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Autore: Hikari_F    06/01/2016    1 recensioni
Sono ormai tre anni che Kotaru ha accantonato la speranza di trovare qualcuno che gli stia accanto senza prendersi gioco di lui o picchiarlo, pagando cara la scelta infelice di essersi dichiarato gay pubblicamente il primo anno di liceo. Sembra impossibile che, un giorno, qualcuno possa guardare oltre il pregiudizio ed imparare ad amare il piccolo ed imbranato ragazzino per ciò che è davvero. Eppure un giorno, quasi come fosse un disegno divino, Kotaru si ritrova a fare la conoscenza di Ryota, suo affascinante e taciturno senpai. E se il filo rosso del destino volesse condurlo proprio da lui?
Un racconto introspettivo, a tratti malinconico, scritto in prima persona dallo stesso Kotaru.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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-Ehi, ma che accidenti state facendo?!-
Una voce risuona nel vialetto deserto, giungendomi ovattata alle orecchie, coperte di sangue come il resto del mio corpo. Non ho idea di quanti siano a pestarmi...la mia unica certezza è che ne ho prese così tante e così forti da non riuscire quasi più a percepire il dolore.
-Stronzi, ho già chiamato la polizia!- Sbraita la voce di pochi secondi prima -Sarà qui a momenti.-

-Chiudi il becco, coglione.- Replica qualcuno degli aggressori -Altrimenti veniamo lì vicino e facciamo nero anche te.-

-Fate come vi pare, tanto avete i minuti contati prima di finire ammanettati.- Continua a gridare l'altro.
I miei aggressori sembrano non dar peso alle parole del nuovo arrivato fino a quando, stremato, cado pesantemente al suolo col viso premuto contro l'asfalto. Giaccio in una pozza di sangue e non riesco a compiere il minimo movimento...ma posso ancora a sentire, con la stessa intensità di un ronzio lontano, quello che accade nei dintorni.
-Merda.- Sibila il tale che mi pedinava -MERDA, LO ABBIAMO UCCISO.-
-Finirete in galera, figli di puttana!- Ribadisce il mio presunto giustiziere -Sentite le sirene? Sono dietro l'angolo.-
-Andiamocene da qui, cazzo!- Ordina l'altro -Correte, idioti!- Grida; sento i passi di tutta la banda scomparire man mano che scappano, imprecando e bestemmiando. Il suono delle sirene della polizia continua ad echeggiare per poi scomparire dopo una manciata di minuti.
-Meno male che è bastato un file audio a prenderli per il culo.- Sospira la persona giunta in mio soccorso -Oltre che violenti, sono anche stupidi.- Si avvicina a me, o quel che ne resta, e mi solleva di peso poggiandomi sulle sue spalle larghe. Non riesco nemmeno ad aprire gli occhi o a formulare una frase di ringraziamento; sono praticamente inerte.
-Ma tu sei...- conosco la sua voce, ma solo adesso che la sento vicina sono riuscito a riconoscerla -Ryota...come hai fatto a cacciarti in un guaio del genere?- Sospira e continua a camminare, affaticato dal peso del mio corpo -L'ospedale è qui vicino. Ci arriveremo in un attimo, vedrai che starai subito meglio.-
Raccolgo le forze che mi restano per formulare quella che potrebbe essere la mia ultima frase.
-Gra...zie.- Dico -Mi...dispiace per...tutto...Masashi.- Riesco a pronunciare, prima di perdere definitivamente i sensi.

**

La sala d'aspetto è grigia e brulicante di persone, tutte in rispettoso silenzio. Mi sono precipitato qui non appena ho saputo quanto è accaduto a Ryo e sono talmente sconvolto da non riuscire neanche a piangere; non ho ancora avuto modo di vederlo, tutto quello di cui sono a conoscenza è che è in terapia intensiva, a combattere tra la vita e la morte.
-Bevi un sorso d'acqua.- Mormora Masashi; è stato lui a chiamarmi non appena il senpai è stato ricoverato -Sono due ore che stai seduto. Capisco che non vuoi dormire...ma qui la cosa andrà per le lunghe. Cerca di riprenderti, suvvia.-
-Stai zitto.- Sibilo, non voglio sentire la sua voce. Nonostante abbia tratto in salvo Ryota portandolo prontamente in ospedale, resta la testa di cazzo che non ha fatto che creare danni tutto il tempo.
-Non ti chiedo di perdonarmi, io stesso non sono ancora in grado di farlo. Però...per favore, Kotaru. Abbi cura di te, non ti chiedo altro.-
Con uno scatto d'ira afferro il bicchiere che mi porge e bevo tutto d'un fiato. Le mie labbra secche ringraziano, io non intendo fare altrettanto.
-Sono preoccupato e incazzato a morte!- Mormoro, ho un nodo alla gola e sento per la prima volta di essere sul punto di scoppiare in lacrime -Lì dentro c'è la persona che amo e non ho la minima idea delle sue condizioni. Hai idea di come mi senta?!-

-Posso solo immaginarlo.- Replica.

