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Autore: cityhunter147    04/01/2016    1 recensioni
Felicità, amore, dolore e morte, sentimenti contrastanti che prendono il sopravvento in Hitomi, una ragazza che si troverà coinvolta e trascinata nella vita di Jun e in quella di Hikaru e Yoshiko.
Tutti i fatti raccontati accadono durante il periodo del Road to 2002 e qualche punto della vera storia può modificarsi.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Il passato ... alcuni lo ricordano come una serie di eventi felici da custodire per sempre, invece altri preferiscono dimenticarlo, soprattutto per i diversi tristi ricordi che avrebbero potuto riaprire vecchie cicatrici e sanguinare, e per bloccare l'emorragia non sarebbe stato una cosa affatto facile, il dolore interiore è un male che a volte può essere peggiore di quello fisico.
Chissà se comportandosi in un'altro modo, quegli eventi passati potevano essere riparati in ricordi intrisi di speranza per un nuovo futuro più prospero e felice. Più ci pensava Hitomi, più le sue riflessioni prendevano il sopravvento nella sua mente, mentre il suo sguardo ammirava il panorama della città di Tokyo dalla finestra della villa dei Misugi.
Il colore rosso fuoco dell'alba illuminava il cielo, riportando di nuovo la luce e vita portata via dalle tenebre della notte.

Hitomi, non aveva mai conosciuto i suoi veri genitori, venne cresciuta da sua zia, o meglio lei la soprannominava così anche se non aveva legami di sangue, ma l'aveva tirata su come una figlia, e le fece prendere il diploma in uno delle scuole più prestigiose della città.
Però c'era un piccolo dettaglio che la ragazza non si spiegava e che le dava parecchio fastidio, ogni volta che le chiedeva dei suoi genitori naturali, sua zia cambiava argomento oppure la zittiva.

Il vero nome della sua tutrice era Emi, una donna dalla corporatura normale, aveva lunghi capelli castani raccolti in un simpatico chignon e gli occhi color nocciola chiaro.
Anche lei considerando il gran numero di corteggiatori che ebbe in passato, non aveva avuto una vita semplice. Si sposò all'età di diciotto anni a causa di una gravidanza inaspettata, che in seguito si trasformò in un terribile aborto spontaneo, portandola in un breve periodo di depressione, però anche se aveva perso il bambino, continuò ad essere innamorata del marito, e questo fattore la aiutò molto ad uscire dalla terribile ed enorme voragine che si era costruito nel suo petto e che la divorava ogni giorno. Ma, i guai non erano finiti, infatti qualche anno più tardi suo marito si presentò a casa seguito dall'avvocato, insieme alla carta del divorzio, dichiarando di non voler più vivere con la moglie in quella casa e che il suo amore era passato ad un'altra ragazza molto più giovane.
La povera donna sentì di sprofondare in un terribile baratro buio e freddo, avvertiva il sangue delle vene congelare in un istante quando scoprì la segreta relazione del suo consorte. Dopo la sentenza del divorzio, il marito lasciò la casa abbandonandola e non si fece più sentire.

Da allora Emi decise di abitare da sola, evitando e rifiutando tutte le attenzioni che mostravano i suoi coetanei nei suoi confronti, anche se però questa scelta le costò molta solitudine, anche se aveva l'appoggio delle sue amiche che l'aiutavano a risollevarsi un po', sentiva la casa vuota, spenta, non era questo il futuro che si era immaginata.
Ma la vera medicina arrivò con la venuta della piccola Hitomi, lei riportò quella luce e vita che era andata via da quella casa, ora Emi non si sentiva più sola, aveva qualcuno da accudire, qualcuno che le faceva compagnia e questi pensieri gli scorsero come nuova linfa vitale, si sentì rivivere in un istante e in poco tempo si affezionò alla bambina. E senza pensarci due volte l'adottò e non se ne pentì neanche per un momento della decisione che aveva preso, e come sua nuova madre non le fece mancare nulla, le diede tutto che le richiedeva e quello che poteva, soprattutto sull'educazione ed istruzione.

