N/A Madama Quisquilia ha sfidato la sottoscritta a
singolar tenzone. Ah, mai niuno ardisca pensar che LaraPink de La Tortuga sia
di cor pusillanime! Amor medievale, mia diletta? Amor medievale sia!
Ehm...
Stavolta niente angst. Neanche un morto spiaccicato, una lacrima, una
spruzzatina di sangue, niente!
Buona
lettura a tutto il regname del tartamondo :*
Enjoy!
Bene. Gli
prudeva la gamba. Il polpaccio, lì in fondo. Il prurito era arrivato piano
piano, quasi di soppiatto, come un insignificante formicolio; poi era
cresciuto, e cresciuto, ed adesso hai voglia a strofinare la gamba
contro il materasso. Niente. Era lì e pizzicava ed appunto… prudeva! Da
impazzire!
E le sue
stupide mani stavano qui, invece, legate alla testiera del letto.
Michelangelo
Hamato, tartaruga mutante di anni sedici, sospirò. Mosse le dita che iniziavano
ad essere intorpidite, ruotò le caviglie nei vincoli di strisce di seta rosa,
ai piedi del letto, e cercò di non pensare al prurito beffardo. Il fatto che
indossasse i pantaloni non aiutava. Proprio così: lui indossava dei pantaloni,
assurde braghe strette strette sulle gambe. Una sorta di calzamaglia arancione,
con le gambe di due tonalità diverse, l’una scura e l’altra più chiara,che si
abbinava perfettamente alla casacca color pesca, riccamente ricamata, che
copriva guscio e piastrone, alle strisce delle maniche a sbuffo della camiciola
ed alle calzature a punta, di un delicato velluto color ruggine.
“Oh, Renet” mormorò.
Gli era
sembrata proprio una pessima idea, da subito. Lui era un tipo che amava
giocare e divertirsi, sia ben chiaro, ma in certe cose sorprendentemente era
abbastanza tradizionalista. Così, l’idea della sua ragazza gli era piaciuta al
cinquanta per cento.
“Facciamo l’‘amore medievale’” aveva annunciato
lei. Ok, ben venga la cosa del travestimento: era cool, lui adorava
travestirsi. Con Renet si erano travestiti praticamente da tutto. Quella volta,
lei con la sua coda di dinosauro…
Ma le corde?
Che bisogno c’era delle corde? Lui amava le sue mani, le voleva libere di
svolazzare dappertutto, di toccare ogni cosa (pulsanti di autodistruzione
veicoli alieni compresi), di grattarsi se serve. Libere di accarezzare la pelle
di Renet, bianca e morbida come la pasta della pizza. Di giocare con quelle sue
grandi tette, bellissime! Il più bel posto al mondo dove mettere le mani. Dopo
la pizza, forse.
Ed invece
no.
“Sarà divertente” gli aveva detto,
sorridendo sorniona con quella sua bocca di rosa.
Divertente…
Forse, se non se ne fosse andata a metà di tutto, ridacchiando eccitata,
scomparendo nella sua solita finestrella di luce per non farsi più vedere da
ore, lo sarebbe pure potuto essere, divertente.
Ma nello stato attuale di cose, Michelangelo si stava divertendo poco. Anzi, si
stava proprio annoiando.
E gli
prudeva la gamba.
E gli
formicolavano le mani.
E gli
scappava la pipì.
E si sentiva
tutto indolenzito, per essere rimasto sdraiato nella stessa posizione tutta la notte.
Inoltre,
iniziava ad avere fame, segno inequivocabile che la notte fosse ormai terminata
e che fosse già mattina; non era vero, infatti, come dicevano i suoi fratelli,
che lui avesse sempre fame. O meglio,
era vero e non lo era, come direbbe il maestro Splinter. Lui poteva percepire e
distinguere diverse gradazioni di fame e regolarsi in base a quelle riguardo al
tempo. In parole povere, sapeva sempre che ore fossero semplicemente ascoltando
il suo stomaco; altra dote del fantastico Michelangelo che i suoi familiari non
avevano mai imparato ad apprezzare appieno, meschini.
Quindi, se
era mattina, era ora di alzarsi e preparare la colazione. Ma nell’attuale stato
di cose, ciò risultava alquanto difficile, a partire dallo stesso concetto di
alzarsi. Renet era scomparsa, lasciandolo legato al letto. Il problema era
semplice: era la soluzione che sembrava difficile come i discorsi di Donatello
su api, fiori e contenitori di mutageno. Aveva cercato per ore di allentare i
legacci di stoffa, con l’unico risultato di avere adesso tutta la pelle dei
polsi e delle caviglie di un bel verde scuro infiammato. Aveva tentato di
scassare il letto, il suo amato lettuccio con l’intelaiatura in legno e la
testiera a forma di timone, ma questo, per essere stato già vecchio quando
Splinter lo aveva recuperato da qualche parte tanti anni fa, si era rivelato
piuttosto resistente, anche per la sua forza di adulto mutante palestrato.
