Piangi.
Hai viaggiato a lungo per trovarla, giocando con la morte sul filo di un rasoio, e adesso che ci sei riuscita non sai fare altro.
Vorresti correre da lei e spezzare le sue catene; prenderesti sulle spalle perfino il fardello che le grava addosso. Sei immortale, potresti resistere. Forse non per sempre, ma comunque alla fine di questa guerra, nel bene o nel male, le tue pene scomparirebbero.
Faresti questo per lei.
Tenti stizzita di asciugare le lacrime che sgorgano senza sosta.
L’angoscia che comporta osservare la dea – la tua dea – soffrire, ti è insopportabile.
Eppure sai che lei non ti permetterebbe mai di assumerti la maledizione del Titano, che non lo permetterebbe mai a nessuno, men che mai ad una fanciulla. Se la giovane in questione fosse poi una delle sue Cacciatrici, le sue compagne, ancelle, alleate in ogni battaglia; se la fanciulla fosse proprio colei a cui tiene di più fra di loro, sei certa che no, non lo consentirebbe mai.
E nel tempo che raggiungi questa consapevolezza, l’impotenza ti distrugge un pezzo dopo l’altro.
Già, nonostante le apparenze sei debole, oppure avresti trovato una soluzione.
Non è forse vero? Da secoli ostenti fermezza in battaglia, abbattendo centinaia, migliaia di mostri al seguito della tua padrona, finché non ne sei diventata l’inseparabile compagna.
Tutto perché c’era lei con te.
Era lei la tua forza, il tuo coraggio.
Senza, di te non rimane niente.
Senza, l’immagine della Cacciatrice scompare, sostituita dalla ragazzina impaurita che eri.
Prima che la dea ti trovasse – disperata, ferita, ingannata da colui che amavi, per cui avevi tradito la tua stessa famiglia – non eri nulla. Lei ti ha preso con sé, impedendoti di abbandonarti all’odio ed al dolore, e dall’immagine di quella ragazzina ha plasmato una guerriera. Ti ha resa forte, salvandoti da te stessa.
Ma adesso è come se quegli anni non fossero mai passati, perché ti senti sola e sperduta come allora.
La dea in catene ti guarda, e tutto scompare.
È come se ti stesse dicendo di non arrenderti, di attingere alla forza che possiedi dentro di te e lottare, perché lei sa, sa che c’è. L’ha vista.
E tu credi in lei.
È allora che incocchi la prima freccia, scagliandola con tutte le tue forze verso tuo padre.
Mentre il tuo corpo continua a combattere, scoccando una freccia dopo l’altra, e i tuoi occhi registrano ogni movimento che il Titano e il ragazzino – Percy Jackson, quello stupido, coraggioso, testardo maschio che è riuscito chissà come a guadagnarsi il tuo rispetto – compiono nella loro danza di giavellotto e spada, la tua mente è lontana chilometri.
Persa nei ricordi che gli occhi della dea hanno risvegliato, ricordi di mattine piovose trascorse pigramente in compagnia di lei, e di notti buie, in cui la paura di restare sola nell’ombra della tua tenda, con i tuoi fantasmi in agguato dietro l’angolo, era scacciata dalle braccia della dea che ti circondavano dolcemente la vita. Ricordi che sanno di dolce e amaro allo stesso tempo. Che sanno d’amore.
Zoe Nightshade, hai amato due persone nella tua vita.
Il primo era un arrogante bugiardo, bello come il sole, a cui attribuisci il merito di averti rovinato la vita. O, per certi versi, salvato.
Ma è stato solo quando gli occhi di Artemide hanno incrociato per la prima volta i tuoi che hai scoperto davvero cos’è l’amore.
Da allora hai fatto di tutto per soddisfarla, per renderla fiera di te. Non hai mai desiderato fare altro che servirla meglio di come chiunque altro avrebbe potuto fare.
E’ per questo che quando la dea sta per essere colpita da Atlante urli con tutto il fiato che hai in corpo, e corri ad affrontare l’ira di tuo padre al suo posto. La freccia si conficca con precisione sulla fronte del Titano, che ti scaglia via con rabbia. Quando tocchi terra, molto più in là, senti il dolore ripercuotersi in tutto il corpo, rimbombando attraverso il fianco ferito dal morso di Ladone, e perdi conoscenza.
Quando ti svegli, Artemide ti stringe tra le braccia, mormorando parole confortanti. Hanno vinto, Atlante è sconfitto, riesci a sentire le sue grida di sconforto. Sorridi, e tutto si fa confuso. C’è solo il calore del suo corpo contro il tuo, così confortante.
Una sola cosa ti rammarica.
Dove sono le stelle?
Al calore delle braccia della dea hai sempre associato le stelle. Forse per via delle caccie notturne, o delle notti passate all’aperto con le altre Cacciatrici. E’ triste che non ci siano. Mentre pensi questo le tue palpebre affaticate si abbassano.
Le riapri, e d’improvviso ti ritrovi su un prato, la testa sulle ginocchia della tua dea. Ora è tutto più chiaro, nitido. Sorridi amara. Ti hanno detto che quando stai per morire, spesso gli dèi ti mandano un momento di lucidità che ti permette di fare i conti con ciò che sta per accadere.
Poi i tuoi occhi si fissano nei suoi, e in quel momento ci siete solo voi.
E’ come se ti parlasse, perché ormai tra di voi non c’è bisogno di parole. Tentare di salvarti è impossibile, lo sai, e lo sa anche lei. Chiudi gli occhi. E’ un buon modo di morire, sei riuscita a salvarla… Quando li apri per l’ultima volta, lo sguardo della dea è inondato di un mare di puntini luminosi. L’ultimo regalo di Artemide.
«Le stelle…» mormori, mentre il buio ti avvolge. Appena prima di scivolare verso l’oscurità, le tue labbra si muovono ancora, nelle tue ultime parole mute.
 
"Σ’ἀγαπῶ, Ἄρτεμι..."