- Zia... posso vedere la televisione, ora che ho finito i compiti? - chiese la piccola Hitomi.
- Zia?! Mi puoi chiamare mamma!... piccola -
- Io preferisco zia... - ribatté la bambina con un piccolo broncio.
- Ok, peste... hai vinto tu - disse Emi ridendo fra i baffi - Vada per zia, comunque la televisione ora la puoi vedere -
- SII! -

La vita di Hitomi trascorse felice e spensierata, ricca di amicizie, un po' di disperazione nella fase delle verifiche scolastiche, ma una comune vita da studentessa, amante della musica, infatti aveva imparato a suonare il pianoforte e la chitarra, di difetti che poteva avere era che portava poca pazienza, e a volte era molto impulsiva.
Tutto cominciò a stravolgersi proprio il giorno dopo aver passato gli esami per il diploma, Hitomi era ormai una diciottenne, si recò a scuola per vedere i risultati. Sentiva il cuore martellare per l'agitazione, voleva vedere subito il voto, così si sarebbe subito tranquillizzata, l'attesa era parecchio snervante. I suoi occhi scorrevano velocemente come furie scatenate sulla didascalia dei risultati finali. Ed infine arrivò al suo nome e muovendo lo sguardo lungo la riga dei punteggi, cominciò a non crederci, aveva preso uno dei voti più alti, credeva di aver preso il minimo, invece gli esami gli erano andati splendidamente, si sentiva entusiasta e soddisfatta del voto.

Quando ritornò a casa, per comunicare l'esito a sua zia, Hitomi ritrovò un assurdo silenzio regnare nell'abitazione. Salì al piano di sopra e si affacciò all'uscio della camera della madre e notò che la donna, dormiva profondamente.
E pensò fra sé che gli straordinari che aveva fatto sua zia agli uffici, la avevano sicuramente spossata molto. Come lavoro la madre faceva l'avvocato penalista e di diritto familiare, un impiego che portava l'andamento della loro vita in maniera molto agiata.
La ragazza, senza dar fastidio alla donna, scese silenziosamente al piano di sotto e andò in cucina.
All'improvviso notò una carta accartocciata dentro al cestino vuoto. Dalle pieghe del foglio vide il marchio dell'ospedale di Tokyo, presa dalla curiosità afferrò il pezzo di carta e lo sfilò. La lettera era indirizzata alla sua tutrice e cominciò a leggere.

" ... il cancro alla testa si è sviluppato e come medico capo - reparto, le informiamo con profondo rammarico che si è esteso in maniera molto vasta e profonda, di conseguenza non è curabile, le restano pochi mesi di vita, ci dispiace..."

Da lì il vuoto, le vene della ragazza si congelarono in un istante, sentì le gambe tremare come colonne poco stabili e che avrebbero potuto far crollare l'edificio in un momento all'altro, e se le avessero vacillato ancora di più gli arti, avrebbe potuto perdere l'equilibrio, l'unica cosa che avvertiva era il suo battito cardiaco che accelerava all'impazzata, fino a sentirlo come se potesse scoppiare, l'agitazione prese il sopravvento e la torturava fino a divorarle gli organi. Ora come si sarebbe comportata con la sua tutrice, che cosa avrebbe fatto in futuro, dopo che la persona a cui voleva più bene sarebbe morta, lasciandola da sola. Non riusciva neanche a pensare alla parola "morte" che le sembrava di delirare. L'unica cosa che le veniva in mente era trovare almeno un lavoro e cercare di mantenersi da sola. Inaspettatamente cominciò a sentire dei passi provenire dal piano di sopra e cominciarono a scendere. Hitomi presa alla sprovvista, fece un balzo dallo spavento, accartocciò di nuovo la lettera in fretta e furia e la rigettò nel cestino e per poter mascherare le proprie emozioni e distrarsi da ciò, cominciò a riempire la lavastoviglie, svuotando il lavandino dalle stoviglie sporche.
- Non ti ho sentita entrare - disse Emi all'entrata della cucina.
- Quando sono entrata eri sopra a riposare- rispose la ragazza mentre smistava i piatti sporchi.
- Non preoccuparti per i piatti, ci penso io, Hitomi-
- Non fa niente, ora non ho niente da fare -
- A proposito, come sono andati gli esami? - chiese entusiasta Emi.
- Sono andati bene, ho preso quasi il massimo -
- Allora non sono andati bene, sono andati in maniera egregia - disse la madre sorridendo.
- Si. infatti - rispose Hitomi in maniera seccata.
- Che cosa hai Hitomi? Dovresti essere contenta e invece parli come se la faccenda non ti riguardasse -
- No, sono contenta e che non ho dormito tanto -
- Ti senti male? -
- Sono solo un po' spossata, tutto qui -

