Das kleine Flugzeug…
Un piccolo aeroplano.
Le ali, gialle e nere. Un piccolo aeroplano, nulla di più di
questo. Un aeroplano, ecco cos’ero io. Un piccolo aeroplano come mille
altri. Copia tra le copie, costruito in una grande
fabbrica. Un piccolo e insignificante aeroplanino
almeno finché non arrivò “lui”.
Posato, nella mia
scatola, nuovo ed inutilizzato, me ne stavo assieme ad altri tre aeroplani,
chiuso in un bagagliaio. Mi mossi, un poco, all’interno della mia scatola,
sollevando il coperchio, per guardare fuori. Sollevai l’elica, allontanando del
tutto il coperchio, per poi, non appena l’auto frenò di botto, rotolare fuori,
spiaccicandomi contro il duro interno del bagagliaio.
Pochi secondi.
Restando completamente
immobile, deglutii, mentre un ragazzo aprendo il bagagliaio, vedendomi fuori dalla scatola, mi gettò un’occhiata stupita, per poi
alzare le spalle, segno che, non avrebbe mai ammesso a sé stesso, l’eventualità
che io potessi essere dotato di volontà propria.
Dopo
pochi secondi, il ragazzo sorrise, allungando una mano nella mia direzione. Sollevandomi, mi
portò all’altezza del suo viso mentre io, ovviamente, restavo perfettamente
immobile, perfetta copia di ciò che ero e dovevo essere. Uno stupido, inutile, areoplanino. Niente più di questo.
Il ragazzo, veloce, mi
ripose nella mia scatola, continuando a sorridere, per poi sollevarmi, impilato
assieme agli altri miei tre sosia.
Nella mia scatola,
sbuffai ancora, non riuscendo a comprendere perché quel ragazzo sorridesse a
quel modo, più che convinto, allo stesso tempo, che ben presto sarei finito nella mani appiccicose e distruttive di un
bambino qualunque.
Il ragazzo continuò a
camminare finché io, sollevando un poco il coperchio, non riuscii a vedere che
si stava dirigendo verso un enorme edificio. Lo fissai, esterrefatto, per poi
ritrarmi in fretta, di modo che non mi notasse.
“Ragazzi!”
Il giovane, che teneva
ancora le nostre scatole in mano, impilata una sopra all’altra, non appena
entrato all’interno dell’edificio, si mise ad urlare, per poi aggiungere “Ho una sorpresa per voi!”
Un secondo.
Accanto a lui,
apparvero quattro ragazzi ed io, nella scatola, li fissai, allibito,
ritirandomi un po’ contro il fondo, a mo’ di gatto.
Il ragazzo che ci
teneva camminò fino ad un tavolo, seguito dagli altri quattro. Depose le
scatole sulla superficie, iniziando ad aprire le prime, per distribuire il
contenuto.
“Io! Io!” iniziò subito
ad urlare un ragazzo dai lunghi capelli neri, che gli ricadevano
sulle spalle.
Dalla mia scatola, lo
fissavo, sconvolto, notando che i suoi occhi brillavano per la gioia, mentre
lui si sbracciava, pieno di entusiasmo.
“Io, David!!! Ti pregooooooooo!”
Il ragazzo, che teneva
in mano un aeroplano blu e nero, sorrise al ragazzo “salterino”
ma, invece di tendere il giocattolo verso di lui, lo allungò ad un ragazzo con
i rasta che, velocemente, lo afferrò,
correndo a sfidare un altro ragazzo piastrato ad una
gara di velocità.
Un secondo.
Il ragazzo “salterino” si avvicinò maggiormente, ricominciando “David!!! Il mio areoplanino! Sono mesi che ne desidero uno…. Ti pregoooooooo!”
L’altro estrasse il
penultimo aeroplano rimasto, porgendolo ad un ragazzo biondo e poi, sorridendo,
sollevò il coperchio della mia scatola, allungando una mano verso di me. Deglutii.
“Questo è per te, Bill” iniziò, appoggiandomi tra le mani
del ragazzo dai lunghi capelli scuri “E’ un aeroplano davvero speciale…”
Io, tenuto tra le dita
sottili di lui, sgranai gli occhi, poi il ragazzo, ricominciò
a saltellare, facendomi subito venire il mal di mare. Alcuni secondi di stomaco
sottosopra e poi, fortunatamente, l’iperattivo
ragazzo mi voltò, i suoi occhi, fissi nei miei. Sorrise, ricominciando di nuovo
a saltellare felice.
Il ragazzo mi diede
l’impressione di volare, tenendomi nella sua mano, correndo come un pazzo per
il capannone finché, all’improvviso, non apparve di nuovo David,
il mio telecomando in mano. Bill, lo afferrò,
appoggiandolo poi su una cassa, sedendosi a sua volta sopra di essa, ponendomi sulle sue gambe, lo sguardo che spaziava da
me agli aeroplani degli altri ragazzi.
Io fermo sulle sue
ginocchia, non capivo perché, all’improvviso, quel
ragazzo iperattivo si fosse fatto così serio finché
sentendo la voce di David chiamare ancora il suo
nome, lui si alzò, il sorriso sulle labbra, tenendomi stretto nella mano
destra.
Ci avvicinammo a David, che reggeva una piccola macchina digitale.
“Di qualcosa, Bill!” iniziò David,
incoraggiante.
Il
ragazzo sorrise ancora, prima di ricominciare a saltellare, esclamando
quella frase che sarebbe stata imparata a memoria da migliaia di ragazze per il
mondo. Una frase che parlava di me. Una frase che, apparentemente, non aveva
nessun significato particolare ma, in realtà, era così eccezionale, da rendere
me, qualcosa di più di un aeroplano giocattolo come tanti altri. Bill, con quella frase, mi aveva reso unico…
Per lo stesso motivo
quando, poco dopo, a causa di una manovra strana, che mi aveva condannato a
restare bloccato su una lampada, praticamente
attaccato al soffitto, quel ragazzo iperattivo, aveva
fatto il diavolo a quattro, per convincere qualcuno a salire, con il
montacarichi, per recuperarmi.“Perché non è un
aeroplano qualunque! Lui è speciale!” aveva esclamato,
mentre gli altri lo fissavano come si guarda una persona che dice cose senza
senso finché, infine, esasperati, David non aveva
ceduto e Bräuni mi aveva salvato, riportandomi tra le
braccia di quel ragazzo che aveva ricominciato a saltellare, felice di
riavermi.
Da quando avevo
conosciuto lui, avevo smesso di essere uno stupido areoplanino,
come tanti altri. Ogni volta che Bill mi faceva
volare, infatti, avevo l’impressione che il mio corpo di metallo si
alleggerisse, cambiasse, finché un giorno, guardando
il suo sguardo felice, avevo compreso che non era solo un’idea, ma la realtà. Le
mie ali non era più di metallo, ma di quella sostanza
di cui sono fatti i sogni.
Per quel ragazzo, non
ero solo un giocattolo. Rappresentavo un sogno, e, solo per questo, lui aveva
deciso di darmi qualcosa che nessun altro aveva.
Ora, non sono più solo
un aeroplano. Bill, ha fatto di me Jumbie…