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Autore: Lou Asakura    11/03/2009    7 recensioni
Il sorriso dell’Hollow si allargò ancor di più alla vista delle loro espressioni sconvolte. Proruppe in una risata malevola, occhieggiando il gruppo con le iridi dorate, dopodichè si rivolse nuovamente ad Ulquiorra. «Io non ho nessun nome!».
Tutti ammutolirono. L’Espada lo fissò a lungo in volto, come volesse studiarlo; socchiuse per qualche attimo i grandi occhi verdi, assorto nei propri pensieri, dopodichè tornò a scrutarlo, stavolta più risoluto. «Ho deciso», dichiarò.
Nessuno si chiese cos’era che Ulquiorra avesse deciso. Si sentivano tutti troppo annientati, troppo infiacchiti, troppo spenti, come prosciugati di ogni energia vitale; di Ichigo, il ragazzo forte, determinato, attaccato alla vita, non era rimasto altro che un fantasma ghignante che sorrideva da un viso che non era il suo, guardava con occhi che non erano i suoi e pronunciava parole che non erano le sue.
~What if...?, Capitolo 348.
»Seguito alternativo del sopracitato capitolo }.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hichigo, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Schiffer Ulquiorra
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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The sinner ~ That which lie behind the mask

Premessa: Che cosa inusuale, un angolo autore prima della fan fiction @_@. Beh, ci sono un po’ di cose che desidererei dirvi prima che cominciate la lettura.

Innanzitutto, segnalare la presenza di pesanti Spoilers sulla trama di Beach, sopratutto del recente capitolo 348. Ed è proprio da quest’ultimo che la mia fanfic prende vita, proponendosi lo scopo di dare una visione alternativa dei fatti che avverranno a partire da questo capitolo in poi.

Per tale motivo, la fanfic presenta l’avvertimento What if?.

In secondo luogo, ci tengo a precisare che l’idea sviluppata in questa fan fiction non è mia, bensì di Yue (su EFP Juuichi), e probabilmente di altri fans che, come lei, hanno ipotizzato una teoria del genere.

Infine, voglio precisare che ho deciso di utilizzare, per esigenze mie, un POV alquanto mutevole, che vari dalla terza persona alla prima, o da personaggio a personaggio. Spero che non renda la lettura difficoltosa >__<”.

Detto ciò, vi lascio a questo primo capitolo, con la speranza che sia di vostro gradimento e che vogliate continuare nella lettura dei capitoli che verranno. Attendo recensioni, consigli e critiche <3.

P.S., spero di pubblicare a breve il secondo Capitolo di Send ahead the pendolum. XD

 

 


The sinner -That which lie behind the mask-

 

- Ciò che giace dietro la maschera -

 

 

***

 

Capitolo 1: Rinascita

 

 

 

 

Rimase immobile.

Non ricordava come ci si muovesse. Non ricordava come respirare. Strinse gli occhi una, più volte, nel tentativo di scacciare via quella visione orribile che assomigliava tremendamente ad un sogno, ad un bruttissimo incubo –doveva essere un incubo-, ma quella non svanì.

Allora lanciò uno sguardo disperato a Renji, in cerca di conforto, aspettandosi che lui le dicesse “Non è vero, tranquilla”, ma neppure lui rispose. Teneva gli occhi spalancati e vitrei, fissava un punto davanti a se –Dio, se lei lo sapeva, cos’è che stava fissando-, le labbra socchiuse come se non ricordasse come chiuderle e Zabimaru abbandonata lungo un fianco.

Allora guardò Inoue, le mani strette in grembo e gli occhi sbarrati che parevano vedere un altro mondo, guardò Ishida che si sforzava di proteggerla e tenerla lontana [proteggerla da chi?], guardò Chad che restava immobile e stringeva i pugni tanto forte da sanguinare.

E poi, la gola stretta in un grumo che pareva volesse soffocarla ed un leggero senso di nausea alla bocca dello stomaco, Rukia guardò lui.

