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Autore: solomonty    10/01/2016    7 recensioni
È andato via e non tornerà indietro.
Ha corso tutta la notte per raggiungere quel posto.
È stanco e ferito.
Stringe una fotografia tra le mani.
Quello che sta per vedere gli toglierà il fiato.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daryl Dixon, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Otto minuti

 

Cerca di stirare la foto strusciandosela sulla coscia: l’ha tenuta in tasca talmente tanto tempo che ha i bordi tutti consumati. Se l’avvicina alla faccia per guardarla meglio e accenna un sorriso: se anche non fosse per i bordi bastano le pieghe che spaccano la superficie in vari punti a renderla consunta.
Se fosse un uomo emotivo, quello che gli è uscito dalla bocca sarebbe un sospiro ma Daryl Dixon non è un uomo emotivo e ha appena sbuffato, bofonchiato o grugnito.
Si siede per terra con la schiena appoggiata a un masso, la balestra come sempre al suo fianco, e guarda avanti a sé. Aspetta tranquillo e non ci pensa minimamente a girarsi: ormai non serve più; non si alzerà più per scoccare una freccia in fronte a un vagante né dovrà farlo per difendere qualcuno.
Ha deciso di essere da solo in quell’occasione definitiva ed è stato accontentato.

 

“Posso venire con te?” aveva chiesto Carl girandosi a guardarlo.
“Non te l’hanno detto che quando si pesca si sta zitti?” gli aveva risposto Daryl snobbando la domanda.
“Perché vuoi partire stasera?” il ragazzo era stato veloce nel parlare come a non dargli tempo per pensare; “perché proprio stasera e non domani?”
“Domani non sarebbe lo stesso” aveva grugnito senza aggiungere altro. Subito dopo aveva accennato un sorriso, quasi a scusarsi per il modo e Carl aveva ricambiato.
“Abbiamo affrontato tante cose, insieme… potremmo anche questa…” il tono era sommesso, la voce quasi un sussurro.
“I pesci, Carl.” Il dito puntato verso il fiume e poi sulle labbra a suggerirgli di stare zitto.
Era stato un bambino, il figlio di Rick, ma quel pomeriggio era un giovane uomo che stava in compagnia di uno dei suoi più cari amici, per passare insieme a lui le sue ultime ore nel loro gruppo.
Non visto si era passato la manica della camicia sugli occhi ad asciugare un inizio di lacrima; “mi rode che questo sia un addio, Daryl!” La voce gli era uscita come fosse un lamento.
“Perché non cerchiamo di portare a casa la cena?” la sua, di voce, era quasi stufa, invece.
Il giovanotto aveva alzato le spalle; conosceva molto bene l’amico: non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea; tanto valeva adeguarsi.
“Vada per la cena” aveva sospirato notando la smorfia divertita di  Daryl alla sua resa.
Carl sapeva per certo che i pesci non erano necessari, per la cena, e che quel tempo che aveva a disposizione con il suo amico non si sarebbe ripetuto. All’improvviso aveva sorriso perché Daryl era lì e aveva scelto lui per passare il tempo che restava prima della partenza: non era stato con Rick né con Carol né con Michonne o Glenn e Maggie, ma con lui. E non era importante se non si stavano scambiando pensieri profondi o segreti impronunciabili; non era necessario parlare di quello che stava accadendo e della decisione di Daryl di affrontare da solo quel viaggio senza ritorno.
Carl aveva imparato che facilmente poteva non esserci domani e che tutto poteva finire con un morso o con un parto; che l’unica cosa vera, nell’immediato, era l’adesso, l’istante, ora.
Non si stava chiedendo come sarebbe stato il suo futuro senza Daryl, ci avrebbe pensato domani; alzare gli occhi e guardarlo pescare con quel suo gilè consunto e sporco, dalle ali stanche ma bianche, beh, ecco… quello contava, solo quello. Erano lì, loro due e nessun altro.

                       
Ancora guarda la foto tirando su un lungo respiro. Allunga la gamba e la massaggia: fa un male cane, ma non si è lasciato fermare.
Stira il collo scrocchiandolo un po’; il viaggio è stato lungo e la moto non è proprio comoda ma voleva essere lì in quel momento e non ha potuto fare soste.
Il tessuto dei pantaloni è sporco di sangue all’altezza della ferita e con disappunto si schiaffeggia la gamba. Pensa alle cure attente e affettuose che Hershel sapeva dare e a un bel calcio in culo che sicuramente gli avrebbe rifilato Merle intimandogli di smettere immediatamente di fare il cacasotto.
Con gli occhi all’orizzonte Daryl guarda il cielo cambiare colore e diventare viola e poi viola più chiaro che sta diventando arancio.