La figlia desiderava ardentemente parlarle della lettera, ma non riusciva a cacciare l'argomento, si sentiva bloccata soprattutto alla gola, come se due mani invisibili dall'oscurità la stessero strangolando e non lasciava la presa, avvertiva una terribile paura nell'affrontare la situazione, e poi cosa le avrebbe detto ... che aveva un male incurabile, sarebbe stato come rigirare il coltello nella piaga, non riusciva più a parlare come se non fosse più in grado di farlo, come se fosse malata di un qualche morbo misterioso.
Avvertiva che il tempo che aveva con sua madre stava per finire, e questo non riusciva ad accertarlo, perché stava succedendo tutto questo, e proprio a loro, non bastava le brutte esperienze del passato e ora pure questo.
All'improvviso una terribile voragine si aprì all'interno del suo petto e il cuore sembrava lacerarsi e l'agonia aumentava sempre di più, i suoi occhi cominciarono a diventare lucidi e per cercare di non farsi vedere abbassò la testa, e poi perché sua madre ha preferito non parlarle del suo problema, perché si era tenuta tutto dentro.
- C'è qualcosa, che non va?- le chiese Emi preoccupata.
- No, niente - rispose la ragazza con voce spenta, cercando di nascondere il viso rigato dalle lacrime.
In un istante piombò un terribile silenzio fra le due donne che poteva uccidere più di mille parole.

- Scusami, devo uscire, ho paio di commissioni da fare - disse all'improvviso Hitomi rompendo quel fastidioso silenzio, sgattaiolò verso l'ingresso di casa e uscì.

Dopo aver chiuso dietro di sé la porta, la ragazza cominciò a correre senza pensare a un luogo preciso, aveva bisogno di sfogarsi in qualche modo tutto il male che sentiva nel profondo, le sembrava di non essere nella realtà, tutto era così assurdo, avvertiva di essere sull'orlo di impazzire, voleva andare da qualsiasi parte basta che era lontano dal quel cupo futuro che le si prosperava davanti a lei, lontano da quella casa che stava per diventare vuota come lo stava per diventare anche lei, quando la sua adorata madre non ci sarebbe stata più.
Senza rendersi conto si ritrovò in un piccolo parco, ormai un po' con il fiatone per la corsa, un po' stanca, si sistemò su una delle panchine, che erano posizionate sotto a una serie di pini molto alti.
Seduta all'ombra delle piante sentì un po' di fresco dal caldo che provava dopo la marcia. Però il moto non l'aveva aiutata a scaricare il dolore, il nodo che sentiva nella gola c'era ancora ed era molto forte e profondo, gli occhi ritornarono a diventare lucidi.

Hitomi per tentare di resistere alla morsa del nodo iniziò a mordersi il labbro con forza fino a farlo sanguinare e tenne stretta la presa dei denti cominciandoli a stringerli sempre di più fino a dargli la sensazione che stessero per spaccarsi.

Alla fine cedette alla presa e le sue lacrime solcarono di nuovo le sue calde guance in maniera funesta. Il suo pianto era molto silenzioso e quasi invisibile per cercare di non farsi notare dai passanti e attirare l'attenzione, voleva restare da sola.
Continuò a piangere almeno per una mezz'ora e cercò di tirarsi su, in maniera di affrontare il problema. Ora l'unica cosa che poteva fare era stare vicino a sua madre e trovare un lavoro, per cercare qualcosa che la distraesse e che poteva fruttare qualche soldo per il suo futuro.