Lo guardò e non vide lui.

Vide l’altro.

Stava ritto davanti al gruppetto di shinigami e ragazzi terrestri e li fissava ad uno ad uno, i lineamenti contratti in una smorfia ridacchiante che non era la sua e gli occhi anneriti, ad eccezione delle pupille, che brillavano dorate.

Rukia pensò di rivivere un incubo.

Nella sua testa si susseguirono rapidi gli ultimi quanto eterni minuti trascorsi: vide se stessa giungere, angosciata e ansante, in cima alla torre semi-crollata, si vide sgranare gli occhi alla vista dello squarcio che dilaniava il petto di Ichigo, e allora ricordava d’aver urlato e d’essersi scagliata senza esitazione –Sode no Shirayuki stretta in mano- su Ulquiorra, quando Renji gliel’aveva impedito dicendole che non era tardi, non era troppo tardi, che lui era vivo.

E poi, ricordava Ichigo guardarla e tendere una mano sanguinante verso di lei, ma prima che potesse afferrarla era successo.

Ichigo aveva urlato e s’era stretto la testa tra le mani, mentre la ferita vomitava sangue, s’era piegato su se stesso ed aveva gridato di dolore nel momento in cui qualcosa di terribilmente simile alla maschera di un Hollow aveva preso a germogliare sul suo viso. Poi, tutto era piombato nel silenzio nel momento stesso in cui aveva smesso di urlare.

Si era eretto e li aveva guardati tutti, una smorfia orribile a deturpargli il viso, e poi, con un movimento rapido, aveva strappato dal volto l’orrenda maschera che cadde al suolo con un tonfo.

A quel punto, Rukia e gli altri avevano visto con orrore lo squarcio sul petto rimpicciolirsi e smettere di grondare sangue, fino a trasformarsi in un foro perfettamente sferico e decisamente più piccolo, posizionato poco sotto le costole di Ichigo; allo stesso modo, il resto delle ferite era gradualmente scomparso.

 

Da quel momento in poi, Rukia non era riuscita a smettere di tremare.

Guardò il ragazzo ghignante davanti a sé e sperò per l’ennesima volta che fosse tutto falso, strizzò gli occhi e pregò di svegliarsi, ma non accadde nulla; lo sguardo di Renji era ancora vitreo, Ishida teneva indietro Inoue e Chad stringeva ancora i pugni fino a sanguinare.

«Inaspettato», dichiarò una voce roca e pacata.

Scossi da quell’affermazione improvvisa, umani e shinigami si voltarono a guardare l’Espada chiamato Ulquiorra, quasi dimentichi della sua presenza. Nessuno si era accorto di quando avesse ritirato il rilascio della sua spada.

«Davvero inaspettato», commentò egli, nuovamente, e posò gli occhi smeraldini su Ichigo, che lo fissò di rimando. «Dunque è questo il famoso Hollow interiore di cui avevo sentito parlare». La sua voce suonava ancora piatta ed apatica, ma vi era un’improvvisa nota d’interesse. Rukia rabbrividì.

«Com’è che ti chiami?», domandò Ulquiorra ad Ichigo, senza staccare gli occhi da quest’ultimo.

L’hollow-Ichigo ghignò. «Mi pareva d’averlo già detto!», sibilò, e tutti sobbalzarono nell’udire da quelle labbra una voce tanto diversa da quella dell’amico. Aveva una nota metallica, un che di innaturale. Era inquietante.

Il sorriso dell’Hollow si allargò ancor di più alla vista delle loro espressioni sconvolte. Proruppe in una risata malevola, occhieggiando il gruppo con le iridi dorate, dopodichè si rivolse nuovamente ad Ulquiorra. «Io non ho nessun nome!».

Tutti ammutolirono. L’Espada lo fissò a lungo in volto, come volesse studiarlo; socchiuse per qualche attimo i grandi occhi verdi, assorto nei propri pensieri, dopodichè tornò a scrutarlo, stavolta più risoluto. «Ho deciso», dichiarò.