 
“Otto minuti” aveva detto Beth.
“Otto minuti?”
“Sì, è il tempo che ci impiegano i raggi del sole ad arrivare sulla Terra.”
“Ti preferisco quando vuoi ubriacarti a quando fai la maestrina.” Da bravo arciere le aveva scoccato quella frecciatina per infastidirla.
“Punzecchiami, dai, fa' pure lo spavaldo; in ogni caso non sei stato in grado di approfittarne…” la frase lasciata a mezz’aria, detta con tanta ironia e malizia.
“Stupida, sarebbe stato facilissimo” tanto quanto era stato facile risponderle in quel modo.
Beth si era girata a guardarlo con quel cipiglio un po’ sexy che sapeva fare.
“Facilissimo? Sei sicuro?” ancora una domanda ironica che nascondeva ansia e curiosità.
“Facile come mirare alla testa di uno zombie e aprirgliela in due come un cocomero” le aveva risposto cercando di non ridere della propria battuta.
“E allora perché, no?” la Beth ragazzina aveva parlato al posto di quella che si era atteggiata a donna fino a un attimo prima.
“Sei un po’ ubriaca e parli a sproposito” aveva borbottato, già stufo di tutte quelle parole.
“Perché, no?” aveva chiesto ancora, puntigliosa.
“Perché fai queste domande da adolescente brufolosa in caccia di guai, ecco perché.”
“Non sono un’adolescente brufolosa, però; quindi, quando?”
Lui aveva abbassato la balestra che teneva sulla spalla, con un gesto svelto e spazientito; “quando tutto sarà finito” aveva tagliato corto sperando che la smettesse con quelle domande.
Beth aveva soffiato aria con rassegnazione; era divertente parlare con Daryl in quel modo, più che altro perché si chiudeva a riccio in difficoltà e cominciava a borbottare nel suo solito modo ruvido. Giocare con lui significava stare alle sue regole, però: quando diceva basta, era basta!
Si era sfilata la foto dalla tasca posteriore dei pantaloni e gliel’aveva mostrata.
“Quando tutto sarà finito ti porterò a vedere un’alba come questa e conteremo gli otto minuti” aveva detto in un tono che non ammetteva repliche.
Poco dopo erano arrivati alle pompe funebri e i loro discorsi erano diventati altri. Tutto era finito in una manciata di minuti concitati: i vaganti e la frettolosa corsa a guadagnarsi l’uscita; il dirle di scappare e aspettarlo fuori. L’auto nera con la croce sul lunotto ci aveva messo qualche secondo a portare via Beth e lui si era ritrovato con uno zaino abbandonato in terra, il respiro spezzato e il terrore nel cuore.
Il momento in cui Daryl l’aveva rivista viva era durato meno di niente e di quello che avrebbero potuto sperimentare insieme non era rimasto nulla.
Aveva trovato la foto nello zaino e se l’era infilata in tasca senza dire niente a nessuno.

 

Il mare è piuttosto calmo, riflette il rosa del cielo; le creste delle piccole onde leggere, che si infrangono sulla battigia, sono brillanti e lo rendono guizzante di vita e ciarliero. Lontano, all’orizzonte, un paio di pescherecci stanno tornando a casa col loro carico.
Sarebbe facile commuoversi, ma Daryl non lo fa; non c’è da essere languidi, lui non lo è. Potrebbe dire che non se l’aspettava tanto bella, l’alba, ma dare per scontata questa meraviglia non facilita il momento.
Ride un po’ perché ha passato tutta la notte in sella alla moto e gli fa male il sedere; la brutta ferita alla gamba non gli dà tregua, ma non se ne cura; non ora, almeno: ci sarà tempo più tardi.
Ha leggeri brividi sulle braccia nude; fa fresco come era prevedibile.
Si guarda intorno ed è solo a perdita d’occhio. Non è pentito della propria scelta anche se non è più abituato alla solitudine. Forse Carl non aveva torto, forse poteva affrontare in compagnia tutto questo; ci pensa per un attimo ma è davvero solo un momento. Scuote impercettibilmente la testa e pianta gli occhi all’orizzonte. Quello che sta succedendo riguarda solo lui.


