico e decisamente
più piccolo, posizionato poco sotto le costole di Ichigo;
allo stesso modo, il resto delle ferite era gradualmente scomparso.
Da quel
momento in poi, Rukia non era riuscita a smettere di
tremare.
Guardò il
ragazzo ghignante davanti a sé e sperò per l’ennesima volta che fosse tutto falso, strizzò gli occhi e pregò di svegliarsi,
ma non accadde nulla; lo sguardo di Renji era ancora
vitreo, Ishida teneva indietro Inoue
e Chad stringeva ancora i pugni fino a sanguinare.
«Inaspettato»,
dichiarò una voce roca e pacata.
Scossi
da quell’affermazione improvvisa, umani e shinigami si
voltarono a guardare l’Espada chiamato Ulquiorra, quasi dimentichi della sua presenza. Nessuno si
era accorto di quando avesse ritirato il rilascio
della sua spada.
«Davvero
inaspettato», commentò egli, nuovamente, e posò gli occhi smeraldini su Ichigo, che lo fissò di rimando. «Dunque è questo il famoso
Hollow interiore di cui avevo
sentito parlare». La sua voce suonava ancora piatta ed apatica, ma vi
era un’improvvisa nota d’interesse. Rukia rabbrividì.
«Com’è
che ti chiami?», domandò Ulquiorra ad Ichigo, senza staccare gli occhi da quest’ultimo.
L’hollow-Ichigo
ghignò. «Mi pareva d’averlo già detto!», sibilò, e tutti sobbalzarono
nell’udire da quelle labbra una voce tanto diversa da quella dell’amico. Aveva
una nota metallica, un che di innaturale. Era
inquietante.
Il
sorriso dell’Hollow si allargò ancor di più alla
vista delle loro espressioni sconvolte. Proruppe in una
risata malevola, occhieggiando il gruppo con le iridi dorate, dopodichè si
rivolse nuovamente ad Ulquiorra. «Io non ho
nessun nome!».
Tutti
ammutolirono. L’Espada lo fissò a lungo in volto, come volesse
studiarlo; socchiuse per qualche attimo i grandi occhi verdi, assorto nei
propri pensieri, dopodichè tornò a scrutarlo, stavolta più risoluto. «Ho deciso»,
dichiarò.
Nessuno si chiese cos’era che Ulquiorra avesse deciso. Si
sentivano tutti troppo annientati, troppo infiacchiti, troppo spenti, come prosciugati di ogni energia vitale; di Ichigo,
il ragazzo forte, determinato, attaccato alla vita, non era rimasto altro che
un fantasma ghignante che sorrideva da un viso che non era il suo, guardava con
occhi che non erano i suoi e pronunciava parole che non erano le sue.
Ulquiorra parlò, la voce roca ed
assurdamente inerte, senza che nessuno osasse interromperlo né distogliere lo
sguardo.
«Tu»,
disse, additando il fantasma di ciò ch’era stato Ichigo, «sei un Hollow che ha
rimosso la maschera, perciò rientri nella categoria Arrancar. Ti porterò al cospetto di Aizen-sama per decidere sul da farsi». Con un cenno
imperioso, indicò un evidente squarcio che straziava il cielo nero. «Seguimi».
L’altro
non parve opporre resistenza. «Ma si!», rispose con un’alzata
di spalle, senza perdere il ghigno caratteristico, «penso che mi divertirò.
Starsene rinchiuso dentro quell’umano per tanto tempo è
stata una tale noia!».
Ulquiorra lo guardò di sbieco e fece per andarsene, il
mantello bianco che frusciava leggero ad ogni suo passo; si arrestò dopo pochi passi. Voltatosi, rivolse un’ultima occhiata ad Inoue, e pareva che volesse dirle qualcosa, ma le labbra
annerite restarono socchiuse e non ne uscì alcun suono.
Inoue ricambiò lo
sguardo, i suoi occhi muti sembravano urlare “Perché? Perché lo fai?”, ma anch’ella non parlò.
Allora,
Ulquiorra si allontanò, seguito da Ichigo, e Rukia lo vide andar via
e fu certa che qualcuno l’avrebbe fermato, che qualcuno gli avrebbe impedito di
andarsene, che...
Trasalì.
Attorno
a lei, umani e shinigami restavano
immobili, come paralizzati. Guardavano i due allontanarsi con occhi vitrei,
come privati d’ogni speranza, e Rukia li capì: si
sentiva esattamente allo stesso modo. Incapace di reagire,
incapace di combattere ancora.
Eppure bisogna reagire, si
disse, Ichigo se ne sta andando...
No!, urlò
una voce nella sua testa.
E, improvvisamente, Rukia
spalancò gli occhi. Fu come risvegliarsi da un lungo sonno e vedere il mondo
per la prima volta.
Un’ondata
di sensazioni prima sopite la schiacciò con violenza impressionante, e Rukia sentì la disperazione, la rabbia, l’insicurezza, la
paura, riempirle il cuore ed il cervello e spingere le gambe a muoversi contro
la propria volontà, contro ogni istinto razionale, ed inseguirlo.
