Eccoci qua, questo è ciò che i miei due fidi neuroncini mi hanno amorevolmente sussurrato questa settimana.
Ritorno con sommo gaudio alle origini, cioè alle
atmosfere cazzare a me estremamente congeniali, con la qui
presente storiella senza senso xD
Ok, è ufficiale: io amo questi due.
Ma proprio TANTO.
Peccato che siano una coppia SO CANON ma decisamente VERY poco FANON xD
E vabbè. Ognuno ha le sue manie.
Comunque, trattasi di una breve shottina demente e leggera leggera ma di cui sono davvero soddisfatta, che si
ambienta nel World Youth,
nello specifico durante il ritiro della Nippon Youth a Tsumagoi. Qui i nostri
eroi hanno circa diciotto anni, e prima di avventurarsi nella lettura di questa
macrobakata
è consigliabile, ma non indispensabile, aver letto la mia
precedente shot dedicata alla
Golden Gay Combi, giusto per capire meglio alcuni
punti della loro relazione.
Comunque, essendo una bakascemata, non è che ci sia poi
molto da capire xD
~ Rock, paper,
scissors.
Ovvero, giochi spastici per bambini elastici ~
-Non ci posso credere, ho perso di
nuovo…- sbuffò Tsubasa, schioccando la lingua con disappunto –…ma come cavolo faccio a farmi sempre intortare
da te!
Aveva già dovuto sottostare alle angherie del
compagno durante tutta la mezz’ora antecedente, e con la nuova mano di morra
cinese sperava di potersi rifare almeno un minimo; dopo l’ennesima sconfitta, però,
iniziò seriamente a pensare che fosse predestinato a vincere soltanto sui campi
da calcio, perché per qualsiasi altra forma di gioco sembrava essere tragicamente
negato.
Tarō ridacchiò e saltellò
fino al piccolo frigo in dotazione nella loro stanza d’albergo, per togliere
dal freezer la caraffa d’acqua che vi aveva posto in precedenza; vi immerse un dito per saggiarne la temperatura ma, notando
che non fosse ancora pienamente adatta allo scopo, vi tuffò una quantità
considerevole di cubetti di ghiaccio. Infine, sempre zompettando
allegramente, tornò a sedersi a gambe incrociate sul letto di fianco ad un
imbronciato Tsubasa, che osservò accigliato la sua
espressione gongolante mentre tuffava le mani nel
gelido liquido, ben deciso a lasciarvele arditamente in ammollo.
-Non ti bastavano più le
confezioni dei gelati?- Esclamò il capitano scuotendo la
testa costernato, riferendosi al contenuto del loro modesto freezer, e
poi continuò, memore delle tristi esperienze vissute fino a poco prima -Cos’è, temevi che non fossero abbastanza ghiacciate? Ti
assicuro che lo erano, eccome. Sto ancora rabbrividendo.
-Nah, servirsi solo di scatole di
surgelati non è sufficiente. Ci vuole qualcosa di più incisivo e rapido!- Ribattè lui, mentre l’altro lo fissava con gli occhi a
palla perché il suo volto, nel tentativo di resistere al freddo, si stava lentamente
ma inesorabilmente deformando in qualcosa di vagamente rassomigliante all’urlo
di Munch.
-Tu sei gravemente disturbato.
-Non morirò per così poco, se era questo ciò che speravi, e poi ritieniti fortunato. Ci vorrà ancora qualche minuto per
ottenere il giusto grado di refrigerio, quindi sconterai la penitenza con un po’ di
ritardo.
-Già, che culo incommensurabile…ma non ti sei ancora stancato
di questo giochino?
-No, perché
tanto vinco sempre io. Dà una sensazione di onnipotenza non indifferente, se
provassi anche tu l’ebbrezza non vorresti
più smettere- Fu la sua sardonica risposta, al che Tsubasa
alzò un sopracciglio, commentando piccato:
-Sul serio, la gente dovrebbe
sapere con chi ha realmente a che fare. Non sei altro che un subdolo e bieco sadico
che si nasconde dietro ad una maschera da chierichetto costruita ad arte.