Dopo un'ora si alzò dalla panchina, un po' rassegnata e un po' determinata, poteva sperare solo in un miracolo, ma erano talmente rari eventi di quel calibro che non credeva che potesse succedere a sua madre.


Cominciò a passeggiare fra le vie della città con lo sguardo abbassato, quando si trovò di fronte a un ristorante discreto, curato bene, allestito e decorato in modo rustico. Notò un piccolo cartellino giallo affisso sulla vetrina:

" Cercasi cantante - chitarrista per le serate di intrattenimento"

Hitomi fissò per qualche minuto il cartellino con lo sguardo vacuo, pensando che quello era il lavoro che faceva per lei e senza pensarci due volte entrò nel locale per parlare con il titolare.
Fece una piccola dimostrazione ed ottenne il posto, e su raccomandazione del proprietario del ristorante, doveva essere lì per le sette e che avrebbe finito verso mezzanotte e le giornate lavorative erano cinque sere alla settimana. La ragazza accettò senza fare storie, contenta di aver avuto l'impiego.
Uscì dal ristorante e ritornò a casa senza pensare che erano quasi le sette di sera.
- Sono tornata - disse appena entrò in casa.
- Ti ha occupata parecchio le commissioni che dovevi fare - disse sarcastica Emi.
- Perché? -
- Perché sei via da quattro ore -
- Ecco ho fatto anche un giro in centro - poi continuò - Zia?! -
- Si -
- Ecco ho trovato un lavoro - disse Hitomi.
- Ma è fantastico, piccola! - esclamò la donna - E dove? -
- In un ristorante, faccio l'intrattenitrice serale suonando la chitarra e cantando -
- Intendi in quei locali notturni ?! - disse la madre infastidita.
- No, quelli! E' un ristorante dove si mangia normalmente -
- Ah capito! Avevo inteso qualcos'altro -
- Ma che dici zia, io non sono quel genere di ragazza -
- Ok!... e a che ora stacchi al giorno? -
- Comincio alle sette di sera e finisco a mezzanotte -
- Be', è un po' tardi, credo che sia meglio che ti venga a prendere quando finisci -
- Ma no, zia, ormai ho diciotto anni, non sono più una bambina e poi non è molto distante da qui... -
- Sei sicura? -
- Si -
- Portati il cellulare e lo spray al peperoncino per le evenienze -
- Si, tranquilla non mi succederà niente -

Così Hitomi, la sera dopo cominciò il suo nuovo lavoro. Andava tutto liscio e il pubblico del ristorante apprezzava molto la sua musica e continuò così per tutto il mese, cosicché che convinse il datore di lavoro ad aumentarle la paga. Però l'andamento a casa non andava bene come a lavoro, infatti la madre cominciava a sentirsi male più volte e aveva terribili emicranie e cefalee che le causava continui stati di nausea e vomito, solo la morfina e le punture la facevano stare meglio, la figlia percepiva anche il profondo cambiamento fisico che stava subendo Emi, stava appassendo pian piano davanti ai suoi occhi e lei non poteva far niente, si sentiva impotente di fronte a un male così potente, il viso della madre presentava profonde occhiaie e la pelle si era avvizzita, le guance erano leggermente scavate lasciando gli zigomi più sporgenti e nel suo sguardo traspariva il dolore che provava. Il medico di famiglia passava tutti i giorni per avere degli accertamenti sul suo stato. Alla fine decise di attaccarle la flebo come nutrimento, la povera donna ormai, aveva perso l'appetito e stava dimagrendo sempre di più e la malattia la aveva costretta a passare i suoi giorni a letto.

Hitomi le stava sempre vicino, in modo da darle una mano quando ce ne era bisogno, si sentiva sempre più di essere precipitata in un film o in mondo parallelo e che tutto questo, non stesse accadendo veramente, non sapeva più che cosa dire o fare, tutto quello che voleva e che sua madre non se ne andasse.