-Dimmi com'è successo.- Chiedo -Raccontami tutto nei dettagli.-

-Avevo appuntamento con degli amici. Ci stavo appunto andando quando ho visto un gruppo di imbecilli che aggredivano qualcuno...anche se le gambe mi tremavano dalla paura sapevo di non poter assolutamente permettere che andassero ancora avanti. A quel punto ho attirato la loro attenzione, inventando che la polizia sarebbe arrivata a momenti e rafforzando la messa in scena facendo partire sul cellulare la registrazione di una sirena. Sono scappati...anche perché credevano di aver picchiato Ryota fino ad ucciderlo. Un branco di codardi...saranno stati almeno in dieci contro una persona sola.-

-Ma perché? Perché fare una cosa del genere? Che io sappia...Ryota non ha nemici.-

-Non ne ho idea.- Risponde, alzando le spalle -Comunque ti saluto qui, Kotaru. Credo che questo sia un addio.-

-Che intendi dire?-

-Parto domani mattina. Ormai mi sono diplomato e non ha senso vivere ancora in questa città...era per questo che avevo organizzato un'uscita con gli amici, stasera.-

-Capisco.-

-Kotaru...ti chiedo un favore. Probabilmente non lo farai, ma te lo chiederò ugualmente. Quando Ryota si risveglierà...e sono sicuro che succederà...quando si risveglierà, ti prego...fammelo sapere. Basta anche soltanto un sms. So che ci sono stati attriti fra di noi, ma era pur sempre un mio compagno di classe. Sapere che sta bene mi permetterebbe di lasciare la città con il cuore più leggero.-

-D'accordo.- Replico, dopo una lunga pausa -Lo farò.-

-Grazie.- Mormora, levandosi in piedi -Aspetto notizie. Grazie davvero...e addio.-

-Addio.- Dico, mentre Masashi si allontana e la sala d'aspetto incomincia a svuotarsi.

-Mi dispiace, ma non puoi restare qui.- Sussurra dolcemente un'infermiera.

-C'è il mio compagno lì dentro!- Singhiozzo, indicando la porta dietro la quale i medici stanno cercando di salvargli la vita -La prego, si metta nei miei panni. Se fosse al mio posto, come potrebbe tornare a casa ed aspettare, come se niente fosse? Io ho il diritto di sapere...la prego.-

-Mi...mi dispiace.- Balbetta -Ma non dipende da me, purtroppo io...-

In quel momento il medico esce dalla sala. Ha il camice sporco di sangue e l'espressione stanca e corrucciata.

-Dottore.- Mormora l'infermiera -Come...-

-La situazione è ancora incognita.- Sospira il medico -Abbiamo medicato le ferite superficiali, ma temiamo danni cerebrali seri, dato che è stato colpito in zone delicate e quando è arrivato qui era svenuto. Al momento è sotto anestesia generale, lo abbiamo portato in una stanza. Dobbiamo sperare che superi la notte e poi vedere come il suo corpo reagirà alle cure.-

-Santo cielo.- Sussurra la sua interlocutrice, sperando che io non senta -Povero ragazzo.-

-E tu?- Chiede il dottore -Che ci fai ancora qui? Non hai visto che è notte fonda?-

-Sono il suo compagno.- Dico, con voce tremante -Non mi mandi via. Ho bisogno di stargli accanto, ho bisogno di vedere come sta.-

-Mh.- Sospira e si siede accanto a me -Ti dico soltanto che non ha una bella cera...forse per te sarebbe meglio non vederlo, ti pare?-

-Non mi importa. Non posso abbandonarlo...capisce?-

-Sì, figliolo, capisco. Ma...- Si porta una mano sulla fronte -Se non dovesse sopravvivere...sarebbe meglio per te non ricordarlo nello stato in cui è adesso.-

Mi si gela il sangue nelle vene. Queste parole mi fanno più male di tutti i pugni che ho preso in vita mia; deglutisco a fatica e guardo il medico con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta nel tentativo di formulare una frase.

-Calmati.- Dice -Adesso non può ricevere visite, ma ti garantisco che non appena potrà sarai il primo ad incontrarlo, ok?-

-Lei ha detto...che potrebbe non sopravvivere...- Dico con un filo di voce.

-C'è anche questa possibilità e dobbiamo prenderne atto. Ma consumarti dal dolore è la cosa più inutile che possa fare, davvero.-

-Anche se non posso vederlo...potrei almeno...restare?-

Sospira e mi poggia la mano sulla spalla in un gesto paterno.

-E sia.- Sospira -Ma per favore, almeno cerca di fare un pisolino.-

-Ci proverò.- Rispondo -Grazie, dottore. Grazie per quello che ha fatto per Ryota.-

-Non ringraziarmi, ho fatto ben poca cosa. Se quel ragazzo non l'avesse portato qui per tempo, probabilmente sarebbe morto per strada e l'avrebbero trovato solo domani mattina.-

Masashi, già. Masashi, un bugiardo e manipolatore. Masashi, colui che considera le persone come oggetti, come conquiste. Masashi, colui che ha portato in salvo Ryota.

 

Riapro gli occhi dopo una dormita breve ed agitata, senza sogni, caratterizzata da continui risvegli. Per tutto il tempo non ho fatto altro che pensare a Ryota, privo di sensi, in condizioni così brutte da non poter nemmeno essere descritte...ma non ho pianto. Credo di non avere più lacrime.

-Ehi, buongiorno.- Mi saluta un'infermiera -Perché non passi a casa a prendere dei vestiti puliti? Anche al tuo compagno servirebbe un pigiama e della biancheria.-

-Come sta?- Chiedo, ignorando immediatamente la sua considerazione.

