Tempo Sospeso
"Ed è
gooooooooooooooool! Allo scadere del 90 ° minuto, la splendida rete messa a
segno dal capitano della..."
Schiaccio il
tasto del telecomando e la stanza in un attimo si fa buia e silenziosa. Niente
più ovazioni, niente tifo, niente stadio, niente squadra nè campo, niente
pallone. Almeno non in questa stanza.
Solo e al
buio, mi viene in mente che c'è una triste similitudine tra quella stanza e la
mia vita.
Credevamo
sarebbe durata per sempre. Oh si, lo credevamo. Tutti noi. Ma niente dura per
sempre.
Ultimamente
ne sono sempre più convinto. Lo so, non è da me avere questo tipo di pensieri,
sono sempre stato un ottimista di natura ma gli anni passano, le persone
cambiano ed io purtroppo non ho fatto eccezione, così come gli altri.
Mi sposto
verso la lampada posizionata al lato della tv, cercando l'interruttore urto
accidentalmente qualcosa di non meglio identificato, che cade e va in frantumi
sul pavimento. Mi lascio sfuggire un'imprecazione a mezza voce. Probabilmente
era il soprammobile di vetro soffiato, a forma di coccinella che tanto piace ad
Azumi.
Quando verrà
a saperlo... ma magari non se ne accorge.
Accendo la
lampada, una flebile e pallida luce riempie la sala.
Si, era
proprio la coccinella di Azumi. Accidenti. Qui ci vuole un caffè.
L'abitudine
di bere tè per rilassarmi ormai l'ho persa del tutto, ho lasciato che la
bevanda scura che tanto piace agli occidentali, mi seducesse con il suo sapore
forte.
Dal bancone
della cucina, mentre preparo l'acqua e la miscela, vago con lo sguardo per la
stanza finchè la mia attenzione non viene catturata da una delle tante foto
appese alla parete opposta, in sala.
Un gruppo di
ragazzi vestiti di blu. Una coppa d'oro. Un sogno tanto agognato che si avvera.
"La
generazione d'oro del calcio giapponese" ci chiamavano ed a ragione. Non
c'era stato nessun'altro fino ad allora che fosse riuscito ad arrivare così
lontano e così in alto, come avevamo fatto noi.
Come avevano
fatto Tsubasa, Wakabayashi, Kojiro, Aoi... ed io...
Anch'io avevo
dato il mio contributo.
Seguendo il
loro esempio, mi detti alla conquista del calcio europeo, riuscendo ad ottenere
un ingaggio al Paris Saint German, una delle migliori squadre francesi. Così mi
trasferii di nuovo a Parigi.
Oui, Paris, la ville de l'amour (*).
Azumi
ovviamente decise di seguirmi. Per fortuna, aggiungerei. Io non sarei riuscito a
sopportare a lungo di starle lontano e lei non è certo il tipo di ragazza che
aspetta trepidante il ritorno del suo amato, straziandosi il cuore nell'attesa.
Parigi è la
città dove ci siamo conosciuti, perciò quale miglior luogo per condividere la
nostra vita insieme?
"Oh Oui, il n'y avait pas une place meilleure d'ici!" (**) mi disse non appena scendemmo dall'aereo. Aveva ragione.
È pronto il
caffè. Mi volto e apro una delle ante del mobile. Afferro una tazza e
l'appoggio con apparente indifferenza sul bancone, sostituto del tavolo.
Comincio a versare la bevanda e quasi m'ipnotizzo nel vederla scivolare
velocemente all'interno della ceramica bianca.
Da quando
sono qua, i miei vecchi compagni di squadra non sono riuscito a vederli che in
rare occasioni e di sfuggita. Segni di saluto lanciati con braccia sollevate, un
cenno del capo o rari sorrisi. Ovviamente si è trattato sempre e solo di
occasioni ufficiali. Partite, premiazioni o manifestazioni di quel genere.
Vogliamo dire
le cose come stanno? La verità è che ci siamo persi di vista. Niente di più,
niente di meno. Non nel senso letterale del termine, semplicemente c'è stato
chi ha preso una direzione, chi un'altra. Chi si è sposato, chi avrà dei
figli... per un motivo o per un altro ci siamo divisi e mai più riuniti.
L'unica cosa
che forse ancora ci lega, che ci tiene costantemente ed invisibilmente insieme,
è l'amore per il calcio. Grazie al calcio ci siamo conosciuti e grazie al
calcio, qualunque cosa sia accaduta o accadrà in futuro, mai ci dimenticheremo
l'uno dell'altro.