Una sera, però, sua zia aprì gli occhi e cominciò a guardarla attentamente come se voleva comunicarle molte cose e non sapeva da dove cominciare.

- Mi dispiace che tu debba assistere a tutto questo - disse, infine Emi alla ragazza con lo sguardo amareggiato.
- Ma che dici... fra qualche giorno ti sentirai meglio e scenderai da questo letto vedrai -
- Non credo, piccola -
- Non parlare così, non devi scoraggiarti, andrà tutto bene, cosa farò se tu non ci sarai più -
- Perdonami se non ti ho mai parlato dei tuoi veri genitori, ne avevi tutto il diritto di sapere... lo sai io ho sempre avuto paura che se ti avrei detto chi sono i tuoi veri genitori, tu avresti deciso di andartene da questa casa lasciandomi da sola -
- Però in questo modo, stai lasciando anche me da sola - disse Hitomi con voce turbata, cercando di non piangere.
- Tu sei stata come un dono per me, ti ho amato come una figlia, tu mi hai aiutato a rivivere, facendomi uscire da un periodo buio. Arrivasti una sera di marzo, quella volta sentì piangere fuori dalla porta d'ingresso e li davanti ti trovai, non sapevo chi ti aveva lasciato proprio a casa mia, non c'era nessuna lettera o avviso, quindi decisi di scoprire chi erano i tuoi veri genitori... apri il cassetto del comodino -
Hitomi senza pensarci due volte si diresse verso il comodino che era a fianco al letto e aprì il cassetto, dentro ci trovò un piccolo diario rosso di pelle.
- Prendilo... è tuo ora - disse Emi con tono spezzato e continuò - dentro ci sono scritti i nomi dei tuoi veri genitori e la loro storia -
- Per me la mia vera mamma sei tu, zia, non ho bisogno di trovare un'altra famiglia, io ce l'ho già una famiglia, una madre che mi abbia accolto, cresciuta e che mi abbia amato veramente - rispose Hitomi stringendogli la mano, aveva lo sguardo abbassato e gli occhi leggermente bagnati.
- Vorrei... che fosse così almeno per un'altro po'... - continuò la ragazza con voce soffocata.

In un istante, Hitomi avvertì che le mani della madre stavano diventando fredde e sentiva che non parlava più.
- Zia... zia ... - disse cercando di chiamarla, ma non rispondeva.

Gli occhi di Emi erano chiusi come se fosse addormentata, la figlia con lo sguardo spaventato cominciò a scuotere la mano della madre con più forza.
- Zia... zia... zia -
- Zia ... zia... non lasciarmi da sola, ti prego... mamma ... - disse la ragazza con sibilo di voce, singhiozzando.

In un istante il suo volto si rigò di lacrime e il suo pianto cominciò a riecheggiare nella stanza come un mare in tempesta portando alla luce tutto il dolore che aveva nascosto dentro per tanti mesi. Si era avverato quello che più temeva e ora non sapeva che cosa sarebbe successo che cosa si sarebbe prosperato di fronte.


Un paio di giorni dopo il funerale, a casa ritornarono i fratelli di Emi, che Hitomi aveva conosciuto proprio il giorno del funerale. Essi, insieme all'avvocato revocarono il diritto di proprietà della casa, notando che in passato quell'alloggio, apparteneva al loro padre cercando di cacciare Hitomi dall'abitazione escludendola dall'eredità.
La ragazza si sentiva già parecchio scossa per gli eventi precedenti , quello fu la goccia che fece traboccare il vaso e cercò di difendersi.
- Avete una bella faccia tosta a presentarvi adesso, senza avervi fatto mai conoscere prima e manco avete aiutato o siete stati vicini a mia madre nell'ora del bisogno e ora volete cacciarmi dalla casa dove sono cresciuta per accaparrarvi una proprietà, come se non avete già tante di case in vostro possesso - disse sbottando Hitomi.
- Anche se sei cresciuta qui, non possiedi il diritto di possedere questa casa - rispose uno di loro
- Certo che ce l'ho il diritto, sono stata adottata, quindi appartengo alla famiglia -
- No, non possiedi questo privilegio - ribadì la stessa persona.
- Ma che gente siete, mi buttate in strada così -
- Sono problemi tuoi -
- ANDATE FUORI !! - disse urlando Hitomi, sbalordita e infuriata allo stesso tempo.
- Come preferisci ci penserà il giudice a decidere alla fine -
- Uscite da questa casa, fuori! - disse esclamando la ragazza.
In poco tempo, tutti i parenti uscirono dalla casa insieme all'avvocato, sul loro volto sereno si manifestava la loro futura vittoria assicurata sulla casa.