-Dorme ancora, ma respirazione e polso sono stabili. Dobbiamo aspettare che torni tra noi.-

-Ma...l'effetto dell'anestetico è passato, no?-

-Sì.- Balbetta -Ma la situazione è ancora delicata. Non posso dirti molto, per il momento...mi dispiace.-

-Va bene.- Sospiro -Allora devo portare i suoi effetti personali?-

-Qualcosina. Potrebbe restare ricoverato per un po'...non lo sappiamo ancora.-

-Mh.- Stringo i pugni e lascio l'ospedale colmo d'ansia. Perché non posso ancora vederlo? Ryota...sei sempre stato un guerriero. Certo, erano in tanti ad aggredirti, ma un tempo li avresti messi tutti al tappeto da solo...se non ce l'hai fatta è solo per via dei danni al tuo corpo dopo gli allenamenti intensivi di karate. Se non mi avessi mai incontrato, nessuno sarebbe stato capace di farti del male.

Arrivo a casa con gli occhi gonfi di pianto, ignorando Haku che mi lecca le lacrime nel tentativo di consolarmi; riempio una valigia con le prime cose che trovo e lascio del cibo a disposizione del cane prima di tornare in ospedale, cercando di fare più presto che posso. Non voglio lasciare il mio compagno da solo troppo a lungo.

-Ci sono novità?- Chiedo ansimando al medico che incontro per caso mentre salgo le scale.

-Nessuna, per adesso. Credo però che sia opportuno informare i familiari del ragazzo...ci pensi tu?-

Annuisco e cerco il numero di Tsubaki in rubrica, sfiorando il display con mani tremanti. Uno squillo...due...tre. Alla fine la mia chiamata riceve risposta.

-TSUBAKI!- Esclamo -Ryota è ricoverato in ospedale, ieri sera è stato aggredito da un gruppo di teppisti. Non voglio allarmarti...ma vieni appena puoi, ti prego.-

-Cos'è successo...a mio figlio?- La voce dall'altro capo del filo non è quella di Tsubaki, ma di un uomo che capisco subito essere il padre del senpai.

-S...signore!- Balbetto -Ryota è...-

-Dove si trova l'ospedale?- Chiede, atono. Gli rispondo e, in meno di venti minuti, un uomo alto e brizzolato si presenta in sala d'aspetto.

-Sei tu la persona con cui ho parlato?-

-Sì.- Rispondo, sentendomi subito intimorito dal suo tono e dal portamento autoritario.

-Lui...dov'è?-

-Non può ricevere visite al momento.- Rispondo, parafrasando le parole di medici e infermieri -E Tsubaki?-

-Adesso è a lezione e non ha portato con sé il cellulare. Mi sono permesso di rispondere...vista l'insistenza ho creduto fosse qualcosa di serio. E infatti...-

-Vuole sedersi?- Chiedo con premura -Se non ha impegni, possiamo aspettare insieme per un po'.-

-Chi sei?- Domanda, dopo aver preso posto accanto alla mia sedia -Perché sei qui ad aspettare di ricevere notizie su mio figlio?-

-Perché...suo figlio è il mio compagno.-

-Compagno?- Inarca un sopracciglio e mi squadra da capo a piedi -Compagno di studi? Di corso?-

-In senso sentimentale.- Spiego, non senza timore.

-Ah.- Mi guarda con un'espressione indecifrabile -Da...da molto tempo?-

-Da qualche mese.-

-Tsubaki...lo sapeva?-

-Sì.-

-Mio dio.- Affonda il viso tra le mani -Che pessimo padre sono stato.-

-No, signore.- Balbetto -Non è certo colpa sua se suo figlio si è innamorato di un uomo. Non c'entra niente, è...-

-Non mi riferivo a quello.- Risponde -Anzi, sono felice di saperlo accanto ad una persona devota come te. Solo che...non so nulla della vita di mio figlio. Lavora ancora in quel ristorante?-

-Non più.- Rispondo -Adesso è commesso in una fumetteria ed è riuscito a passare il test d'ammissione all'accademia di fumetto.-

Sorride amaramente e non aggiunge altro. Per un periodo interminabile resta immobile al mio fianco, guardando dritto davanti a sé.

-Io l'ho amata davvero.- Dice improvvisamente.

-Mi scusi, credo di non aver capito.-

-La madre di Ryota, la madre di mio figlio. L'ho amata con tutto me stesso...quello non era un amore finto e aver messo al mondo quel ragazzo non è stato un errore, ma una benedizione. Solo che io...a quel tempo non lo capii. Avevo ancora molto da capire della vita.-

-Non è mai troppo tardi per rimediare, non crede?-

Scuote la testa e mi rivolge uno sguardo malinconico -Forse avrei dovuto pensarci prima che mio figlio finisse in fin di vita.-

Non rispondo e ci ritroviamo nuovamente in silenzio.

-Torno a casa, adesso. Riferirò a Tsubaki quanto è accaduto e...- Tira fuori un pezzo di carta dal taschino, su cui scarabocchia frettolosamente qualcosa -Questo è il mio numero.- Dice infine -So che probabilmente ho perso il diritto di preoccuparmi per lui molti anni fa, ma...per favore...fammi sapere. E un'ultima cosa: ti prego, non dirgli che sono stato qui.-

Dopo queste parole il mio interlocutore si dilegua; resto a lungo a guardare e rigirare il fogliettino che mi ha lasciato, assieme all'amara confessione di cui, probabilmente, resterò per sempre l'unico custode.

 

-Ryo! Ryo!- Esclma Tsubaki, pallida come un lenzuolo, salendo le scale con uno scatto da campionessa olimpionica -Dov'è? Che succede? Kota!- Grida, una volta che si accorge della mia presenza in sala d'attesa -Oh, Kota, papà mi ha detto tutto. Che è successo? Come sta? Ci sono novità?-

-Ascolta...piccina. Non devi aver paura, i medici si stanno prendendo cura di lui.- Dico, cercando di tirare fuori l'espressione più rassicurante che è in repertorio. Non c'è il tempo di piangere o di essere deboli. Tsubaki ha bisogno del mio sostegno più di quanto ne abbia bisogno io.

