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Autore: CarolPenny    17/01/2016    5 recensioni
"Daryl fu preso alla sprovvista, di nuovo, nel senso che non era affatto abituato a percepire quando sarebbe potuto arrivare un contatto del genere. Il momento fu diverso rispetto a quello della mattina, decisamente più breve.
Notò gli occhi di Carol che brillavano, ma non c’erano lacrime. Chissà che stupida faccia doveva avere lui!"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questa storia alle mie buone amiche dello staff dell'Armata Caryl.
In particolare a Ste, probabilmente capirà anche perché. E Silvia... no, non è un plagio il mio :P

 
Angolo dell’autrice: in attesa della seconda metà della sesta stagione, ho immaginato un ipotetico (ma credo improbabile) scenario in cui potrebbe avvenire l’incontro tra Carol e Daryl dopo il suo ritorno ad Alexandria. Carol leggermente OOC. Buona lettura!
 

IL MONDO CONTRO DI NOI
 

“Cosa è successo?”
Lui e Carol erano in un angolo poco distante dall’infermeria affollata. Lei aveva la schiena poggiata contro una parete, un cerotto sulla fronte e lo sguardo stravolto.
“Cosa è successo?” ripeté Daryl. La prima volta era stato probabilmente un tantino aggressivo, ma solo a causa dell’agitazione.
Alexandria era un misto di sangue e polvere. I corpi dei vaganti morti erano ovunque, ammassati in ogni punto della comunità. C’erano anche altri corpi che qualcuno stava accuratamente coprendo con lenzuola e teli di plastica.
“Carol, cosa è successo?” il tono di Daryl divenne più lieve e dolce. Le mise una mano sulla spalla, sperando che lei lo guardasse.
Non voleva sapere cosa fosse successo nella città, quello poteva capirlo da solo. Metà dell’orda era arrivata fin lì, la torre di guardia si era abbattuta sulle mura aprendo un varco, molte persone erano morte, qualcuno era ferito. Quasi tutti i superstiti erano all’interno dell’infermeria, dove regnava il caos quasi come all’esterno. Daryl aveva trovato Carol proprio lì ed insieme erano usciti fuori sotto insistenza della donna stessa.
“Sei sicura di star bene?” provò con una domanda diversa “Sembra quasi che tu non riesca a reggerti in piedi.”
Gli era stato assicurato che lei non avesse ferite gravi o morsi, eppure aveva un aspetto orribile. Sembrava, più che ogni altra cosa, stanca. E sull’orlo delle lacrime.
“Sto bene” rispose lei, finalmente, con debolezza nella sua voce.
Daryl controllò di nuovo il cerotto che aveva in fronte e poi sentì i passi di qualcuno che si avvicinava.
Morgan era a pochi metri da loro, anche lui con aria stanca e pieno di sconforto.
“Carol, posso…”
“Sta’ lontano da me, Morgan” fu la risposta della donna. La sua voce era sempre debole ma pronunciò quella frase con chiarezza e fermezza.
L’uomo guardò entrambi. Sembrò sul punto di parlare ancora ma quando Daryl fece un passo in avanti verso di lui, con espressione contrariata, si mosse e li superò senza aggiungere altro.
Dixon seguì con lo sguardo i suoi spostamenti e quando l’altro fu abbastanza lontano, ritornò a guardare Carol che aveva sempre la stessa espressione.