La pesca era stata fruttuosa e Daryl si era scoperto particolarmente contento di aver contribuito alla cena.
Gli altri sapevano che alla fine di quella serata sarebbe partito per non tornare ma nessuno aveva più tentato di dissuaderlo; era desiderio di ognuno godersi la sua compagnia e non era più tempo di domande e curiosità.
Aveva chiacchierato a mezza bocca un po’ con tutti: capiva la voglia che i suoi amici avevano di stare in sua compagnia perché per lui era la stessa cosa, anche se era arrivato a un punto che sentiva necessario andare via. 
Immagini, suoni, volti, odori si accavallavano uno su l’altro senza un attimo di tregua. Come flash nella sua mente – bastava un rumore, un espressione facciale, un sentore nel naso – tornava tutto reale, come se si stesse svolgendo in quell’istante: come avevano tintinnato le manette che Merle aveva lasciato attaccate alla tubatura, insieme alla propria mano e l’odio che aveva sentito verso tutti e l’odore della polvere in quell’arena del Governatore del cazzo a lottare contro quel fratello bestia e il rosso di quel buco che Merle aveva nella pancia, che l’aveva trasformato e che aveva costretto lui a ucciderlo;
poi l’agonia negli occhi di Dale che certo non si aspettava di morire quel giorno qualunque e per mano sua;
l’odore orribile e terribile che c’era nel mattatoio di Terminus, dove per un niente non erano diventati hamburger;
e il rumore sordo dell’ascia o quello cristallino della bottiglia di whisky che aveva infranto contro le porte blindate di quel pazzo del dottor Jenner, quando voleva decontaminarli – tutti infettati, tutti zombie ancora in buona salute.
Si era voltato a guardare Carol che stava friggendo il pesce dopo averlo rigirato nella farina e in un attimo erano fuori dal fienile di Hershel con lei che gridava disperata e la maglietta blu di Sophia era tutta sporca e i suoi capelli arruffati e poi lo sguardo consapevole di Rick: lui aveva perso la ragazzina, lui doveva abbatterla; era sua e niente sarebbe stato più uguale.
All’improvviso la mano paffuta di Judith si era appoggiata al suo braccio ed era stato salvato da tutto quel dolore e aveva sorriso alla sua Spaccaculi. I piccoli passi erano ormai spediti e, come attirata da una calamita, la bambina andava sempre ad abbracciarlo certa che lui non l’avrebbe respinta mai.
Si era chiesto che donna sarebbe diventata e, come faceva spesso, l’aveva abbracciata passandole la mano callosa sui ciuffi castani; aveva incontrato lo sguardo di Carl e si era reso conto che loro due gli sarebbero mancati moltissimo.


Manca poco, davvero poco e se fosse un uomo sentimentale potrebbe essere emozionato, ma non lo è. O forse sì, ma non lo saprà mai nessuno e a lui va bene.
La notte sta cedendo il passo al sole nascente in uno spettacolo di ineguagliabile bellezza e il dolore di quella brutta ferita che si è fatto col filo spinato è diventato meno di un pizzicore.
Sono passati tre anni dalla morte di Beth; tre anni proprio oggi ed è davvero tutto finito: l’infezione è regredita tanto velocemente come è arrivata; le comunicazioni ancora rare ma ripristinate; i vaganti pressoché sterminati e i pochi ancora vagabondi vengono rastrellati e internati in appositi campi e l’uomo sta ricominciando a essere un animale civile.
Non fa per lui una vita incasellata, ordinata, prestabilita; non per il solitario cacciatore che è. Per questo ha deciso di andarsene per la propria strada.
Il primo atto della sua nuova vita è quest’alba fantastica che avanza inesorabile, fresca e potente; magnifica proprio come quella della foto.
Questo è il giorno zero dal quale ricominciare, per i giorni che seguiranno; quest’alba, per tutte le albe che verranno.
Lentamente tira fuori il pacchetto miseramente acciaccato. Guarda l’orologio e poi l’orizzonte. Con le dita cerca di dare una forma dritta, affusolata, a carta e tabacco e con un gesto svelto scoperchia lo stoppino, il pollice spinge a far ruotare la ghiera e con un lungo respiro si accende una sigaretta.
Ancora guarda l’orologio, di nuovo l’orizzonte; accartoccia la fotografia e grugnisce: “otto minuti hai detto? Ok, contiamoli!”





Era un sacco di tempo che meditavo una fanfiction per “The Walking Dead” senza decidermi a farlo davvero.
Il contest per il quale questa storia è stata scritta è fermo in un limbo ma voglio comunque ringraziare Giacopinzia 17 per l’opportunità. Quando col pacchetto segreto mi è arrivata quella foto con l’alba è stato tutto chiaro: avrei preso il mio preferito, Daryl, e l’avrei posizionato di fronte allo spettacolo più bello del mondo.
Un sentito grazie alla Bi: si è rivista tutta la serie alla velocità della luce per rassicurarmi su alcuni dubbi. Ti voglio tanto bene, figlia, lo sai?
Alla prox.
Monty


Disclaimer: Daryl Dixon, Carl Grimes, Rick Grimes, Carol Peletier, Michonne, Glenn Rhee, Maggie Green, Hershel Greene, Merle Dixon, Beth Greene, il Governatore, Dale Horvath, Terminus, il dottor Jenner e Judith Grimes non li ho inventati io.

  
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