-Che gli hanno fatto? Accidenti, è tutta colpa mia!- Dice; la sua voce è tremula e sulle guance pallida iniziano a scorrere fiumi di lacrime -Sono stati loro, capisci? Quella era la loro vendetta!-

-Stai calma, loro chi?-

-I compagni...di quel mostro. Del ragazzo che mi tormentava e da cui Ryo mi ha liberata...a quale prezzo!- Spiega tra i singhiozzi -Avrei dovuto aspettarmelo...non gliel'avrebbero fatta passare liscia...non dopo il modo in cui ha umiliato il loro capo. Kota, che cosa ho fatto!-

-Tu non hai fatto assolutamente niente.- Farfuglio -Non è colpa di nessuno, se non delle teste di cazzo che hanno picchiato Ryota. Ascoltami, perché non vai un attimo in bagno a sciacquarti la faccia, eh?-

Annuisce lentamente, senza smettere di piangere. Le indico la toilette e, non appena sono certo che non possa vedermi, mi affretto a cercare nella rubrica del suo cellulare il numero di Shin. Lo compongo sul mio telefonino e lo chiamo.

-Pronto?-

-Shin? Ehi, sono Kotaru. Il ragazzo di Ryota...sì, il fratello di Tusbaki. Ascolta...è successo un inconveniente. Adesso lei ha bisogno di qualcuno, ma io non...non sono in grado di darle conforto...perché sto male quanto lei. Adesso ha bisogno di te.-

-...Dove siete?-

-In ospedale. Ti aspetto in sala d'attesa.- Sono stupito dalla prontezza con cui, senza volere spiegazioni aggiuntive, si affretta a raggiungerci. Ho fatto la scelta giusta a chiamare lui; nessuno può essere più adatto a Tsubaki, in questo momento.

-Tsu!- Dice Shin, salutandoci con la mano. Ci ha messo pochissimo ad arrivare qui.

-Ehi.- Lo sguardo di Tsubaki è vuoto. Gli occhi sono ancora gonfi ed umidi, nonostante sia andata due o tre volte in bagno a lavarsi la faccia.

-Che succede? Ho saputo che eri qui...tutto a posto?-

-Shin!- Esclama, riprendendo a piangere -Mio fratello...è stato picchiato fino a rischiare la vita!-

-Oh.- Mi getta uno sguardo che è una chiara rischiesta di soccorso. Ma è arrivato il momento che l'impacciato e timido ragazzino faccia da muro portante alla persona che ama.

-Perché non andate a bere qualcosa al primo piano?- Chiedo, rivolgendogli uno sguardo eloquente e modulando con le labbra la frase “Lei ha bisogno di te”.

-Non voglio nulla.- Singhiozza Tsubaki.

-Basta.- Mormora Shin, prendendole il viso bagnato tra le mani -Non è stando qui senza far nulla che aiuterai tuo fratello. Al massimo finirai per essere tu a sentirti male...Kotaru ha avuto una bellissima idea...andiamo al bar, prendiamo una tisana calda e parliamo, ok?-

-Dagli retta, Tsu.- Incalzo, aiutandola ad abbottonarsi la giacca e tirandole su la borsa che le sta cascando -Vederti così mi sta solo facendo soffrire...stiamo tutti male, adesso. Abbiamo bisogno di darci una svegliata.-

-Quando sono arrivato ho visto che hanno le barrette di riso soffiato. Sono le tue preferite, no? Ne compriamo qualcuna, dai. Andiamo.- Dice Shin, mettendole un braccio intorno alla spalla e aiutandola a scendere le scale.

-Sì...sono le mie preferite.- Mormora lei, guardandolo con le labbra semiaperte. Ha le guance in fiamme, bagnate, i capelli completamente scompigliate...e forse, adesso che è così fuori da se stessa, Shin potrà aiutarla a rimettere insieme i pezzi -Come fai a saperlo?-

-So un sacco di cose di te.- Sorride -Altrimenti come potrei aiutarti ad essere felice?-

-Grazie.- Mormora, abbozzando una specie di sorriso -Grazie davvero.- Aggiunge. Li guardo allontanarsi e cerco di seguirli un po' con lo sguardo. Una volta che girano l'angolo, però, mi sembra di riuscire a vedere la testa di Tsu premuta contro il petto di Shin; si sta lasciando andare ad un pianto straziante e liberatorio che, evidentemente, si è costretta a sopprimere in mia presenza.

 

Deve essere passato almeno un mese da quel giorno in cui Tsubaki ha capito che non c'è alcun bisogno di colpevolizzarsi per la sorte toccata a Ryota...e di questo, non posso che ringraziare Shin. Senza di lui, senza il soccorso di una persona esterna alla vicenda, non avrei saputo come fare ad esserle di conforto, o a darle lucidità.

Ci sono state altre visite; a volte è venuta da sola, a volte l'ha accompagnata Shin; quando ci siamo ritrovati da soli qualche volta abbiamo pianto in silenzio ma, in presenza di Shin, non ne siamo mai stati capaci. Anzi, ci siamo messi d'impegno per contattare la madre di Ryota, ovviamente senza successo. Voleva far perdere le sue tracce a tutti meno che al figlio, e c'è riuscita alla perfezione.

Anche se adesso il senpai può ricevere visite, la situazione non è cambiata poi di molto. Possiamo stare lì per qualche ora, davanti al suo corpo addormentato ed intubato sotto le lenzuola color grigio smorto, in una camera silenziosa e malinconica, mentre una macchina accanto a lui monitora il suo battito cardiaco, a riprova che è vivo. Nonostante tutto, Ryota è vivo.

