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Autore: AllePanda    15/03/2009    1 recensioni
Rukawa e Hanamichi si riavvicinano a causa di un incidente... La storia ha luogo dopo la fine del manga: SPOILER!
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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SLAM DUNK …Over

By AllePanda

 

 

 

Ho deciso di mettermi a scrivere questa fan’s fiction poco dopo aver terminato di rileggere per l’ennesima volta il finale del manna di Slam Dunk.

I personaggi non sono miei naturalmente, ma ho voluto completare la storia a modo mio…(anche se forse era già completa).

 

N. B: SPOILER! Per chiunque non abbia ancora avuto l’occasione di finire di leggere il manga…è meglio se non leggete questa storia. Non mi va proprio di rovinarvi il finale!

 

 

 

 

Capitolo 1

“Volontà di vivere”

 

Riabilitazione.

Così si era concluso il suo sogno di conquistare il campionato nazionale: con una caduta.

Eppure il suo animo implacabile non gli aveva permesso di arrendersi. Avrebbe lottato fino alla morte pur di provare la sensazione di essere riuscito, per una volta nella vita, a raggiungere un vero traguardo. Ma non si trattava soltanto di questo…Ormai non esisteva soltanto “Hanamichi Sakuragi”. Loro, tutti loro, erano una squadra. Avevano sputato sangue e versato fin troppo sudore per arrendersi a soli pochi minuti dalla fine. La loro intera vita sarebbe potuta cambiare radicalmente in quei brevi centesimi di secondo che li separavano dal mettere a segno un ultimo canestro, l’ennesimo, quello che li avrebbe dati come vincenti contro il Sannoh, la squadra ritenuta da tutti come la migliore solo fino a poco prima.

E lui ci aveva creduto, incalzando gli altri a fare altrettanto nei momenti di debolezza, continuando a bisticciare come un bambino contro il suo rivale di sempre e pavoneggiandosi come suo solito davanti a tutti i presenti. Eppure Hanamichi Sakuragi non aveva mai neanche ipotizzato che tutto quanto potessi concludersi in quel modo. Nemmeno nei suoi peggiori incubi un simile futuro si era prospettato davanti ai suoi occhi. Ma quando la manager Ayako gli aveva detto quelle parole, il suo cervello aveva compreso da subito ciò che da esse sarebbe derivato. La triste realtà dei fatti era venuta a colpirlo inesorabile e lui l’aveva accettata senza rifuggirla. Non era mai stato il tipo di persona che si arrende davanti all’evidenza delle cose. Ma ora che l’ennesimo raggio di sole penetrava attraverso le ampie finestre di quella stanza dalle candide pareti, e i suoi occhi assonnati prendevano coscienza per l’ennesima volta di quella triste situazione, il suo cuore avrebbe veramente voluto ribellarsi e fuggire una volta per tutte, pur di non dover sopportare oltre. La pazienza non era mai stata una delle sue migliori virtù.

 

Con un sospiro, Sakuragi si portò una mano tra i capelli per ravvivarli un po’. Ormai erano cresciti di qualche altro centimetro e la sua testa aveva smesso si assomigliare alla superficie di una palla da bowling. L’acconciatura stravagante da teppista di cui era ancora in possesso all’inizio della sua carriera scolastica da liceale, era però fuori discussione. Il suo animo ormai era cambiato davvero, maturando ad una velocità spaventosa, così come era accaduto alle sue conoscenze a proposito del basket a seguito della sua iscrizione al club. In pochi mesi si era trasformato ed ora il suo cuore non desiderava altro se non andare avanti a rincorrere quel bellissimo sogno.