Il numero undici non raccolse
l’ingiuria e non replicò alcunché, troppo preso a
cercare di sopportare dignitosamente il dolore dei geloni, finché non ne poté
più e fu costretto ad arrendersi.
-Qualcuno qui ha perso alla morra-
disse sforzandosi di mantenere un contegno pacato,
mentre estraeva dall’acqua le mani ormai violacee e dolenti ed iniziava ad
asciugarsele, passandosele sui pantaloni con una certa flemma –perciò si rende
necessaria un’ingiunzione di pena. Ah, ma guarda- esclamò
poi, buttando con noncuranza un occhio al comodino, situato alle spalle del
capitano- mi sembra che ti stia vibrando il cellulare.
Ci sarebbe arrivato anche l’ultimo
dei decerebrati, soprattutto perché se il telefonino
avesse davvero vibrato lo avrebbe sentito, ma a volte l’ingenuità di Tsubasa era un qualcosa da
antologia. Questo Tarō lo sapeva molto bene e difatti, come prevedibile, il capitano dei boccaloni abboccò con tutto l’amo.
Nel mentre in cui si voltava per
controllare, borbottando sommessamente qualche simpatica contumelia ai suoi
danni, la metà adorabilmente infingarda della Golden Combi balzò verso di lui e, senza
tanti preamboli, gli insinuò quelle estremità semi-assiderate sotto il
maglione.
-Iiiih- strepitò lui intirizzito, mentre andava
in apnea per qualche istante e sentiva la pelle accapponarsi –Eccheccazzo, dammi almeno il tempo di prepararmi
psicologicamente, bastardo!
Tarō all’inizio rispose soltanto
con un rantolo di piacere, semplicemente inebriato dal contatto con quell’epidermide calda che, rispetto alla sua mezza
ibernata, pareva rovente e sprigionava un tepore assolutamente sublime; poi
aggiunse, mugugnando:
-Non è colpa mia se ti fai fregare
così, sei davvero senza speranza.
-Fai poco lo splendido e ricordati
che il tempo limite è di due minuti- fece Tsubasa,
cercando di dare comunque un tono perentorio alla
propria voce nonostante stesse quasi battendo i denti, mentre sentiva le sue
mani che gli percorrevano in lungo e in largo la schiena e le spalle. Si malediceva
ogni secondo di più per aver accettato di sottostare alle regole di quell’assurdo gioco, da cui non aveva ricavato, fino a quel
momento, alcun tipo di beneficio.
-Mmmhssì, che bel calduccio- Fu l’unica
cosa sensata che quello riuscì a rispondere, trovandosi ormai prossimo all’estasi.
-Guarda che te le stacco quelle
manine, ma non sei capace di tenerle ferme nello stesso punto?- Sbottò il capitano, rabbrividendo. E
non solo per il freddo.
-Epperchè?- Esclamò candidamente l’altro,
guardandolo con aria innocente. –Così mi scaldo meglio, no?
Sì certo, come no, pensò lui. Era
tutta la sera che non faceva altro che cadere vittima delle sue avances più o meno spudorate, di cui quella bizzarra morra cinese non era che la punta dell’iceberg, peccato che non fosse davvero giornata. Si sentiva a dir poco
spossato dopo la partita d’allenamento disputata nel pomeriggio, mentre Tarō, al
contrario, sembrava più ringalluzzito del solito e non c’era dubbio che fosse
mosso da certe sane pulsioni, dal
momento che ci stava provando alacremente in tutti i modi. Ma
per quella volta proprio non ce ne
sarebbe stata manco mezza.
Almeno, di ciò era stato
fermamente convinto fino a poco prima, ma i pensieri coerenti non erano una sua
peculiarità fissa, specialmente se c’era di mezzo lui. Se continuava così, poteva anche
darsi che avrebbe raggiunto il suo scopo facendogli cambiare idea.
