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Autore: Meer    13/03/2009    2 recensioni
Un piccolo aeroplano. Le ali, gialle e nere. Un piccolo aeroplano, nulla di più di questo. Un aeroplano, ecco cos’ero io. Un piccolo aeroplano come mille altri. Copia tra le copie, costruito in una grande fabbrica. Un piccolo e insignificante aeroplanino almeno finché non arrivò “lui”.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Das kleine Flugzeug

Das kleine Flugzeug

 

Un piccolo aeroplano. Le ali, gialle e nere. Un piccolo aeroplano, nulla di più di questo. Un aeroplano, ecco cos’ero io. Un piccolo aeroplano come mille altri. Copia tra le copie, costruito in una grande fabbrica. Un piccolo e insignificante aeroplanino almeno finché non arrivò “lui”.

 

Posato, nella mia scatola, nuovo ed inutilizzato, me ne stavo assieme ad altri tre aeroplani, chiuso in un bagagliaio. Mi mossi, un poco, all’interno della mia scatola, sollevando il coperchio, per guardare fuori. Sollevai l’elica, allontanando del tutto il coperchio, per poi, non appena l’auto frenò di botto, rotolare fuori, spiaccicandomi contro il duro interno del bagagliaio.

Pochi secondi.

Restando completamente immobile, deglutii, mentre un ragazzo aprendo il bagagliaio, vedendomi fuori dalla scatola, mi gettò un’occhiata stupita, per poi alzare le spalle, segno che, non avrebbe mai ammesso a sé stesso, l’eventualità che io potessi essere dotato di volontà propria.

Dopo pochi secondi, il ragazzo sorrise, allungando una mano nella mia direzione. Sollevandomi, mi portò all’altezza del suo viso mentre io, ovviamente, restavo perfettamente immobile, perfetta copia di ciò che ero e dovevo essere. Uno stupido, inutile, areoplanino. Niente più di questo.

Il ragazzo, veloce, mi ripose nella mia scatola, continuando a sorridere, per poi sollevarmi, impilato assieme agli altri miei tre sosia.

Nella mia scatola, sbuffai ancora, non riuscendo a comprendere perché quel ragazzo sorridesse a quel modo, più che convinto, allo stesso tempo, che ben presto sarei finito nella mani appiccicose e distruttive di un bambino qualunque.

Il ragazzo continuò a camminare finché io, sollevando un poco il coperchio, non riuscii a vedere che si stava dirigendo verso un enorme edificio. Lo fissai, esterrefatto, per poi ritrarmi in fretta, di modo che non mi notasse.

 

“Ragazzi!”

Il giovane, che teneva ancora le nostre scatole in mano, impilata una sopra all’altra, non appena entrato all’interno dell’edificio, si mise ad urlare, per poi aggiungere “Ho una sorpresa per voi!”

Un secondo.

Accanto a lui, apparvero quattro ragazzi ed io, nella scatola, li fissai, allibito, ritirandomi un po’ contro il fondo, a mo’ di gatto.

Il ragazzo che ci teneva camminò fino ad un tavolo, seguito dagli altri quattro. Depose le scatole sulla superficie, iniziando ad aprire le prime, per distribuire il contenuto.

“Io! Io!” iniziò subito ad urlare un ragazzo dai lunghi capelli neri, che gli ricadevano sulle spalle.

Dalla mia scatola, lo fissavo, sconvolto, notando che i suoi occhi brillavano per la gioia, mentre lui si sbracciava, pieno di entusiasmo.

“Io, David!!! Ti pregooooooooo!”

Il ragazzo, che teneva in mano un aeroplano blu e nero, sorrise al ragazzo “salterino” ma, invece di tendere il giocattolo verso di lui, lo allungò ad un ragazzo con i rasta che, velocemente, lo afferrò, correndo a sfidare un altro ragazzo piastrato ad una gara di velocità.

Un secondo.

Il ragazzo “salterino” si avvicinò maggiormente, ricominciando “David!!! Il mio areoplanino! Sono mesi che ne desidero uno…. Ti pregoooooooo!”

L’altro estrasse il penultimo aeroplano rimasto, porgendolo ad un ragazzo biondo e poi, sorridendo, sollevò il coperchio della mia scatola, allungando una mano verso di me. Deglutii.

“Questo è per te, Billiniziò, appoggiandomi tra le mani del ragazzo dai lunghi capelli scuri “E’ un aeroplano davvero speciale…”

Io, tenuto tra le dita sottili di lui, sgranai gli occhi, poi il ragazzo, ricominciò a saltellare, facendomi subito venire il mal di mare. Alcuni secondi di stomaco sottosopra e poi, fortunatamente, l’iperattivo ragazzo mi voltò, i suoi occhi, fissi nei miei. Sorrise, ricominciando di nuovo a saltellare felice.

Il ragazzo mi diede l’impressione di volare, tenendomi nella sua mano, correndo come un pazzo per il capannone finché, all’improvviso, non apparve di nuovo David, il mio telecomando in mano. Bill, lo afferrò, appoggiandolo poi su una cassa, sedendosi a sua volta sopra di essa, ponendomi sulle sue gambe, lo sguardo che spaziava da me agli aeroplani degli altri ragazzi.

Io fermo sulle sue ginocchia, non capivo perché, all’improvviso, quel ragazzo iperattivo si fosse fatto così serio finché sentendo la voce di David chiamare ancora il suo nome, lui si alzò, il sorriso sulle labbra, tenendomi stretto nella mano destra.

Ci avvicinammo a David, che reggeva una piccola macchina digitale.

“Di qualcosa, Bill!” iniziò David, incoraggiante.

Il ragazzo sorrise ancora, prima di ricominciare a saltellare, esclamando quella frase che sarebbe stata imparata a memoria da migliaia di ragazze per il mondo. Una frase che parlava di me. Una frase che, apparentemente, non aveva nessun significato particolare ma, in realtà, era così eccezionale, da rendere me, qualcosa di più di un aeroplano giocattolo come tanti altri. Bill, con quella frase, mi aveva reso unico…

 

Per lo stesso motivo quando, poco dopo, a causa di una manovra strana, che mi aveva condannato a restare bloccato su una lampada, praticamente attaccato al soffitto, quel ragazzo iperattivo, aveva fatto il diavolo a quattro, per convincere qualcuno a salire, con il montacarichi, per recuperarmi.“Perché non è un aeroplano qualunque! Lui è speciale!” aveva esclamato, mentre gli altri lo fissavano come si guarda una persona che dice cose senza senso finché, infine, esasperati, David non aveva ceduto e Bräuni mi aveva salvato, riportandomi tra le braccia di quel ragazzo che aveva ricominciato a saltellare, felice di riavermi.

 

Da quando avevo conosciuto lui, avevo smesso di essere uno stupido areoplanino, come tanti altri. Ogni volta che Bill mi faceva volare, infatti, avevo l’impressione che il mio corpo di metallo si alleggerisse, cambiasse, finché un giorno, guardando il suo sguardo felice, avevo compreso che non era solo un’idea, ma la realtà. Le mie ali non era più di metallo, ma di quella sostanza di cui sono fatti i sogni.

Per quel ragazzo, non ero solo un giocattolo. Rappresentavo un sogno, e, solo per questo, lui aveva deciso di darmi qualcosa che nessun altro aveva.

Ora, non sono più solo un aeroplano. Bill, ha fatto di me Jumbie 

  
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