L’orologio a muro di quella scialba stanza della clinica ospedaliera gli comunicò che era ancora in tempo per il suo solito giretto mattutino. La malinconia era forte, ma spariva non appena il suo solito temperamento da “casinista nato” non riemergeva da qualche parte, per infondergli la sua dose quotidiana di energia. Era fatto così. Certe abitudini, d’altro canto, sono dure a morire e nonostante il cambiamento, una piccola parte di lui non era ancora diventata del tutto immune dalla megalomania e dal suo delirio di onnipotenza giovanile. Con passo leggero Hanamichi scese dal letto cercando di non fare movimenti troppo bruschi, assicurandosi che la schiena non gli dolesse troppo. Le medicine e l’attività riabilitativa delle ultime settimane avevano dato i loro frutti. Eppure il medico era stato molto chiaro: sarebbe dovuto rimanere a riposo assoluto per almeno un altro paio di mesi. Ma l’estate era ormai inoltrata e sebbene la temperatura fresca della clinica fosse mille volte preferibile alla calura asfissiante di metà luglio, Hanamichi non aveva la minima intenzione di starsene per così lungo tempo immobile, perdendo terreno soprattutto nei confronti di Rukawa, che sicuramente non stava sprecando nemmeno un minuto di quel prezioso tempo, preparandosi ad affrontare il suo secondo anno alla Shohoku. Già...Kaede Rukawa.

Hanamichi si sorprese a fare una piccola smorfia divertita nel ripensare a quell’ultimo passaggio che il moro gli aveva fatto, proprio sul filo di lana. Si era fidato di lui. Anche se forse non aveva alternative, questo fatto aveva riempito Hanamichi di orgoglio e quando alla fine, avevano esultato scambiandosi un cinque a mani aperte, il suo cuore si era riempito di un sentimento ancora più forte: la gratitudine. Ma non per l’azione in sé, un po’ per tutto, perché Rukawa, in fin dei conti aveva sempre pensato che lui avesse del talento e in diverse occasioni aveva cercato di spronarlo a darsi da fare per migliorarsi.

Un altro sospiro accompagnava di nuovo Hanamichi mentre, senza farsi vedere da anima viva, sgattaiolava tra la porta di vetro dell’atrio e quella più spessa con le porte scorrevoli, per poi finalmente giungere nel giardino in frontespizio all’edificio. In pochi centesimi di secondo il suo corpo dovette abituarsi ad una escursione termica davvero vertiginosa, iniziando ad imperlare di sudore la canottiera leggera che indossava sopra un paio di pantaloncini corti sopra le ginocchia.

Non si era portato dietro nient’altro. Una brezza leggera gli aveva dato un po’ di refrigerio non appena giunto lungo la spiaggia, dopodiché si era sdraiato a contemplare il cielo, di nuovo perso nei suoi pensieri…

Fino a non molto tempo prima, verso sera, Rukawa era solito venire a fare jogging proprio in quel posto, essendo in ritiro con la junior league della nazionale non molto lontano dalla clinica.

Spesso entrambi erano soliti scambiarsi boccacce o gesti poco carini ma Hanamichi era ben lieto di poter vedere l’amico. Già, perché ormai lui e Rukawa erano diventati quello che comunemente si potrebbe definire “complici”, capaci di capirsi al volo, anche senza parlare. In particolare il numero 11, con quei suoi occhi nascosti dietro la frangia scura, era capace di lasciare chiunque basito, con poche parole ben piazzate e concise. Kaede non era forse un grandissimo amante della conversazione ma una volta innescata la molla, nessuno sarebbe mai stato capace di metterlo a tacere, aveva solo bisogno di essere stimolato.

Lo scrosciare potente delle onde del male contro gli scogli, ridestarono nuovamente Hanamichi dai suoi pensieri. Da quando pensare  a Rukawa era diventato la norma? Ok avevano fatto dei grossissimi passi avanti, ma da lì a non riuscire a toglierselo dalla testa ne passava di acqua sotto i ponti. Inizialmente il rossino si era dato come giustificazione il fatto che lo invidiava perché anziché dover pensare a rimettere in sesto i proprio cocci, era del tutto libero di esercitarsi nel basket quanto più gli piaceva. Eppure qualcosa di stonato c’era in quella semplice spiegazione…

Forse la loro complicità gli mancava più di quanto lui stesso non avrebbe creduto.

Possibile?