Comunque, intenzionato almeno a fare un tentativo per non dargliela vinta e
preservare un minimo di autorità, gli disse, cercando di sottrarsi alla sua
presa stritolante ma al contempo terribilmente sensuale:
-Senti, apprezzo molto il tuo
impegno squisito, ma oggi non ce la posso fare. E poi
i due minuti sono passati, per cui vedi di scollarti!
Attese qualche secondo per dargli
il tempo di recepire il messaggio, ma per tutta
risposta gli si avvinghiò ancor più stretto, in perfetto stile boa constrictor.
Tsubasa alzò gli occhi al cielo, già immaginando come
si sarebbe conclusa la cosa.
-Di solito sei sempre così accondiscendente,
buono e caro, che ti piglia stasera? Se mi stringi un
altro po’ finirò col soffocare- Insistette, facendo un po’ lo gnorri per
stuzzicarlo.
Forse, forse, se glielo avesse chiesto in un certo modo chissà, avrebbe
anche potuto smettere di essere così recalcitrante.
-Non fingere di non sapere cosa
avrei voglia di fare, lo so che non sono l’unico ad avere certi pensieri per la
testa.- Rispose placidamente l’altro, ammiccando verso
le sue parti basse. Tsubasa biascicò un “indovina per
colpa di chi” e cercò nuovamente di divincolarsi, ma Tarō lo immobilizzò
salendogli a cavalcioni e schiacciandogli la cassa
toracica col suo peso. Si abbassò verso il suo viso e, prendendogli il mento
fra due dita, lo guardò fisso negli occhi con uno sguardo che di buono e caro non aveva proprio niente, aggiungendo con voce roca:
–Ti devo violentare, o preferisci essere
consenziente? Scegli quale delle due opzioni è la tua
favorita.
Con un sospiro di rassegnazione, dovette
convenire che quella mefistofelica acqua cheta giusto solo in apparenza sapesse
esattamente come ottenere ciò che
voleva da lui. Perciò, con uno scatto degno
dell’atleta che era, invertì rapidamente le parti e gli ricambiò la cortesia,
accomodandosi poco gentilmente sulle sue costole.
-Questa cosa comincia ad
assomigliare più ad un incontro di catch- ridacchiò
Tarō col fiato corto, un po’ per l’eccitazione un po’ perché faceva
davvero fatica a respirare a causa del dolce
peso del compagno, che non accennava a volersi spostare dalla sua
confortevole postazione privilegiata.
-Hai voluto svegliare il can che
dorme? Vediamo chi sarà ad essere violentato, stasera- rispose
ironicamente l’altro, ghignando. Però il numero undici, che
stava rischiando di restare in debito dossigeno, si ribellò e fece partire il
contrattacco, colpendolo con un manrovescio sul collo. Da lì in poi iniziò a
fioccare tutta una serie di amabili cazzotti, tra
risate ed imprecazioni varie, e quel poco di atmosfera che si era creata andò
bellamente a farsi benedire.
-Ahio scimunito, mi fa male lì!!- Ululò Tsubasa quando Tarō,
nella colluttazione, gli urtò inavvertitamente la caviglia destra. Infatti, durante gli allenamenti pomeridiani, era stato
falciato da uno dei tipici interventi eterei
del sempre leggiadro Makoto “guanti di velluto” Sōda, non a caso definito l’Ammazzacampioni, che oltre a fregargli la palla
probabilmente aveva provato anche a portarsi a casa il suo stinco.
-Oh, scusami…vuoi che ci dia un
bacino sopra per farti passare la bua?- Esclamò
ridendo l’altro, al che il capitano rispose, attirandolo a sé per il bavero
della camicia:
–Prova solo ad avvicinarti e ti
stampo l’impronta del mio piede sulla faccia.