I medici parlano di coma. Potrebbe risvegliarsi adesso, oppure tra dieci anni. Oppure...

Non voglio neanche pensarci. Stringo le lenzuola tra le mani osservando il viso addormentato di Ryota, coperto da una mascherina...e un rivolo caldo mi scivola lungo le guance. Mi affretto a trattenerlo; sono solo con Tsubaki e non voglio che pianga ancora.

-Kota, dobbiamo trovare sua madre.- Dice lei -Non è giusto che non sappia niente. Anche se il cellulare di Ryota è andato perso insieme alla sua borsa, il numero o l'indirizzo di sua madre devono pur essere appuntati da qualche parte, magari in casa.-

-Ho visto dappertutto, credimi.- Sospiro -Non ho trovato assolutamente nulla.-

-Ma com'è possibile...- Mormora, mordendosi un labbro per poi scuotere la testa.

-Pensiamo a lui, adesso.- Dico, indicando Ryota con lo sguardo.

-Che deja-vu.- Risponde lei, posando la mano sulla mia -Non molto tempo fa ero in una stanza molto simile a questa...ma a dormire eri tu, Kota. Anche se era un contesto diverso...ti stai comportando in modo molto simile a Ryo. Anche lui aveva paura e avrebbe solo voluto piangere, ma faceva di tutto per essere forte...siete entrambi tanto stupidi.-

-Ryota...era davvero preoccupato per me?-

-Da morire.- Spiega lei, sorridendo -E sperava con tutto se stesso che ti risvegliassi. Ma non voleva parlarti...io ti parlavo spesso. Lui invece sembrava non trovarne la forza.-

-Credi che anche io dovrei parlare con Ryota?-

-Io lo faccio. Mi aiuta a non smettere di sperare.-

-Non ho mai smesso di sperare.-

-Buongiorno.- Cantilena una voce dolcissima alle nostre spalle -Tutto bene?-

Ci voltiamo entrambi verso la donna che è appena entrata in camera; è una donna piccola e stanca, col volto più vissuto e segnato di quanto realmente dovrebbe essere. Non è anziana, ma ha l'aspetto di una persona che è dovuta crescere ed invecchiare più del dovuto.

-Buongiorno!- Esclama Tsubaki, mentre le sue labbra si curvano in un larghissimo sorriso -Non può immaginare da quanto tempo la stiamo cercando!-

-Tsubaki, lei è...- Chiedo, guardando impacciatamente la donna con occhi completamente diversi.

-Sì, Kota, è lei! Anche se non ci siamo mai incontrate ho visto una sua foto. Sono incredibilmente felice di vederla...Ryota ha bisogno di tutti noi, adesso.-

La madre di Ryo getta uno sguardo dolcissimo ad entrambi. Sospira e si avvicina a passi lenti al letto, baciando la fronte di suo figlio. Mi aspetterei di vederla piangere da un momento all'altro eppure, incredibilmente, i suoi occhi e la sua voce sono così sereni da tranquillizzare repentinamente anche me e Tsubaki.

-Tu devi essere la piccola Tsubaki...assomigli tantissimo al tuo fratellone, sai? Avete proprio gli stessi occhi.-

-Mi dispiace conoscerla in un contesto simile, signora.-

-Tranquilla...e tu...tu sei forse Kotaru?-

Sobbalzo e mi accingo ad aggiungermi pavidamente alla conversazione. Dopotutto io sono praticamente un estraneo.

-S...sì...signora.- Balbetto -Piacere di conoscerla.-

-Il piacere è tutto mio. Mi chiamo Takara.- Dice, senza smettere di sorridere -Ryo mi ha parlato di te.-

-Ha fatto davvero una cosa del genere?-

-Proprio così...aggiornatemi un po'. L'ultima volta che ho parlato con mio figlio mi ha dipinto una situazione disastrosa. Tsubaki, è tutto a posto? So che avevi un problema...e Kotaru...tu e Ryo vi siete più chiariti?-

Rispondiamo alle sue domande aspettandoci che scoppi in lacrime o comunque mostri tristezza per quanto è successo...invece il suo viso e la sua voce continuano ad essere calmi, nonostante la gravità di quanto le stiamo riferendo. Non ho mai conosciuto in vita mia una persona tanto forte; è evidente che in cuor suo sta soffrendo ed è spaventata per la sorte di Ryo...ma riesce a nasconderlo, a tranquillizzarsi e, di riflesso, a rasserenare l'animo di tutti.

-Andrà tutto bene.- Dice, prendendo una sedia -Vi faccio compagnia per un po', se vi fa piacere.-

-Signora...Takara...- Balbetto -Come ha saputo? Se non l'abbiamo avvisata noi...?-

-Oh.- Sorride -Mi prendereste per pazza se vi dicessi che l'ho percepito? Il fatto è che, anche se io e Ryota ci sentivamo abbastanza raramente nell'ultimo periodo...comprensibilmente, visti i suoi impegni di studio e lavoro...lui non mancava mai di scrivermi un messaggio di auguri il giorno del mio compleanno, o di spedirmi una lettera con un pensiero. Il mio compleanno è stato una settimana fa e non ricevere i suoi auguri mi ha fatto capire che qualcosa non andava. Ho provato a contattarlo ma il suo cellulare squillava a vuoto.-

-Questo perché è andato perso assieme alle sue cose.- Spiega Tsubaki -Dopo...dopo che è stato aggreddito.-

-Sì, sono venuta a conoscenza di tutto poco fa.- Replica Takara -Visto che non sapevo come parlare con Ryota, ho deciso di farmi forza e andare a casa sua. Non viaggiavo da tanto tempo e non nego che ero un po' spaventata. Quando poi sono arrivata sotto casa e i vicini mi hanno raccontato tutto...be', ho sentito il modo crollarmi addosso. Per una madre non c'è niente di peggio che perdere il proprio figlio, la propria ragione di vita...ma sono fiduciosa. Ryo è un ragazzo coraggioso e sono certa che ce la farà.-

-Non possiamo fare altro che ringraziarla.- Dice Tsubaki -La sua presenza è di grande conforto per noi.-

-Per quanto si fermerà?- Chiedo.