Quindi, da
ormai qualche ora, era arrivato alla sconfortante conclusione che se qualcuno
non fosse venuto a slegarlo, lui non si sarebbe più potuto alzare. Ed aveva pregato
tutte le divinità di cui ricordava il nome che questo qualcuno fosse le sua
svampita e stravagante fidanzata piuttosto che altri. Con un po’ di fortuna
Renet sarebbe tornata prima che i suoi fratelli si fossero alzati.
“Mikeyyyy!”
L’urlo di
suo fratello Raffaello proveniente da qualche parte nella tana (con buona
probabilità dalla cucina) gli fece strabuzzare gli occhi nella consapevolezza
che non sarebbe stato così fortunato.
Michelangelo
prese un profondo respiro e cercò di farsi forza, preparandosi all’inevitabile.
Era un guerriero che sconfiggeva letali nemici, lui, aveva coraggio da vendere.
Sarebbe andato incontro a tutto questo con la dignità che il suo stato di ninja
avrebbe richiesto.
Sentì i
passi di Leonardo dietro la porta prima che i suoi colpi percuotessero il legno
della stessa.
Se sussultò,
non fu per paura, no.
“Mikey! Sveglia!”
La maniglia
girò, ma la porta, essendo chiusa a chiave, naturalmente non si aprì.
“Perché ti
sei chiuso? Mikey? Sei sveglio?”
Il blu
continuò a bussare con fastidiosa insistenza e Michelangelo si affrettò a rispondere
tra il martellare dei colpi.
“Ho sentito,
Leo! Adesso esco!”
“Mikey?”
Altro colpo sulla porta.
“Arrivo,
Leo, arrivo! Cinque minuti!”
I colpi
cessarono. Ci fu una pausa di qualche secondo; Michelangelo tese la testa per capire
se Leonardo se ne fosse andato.
“Va bene. Ti
aspetto in cucina – disse invece il fratello ancora dietro la porta. – Ehm… Prima di venire lavati le mani.”
Michelangelo
restò pietrificato dall’imbarazzo, con la bocca aperta e le guance talmente in
fiamme che ci si sarebbe potuto friggere un uovo. Leo pensava che lui… Oddio!
Sarebbe voluto sprofondare lì, nel pavimento, con tutto il letto. Lui non stava
facendo quello! No! Non ne aveva più bisogno, lui. Non come loro!
Che lui e
Renet ormai fossero una coppia, lo sapevano tutti da mesi. Che lei, da profonda
conoscitrice delle cose del mondo, e di tanti altri mondi, lo avesse iniziato a
qualcosa in più dei casti bacini che si scambiavano in loro presenza, magari lo
immaginavano pure. Probabilmente non l’avevano capito solo Leonardo, assoluto
genio nelle strategie di guerra ma candido ed ingenuo come un serafino con
ritardo mentale in campo di faccende amorose, e Splinter, che era arrivato a
congratularsi pubblicamente con lui per il modo encomiabile con cui aveva,
negli ultimi tempi, imparato a “tenere
sotto controllo la sua energia in eccesso grazie alla meditazione.”
Meditazione, sì, certo. (Raffaello e Donatello in quell’occasione avevano
sfoggiato sorrisi da gatto del Cheshire dietro le spalle del loro sensei.)
Ma che lei
comparisse di nascosto nella stanza di
lui, per passare col suo fidanzato notti infuocate insonorizzando la stanza con
una futuristica diavoleria elettromagnetica, ebbene questo era un fatto che
Michelangelo avrebbe tenuto volentieri solo per sé. Non gli sembrava cortese far
sapere che lui, il piccolo di casa, ci desse dentro regolarmente con una super
sventola mentre i suoi fratelli Leonardo, Donatello e Raffaello si dovevano
accontentare di chiudersi a chiave nelle loro stanze, da soli, limitandosi solo
ad immaginare di essere insieme rispettivamente ad una ragazza giapponese, una rossa
ed una, senza offesa, che era proprio una lucertola.
Or dunque.