Mi allontano
dal bancone, sorseggio in silenzio il caffè mentre mi avvicino alla finestra a
vetri che dalla sala dà sul terrazzo. Scosto la tenda di un leggero tessuto blu
e guardo fuori. Le luci notturne della capitale si fanno strada all'interno
dell'appartamento.
Quest'ultimo
pensiero mi ha incoraggiato e in qualche modo sorrido, dopo aver assaporato di
nuovo il caffè, osservando la vista meravigliosa che mi si offre davanti.
Il silenzio
della notte.
Apro la
portafinestra e rimango sulla soglia del terrazzo, appoggiato con la schiena
allo stipite, con la tazza ancora in mano ad esaminare l'esterno, guardando
niente in particolare eppure scrutando ogni piccolezza. Torno indietro col
pensiero, osservando il cielo. Attimi di memorie ormai lontane. Un vento
pungente si solleva facendomi ondeggiare i capelli che ormai non sono più corti
come quando ero ragazzino; altro segno incontestabile che di tempo ne è
passato, insieme a quel filo di barba incolta che mi ostino a tenere sulle
guance.
Avete
presente quel momento tra il sonno e la veglia? Quel momento dove tutto è
sospeso e silenzioso? Quella stessa sensazione che si prova stando sott'acqua?
Quell'attimo in cui tutto sembra fermarsi intorno a noi, in cui tutto sembra
trovare un significato ed ogni cosa la sua giusta collocazione? Così mi
sentivo; era quello, che provavo. Non avvertivo i suoni ed i rumori della città,
non percepivo il palpitante brulicare degli altri esseri umani; c'eravamo solo
io, i miei pensieri ed il vento. Lo sguardo perso nel blu della notte o forse
nel mio io più profondo.
Un aereo
taglia veloce il cielo, le luci di posizione lampeggiano. Mi ritrovo allora a
pensare a chi parte, a chi ritorna, a chi scappa da chissà quale vita; a chi,
come me, si sente sospeso, forse perso, tra gli obiettivi che ha inseguito per
anni (***).
Chiudo gli
occhi per un attimo, appoggiando il capo allo stipite della porta e ascolto il
vento. Ascolto il mio respiro. Lento. Regolare. Ascolto me stesso. Ascolto la
mia vita.
Non saprei
dire per quanto tempo rimasi in quella strana posa, appoggiato alla finestra, la
tazza costantemente stretta in una mano. So solo che, quasi volesse salvarmi da
quello stato di semi-trance in cui ero caduto, sento una mano prendere quella
che tenevo inerme lungo un fianco. Una mano calda. Una mano che conosco bene,
perché tante volte l'ho stretta tra le mie.
Incrocio le
mie dita con le sue ed apro gli occhi.
È lei.
È entrata
silenziosa in casa, così come anni prima era entrata nella mia vita, nel mio
cuore. Lo aveva fatto in punta di piedi e non ne era più uscita, nè mai lo
avrebbe fatto. Non l'avrei permesso.
Allora
comprendo. Comprendo che la sua sola presenza spazza via tutti i miei dubbi,
tutte le mie incertezze.
Mi sorride ed
io sorrido a lei.
"Da
quanto tempo sei qui fuori? Hai le mani fredde" mi chiede premurosa,
strofinando le sue mani calde alla mia.
"Pensavo"
rispondo senza staccare gli occhi dai suoi.
"Momento
malinconico?"
"Già"
Sorride, se
possibile, ancora più dolcemente. Sciolgo la mia mano dall'intreccio con la
sua, poggio la tazza sul pavimento del terrazzo e le cingo la vita, attirandola
più vicina a me.
"E tu?
Come mai a casa così tardi?"
"Sono
stata trattenuta a lavoro." Risponde poggiando il viso sul mio petto,
rilassandosi e socchiudendo leggermente gli occhi. "La ragazza che dovrà
sostituirmi aveva ancora bisogno di qualche chiarimento" spiega.
"Lo sai
che non devi stancarti." La rimprovero dolcemente.
"Ha
risposto qualcuno?" mi chiede sviando il discorso. La guardo perciò
leggermente contrariato.
È
sempre stata brava in questo genere di cose.
"Non
ancora"
"Vedrai
che lo faranno. Dagli solo un po' di tempo ed abbi fiducia in loro." dice
comprensiva.