Senza Emi, ora, era Hitomi a sentire la casa vuota e fredda, come se una parte di essa fosse morta e sepolta con lei.
E senza pensarci due volte la ragazza salì al piano di sopra e andò nella camera di sua madre, il letto era bello aggiustato con le lenzuola bianche candide, i muri erano di un colore indaco chiaro che rendevano la stanza più raffinata, i mobili erano molto moderni e l'armadio di legno presentava una laccatura bianca ed aveva due ante con lo specchio incorporato.
Hitomi cominciò a sentire un piccolo brivido dietro la schiena appena entrò nella stanza, avvertiva una profonda malinconia nel cuore e nostalgia per i vecchi periodi, le mancava soprattutto sua madre, sentiva di aver perso il suo punto di riferimento e ora percepiva di essere allo sbaraglio, non sapeva più se stava facendo le cose in maniera giusta oppure doveva fare di più.
Spostò in un momento, il suo sguardo sul comò, dove c'era appoggiato il diario che aveva ricevuto da Emi, in cui c'era scritto i nomi dei suoi veri genitori. Dal giorno in cui lo ricevette non ebbe il coraggio di aprirlo e con gli ultimi eventi preferì evitarlo. Si sedette sul letto con la testa abbassata e le mani a sua volta gliela reggevano, pensando sul da farsi, ma in quel momento aveva la testa vuota, come se fosse andata in stand-by per qualche minuto.
Dopo un po' rialzo gli occhi e si focalizzò nuovamente sul diario. Non sapeva se aprirlo o lasciarlo andare.
Alla fine decise di non fare niente, perché anche se avesse conosciuto i suoi veri genitori, la avevano abbandonata in passato non credeva che adesso loro avrebbero tenuto molto a lei, specialmente ora che si sarebbe presentata a casa loro.

Cominciò a fissare il piccolo tomo per almeno una mezz'ora, l'atmosfera che si era creata in quella casa la faceva star male e pensò che per qualche tempo era meglio trovare un posto altrove, almeno fino a quando non si fossero calmate le acque e non si fosse risolto il problema dell'eredità, almeno sperava che fosse ritornata lì fra qualche tempo, non se la sentiva a lasciarsela completamente alle spalle quell'abitazione dove era cresciuta, in cui aveva condiviso tanti ricordi, soprattutto con sua madre, il volto di Emi, sorridente, brillava più potente nei ricordi della figlia.

- Mamma ... - la voce della ragazza era molto bassa e nascondeva un velo di tristezza.

Le lacrime ricominciarono a scendere come granelli di pioggia, il dolore avanzava come un'ombra inarrestabile e non riusciva a combatterla, quindi tentò di lasciarsi andare a quell'oscurità per qualche minuto, ma non era il momento di star a compiangersi, doveva andare avanti, ora aveva un impiego che la aiutava a mantenersi, quindi riusciva a cavarsela sul piano economico.
Quindi si alzò dal letto e scese giù in cucina, prese il giornale vecchio del giorno prima che era sopra al tavolo e cominciò a dare un'occhiata agli annunci sugli affitti. Alla fine il suo sguardo si concentrò su un articolo in particolare.

" Affittassi camera per ragazzo/a oppure studente presso la villa in via A.Takahashi, n. 18 ..."

