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Autore: Rota    08/01/2016    2 recensioni
In una società come la loro, credere nel destino è abbastanza facile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Choe Gu-Sung, Shogo Makishima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nome autore: Rota
Titolo storia: Somewhere I Belong
Pacchetto scelto: Persona
Fandom: Psycho Pass
Personaggi: Makishima Shogo, Choe Gu-Sung
Pairing: ChoeMaki
Introduzione: In una società come la loro, credere nel destino è abbastanza facile.
Credits: Somewhere I belong, Linkin Park
Generi: Introspettivo
Avvertimenti: Shonen ai, Missing Moment
Un grazie in particolare a_sonder che si è sorbita le mie crisi isteriche dell'ultima ora (L)
Partecipa al contest indetto da Mokochan sul forum di EFP "Per ogni kanji un pacchetto di sorprese!"
Note dell’autore: Mi sono riguardata la serie di recente, giusto per essere sicura di non fare troppe castronerie xD Ho notato una cosa in particolare, nell'unico dialogo canonico che i due personaggi che prendo in esame si scambiano, ovvero il loro desiderio di “essere normali e di vivere una vita normale”. Su questo concetto e su quello scambio di battute si basa, essenzialmente, tutta la mia storia.
Un paio di parole per quanto riguarda Gu-Sung. Stando a ciò che riporta la Wikipedia inglese, nella versione anime di PP lui è scappato dalla guerra in Corea assieme alla propria famiglia quando era ancora un bambino piccolo; in questo contesto, i suoi occhi hanno subito una grave ferita ed è stato necessario sostituirli con qualcosa di artificiale. Questo giusto per giustificare alcune delle mie scelte lessicali quando parlo dei suoi occhi in particolare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Somewhere I Belong

 

 

 

 

 

I want to heal,
I want to feel,
What I thought was never real,
I want to let go of the pain Ìve held so long,
(Erase all the pain 'til it's gone),
I want to heal,
I want to feel,
Like Ìm close to something real,
I want to find something Ìve wanted all along,
Somewhere I belong

 

 

 

In una società come la loro, credere nel destino è abbastanza facile.
In quanto concetto che rimanda la responsabilità di tutto a un fattore esterno e che priva di colpa e di salvezza i soggetti protagonisti, si può applicare a quello che è in ultima analisi il Sybil System, o al suo significato di base che non sfugge alle coscienze. La voce dell'oracolo non esprime direttamente un giudizio di valore, ma analizza e proclama una realtà dei fatti ineluttabile, che non può essere modificata – sono poi gli uomini, sacerdoti di questa verità oggettiva, che applicano una valutazione e quindi anche tutte le sue conseguenze, dal confinamento a vita in una cella di isolamento alla morte diretta senza possibilità di ricorso.
Desideri e aspirazioni si allineano su un percorso già tracciato in precedenza, finendo nell'appiattirsi in una giustificazione continuata che viene data a priori, in quanto le possibilità dello sbaglio e del fallimento vengono annullate per la risoluzione definita migliore per tutti.
Un sistema molto poco umano, per confinare un'umanità troppo sensibile con le potenzialità di autodistruggersi per un nulla irrilevante.
E come ogni sistema chiuso da regole intransigenti trema forte alla piccola scossa di un'anima luminosa, in grado di evadere ogni logica meccanica analizzante.

 

 