Forse si trattava della mancanza del basket e non quella di Rukawa. Ma quando i suoi occhi si perdevano tra i granelli di sabbia di quella lunga banchina odorante di salsedine e la sua mente ripeteva incessante quel nome, un tuffo al cuore gli rendeva ben chiaro che qualcosa che non quadrava.

“Sakuragi-kun! Per l’amor del cielo! E’ già la terza volta questa settimana che mi tocca venirti a prendere qui. Con questo caldo poi...Avanti, rientra immediatamente, tra meno di mezz’ora hai appuntamento con il dottore…”

La voce dell’infermiera era giunta squillante e colma di apprensione come al solito.

“Sì, lo so…Ma proprio non ce la facevo a cominciare bene la giornata senza prendere almeno un po’ d’aria” fu la risposta un po’ spenta di Sakuragi a quel richiamo. Stava quasi per rassegnarsi ad accantonare ancora una volta i suoi pensieri per mettersi nell’animo di darci dentro con la riabilitazione quando la donna pronunciò una frase che lo lasciò davvero senza parole: “…inoltre faresti meglio a sbrigarti…c’è una persona che ti cerca. Ha telefonato poco fa e sembrava alquanto agitata…Mi ha chiesto di diti di richiamarla al più presto, si tratta di una certo Rukawa…Dicono abbia bisogno di te…”

 

(…)

 

“Hanamichi! Finalmente! Sono Ayako…scusami se ti chiamo proprio mentre dovresti pensare a rimetterti in sesto, tutti noi facciamo il tifo per te e non vediamo l’ora di riaverti in squadra…ma purtroppo è successa una cosa a Rukawa e detesto dovertelo dire per telefono ma non ho proprio alternativa…So bene che fai parte anche tu della squadra e tutti quanti sarebbero stati d’accordo nel volerti informare subito ma… per di più forse sei proprio tu l’unico in grado di smuovere un po’ la situazione…”

la voce della giovane manager era parsa da subito fin troppo allarmata alle orecchie del povero Hanamichi.

“Avanti: sputa il rospo Aya-chan…che è successo a Rukawa?”

Il tono sorprendentemente serio del suo interlocutore aveva dato modo anche ad Ayako di capire, che anche lui era seriamente in ansia e che aveva perfettamente compreso ogni cosa.

“I suoi genitori…Entrambi sono deceduti due giorni fa. Un grosso incidente automobilistico…la sua sorellina di cinque anni era molto grave…L’hanno operata d’urgenza ieri notte ma purtroppo non c’è stato nulla da fare…Kaede non ha detto una parola quando gli è stato comunicato, è totalmente sotto shock…” 

 

In quel momento l’immagine di suo padre che stramazza a terra portandosi una mano al petto era venuta prepotentemente a colpire il cuore di Sakuragi. Ricordava ancora fin troppo bene la sensazione di vuoto, di collera e di disperazione che la morte del padre gli aveva fatto provare per mesi. Sua madre poi, pur essendo sempre stata una donna molto forte, si era praticamente annullata e le erano servite settimane per riprendersi un minimo da quel colpo, per smettere di singhiozzare, per ricordarsi di avere un figlio. Lui le era stato vicino da subito, ma solo dopo diverso tempo entrambi erano stati in grado di sorreggersi a vicenda per ricominciare  a vivere una vita “normale”… Anche ora sua madre era molto premurosa nei suoi confronti e trascorreva i suoi fine settimana alla clinica assieme a lui, portandogli scorte infinite di cibo e una montagna dei suoi sorrisi e dei suoi abbracci. Soltanto ora Hanamichi aveva realizzato di non sapere quasi nulla del suo “complice”…

Doveva venire a sapere che Rukawa aveva una famiglia proprio quando la morte era venuta a strappargliela via?...

Una nota di dolore si era così impadronita della sua voce, mentre con tutto il suo sangue freddo, aveva domandato ad Ayako dove si trovasse in quel momento Kaede.