-Oh...- Il suo sguardo si adombra, ma solo per un battito di ciglia -Be', ho preso una camera in un motel, ma...non penso di potermi trattenere molto a lungo.-

Osservo in silenzio gli abiti logori e le scarpe vecchie, con le suole consumate...ho assaporato io stesso la povertà e credo di essere capace di riconoscerla.

-Sarei felice di ospitarla in casa mia e di Ryota.- Dico -Queste sono le chiavi.- Aggiungo, tirandole fuori dalla tasca -Può restare per tutto il tempo che vuole.-

-No...non preoccuparti, Kotaru. Dico sul serio.- Replica, sorridendo ancora -Non intendo recarti disturbo. Inoltre non posso stare fuori città troppo tempo. Vivo da sola e lavoro per guadagnarmi da vivere, le mie assenze possono essere brevi e sporadiche.-

Già...è evidente. Se non fosse così sarebbe passata a trovare suo figlio già da tanto tempo. Un nodo mi stringe la gola al pensiero dei sacrifici che questa donna compie quotidianamente, al dolore che la sgretola ma che lei riesce comunque a sconfiggere, a celare. Da una persona così non poteva non nascere l'uomo che amo più della mia stessa vita.

 

Dopo la partenza di Takara mi sono ritrovato a fare nuovamente i conti con il pessimismo e la disperazione; nonostante le visite di Shin e Tsubaki siano frequenti e mi sollevino il morale, il resto del tempo che trascorro da solo davanti al silenzio di Ryota fa male come una coltellata nel petto. Ho perso il conto del tempo trascorso dall'ultima volta che ho sentito la sua voce; ancora una volta mi lascio andare a silenziose lacrime mentre gli carezzo i capelli neri e mi soffermo sulle palpebre chiuse e sul suono dei suoi respiri.

-Quanto tempo che ho sprecato.- Dico a bassa voce, con amarezza, stringendo forte i pugni -Tutto il tempo passato ad evitarti, a scappare dal tuo amore. Tutto il tempo passato a non parlarti, a non voler sentire la tua voce. Quando ancora potevo farlo...ma come uno sciocco non ho voluto. Non mi sono reso conto di cosa stavo perdendo.- Continuo, la mia voce è rotta dal pianto ma non posso cessare questo monologo. Voglio che le mie parole possano raggiungerlo, ovunque sia.

-Ricordo il nostro primo incontro come se fosse ieri.- Dico, sorridendo al pensiero -Era il mio primo e unico giorno di punizione. Perché poi? Forse non lo hai mai saputo...be', ero un po' scombussolato perché Kyojin e i suoi mi avevano infastidito tutta la mattina ed ero distratto durante la lettura. Allora la prof mi disse qualcosa tipo... “Oda! Oda Kotaru! Cos'è che ho appena detto?” E io le ho risposto “Oda! Oda Kotaru! Ha detto questo.- Le lacrime mi entrano in bocca mentre rido amaramente. Bevo il loro sapore amaro tutto d'un fiato e continuo a parlare -Non avrei mai detto una cosa simile. Sul serio, io non sono...mi conosci, lo sai. Però...se l'insegnante non fosse stata di cattivo umore, se io non fossi stato tormentato dai bulli...se non mi fossi mai dichiarato gay il primo anno, conquistando per sempre il loro disprezzo...saremmo rimasti per sempre due estranei. Una serie di casi e coincidenze ci hanno portato ad incontrarci quel pomeriggio...ogni mia azione era finalizzata a quell'incontro. Non me ne stavo rendendo conto, ma ogni singolo gesto...la mia intera vita, non era altro che un susseguirsi di strade che mi avrebbero portato da te. Una volta...ho pensato che sarebbe stato meglio se non fosse mai accaduto. Senza di me, non avresti sofferto fino a finire in queste condizioni, eppure...- Sospiro, prendo le sue mani tra le mie e le bacio, bagnandole con l'aspro delle mie lacrime -Eppure, se non ti avessi mai incontrato...non avrei mai vissuto veramente.- La mia mente viaggia fino a quell'uggioso pomeriggio. Le nuvole minacciavano pioggia, e avrebbero mantenuto la promessa...ma allora non potevo saperlo. Tutto ciò che sapevo era che mi trovavo da solo con un ragazzo affascinante, enigmatico, appassionato di Medioevo come me. Una melodia mi risuona nella testa nel ricordare quell'istante...la canzone che stavo ascoltando nelle mie cuffie a forma di coniglio. Heart of fire...la canzone preferita di Ryota. Mi ritrovo a modulare quel suono con le labbra chiuse mentre continuo a piangere e ad intrecciare le mie dita alle sue...in breve la melodia riempie la stanza. Finisco di canticchiare per poi posare lo sguardo su di lui...ed è allora che mi rendo conto che i suoi occhi sono aperti e che le sue labbra, sotto la mascherina, stanno intonando la stessa melodia.