Nascosto entro mura buie, Gu-Sung apre gli occhi.
Il corpo intorpidito da un breve sonno profondo tarda a reagire ai suoi comandi impliciti, e le sue braccia si portano con una certa difficoltà fuori dalle lenzuola, a tastare un posto vuoto non distante da dove si trova il resto del proprio corpo. Shogo si è già alzato.
Respira più profondamente, senza il timore di svegliare nessuno. Alzare il proprio viso dal cuscino gli rende la testa pesante e le guance piene di sbadigli; recupera i pantaloni con una certa lemma, lasciando però il busto nudo, scoperto al tepore indotto in modo meccanico nell'appartamento.
In quel posto, solo due occhi umani possono vederlo.
La sonnolenza lo porta a dirigere il passo oltre il corridoio silenzioso e ignorare il piccolo locale che fa da zona pasto della discreta dimora, così da volgersi direttamente verso l'unica stanza occupata dal secondo ospite.
Il bagno è illuminato dalla stessa luce artificiale del resto della casa, bianca e ben forte. Gu-Sung si esprime in una smorfia, a rispondere a quello sguardo divertito dal suo disagio.
-Non hai una bella cera.
Davanti al piccolo specchio sopra il lavandino, Makishima ha la schiuma da barba appesa a tutta la parte inferiore del viso, un piccolo coltello lucente in mano e mezzo sorriso nascosto, i capelli lunghi tenuti in un laccio morbido – le sue parole si riferiscono alle borse sotto gli occhi del compagno, difficili da mascherare o nascondere. Non indugia neanche un secondo sulle cicatrici del suo corpo, perché già ci si è soffermato altre volte, e spesso ha potuto esprimere il proprio parere a riguardo.
La sua storia passata è appena poco più originale di molte altre.
L'uomo si aggiusta con un gesto della mano i capelli sfatti, e dal momento che è già alzata allora ne approfitta per porgerla verso Shogo e prendergli, delicatamente, il coltello dalle mani. Lui non fa resistenza, lasciando che l'oggetto scivoli via dal suo palmo.
Parla piano, ancora impastato di sonno.
-Ho fatto un sogno.
Shogo è sempre curioso, per quanto mostri di rado uno sguardo luccicante di aspettativa. La sua mente brillante lo rende sensibile a tutto ciò che può essere definito umano, e qualcosa di così intimo come quello non può che essere, per lui, un buon soggetto di argomentazione.
-Te lo ricordi?
-Vagamente, devo dire. So solo che non era molto bello.
-Mi dispiace, fare incubi non è mai piacevole.
Anche l'altra mano sale, al collo di lui, per indirizzargli con delicatezza il viso in una precisa direzione: rimane sopra il lavabo, senza il pericolo di sporcare per terra, quando comincia a far scorrere con lentezza la lama fredda sulla pelle della guancia, appena distante dalle meningi.
Anche la voce di Shogo è piacevole, si incrina solo a una paziente osservazione.
Primo pezzo lavato. Gu-Sung apre l'acqua del rubinetto e sciacqua il coltello, per offrirlo di nuovo pulito al viso del proprio compagno.
-Tu, invece? Hai dormito bene?
-Abbastanza. Non mi ricordo nulla.
-Immagino che possa essere positivo, da un certo punto di vista.
Mento lindo, come se non avesse mai visto barba. La peluria di Shogo non è particolarmente ispida, essendo comunque lui un degno appartenente all'etnia asiatica, e quando gli ha confidato di essere un po' insofferente alla sensazione di prurito che gli regala una guancia barbuta, Gu-Sung ha sorriso sincero. Non altro che un dettaglio irrilevante di lui, caro e prezioso come pochi.
Non si è accorto di essersi avvicinato alla sua persona, così concentrato dai gesti che sta compiendo da far volare le parole leggere, quasi non avessero un preciso significato. I suoi occhi lo analizzano, il cervello rielabora: un perfetto connubio tra il meccanico e l'umano, dove la sensibilità è solo incanalata in maniera artificiale in quanto informazione pura.
-Insegui un sogno già da sveglio, non mi stupirei se non sognassi di notte.
Shogo si lascia guardare da quegli occhi. Si fida abbastanza da sapere di non essere in pericolo, neppure quando il pollice di Gu-Sung preme appena contro la sua gola, in un contatto che non riesce a definire con precisione. Non importa più di tanto: non morirà in quel luogo, né per mano sua, e questa costante razionalità è come al solito il suo macigno personale.
Fa un gesto con la mano, a indicare il vuoto attorno a sé.
-Questo.
Gu-Sung si ferma, aspettando ciò che lui ha da dire. Sospende persino il pensiero e il fiato, rimanendo in attesa.
Shogo ha la bocca libera dalla schiuma, mostra lo stesso un sorriso gentile, quasi accondiscendente e paterno, che non sembra arrendersi a un'illusione da placebo. Si scioglie i capelli, che finiscono con l'impiastricciarsi con quel che rimane di bianco sulla sua pelle, appesantendo un poco le punte fragili.
Si guarda allo specchio prima di chinarsi in avanti per ripulirsi la faccia con l'acqua fresca.
-Sembra l'imitazione di un sogno.
Tra il rumore del getto che viene interrotto e quello delle mani che lavorano per togliere ogni residuo, ci sono anche le sue parole calme, che assomigliano a un mantra o a un'evocazione religiosa alle quali essere devoto.
A Gu-Sung fa sempre uno strano effetto, specialmente vederlo in una condizione del genere.
-La calma intorpidisce i sensi, e fa lavorare l'immaginazione passiva come se fosse un rigurgito della coscienza.
Recupera un asciugamano e finisce la propria opera. L'uomo ripone il coltello ancora nelle proprie mani sul bordo del lavabo, anche quello bianco. Non c'è miraggio artificiale che li salvi dalla concretezza delle cose, perché Shogo non lo sopporta e preferisce di gran lunga qualcosa di piatto ma vero – e lui certo non vuole vedere più fandonie con i propri occhi, solo reale orrore virulento.
Lo canzona appena, con il suo fianco che quasi lo tocca, sfiorandolo all'altezza del ventre.
-Non è forse la normalità a cui tanto aneli, Shogo?
Le sue labbra non abbandonano mai il sorriso sardonico, neppure quando si rialza dopo aver terminato la propria operazione. Liscio come al solito.
Non è mai riuscito a sporcare, volutamente o meno, l'integrità del suo corpo, e Shogo s'è guardato bene dal pretendere uno slancio da lui che non fosse naturale nella sua totalità. Di fondo, l'andare al di là del semplice affetto e della educata empatia è qualcosa che non potrebbero comunque permettersi ancora, e quindi non osano.
Non sono sullo stesso piano concettuale, sebbene l'interesse verta su medesimi punti in comune – la comunicazione parte da questo presupposto e si innalza con parametri tutti suoi, liberi da preconcetti. Il fatto che siano riusciti ad accettarsi e a volersi, nonostante le differenze di base, è la forza del loro singolare legame.
Ed è per non tradire questo, come neppure il proprio spirito e la propria essenza, che Shogo rimane coerente con se stesso. Non scenderebbe a patti soltanto per barattare il proprio credo con qualcosa di più veloce e consumabile.
-Qualcosa del genere, ma non abbastanza.
-Non ti accontenti.
-Non è certo per questo che abbiamo cominciato tutto.
Lo sfiora con lo spirito, oltre che col corpo. Lasciandolo con questo genere di pensieri e di sensazioni, si allontana da lui ed esce dalla piccola stanza; unica traccia di sé, l'odore di menta che ha appiccicato sulla pelle, lieve giusto per stimolare l'olfatto ma non di più.
Tutto senso.
A Gu-Sung non resta altro che sorridere pacato, e mascherare l'imbarazzo dell'ulteriore seduzione con l'ennesimo gesto della mano tra i capelli, la stanchezza e il torpore passati.
-Come sempre, hai ragione tu.
Lo raggiunge con passo calmo, trovandolo comunque di schiena e lo sguardo rivolto oltre la propria spalla, nella sua direzione.