Nessuno si chiese cos’era che Ulquiorra avesse deciso. Si sentivano tutti troppo annientati, troppo infiacchiti, troppo spenti, come prosciugati di ogni energia vitale; di Ichigo, il ragazzo forte, determinato, attaccato alla vita, non era rimasto altro che un fantasma ghignante che sorrideva da un viso che non era il suo, guardava con occhi che non erano i suoi e pronunciava parole che non erano le sue.

 

Ulquiorra parlò, la voce roca ed assurdamente inerte, senza che nessuno osasse interromperlo né distogliere lo sguardo.

«Tu», disse, additando il fantasma di ciò ch’era stato Ichigo, «sei un Hollow che ha rimosso la maschera, perciò rientri nella categoria Arrancar. Ti porterò al cospetto di Aizen-sama per decidere sul da farsi». Con un cenno imperioso, indicò un evidente squarcio che straziava il cielo nero. «Seguimi».

L’altro non parve opporre resistenza. «Ma si!», rispose con un’alzata di spalle, senza perdere il ghigno caratteristico, «penso che mi divertirò. Starsene rinchiuso dentro quell’umano per tanto tempo è stata una tale noia!».

Ulquiorra lo guardò di sbieco e fece per andarsene, il mantello bianco che frusciava leggero ad ogni suo passo; si arrestò dopo pochi passi. Voltatosi, rivolse un’ultima occhiata ad Inoue, e pareva che volesse dirle qualcosa, ma le labbra annerite restarono socchiuse e non ne uscì alcun suono.

Inoue ricambiò lo sguardo, i suoi occhi muti sembravano urlare “Perché? Perché lo fai?”, ma anch’ella non parlò.

Allora, Ulquiorra si allontanò, seguito da Ichigo, e Rukia lo vide andar via e fu certa che qualcuno l’avrebbe fermato, che qualcuno gli avrebbe impedito di andarsene, che...

Trasalì.

Attorno a lei, umani e shinigami restavano immobili, come paralizzati. Guardavano i due allontanarsi con occhi vitrei, come privati d’ogni speranza, e Rukia li capì: si sentiva esattamente allo stesso modo. Incapace di reagire, incapace di combattere ancora.

Eppure bisogna reagire, si disse, Ichigo se ne sta andando...

No!, urlò una voce nella sua testa.

E, improvvisamente, Rukia spalancò gli occhi. Fu come risvegliarsi da un lungo sonno e vedere il mondo per la prima volta.

Un’ondata di sensazioni prima sopite la schiacciò con violenza impressionante, e Rukia sentì la disperazione, la rabbia, l’insicurezza, la paura, riempirle il cuore ed il cervello e spingere le gambe a muoversi contro la propria volontà, contro ogni istinto razionale, ed inseguirlo.

Perché Ichigo non poteva, non poteva andarsene... lui era il suo faro, il suo punto di riferimento, il suo porto sicuro... era la speranza di tutti loro.

Ichigo era colui che protegge. Ichigo era il primo angelo guardiano.

Ichigo avrebbe combattuto. Ichigo era forte, Ichigo non avrebbe permesso al proprio Hollow di soggiogarlo... perché, Rukia ne era certa, aveva una forza di volontà che nessuno di loro possedeva.

E’ testardo, si disse, fiduciosa, più testardo di chiunque altro...

Ma non bastò.

Rukia non smise di correre, il braccio teso verso lui che si allontanava, lo chiamò, lo chiamò più volte, e riuscì solo a chiudere gli occhi quando, voltatosi -le iridi dorate che scintillavano innaturalmente-, Ichigo fece per piantarle la spada dritta in petto.

«Ichi...go...», sussurrò, le minuscole dita che ancora lo cercavano, un attimo prima che il buio calasse sui suoi occhi.

 

*

Correvo.

Correvo; non sapevo verso dove, non sapevo perché, ma correvo.

Non volevo fermarmi. Non potevo fermarmi.