Il prezzo dell'affitto era molto conveniente, quindi pensò di farci un salto per andare a vedere.
Infatti, un quarto d'ora più tardi era sul tram che l'avrebbe portata a destinazione e dalla fermata del mezzo trovare la via fu facile.
Arrivata alla casa, Hitomi fu piena di stupore e sorpresa, la villa era molto vasta, la facciata della casa era molto moderna, il giardino, vasto e curato, aveva le siepi di bassa altezza e la stradina, che collegava il cancello principale con la porta d'ingresso, era circondata da molte aiuole.
La ragazza si avvicinò al campanello e sopra di esso era situato un piccola targhetta scolpita di gesso bianco:

"Villa Misugi".

Pensava che doveva essere una famiglia o una persona molto ricca, per permettersi una casa simile, e in più si chiedeva come era possibile che persone così adagiate avevano bisogno di dare in affitto le stanze della casa.
E con queste riflessioni, cominciò a premere il campanello, fantasticando su chi abitava in quella casa.
Non aspettò tanto, quando una voce di donna le rispose:
- Chi è? -
- Salve, sono qui per l'annuncio sull'affitto -
- Arrivo subito -

Il cancello si spalancò e al suo seguito, la ragazza entrò nel giardino e si diresse verso l'ingresso della villa. La persona, che le aveva risposto al citofono, le aprì la porta. La donna possedeva una quarantina di anni, aveva i capelli castani raccolti in un simpatico chignon e gli occhi scuri, dall'aspetto gli ricordava molto la madre, e tentò di non dar troppo peso a quell'assurda considerazione.

- Piacere, io mi chiamo Hitomi - gli disse la ragazza.
- Salve, io sono la signora Misugi - disse la donna, poi si spostò da un lato per farle cenno ad entrare - Accomodati ... Bets?! -
- Si, signora ! - rispose la cameriera mentre stava arrivando dalla cucina.
- Prepara del tè -
- Subito signora -
- Puoi sederti - disse la signora Misugi a Hitomi indicandole con la mano il divano.
- Si, grazie - rispose la ragazza, abbassando la testa, un po' imbarazzata per la situazione e si accomodò sul divano di pelle bianco.
- Hitomi, sei una studentessa oppure lavori? - chiese la donna sedendosi a sua volta sulla poltrona che si trovava di fronte alla ragazza.
- No, lavoro, anche se vorrei continuare gli studi, ma per il momento credo di rimandare, sono già troppo impegnata ultimamente -
- Perché? Una ragazza così giovane avere già così tanti impegni -
- Ecco, ho perso mia madre qualche giorno fa, quindi ora, ho pensato di cambiar casa per il momento, per cercare di far calmare le acque, ci sono anche dei problemi anche a riguardo sull'eredità della casa -
- Perché? - chiese sorpresa la signora.
- Siccome sono stata adottata quando ero una neonata, e la casa era di proprietà del padre della mia madre adottiva, ora i miei zii vorrebbero prendersi la casa cercando di cacciarmi via - disse, infine, Hitomi cercando di non dar troppo peso alle parole e ai fatti che aveva appena raccontato, altrimenti la ferita che sentiva nel petto avrebbe ricominciato a sanguinare di nuovo.
- Tuo padre? -
- Non ce l'ho, o meglio ce lo avrei, però aveva divorziato con mia madre molti anni prima che venissi adottata -
La signora Misugi cominciò a guardarla con lo sguardo carico di rammarico e di dispiacere.
- Mi dispiace per il tuo fatto, deve essere dura per te - disse infine.
- Non è affatto facile parlarle di queste cose, ma purtroppo sono fatti che succedono e bisogna affrontarli - rispose Hitomi.
- Ti capisco, anche noi non abbiamo avuto un passato di rosa e fiori -
- Perché? - chiese sorpresa la ragazza.
- Vieni ti presento la mia famiglia... be ora non ci sono in carne ed ossa, quindi le faccio vedere la foto di famiglia - disse la padrona della casa, mezzo ridendo.
Anche Hitomi si lasciò scappare un piccolo sorriso per l'affermazione della donna.
La signora si alzò e andò verso il mobile e sopra di esso, prese una delle foto di famiglia e si risedette a fianco alla ragazza. Nell'immagine c'erano raffigurati lei e il marito. Lui aveva i capelli grigi, il naso un po' ad adunco, gli occhi scuri e sul volto era celato un piccolo sorriso. E davanti a loro c'era un ragazzino dall'aria seria, aveva i capelli castani chiari, gli occhi scuri, indossava la divisa da calcio della Musashi FC, una scuola che conosceva benissimo Hitomi perché la aveva sentiva nominare parecchie volte, e sotto il piede destro del giovane c'era un pallone da calcio.