 


Gu-Sung si ritiene fortunato: dotato di un'intelligenza particolare, seppur non eccelsa, ha avuto l'occasione di sporcare il proprio Psycho Pass con una rivelazione che l'ha reso finalmente abile al desiderio più umano possibile. Quello della libertà totale dell'essere.
Uomo in terra straniera, dalla mente perversa per una società a cui non ha mai davvero appartenuto, menomato dai crimini altrui. La sua condizione è particolare, almeno quanto quella della sibilla a cui ha deciso di votarsi con piena coscienza. Camminare accanto a quella persona, con il rischio di abbagliarsi o scottarsi, esplodere tutto o rimanere di nuovo cieco, è ciò che il suo cuore vuole.
Non è diverso da tanti altri a cui quell'oracolo particolare si è rivolto, per quanto lui possa dirsi un ospite di riguardo all'interno di un progetto immenso che comprende tutti loro.
Ha un luogo che può chiamare proprio, e il sentiero in sordina che ha tracciato con piedi e mani che appartengono non altro che a lui. L'orgoglio di essere un lestofante con consapevolezza e ritegno, coerente con il proprio desiderio.
Anche se a volte basterebbe approfittare dell'insonnia normale, di tutti i giorni, per strangolare l'uomo con cui condivide il letto ma nessun atto sessuale, e stringere le mani attorno al suo collo morbido per concludere il tutto. Incubi e sogni in un battito mancato del cuore. Preservare quel genere di fragilità, tipica degli dei e dei loro messaggeri, è il compito perfetto per un essere umano completo.
Non ambisce ad altro.

 

 

 

I will never know,
Myself until I do this on my own,
And I will never feel,
Anything else until my wounds are healed,
I will never be,
Anything 'til I break away from me,
And I will break away,
Il find myself today.

   
 
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