Perché Ichigo
non poteva, non poteva andarsene... lui
era il suo faro, il suo punto di riferimento, il suo porto sicuro... era la
speranza di tutti loro.
Ichigo era colui che protegge. Ichigo era il primo angelo
guardiano.
Ichigo avrebbe combattuto. Ichigo era forte, Ichigo non
avrebbe permesso al proprio Hollow di soggiogarlo...
perché, Rukia ne era certa, aveva
una forza di volontà che nessuno di loro possedeva.
E’ testardo, si
disse, fiduciosa, più
testardo di chiunque altro...
Ma non bastò.
Rukia non smise di correre, il braccio
teso verso lui che si allontanava, lo chiamò, lo chiamò più volte, e riuscì
solo a chiudere gli occhi quando, voltatosi -le iridi
dorate che scintillavano innaturalmente-, Ichigo fece
per piantarle la spada dritta in petto.
«Ichi...go...», sussurrò, le minuscole dita
che ancora lo cercavano, un attimo prima che il buio
calasse sui suoi occhi.
*
Correvo.
Correvo;
non sapevo verso dove, non sapevo perché, ma correvo.
Non
volevo fermarmi. Non potevo fermarmi.
Correvo,
anche se le gambe dolevano, l’aria scivolava via dai polmoni e la vista si
appannava piano, correvo incapace di fermarmi, senza mai raggiungere la meta.
Ma cos’è che volevo raggiungere?
Non
ne avevo idea.
D’un tratto, tra sensazioni offuscate e
ricordi che sfumavano lentamente, vidi qualcosa.
Uno
sprazzo di luce, una voce lontana. Una voce che chiamava il
mio nome.
Rukia. Rukia.
Rukia.
Era
una bella voce. Una voce chiara, forte, forse un po’ rude, ma
gentile. Mi pareva di averla già sentita in un’altra
vita.
Ma c’era stata un’altra vita?
Desiderai
udire ancora la voce. Quando l’ascoltavo, realizzai,
tutto mi era improvvisamente chiaro. Anche la morte.
Perché, n’ero certa, dovevo essere
morta.
Il
buio, il silenzio, l’eternità... morte. Spegnimento
del corpo.
E l’anima? L’anima, dove sarebbe finita?
Le nostre anime sono i nostri corpi. Quando moriamo ...
Non
riuscii a ricordare come continuasse.
Kaien-dono.
Pensai a lui, mi pentii di non aver
rispettato la promessa fattagli tanti anni prima, in quel prato verde sferzato
dal vento. Ero morta da sola.
Oppure no?
Non
riuscivo a ricordare.
Desiderai
ancora udire la voce, più ardentemente di prima. Provai a chiamarla, ma non fui
capace di trovare le labbra nel groviglio complicato di pensieri e sensazioni
che partivano dal mio cervello.
E poi, quando stavo per desistere e ripiombare
nuovamente nell’incoscienza, invogliata dal buio sonnolento che mi circondava, fu
lei a tornare da me. L’ascoltai chiamare il mio nome più volte, prima
angosciata, poi gioiosa, triste, arrabbiata, ed ancora gentile, ed infine
dolce.
Dio, pensai,
è la voce più bella che abbia mai
sentito. E fui certa, forse più di prima, di averla
già udita prima.
Tante,
tantissime volte.
Ogni
giorno, ogni notte. La mattina
appena sveglia. La sera prima di dormire.
Ne
fui certa, e mi sforzai con tutta me stessa di ricordare; ed in quell’istante,
con mia sorpresa, la voce prese ad avere un volto.
Vidi
i lineamenti decisi e spigolosi sbocciare davanti a me e prendere gradualmente
forma, vidi due profondi occhi ambrati aprirsi ed intervallare con la loro luce
il buio che mi avvolgeva, vidi una massa incolta di
capelli arancioni germogliare al di sopra degli occhi
e conferire allo sguardo la sua luce tipica.
E vidi un paio di sopracciglia perennemente
aggrottate.
Ichigo.
Allora
ricordai tutto. Ricordai di chi fosse la voce.
Ricordai di essere a Las Noches, nell’Hueco Mundo, ricordai Ichigo che non era Ichigo e mi
guardava con occhi dorati e freddi che non gli appartenevano, ricordai perché
stessi correndo.
Ed
avvertii distintamente ogni cellula del mio corpo urlare il suo nome mentre, le dita tese verso di lui e gli occhi che
prudevano tremendamente, lo vidi allontanarsi ancora una volta e farsi sempre
più lontano fino a scomparire, e di nuovo non fui capace di raggiungerlo.
A
quel punto, aprii gli occhi, e tutto mi fu chiaro.
Ero
viva.
Ero
viva, distesa in letto dalle lenzuola bianche circondato da quattro mura
sporche e scrostate dello stesso colore, decorate con lo stemma della Quarta
Compagnia; ero viva ed Ichigo non c’era, e
d’improvviso realizzai cosa fosse successo.
Allora,
vidi le mie stesse dita tendersi e cercare qualcosa, nella penombra davanti a
me, le vidi allungarsi ed accarezzare il vuoto e poi,
infine, chiudersi e stringere nient’altro che aria.
*
~ Fine
primo capitolo.