“In ospedale…da Yumiko, sua sorella…siamo tutti qui con lui” quella risposta, forse quasi scontata da parte di Ayako, aveva fatto sprofondare Hanamichi ancora di più.

“Kaede non ha quasi mai aperto bocca da ieri…Non sappiamo come comportarci. Akagi è arrivato subito non appena l’ha saputo e gli è stato vicino ma sembra di avere a che fare con un fantasma…Come se non bastasse, be’...lui ha chiesto di te…è anche per questo che ti ho contattato, altrimenti be’…avrei preferito non darti ulteriori preoccupazioni…”

A quelle parole il povero rossino era sbiancato definitivamente, dando motivo all’infermiera che gli stava vicino, di aiutarlo a sedersi sulla sedia più vicina e domandargli allarmata se andasse “tutto bene”, che in quel contesto suonavano davvero come una presa in giro.

Si era dovuto fare forza per abbozzare un sorriso, così da non essere costretto ad interrompere la telefonata, facendo le sue solite sparate da “genio” della situazione con l’infermiera, dopodiché si era ripreso sul serio e aveva risposto ad Ayako:

“Non preoccuparti Aya-chan…sarò lì il prima possibile”

 

 

 

(…)

Punto di vista di Rukawa

 

Sono appena trascorse ventiquattr’ore da quando mi è stato comunicato che sono ufficialmente un orfano. Be’…Forse “orfano” è una parola grossa, da qualche parte credo di avere dei parenti che potranno prendersi l’onere di tenermi con sé almeno per qualche tempo…Ma questo adesso non mi importa, sono solo pensieri vuoti e mi sembrano così lontani, avulsi dalla realtà…

Yumiko mi aveva chiesto di accompagnarla al parco solo un paio di giorni fa. Non ho mai amato i bambini ma lei è una ragazzina stranamente intelligente e poco chiassosa, così dopo averle comprato un gelato e averla spinta un poco sull’altalena, ci eravamo diretti al campetto di basket dove sono solito allenarmi. Lei si era accontentata di stare a vedere me mentre giocavo, almeno per i primi venti minuti, dopodiché aveva voluto provare a sua volta. Mi sono stupito del suo gesto. Mia madre faceva sempre in modo che io e lei non stessimo mai assieme. Forse perché in parte sapeva che la sua presenza mi avrebbe causato un certo fastidio, e forse perché Yumiko era sempre troppo impegnata tra un corso di danza e un altro di nuoto. Ma in quel momento, lei mi aveva pregato di insegnarle qualcosa e per la prima volta dopo tantissimo tempo, mi ero riscoperto più coinvolto che mai. Adoravo la mia sorellina…Solo che essendo troppo preso dai miei obiettivi, l’avevo sempre trascurata troppo.

E’ come se si fosse trattato di uno scherzo del destino. Proprio ora che stavo ricominciando ad avvicinarmi a loro…

Mio padre sapeva bene che il basket per me era davvero tutto. Avrebbe voluto che studiassi, come qualunque genitore, anche lui desiderava il meglio per me, e così mia madre.

Non gli andavano giù tutti quei votacci terribili, né tanto meno che me ne infischiassi così altamente come ero solito fare. Litigavamo spesso per questo…Inoltre essendo sempre fuori di casa e essendo loro impegnati con il lavoro potevano passare anche delle intere settimane senza che ci parlassimo. Io, più di tutti, non sono mai stato propenso a parlare troppo, a meno che non ci fosse una ragione ben precisa per farlo. Ma dopo il campionato nazionale, mio padre aveva finalmente capito che il basket era davvero tutto per me e mi aveva addirittura promesso che se avessi veramente voluto andare in America, mi avrebbe aiutato a patto che non trascurassi più così tanto lo studio.

Adesso mi sento davvero soffocare, non posso credere che sia successo davvero…Tutte le persone a cui tenevo…come anche Sakuragi ad esempio…Perché il destino deve accanirsi così tanto contro coloro che amo…?!