***

Il profumo di casa, il pelo di cane sui vestiti, il ronzio della televisione. Mi sembra di essere stato via per decenni e invece, stando a quanto mi hanno detto i medici, sono rimasto in stato di incoscienza “soltanto” per un mese e mezzo circa. Il mio primo ricordo da quando ho riaperto gli occhi sono le note di Heart of fire e lo sguardo di Kotaru fisso su di me. Sentivo un forte calore che mi avvolgeva le mani ed erano le sue che mi stringevano, che mi stavano trascinando fino a riportarmi alla realtà. Ho saputo di come Shin abbia confortato Tsubaki mentre Kota era troppo a terra per essere di supporto a qualcuno e di come mia madre abbia fatto da ancora ad entrambi...dopotutto, questa è sempre stata la sua specialità.

Sono stato dimesso e rientrare in queste quattro mura non mi ha mai resto così vivo e così felice. Dopo l'iter degli accertamenti sono stato così preso da non aver avuto il tempo di felicitarmi di essere sopravvissuto all' aggressione di una massa di teppisti impazziti.

-Ho fatto gli onigiri. Stavolta mi sono venuti un po' più carini.- Dice Kota, aiutandomi a sedermi a tavola...sono ancora un po' scosso e continuo a guardarmi intorno alla ricerca della lucidità.

L'aggressione mi ha reso ancora più timoroso e restio al contatto umano. Sussulto non appena le dita di Kotaru mi sfiorano la spalla, spingendolo brutalmente lontano con una gomitata.

-Scu...scusami.- Mi affretto ad aggiungere, allungando le mani tremanti verso di lui.

-No...non devi scusarti.- Risponde, indietreggiando di un passo. Si massaggia il punto dove il mio gomito lo ha colpito. Non avevo intenzione di fargli del male, eppure è proprio quello che ho fatto.

-Kota!- Esclamo, avvicinandomi e stringendogli le mani -Mi dispiace. Io non...non l'ho fatto apposta, devi credermi. Solo che...-

-Non devi giustificarti.- Dice, sorridendo debolmente -Dopo quello che hai passato hai i nervi a pezzi. Lo capisco...ti prometto che passerà.-

Scioglie la nostra stretta e prende posto davanti al pranzo; mentre mangiamo un nodo mi serra lo stomaco e non riesco neanche a parlare, focalizzando la mia attenzione sul piatto che ho davanti e sulla coda di Haku che mi frusta le gambe sotto il tavolo.

Nel tardo pomeriggio resto da solo con lui, mentre Kotaru va al ristorante a lavorare. Ci vorrà un po' prima che torni anche io in fumetteria, senza contare che nel frattempo avranno senza dubbio trovato un sostituto.

L'orologio ticchetta senza tregua e, ancora scombussolato per il ricovero, decido che è arrivata l'ora di andare a dormire; spero che al rientro Kota non faccia troppo baccano.

 

Mi sarò addormentato sì e no da un'ora quando un paio di mani mi scuotono pesantemente per risvegliarmi.

-Ryota! Ryota, stai bene?!- La voce che giunge ovattata alle mie orecchie stanche, quel contatto violento, il buio che mi avvolge...sono di nuovo loro? Mi stanno aggredendo ancora? Preso da un istinto più forte della ragione mi tiro a sedere e allontano Kotaru con la forza più intensa che i miei muscoli danneggiati mi permettono. Il suo grido di dolore, tuttavia, mi riporta immediatamente alla realtà.

Cos'ho fatto...come ho potuto scambiare la sveglia del mio compagno per l'aggressione di quei teppisti?!

-Scusa...mi.- Balbetta, scostando la mano dalla fronte e rivelando un rivolo di sangue scuro; nel colpirlo l'ho spinto contro una mensola. La vista del suo sangue mi fa impallidire; mi muovo a tentoni alla luce della lampada da scrivania, cercando nella cassetta del pronto soccorso qualcosa per aiutarlo a medicarsi...ma Kota è già accanto a me, si è disinfettato la ferita e si sta applicando un cerotto. Sorride e mi rassicura con un -Non l'hai fatto apposta.- Appena sussurrato -Scusami se ti ho spaventato...avevo soltanto paura che...che anche stavolta, non ti saresti più svegliato.-

Senza dire niente mi trascino come uno zombie fino in camera e mi lascio cadere pesantemente sul letto, soffocando un pianto dirotto nel cuscino. Cosa sono diventato? Un uomo così fragile e pavido da arrivare a fare del male alla persona che ama e che dovrebbe proteggere a costo della vita?

-Ryo...amore.- Le parole di Kota sovrastano le mie grida ed i miei singhiozzi -Perché piangi? Non è niente, solo un graffietto. Non serve fare così...-

-Kota...- Biascico, rialzando il viso arrossato e tempestato di lacrime -Io non...non sono più capace di proteggerti. Io...ti ho fatto del male.-

-No! Smettila, non è così.- Dice. Le sue mani indugiano sulla mia spalla, ma prontamente si ritirano prima di sfiorarla...è così. Kota ha paura di toccarmi.

Mi volto a guardarlo e non mi vergogno della cascata che mi offusca la vista; qualcosa di freddo mi lambisce le guance roventi...è il pollice di Kota che, dolcemente, sta scostando via quelle perle che mi scivolano dagli occhi.