- Lui è mio marito Ichigo - disse la signora Misugi indicando l'uomo della foto e poi passò al ragazzino.
- E lui è mio figlio, Jun -
- Faceva il calciatore? -
- Lo fa ancora adesso, ha vinto il World Youth insieme alla Nippon Youth -
- Davvero... quindi è proprio quel Jun Misugi della Nazionale - chiese sorpresa la ragazza
- Si ! -
- Ma quando è piccolo il mondo, non pensavo che questa era casa sua -

A Hitomi non le importava nulla del calcio, però seppe la vincita del Giappone ai mondiali giovanili di calcio tramite la televisione, riviste e pubblicità. L'evento diventò talmente famoso che se ne parlava da tutte le parti, soprattutto di tutti gli elementi della nazionale, tutti commentavano su chi erano i calciatori più forti, il primo era sicuramente Tsubasa Ozora, poi Kojiro Hyuga, Taro Misaki, Shingo Aoi, inoltre spiccava la figura di Jun Misugi insieme a quello di Matsuyama fra il pubblico.

- Ora non vive più qui, studia medicina all'università, quindi adesso abita per conto suo... a quei tempi non avevamo passato un bel periodo, mio figlio era nato con una deformazione cardiaca, che gli poteva causare la morte per i troppi sforzi, ma lui aveva una grande passione per il calcio e non voleva stare lì fermo solo a guardarlo, desiderava giocare ed era un fuoriclasse, ma questo entusiasmo poteva essergli fatale e noi non riuscivamo a fermarlo per quanto ci provassimo a persuaderlo, ricordo il campionato nazionale la sfida della Musashi contro la Nankatsu, fu una vera agonia, sia per noi che non potevamo fare niente e sia per lui che stava male ed ebbe un attacco in campo anche se era leggero, ma Jun aveva un grande coraggio e determinazione e una gran voglia di vivere, ha combattuto fino alla fine e ha sconfitto definitivamente la malattia, ora sta bene - disse la signora Misugi.

Hitomi, per tutto il tempo, era rimasta in silenzio ad ascoltare e pensava che se fosse stata al posto di Jun avrebbe rinunciato al calcio se le fosse costata la vita.
Per lei la vita era un dono prezioso che si poteva avere una volta sola, e quindi credeva che se la sarebbe tenuta stretta a sé, fino a quando poteva farlo.
- Poi, mio figlio se ne andato e mio marito, in questo periodo, lavora all'estero e per non restare da sola ho scelto di affittare un paio camere, poi i soldi ultimamente sono andati a diminuire, quindi pure per questo ho fatto questa scelta - disse la donna - Quanti anni hai Hitomi? -
- Diciotto -
- Sei più piccola di Jun, di un anno, le faccio vedere la casa ?-
- Ok, grazie -



Da lì era passato un anno da quando Hitomi accettò l'affitto e si trasferì nella casa dei Misugi.
La ragazza distaccò lo sguardo dal panorama che stava ammirando da almeno un'ora, ripensando al suo passato.
Rientrò dentro e si diede un'occhiata allo specchio per vedere che aspetto aveva adesso che si era alzata. Il riflesso raffigurava una ragazza dagli occhi castani e i capelli lunghi, lisci sul color biondo spento, anche se a scuola era socievole, a casa preferiva stare per i fatti suoi, a volte stare sempre in mezzo alla gente non la faceva sempre sentire a proprio agio, quindi in alcuni momenti preferiva star da sola, si diede un'aggiustata e scese al piano di sotto.
   
 
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