Aveva sentito di sfuggita Rosita e qualcun altro parlare di qualcosa successa proprio con Morgan, ma non aveva capito molto a causa delle tante cose da fare di cui si stavano occupando nell’infermeria. Ecco cosa voleva sapere. Voleva sapere come stava lei. Cosa fosse successo a lei.
Aveva imparato a darle i suoi spazi, ma vederla così senza sapere il perché lo stava preoccupando come non mai. Già era tornato ad Alexandria in ansia, quindi voleva capire.
Chiuse gli occhi, sospirando gravemente e poi disse qualcosa senza neanche accorgersene, ma che gli uscì in modo totalmente spontaneo.
“Sono qui ora.”
A quel punto, finalmente, Carol lo guardò negli occhi. Daryl riusciva quasi a specchiarsi in quelli di lei per quanto fossero lucidi e grandi.
Poi accadde. Le lacrime iniziarono a cadere e bagnare il viso della donna e quello lo fece sentire ancora più male. Le mani gli iniziarono a tremare e le sue successive parole uscirono balbettando.
“S… sono qu…”
Non riuscì a terminare la frase, però, perché Carol gli spostò i capelli dal viso e si avvicinò velocemente a lui posando le labbra sulle sue.
I primi secondi di quel contatto furono così inaspettati che Daryl non fece nulla. Sentì le lacrime calde di Carol bagnargli le guance, arrivando ad inumidire le bocche ancora attaccate.
Se fisicamente Daryl si sentiva in qualche modo bloccato, emotivamente era invece come un vulcano in eruzione. Come se una bomba fosse appena scoppiata dentro di lui.
Se doveva pensare ai momenti in cui aveva provato qualcosa di così forte non gli sarebbe venuto in mente nulla di buono. Il dolore era tutto ciò che riusciva a ricollegare ad una sensazione del genere. Forse averla ritrovata a Terminus era stato l’inizio di qualcosa di diverso, ma adesso era tutto più complicato, soprattutto perché lei stava piangendo. Lo stava baciando e stava piangendo. E non erano, come allora, lacrime di gioia.
Prima che quel contatto, così nuovo per lui, si interrompesse riuscì a trovare il coraggio di muovere le labbra in avanti per ricambiare il gesto. Infine si staccarono. Lei stava continuando a lacrimare senza sosta.
COSA DIAVOLO ERA SUCCESSO?
Le sue mani si mossero a stringerle le spalle. Lei si sporse spontaneamente verso di lui, di nuovo, e questa volta Daryl fu pronto ad accompagnare i suoi movimenti. Il viso di Carol affondò nell’incavo del suo collo, lui allora la abbracciò completamente.
Il suo pianto era silenzioso ma disperato e ad ogni singhiozzo Daryl sentì anche i suoi occhi iniziare a bruciare.
Con una mano le accarezzò la testa che poi sfiorò con le labbra. Era pronto ad aspettare tutto il tempo necessario, così lasciò che anche lei lo stringesse sempre di più.
Daryl si guardò intorno in cerca di consolazione, ma ovunque regnava la desolazione e il dramma più assoluto. Intercettò Rick, che aveva un’espressione non molto diversa da quella di Carol, come se avesse appena terminato di piangere o si stesse trattenendo. Era ricoperto di sangue, le sue mani erano di un rosso accesso ed omogeneo che in parte gocciolava sull’asfalto. I loro sguardi si incrociarono. Non dissero nulla, non accennarono ad un saluto. Continuarono a guardarsi a lungo, entrambi con il desiderio che tutto quello che stava accadendo finisse al più presto. 
 