-Chi è che si sta avvicinando? Mi
stai dicendo questo mentre ti sei portato ad un
centimetro dal mio viso, mi pare…- replicò lui, lanciandogli uno dei suoi classici
sorrisi disarmanti a cui difficilmente riusciva a resistere. E
difatti non avrebbe resistito, se non fosse stato interrotto dal proprio
cellulare che, stavolta, vibrò veramente e pure piuttosto rumorosamente,
facendoli sobbalzare.
Tsubasa si allungò di malavoglia verso il
comodino e afferrò l’oggetto, cambiando espressione non appena lesse il nome
della persona che lo stava chiamando.
Tarō intuì al volo di chi si
trattava e sbuffò impercettibilmente.
Sanae.
Che piattola, pensò lievemente
stizzito. Non era la prima volta che si ripeteva una situazione del genere, ed
iniziò seriamente a prendere in considerazione l’ipotesi che quella benedetta
ragazza avesse un sesto senso innato per certe cose.
Mentre il capitano parlava allegramente
con lei, usando un tono di voce inusitatamente più alto, Tarō
scrutava l'espressione beota che aveva assunto, a braccia conserte e vagamente accigliato, perché ultimamente si
era reso conto di sopportarla sempre meno. Ma, d’altra
parte, non poteva lamentarsi, perché aveva accettato lui di mettersi in ballo, sottostando a quelle condizioni,
ed ora doveva ballare, facendo buon
viso a cattivo gioco.
Purtroppo, i suoi stoici propositi
traboccanti di pazienza certosina crollarono miseramente
quando lo udì chiamarla “amore”;
per un millisecondo il sangue gli salì alla testa, e
cadde preda di una reazione che non si aspettava lui stesso in primis.
Esternò la propria collera esibendosi in un elegante tuffo carpiato, con il quale gli franò “casualmente” sulla caviglia ingiuriata,
costringendolo a lasciare la frase a metà per lanciare un urlo di dolore che
fracassò i timpani alla poverina dall’altra parte del filo.
-Che succede?!-
Trasalì lei allarmata, ma lui non rispose subito, troppo occupato a stringere i
denti e a massaggiarsi la parte offesa. La prima cosa che disse appena rientrò
in possesso della facoltà di parola fu una sequela di improperi
rivolta all’autore del misfatto, che si giustificò alzando le spalle ed
esclamando, con aria angelica:
-Chiedo venia,
sono
inciampato.
Tsubasa lo minacciò sventolandogli il
pugno chiuso sotto il naso e gli lanciò un’occhiata assassina, consigliandogli
di iniziare a pensare a cosa volesse incidere sul suo epitaffio, poi si decise
a raccontare l’accaduto a Sanae, ancora in attesa di una spiegazione.
-Tutto ok,
è solo quell’imbecille di Tarō che è inciampato da seduto sulla mia caviglia ferita oggi
agli allenamenti.
-Da seduto? Oddio, certo che sta proprio messo male- ridacchiò lei divertita, immaginando
le solite zuffe goliardiche da ritiro.
-Dice che stai messo male- riferì perfidamente Tsubasa, e Tarō
replicò, ancor più perfido: -Starò anche messo male, ma intanto io sono qui con te, mentre lei non c’è. Sanae
cara, attenta che te lo rubo!
Non era la prima volta che i due si ritrovavano a scherzare in quel modo sulla questione, anzi, da qualche
tempo a quella parte avevano preso a farlo piuttosto spesso. Sanae se la rideva beata, lontana anni luce anche soltanto
dall’avere la più pallida idea che nelle sue parole si potesse
nascondere un consistente fondo di
verità, e Tarō scaricava con ironia la frustrazione di dover vivere
costantemente nell’ombra. Era una specie di tacito accordo, solo che una delle
due parti non era esattamente a conoscenza di tutte le clausole del
contratto.
Tsubasa, che iniziava
ad innervosirsi per la piega che stava prendendo la conversazione, si affrettò
a tagliare corto e la salutò, buttando lì che fosse ora di andare a dormire
perché era veramente stanco. Anche Sanae
riagganciò, dopo avergli fatto le immancabili raccomandazioni per la caviglia
infortunata ed aver salutato Tarō.