Aspetta…Frena un attimo! Ho pensato a Sakuragi in un momento simile?...E ho anche aggiunto che “lo amo?”…Be’…Sicuramente intendevo dire che è un ragazzo speciale a cui tengo…cioè…Forse neanche così suona tanto bene, eh?...Insomma, lui aveva un sacco di potenzialità, era uno bravo giocatore malgrado i suoi atteggiamenti assurdi, ecco perché credo che sia davvero ingiusto che non possa più giocare a basket…ecco perché vorrei rivederlo al più presto…Almeno, si…credo che sia per questo…Lui con il suo modo di fare così allegro, sempre in grado di dare la carica a tutti, sempre capace di trovare una via d’uscita…

“Vorrei rivedere Sakuragi…”

 

“Come hai detto Rukawa?” la voce sbigottita e preoccupata di Akagi interrompe bruscamente il filo dei miei pensieri. Non capisco cosa intenda dire, dal momento che, ne sono certo, non ho ancora aperto bocca.

“Hn?”

“Hai appena parlato di Sakuragi se non sbaglio…”

Del tutto inavvertitamente, percepisco il mio cuore accelerare senza sosta, dopo aver udito il gorilla pronunciare quel nome.

“No…io…Stavo pensando che non è giusto…” la mia voce risulta flebile e atona, non suona bene neanche a me.

“Già…ma che c’entra lui adesso?...Hem…Comunque sono certo che si starà impegnando al massimo per rimettersi. Lo sai com’è fatto, no? Ora sta a te tirare fuori la grinta, anche se mi rendo conto che non è poi così semplice…”

Le parole un po’ impacciate di Akagi non mi sono per niente d’aiuto, ma apprezzo comunque il tentativo. Nemmeno io riesco a capire come mai, la mia testa bacata si sia messa a pensare a quell’idiota in modo così insistente proprio in un momento come questo. Ci troviamo nel corridoio di un ospedale e proprio nella stanza là in fondo stanno operando la mia sorellina. Accanto a me Akagi, è rimasto a sorreggermi un po’ nonostante l’ora. Sono le tre del mattino.

Accanto a noi, Miagy, Ayako, Mitzui, Kogure e tutti gli altri membri dello Shohoku sono distesi mezzi addormentati. Sono voluti rimanere assieme a me, proprio come quella volta in cui l’allenatore Anzai aveva avuto un malore. Siamo una squadra, ed è come se fossimo una specie di famiglia ormai…Appunto per questo sento che non dovrebbe mancare lui.

Non faccio in tempo a seguire il filo dei miei pensieri che la luce rossa della sala operatoria si spegne e pochi istanti dopo vedo comparire il dottore che ha operato Yumiko. Mentre esce dalla porta si toglie stancamente i guanti di lattice e si leva anche la mascherina di carta dalla bocca. Appare stremato e anche un po’ sudato. Le rughe della fronte gli conferiscono un’espressione aspra e molto tesa. Un sibilo esce involontariamente dalla mia bocca e i miei compagni si destano tutti a poco a poco, rianimati di Akagi, a sua volta tesissimo.

Il dottore ci si avvicina con passo lento e cadenzato, non dice nulla ma i suoi occhi parlano per lui. Con gesto teatrale si leva anche la cuffia di plastica verde dalla testa e la getta per terra.

A quel punto non occorre che dica più nulla. Tutti quanti abbiamo perfettamente capito:

“Mi dispiace davvero…è morta…”

Sono attimi di oblio quelli che seguono. I miei occhi non vedono più ma guardano e basta, la mia mente è rapita altrove. Sento i singhiozzi di Ayako che si getta tra le braccia di Ryota, Akagi mi sorregge portandomi un braccio dietro le spalle, avvolgendomi quasi completamente mentre Kogure a sua volta non riesce a trattenersi dallo scoppiare in lacrime e Hisashi comincia a prendere a pugni il muro. Tutti gli altri non sanno che dire, si limitano a fissarmi pieni di compassione mentre io sento la rabbia crescere a dismisura dentro il mio corpo.

Non ho mai provato un desiderio così forte di sprofondare…

 

 

 

 

  
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