Aveva guadagnato cinque minuti. Dopo una notte di tentativi, pensare che cinque
minuti potessero bastare a tirarlo fuori da quell’impiccio voleva dire portare
alle estreme conseguenze il suo proverbiale ottimismo. Tanto per poter dire di
averci provato almeno l’ultima volta, si tese con tutte le sue forze contro i
vincoli, grugnendo nello sforzo e facendo cigolare la struttura del letto. Il
legno scricchiolò, ma non si ruppe.
Michelangelo
si rassegnò, con un altro sospiro. Avrebbe preferito dover combattere Shredder
armato solo di un coltellino di plastica piuttosto che dover subire la vergogna
che i fratelli scoprissero della sua vita sessuale in questo modo, vedendolo
così. Non trovava nessuna storia credibile da inventare (e sì che i suoi
fratelli negli anni si erano bevuti di tutto), non con quei segni di rossetto
che sapeva di avere sul viso, lascito della precedente tempesta di baci; in
ogni caso la storia dell’enorme mostro che compare improvvisamente nella sua
stanza passando attraverso i muri e, dopo una dignitosa e furiosa lotta, lo
tramortisce, lo veste da personaggio fantasy e lo lega al letto con nastri rosa,
faceva acqua da tutte le parti.
Purtroppo, i
cinque minuti passarono in fretta.
E tornarono
i colpi sulla porta.
“Mikey!”
Adesso
poteva dire che Leonardo iniziava un tantinello ad incazzarsi. Cercò di pensare
a qualcosa, qualsiasi cosa.
“Emh… Leo?”
“Cosa?” Sì, suo
fratello maggiore era decisamente incazzato.
“Io… ecco…
Non mi sento tanto bene… Preferirei oggi restare a letto…”
Nei film,
avrebbe funzionato. Leonardo se ne sarebbe andato, augurandogli di rimettersi
presto, e lui avrebbe avuto altre ventiquattr’ore di tempo per cercare di
liberarsi, e probabilmente pure per pisciarsi addosso.
Nella
realtà, le cose funzionavano un poco diversamente.
“Che cos’hai,
Mikey? Apri.”
“Io…”
Niente, il suo cervello era completamente a corto d’idee. Stava iniziando a
farsi prendere dallo sconforto. Niente
panico, Mikey, niente panico. Cosa ninja e tutto il resto, ricordi?
“Io non
posso, Leo” sospirò.
“Mikey?”
Voce da leader. “Che succede?”
Niente panico. Respira. È solo tuo
fratello, che si preoccupa per te. Che tra poco scoprirà… e vedrà… e gli altri
vedranno… Oddio! Panico!
“Leo?” cinguettò.
“Dimmi, Mikey.” Voce da leader armato di infinita
pazienza.
“Credo di
aver bisogno di Donnie.”
“Di Donnie? Perchè?”
La maniglia iniziò a muoversi furiosamente su e giù.
L’ultima
cosa che Michelangelo voleva sentire era la
voce da leader spaventato.
“No, no, Leo,
sto bene! È tutto a
posto! Ho solo bisogno di Donnie. Lui da solo. Ti prego, Leo.”
Sperava che
la voce da cucciolo funzionasse anche senza il suo sguardo da cucciolo.
Il silenzio
dietro la porta si protrasse ancora per qualche secondo, segno che il leader,
come suo solito, stava ponderando bene la situazione prima di agire, in termini
di obiettivi da raggiungere, sconfitte e vittorie, livello di pericolo di vita
e rapporto della circostanza con le direttive dello Bushido e quelle del
capitano Ryan . Leonardo era il migliore in materia di pianificazione
strategica, non c’è che dire.
“Va bene. Lo
chiamo.”
Michelangelo
non poteva giurare che il fratello maggiore si fosse del tutto tranquillizzato,
ma almeno non avrebbe più rischiato l’infarto. Dopo meno di un minuto, al
bussare si accompagnò questa volta la voce del suo fratello mascherato in
viola.
“Che
succede, Mikey?” chiese anche lui, girando la maniglia.
Non di nuovo tutto da capo, pregò la
povera tartaruga sul letto.
“Donnie,
sono chiuso dentro.”
Dopo qualche
secondo.
“Mikey… ma
c’è la chiave nella toppa…”
Capitan Ovvio.
“Lo so,
Donnie. Puoi aprirmi lo stesso, da fuori? E poi entrare solo tu?”
Se doveva
capitare, che almeno fosse solo Donnie. Sarebbe morto di vergogna, ma ancora poteva
sopportare questo, almeno questo. Che lo vedesse solo lui. Poi l’avrebbe
pagato, corrotto, gli avrebbe baciato i piedi implorandolo di non dire niente
agli altri. Sarebbe stato il suo schiavo, per sempre. Poteva pure pensare di
non fargli mai più scherzi, mai più.