Correvo, anche se le gambe dolevano, l’aria scivolava via dai polmoni e la vista si appannava piano, correvo incapace di fermarmi, senza mai raggiungere la meta.

Ma cos’è che volevo raggiungere?

Non ne avevo idea.

D’un tratto, tra sensazioni offuscate e ricordi che sfumavano lentamente, vidi qualcosa.

Uno sprazzo di luce, una voce lontana. Una voce che chiamava il mio nome.

Rukia. Rukia. Rukia.

Era una bella voce. Una voce chiara, forte, forse un po’ rude, ma gentile. Mi pareva di averla già sentita in un’altra vita.

Ma c’era stata un’altra vita?

Desiderai udire ancora la voce. Quando l’ascoltavo, realizzai, tutto mi era improvvisamente chiaro. Anche la morte.

Perché, n’ero certa, dovevo essere morta.

Il buio, il silenzio, l’eternità... morte. Spegnimento del corpo.

E l’anima? L’anima, dove sarebbe finita?

Le nostre anime sono i nostri corpi. Quando moriamo ...

Non riuscii a ricordare come continuasse.

Kaien-dono.

Pensai a lui, mi pentii di non aver rispettato la promessa fattagli tanti anni prima, in quel prato verde sferzato dal vento. Ero morta da sola.

Oppure no?

Non riuscivo a ricordare.

Desiderai ancora udire la voce, più ardentemente di prima. Provai a chiamarla, ma non fui capace di trovare le labbra nel groviglio complicato di pensieri e sensazioni che partivano dal mio cervello.

E poi, quando stavo per desistere e ripiombare nuovamente nell’incoscienza, invogliata dal buio sonnolento che mi circondava, fu lei a tornare da me. L’ascoltai chiamare il mio nome più volte, prima angosciata, poi gioiosa, triste, arrabbiata, ed ancora gentile, ed infine dolce.

Dio, pensai, è la voce più bella che abbia mai sentito. E fui certa, forse più di prima, di averla già udita prima.

Tante, tantissime volte.

Ogni giorno, ogni notte. La mattina appena sveglia. La sera prima di dormire.

Ne fui certa, e mi sforzai con tutta me stessa di ricordare; ed in quell’istante, con mia sorpresa, la voce prese ad avere un volto.

Vidi i lineamenti decisi e spigolosi sbocciare davanti a me e prendere gradualmente forma, vidi due profondi occhi ambrati aprirsi ed intervallare con la loro luce il buio che mi avvolgeva, vidi una massa incolta di capelli arancioni germogliare al di sopra degli occhi e conferire allo sguardo la sua luce tipica.

E vidi un paio di sopracciglia perennemente aggrottate.

Ichigo.

Allora ricordai tutto. Ricordai di chi fosse la voce. Ricordai di essere a Las Noches, nell’Hueco Mundo, ricordai Ichigo che non era Ichigo e mi guardava con occhi dorati e freddi che non gli appartenevano, ricordai perché stessi correndo.

Ed avvertii distintamente ogni cellula del mio corpo urlare il suo nome mentre, le dita tese verso di lui e gli occhi che prudevano tremendamente, lo vidi allontanarsi ancora una volta e farsi sempre più lontano fino a scomparire, e di nuovo non fui capace di raggiungerlo.

A quel punto, aprii gli occhi, e tutto mi fu chiaro.

Ero viva.

Ero viva, distesa in letto dalle lenzuola bianche circondato da quattro mura sporche e scrostate dello stesso colore, decorate con lo stemma della Quarta Compagnia; ero viva ed Ichigo non c’era, e d’improvviso realizzai cosa fosse successo.

Allora, vidi le mie stesse dita tendersi e cercare qualcosa, nella penombra davanti a me, le vidi allungarsi ed accarezzare il vuoto e poi, infine, chiudersi e stringere nient’altro che aria.

 

 

 

 

 

 

*

~ Fine primo capitolo.

   
 
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