-Abbiamo pianto già troppo.- Dice, continuando a prendersi il rischio di toccarmi il viso, stavolta con entrambe le mani -La prossima volta...vorrei che piangessimo insieme lacrime di gioia.-

L'aria intorno a me sembra essere rarefatta ed i miei polmoni sono sul punto di esplodere; in un disperato anelito di ossigeno mi aggrappo alle sua labbra, baciandole e bevendone vita, in quel contatto di cui avevo quasi scordato il sapore. Voglio prendermi tutto l'ossigeno che mi sono perso in questo mese e mezzo di lontananza, voglio vivere Kotaru come non ho più potuto fare. La forza dei miei baci ci spinge a rotolare giù dal letto e mi ritrovo a stare disteso su di lui, mentre quelle piccole mani mi sfiorano la schiena...ed il suo tocco non solo non mi spaventa, ma mi infonde coraggio. Per tutto questo tempo non mi sono reso conto di quanta differenza ci fosse fra la violenza e le carezze del mio compagno...eppure non potrebbero essere più diametralmente opposte.

-Ti amo.- Dice, in un breve istante in cui lascio libere le sue labbra; è un'iniezione di vita. Non posso più trattenere il fiume di amore per lui che mi sta traboccando dal cuore, bramoso di essere riversato; non posso più ignorare il desiderio, troppo a lungo rimandato, di divenire un tutt'uno con lui, di superare insieme la mia più grande paura. Non dico niente, le parole non servirebbero a niente; prendo a spogliarmi velocemente e faccio lo stesso con lui, che mi guarda con le labbra semiaperte per lo stupore e gli occhi sbarrati. Probabilmente non si aspetterà nulla di diverso da quello che abbiamo sempre fatto, durante i nostri piccoli momenti di passione...ma stavolta sarà diverso. Voglio possederlo ed essere posseduto da lui. Voglio che il nostro amore sia completo.

Continuando a baciarlo e carezzarlo lo invito a sfiorarmi ovunque, fino a portare le sue mani intorno alla mia intimità. Annuisco in risposta al suo sguardo interrogativo.

-No...- Mormora -Ryota...io non...non posso farlo.-

-Perché no? Non è quello che abbiamo sempre cercato?-

-Non voglio vederti piangere di nuovo.- Cerca di ritrarre la mano, ma io gli tengo dolcemente il polso. Per sciogliere la sua insicurezza gli bacio appassionatamente le labbra, cercando di liberarlo dalle catene ed i limiti che si è imposto a causa mia.

Poco dopo avvolgo il suo corpo intorno al mio sotto le coperte, ascoltando i suoi respiri irregolari ed i battiti velocizzati del suo cuore, beandomi del calore che ci trasmettiamo mentre faccio l'amore con lui per la prima volta, con la stessa intensità con cui l'avremmo fatto se fosse stata l'ultima. Abbiamo rimandato questo momento così a lungo, trattenendo il bisogno di conoscerci a fondo, di scoprirci, di diventare un'unica entità...adesso, finalmente, tutto questo è diventato reale.

 

Le guance di Kota sono roventi e rosso fuoco, come i suoi capelli. Riesco a sentirlo sotto le mie dita, mentre gli bacio il collo e stringo il suo corpo sudato al mio; molto spesso mi ero ritrovato a pensare al giorno in cui questo momento sarebbe arrivato, talvolta avevo immaginato come sarebbe andata...ma mai, neppure nelle mie fantasie migliori, avrei potuto creare uno scenario simile. Mi sentivo come se stessi per affogare...e Kota, il suo amore, è stata la corrente che mi ha riportato a riva.

-Ti amo.- Ansimo, avvolgendolo tra le mie braccia -Come ti senti?-

-Bene.- Mormora, imbarazzato -Non so se...sono stato bravo.-

La sua insicurezza mi strappa una risata ed un sorriso di tenerezza.

-Credo di avertelo fatto capire, se lo sei stato o no.-

-Mh.- Farfuglia, nascondendo il viso nel cuscino -Resta con me.- Sussurra, voltandosi a guardarmi e portando la sua testa sotto il mio mento -Ho bisogno di noi.-

Non rispondo...cos'altro potrei dire? Sono stato ad un passo dalla morte e sono tornato per trovare qualcosa che va addirittura oltre la vita...come potrei anche solo pensare di abbandonare tutto questo? Continuo a tenere stretto a me quel ragazzo così piccolo e delicato, scacciato da tutti...così simile a me. Complementare a me.

Accarezzo il suo corpo e gli comunico il desiderio di fare di nuovo l'amore; potrei non averne mai abbastanza, potrei restare all'infinito in questa stanza senza aver bisogno di nient'altro; il tocco delle sue mani, la sua pelle sulla mia, da cui prima ero spaventato, adesso è tutto quello che desidero.

Ancora una volta ci stendiamo sulle lenzuola, definitivamente esausti...e mentre il velo della notte ci avvolge, scoprendoci addormentati in un abbraccio serrato, una musica completamente nuova sta cullando il nostro sonno. Sono i nostri battiti cardiaci, che risuonano allo stesso ritmo.

*Note:
puff, pant....scusate, devo riprendere fiato >////< questo capitolo è il più lungo che abbia mai scritto, ben 15 pagine di word. Che dire...l'ho scritto di getto, presa dall'ispirazione, perché non riuscivo più a smettere di battere sui tasti. Le parole uscivano da sole! Grazie a chiunque sia arrivato fino in fondo *D* Chiedo scusa per la lemon che è praticamente super accennata ma, dato il contesto, volevo assolutamente che ad essere protagonisti fossero le emozioni e i sentimenti dei nostri due cucciolotti. Giuro che mi farò perdonare con tanti special di approfondimento *3* Ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo!
Hikari Chan*

   
 
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