“Perché solo
Donnie? Mikey?” No, Leo, non iniziare, non
c’è nessuno da salvare, qui.
“Che
succede?”
Michelangelo
iniziò a sbattere la testa contro il cuscino.
Raph. Ah, perfetto. Volete invitare qualcun altro
dietro la mia porta?
“Mikey, è
chiuso dentro, e vuole che Donnie forzi la serratura.”
“Che fai,
testa di legno?” Altri colpi, stavolta talmente forti da far rimbombare tutta
la stanza. Un altro paio, e non ci sarebbe più stato bisogno dei giraviti di
Donatello.
“Mikey,
perché non puoi aprirmi tu?”
“Ma era vero
che non stai bene, Mikey? Sei ferito?”
“Apri questa
benedetta porta, testa di guscio!”
A questo
punto la tartaruga mutante vestita da principe medievale provò un’intensa
voglia di piangere. I fratelli continuarono a chiamarlo, interrogarlo, pregarlo
da dietro la porta; lui continuava, ormai per inerzia e con la tonalità
monotona di un disco rotto, a rispondere che sì, stava bene, no, non c’era
niente per cui preoccuparsi, no, non era uno scherzo e no, non poteva aprire
lui. Raffaello seguitava occasionalmente a dare pugni sul legno, tanto per
rendere più efficaci i suoi interventi, provocando un litigio con Donatello che
stava finalmente svitando la serratura e uno con Leonardo che gli ricordava
gentilmente che sbattere alla porta era un comportamento un poco idiota.
In tutto
questo, Michelangelo poteva solo continuare ad ondeggiare per strofinare la
gamba che prudeva, e cercare invano di ricordare se gli fosse mai capitato
qualcosa di peggiore e più imbarazzante in vita sua, ben consapevole che la
vita sociale con i suoi fratelli sarebbe stata da quel giorno in poi un
continuo ripararsi dai feroci colpi della loro presa per il culo.
Il rumore
della serratura di ferro poggiata sul pavimento fu il suono dell’inevitabilità.
“Donnie,
entra solo…” iniziò a gridare mentre la porta si
apriva verso l’interno. “…tu” concluse
deglutendo mentre i suoi fratelli, tutti e tre i suoi fratelli, con
Donnie per
ultimo, entrarono nella sua camera.
Mentre
varcavano la soglia i tre fratelli stavano parlando tutti insieme. Alla vista
che si presentò loro davanti, tacquero immediatamente.
Il silenzio
divenne assoluto. Quattro, cinque secondi di niente, solo silenzio. Se ci fosse
stata una mosca, sarebbe stato possibile sentirla volare. E sarebbe potuta
entrare in una delle tre bocche spalancate dei fratelli Hamato. Michelangelo si
ritrovò a chiedersi se almeno uno di loro non si fosse slogato la mascella.
Le risate
che seguirono sarebbero rimaste a lungo nella memoria muscolare degli stomaci
dolenti delle tre tartarughe maggiori. Alcuni passanti di Manhattan si
fermarono avvertendo delle misteriose vibrazioni sotto i loro piedi, che altro
non erano che le onde d’urto dei sonori sghignazzi di Raffaello: Casey Jones
giurò in seguito di averlo sentito da casa sua. Donatello si dovette appoggiare
al muro quando stava per svenire per mancanza di ossigeno, e sì che essendo una
tartaruga poteva stare a lungo in apnea, ma dieci minuti di risate con
risucchio furono troppo anche per i suoi polmoni.
Riguardo a
Leonardo, Michelangelo era ormai stato slegato ed era potuto scappare in bagno,
mentre il leader in blu si stava ancora rotolando per terra.
…
Quando Renet
si materializzò, vestita da principessa medievale, con tanto di nastri
intrecciati tra i capelli, abito lungo di damasco azzurro e balconcino
mozzafiato, pensava di essere mancata solo pochi secondi. Per una che gioca col
tempo, e che aveva tutto il tempo del mondo nelle sue mani, era piuttosto
distratta. Aveva sbagliato ancora una volta le coordinate temporali. Non era stata
via solo pochi secondi, ma ben tre giorni. Ed aveva sbagliato un pochino anche
quelle spaziali, questa volta.
Se ne
accorse quando apparve, con un flaconcino di lubrificante in una mano ed frustino
di pelle nell’altra, nel bel mezzo della camera di Splinter.
Non pensava
che gli occhi di un ratto mutante potessero allargarsi tanto.