"L'ho
sempre avuta fiducia in loro, non l'ho mai persa in tutti questi anni, ma il
tempo che possiamo ancora dargli, non è più molto."
"Già".
Sorride. "Ma lui aspetterà, ne sono certa."
Abbassa la
testa e si sfiora il ventre con una mano, mentre con l'altra prende la mia.
Solleva di nuovo il capo e mi guarda; mi guarda con quella luce che da qualche
tempo le accende lo sguardo.
"Lui?"
chiedo sollevando perplesso un sopracciglio. "Da quando si tratta di un lui?"
Ride.
"Non ne
sono sicura... è soltanto una sensazione, un presentimento..."
Il vento non
smette di soffiare e leggero le fa danzare alcune ciocche di capelli intorno al
viso.
Continuo a
fissarla. È davvero bella ed io l'amo immensamente.
Le accarezzo
una guancia e la bacio.
Restiamo
abbracciati per un po', in silenzio, a scrutare insieme la notte.
"Sarà
meglio rientrare" le dico poi, invitandola ad attraversare per prima la
portafinestra. Lei annuisce e si avvia nel salone.
Mi abbasso
allora per raccogliere la tazza e quando guardo di nuovo all'interno
dell'appartamento, lei è già scomparsa e quello che scorgo è soltanto
un'altra debole luce provenire dalla camera da letto.
Sposto lo
sguardo sul contenuto della tazza. È rimasto ancora un po' di caffè.
Entro in
sala, richiudendomi la porta a vetri alle spalle. Un leggero tepore mi riscalda
le ossa e ricordo quando poco prima avevo accostato l'immagine della stanza
vuota alla mia vita.
La mia vita
non era vuota, né io ero solo. Non lo ero adesso, né mai lo sarei stato.
"I cocci
li raccogli domani." la voce di Azumi, proprio in quel momento, arriva
chiara a rafforzare quest' ultimo pensiero.
Allora se n'è
accorta.
Sorrido
colpevole.
Attraverso la
stanza, supero il bancone e mi dirigo verso la cucina. Abbandono la tazza, dopo
avere rovesciato quel che resta del caffè nel lavello. Faccio qualche passo,
deciso a raggiungere la mia compagna, la madre di mio figlio...
O figlia.
Uno squillo.
Un altro.
Il telefono
che suona.
Chi può
essere a quest'ora?
Mi domando,
avvicinandomi al mobile su cui abbiamo sistemato il cordless, quello di laccato
nero all'ingresso.
Sollevo il
ricevitore, schiaccio il tasto per attivare la comunicazione e, non senza una
nota di preoccupazione nella voce, domando:
"Oui?
Hallo?"
Dall'altra
parte un "Misaki?" un po' gracchiante in risposta.
Nonostante
l'interferenza riconosco immediatamente la voce.
Sento la
presenza di Azumi alle mie spalle e mi volto; lei mi guarda preoccupata, in
attesa di spiegazioni.
"Sì
Tsubasa, sono io" rispondo allora sorridendo, guardandola felice e forse,
anche un po' commosso perché so che a quella telefonata ne seguiranno altre.
Adesso anche
lei sorride.
Sapete... ci
sono cose che non cambieranno mai a questo mondo. Nonostante il tempo.
Nonostante tutto. Dureranno per sempre.
- Fine -
(*) Sì,
Parigi, la città dell'amore
(**) Oh sì,
non c'è un luogo migliore di questo!
(***) Questo
parte l'ho scritta rielaborando una porzione del
testo "Imparare dal
vento", mi è sembrato che rappresentasse perfettamente lo stato d'animo di
Taro in quel momento. Ringrazio quindi i Tiromancino, per tutte le loro
splendide canzoni.
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Ciao a
tutti^^
Prima di
lasciarvi, vorrei dire ancora poche cose.
Non pensavo
che avrei più scritto su Captain Tsubasa.
Forse è per
questo motivo che questa storia ha un significato particolare per me. O forse
no. Sinceramente non so dirvelo.
Non so
nemmeno se sono stata capace di trasmettere quella speciale sensazione, quella
strana atmosfera che ho avvertito, scrivendola.
Ma lo spero
veramente.
Ci fossi
riuscita anche soltanto in parte, sarebbe già un grande traguardo, perchè
davvero, è una sensazione talmente bella che vorrei poterla condividere con
ognuno di voi.
Azumi
Sperando che
ci siano ancora cose che, nonostante tutto, non cambiano mai.