In realtà, il capitano non vedeva
l’ora di trucidarlo per il male che gli aveva fatto con la sua rovinosa caduta
e, non appena ebbe riposto il cellulare, si avventò sul compagno che stava
cercando di scappare, bloccandolo per la collottola.
-Meno male che
con te posso anche andarci pesante- frecciò –non come
quando mi azzuffo* con Sanae. Cos’è, sarai mica geloso?
-Ah, e poi sarei io il bastardo dentro
dei due…- rispose lui punto sul vivo, perforandolo con
lo sguardo. –E comunque ti chiedo scusa se ti ho fatto
male, non era mia intenzione.
-Ah, no? A me è sembrato, invece.
Si può sapere che ti prende? Sei strano, stasera.
Tarō lo guardò con
un’espressione di compatimento dipinta sul volto. Possibile che non ci fosse
ancora arrivato? Scosse la testa subito dopo aver formulato quel pensiero,
sorridendo amareggiato fra sé e sé.
Sì, trattandosi di Tsubasa era decisamente possibile. Perfino normale.
-Lo so che di solito sono più
garbato- sospirò, ancora incerto se deporre o meno le
armi –ma non ci ho più visto quando l’hai chiamata amore. Ti sembra così assurdo? Capita anche a me di avere delle
reazioni di pura rabbia eruttiva, malgrado normalmente
non mi succeda.
Sentendo quella dichiarazione, il
capitano si grattò la nuca e replicò, serafico:
-Ah, è stato solo per quello? Ma dai, l’ho fatto senza pensarci.
Dopotutto gli credeva, sapeva che
non lo faceva apposta; apprezzava sia i pregi sia i difetti in lui, compreso
quel suo essere così deliziosamente
svampito.
C’erano, però, occasioni in cui l’avrebbe semplicemente preso a testate sui denti.
-Ascolta, piccolo Tsubasa- incominciò, esprimendosi come se dovesse parlare
ad un bambino di tre anni –accetto che tu “l’abbia fatto senza pensarci”, però vedi, ti chiederei di rifletterci un po’
meglio la prossima volta. Tu capisci vero, che possa
avermi dato fastidio?
Tsubasa alzò gli occhi al cielo e
ribattè, sbuffando:
-Massì, che capisco. E comunque
tu sei davvero un fenomeno.
Tarō lo guardò interrogativo.
-Sono la parte lesa in questa
storia, e quanto adesso mi faccia male la caviglia lo so solo io, ma tu, con i
tuoi contorti ragionamenti machiavellici, riesci pure a farmi chiedere scusa facendomi sentire in colpa. Mi fai quasi paura.
Il numero undici ridacchiò, deciso
comunque a non lasciar cadere così la questione.
Nossignore, gliel’avrebbe menata
ancora per un po’. Aveva diritto anche lui a prendersi una piccola rivincita,
dopotutto.
Sfoderando un insospettabile
cipiglio da guerrigliero, in un attimo lo stese a faccia in giù sul letto sedendoglisi sulla schiena, usando una mossa piuttosto
goffa da karateka dei poveri, che doveva aver appreso
direttamente da Ken.
Si abbassò fino a raggiungere il
suo orecchio e gli sibilò, mellifluo:
-Fai bene ad aver paura, perché
stavolta sopra ci sto io.
~END…?~
AMENE ANNOTAZIONI SUPERFLUE:
*Ebbene
sì, questi ragazzi talvolta si azzuffano per dimostrarsi amore reciproco. Alzi
la mano chi non l’hai mai fatto in gioventù nel
periodo del corteggiamento, e talvolta anche dopo (come la sottoscritta xD)
QUI
ho provveduto a fare qualcuno dei miei soliti scarabocchi ispirati alla "trama" di questa ff.
Un grazie anticipato a tutti coloro che leggeranno e che eventualmente, mossi a compassione,
lasceranno un commentino.