*
 
Daryl si sfilò il gilet di pelle e lo lasciò cadere sul pavimento. Sentì le ossa della schiena scricchiolare, un misto tra dolore e sollievo. Lavorare duro non era mai stato un problema per lui, ma dopo quasi ventiquattro ore in movimento e senza dormire, la stanchezza si stava facendo sentire eccome. Non seppe dire quanti cadaveri avevano spostato, quante travi avevano posizionato per chiudere la breccia nella comunità, per non parlare delle cose in cui si era imbattuto fuori da Alexandria, sapeva solo che ogni minuto che passava avrebbe significato un nuovo osso dolorante. Ancora non conosceva i dettagli di molte cose che erano successe, soprattutto a Carol ma per prima cosa avrebbe dovuto lavare via un po’ di sporcizia. Non che fosse stata una sua idea, sia chiaro. Per lui era indifferente avere dei vestiti puliti dal momento che sicuramente non sarebbero rimasti in quelle condizioni a lungo. Era stata proprio la donna ad insistere che si andasse a fare una doccia (lei l’aveva già fatta ad una velocità impressionante) e dopo avrebbero potuto parlare con calma.
Daryl si ritrovò quindi al primo piano, in uno dei tre bagni della casa, rendendosi conto che in effetti un getto di acqua calda sulla pelle non sarebbe poi stato così male. L’unica luce presente nella stanza era quella di due lampadine accanto al lavandino che rendevano il luogo semibuio ma stranamente accogliente. Si sentì come sospeso nel tempo tra quello che era successo in precedenza e quello che ancora doveva accadere. Si sfilò anche la camicia, lentamente, muovendo le scapole per capire quanto ancora gli facessero male, continuando a spogliarsi di tutto non solo fisicamente ma anche figurativamente. Era così immerso nei suoi pensieri da non accorgersi, all’inizio, del debole suono di qualcuno che bussava e apriva la porta senza aspettare la sua risposta.
La sua prima reazione fu quella di raccogliere la camicia per coprirsi ma quando notò i capelli brizzolati di Carol lasciò perdere e aspettò che lei entrasse completamente , chiudendosi la porta alle spalle. I suoi soliti impulsi avevano fatto spazio ad un quasi nuovo senso di sicurezza qualora si trattasse di Carol, qualora fosse lei a fargli compagnia.
Il suo viso non era più quello di una persona sconosciuta, lei era parte della sua vita e averla accanto gli provocava spesso solo sensazioni positive. Soprattutto quando  sorrideva, come stava facendo in quel momento. Non era un sorriso pieno, ma era già qualcosa pensando alle condizioni in cui l’aveva trovata diverse ore prima.
Carol guardò velocemente a terra, in direzione del gilet e della camicia.
“Ti ho portato dei vestiti puliti” lo informò alzando le braccia sulle quali erano appoggiati gli indumenti.
Anche lei si era cambiata. Già quando era tornato ad Alexandria, Daryl le aveva visto di nuovo addosso quei pantaloni stile militare e quegli stivali che aveva portato prima di arrivare nella comunità, ma ora aveva anche di nuovo uno di quegli orrendi cardigan a fiori da casalinga.
“Non preoccuparti” esclamò lei, probabilmente aveva notato la sua espressione disgustata “Prenderò i tuoi vestiti in ostaggio solo per poco. Il tempo di lavarli e li riavrai. Soprattutto il gilet, ne avrò particolarmente cura.”
Gli diede i vestiti nuovi.
“Questi dovrebbero comunque essere sul tuo stile. Il pantalone ha delle toppe a livello delle ginocchia”.
Daryl notò l’ironia nella sua voce e nel suo volto, ma sapeva che Carol stesse nascondendo la sua sofferenza. Fu però felice di vederla almeno distrarsi per qualche momento e infine si sentì in dovere di rispondere.
“Grazie” disse sottovoce, voltandole poi le spalle e andando a sistemare i vestiti nella cesta poggiata su uno sgabello.
Quando si girò di nuovo, l’espressione di Carol si era incupita e i suoi occhi erano ancora fissi su di lui.
“Che c’è?” chiese subito, accigliandosi.
Lei si rimboccò le maniche, andò a prendere una spugna, la inumidì e si fece di nuovo di fronte a lui.
“Girati” gli disse.
Lui ebbe un attimo di confusione ed esitazione.
“Hai del terriccio incrostato sulla schiena” chiarì Carol, mentre lui decise finalmente di muoversi e girare su se stesso.
Sentì la donna iniziare a sfregare con decisione ma delicatamente. Il colore della sua pelle iniziò pian piano ad assumere una sfumatura differente e lo sporcò iniziò a fare spazio alle cicatrici che gli segnavano quella parte del corpo come se fosse una cartina geografica.
Carol si ritrovò ad accarezzarne una. Daryl riconobbe dalla posizione delle sue dita che doveva trattarsi di quella che si trovava diagonalmente accanto al tatuaggio con i due demoni. Era la più lunga, quella che il suo vecchio aveva fatto riaprire più volte e che quindi era guarita più tardi rispetto alle altre. Pensò che non aveva mai permesso a nessuno di toccarlo in quel modo, in particolare sulla schiena ma allo stesso tempo non riusciva più a riconoscere alcun disagio se era Carol a farlo.
Le cose cambiano” quel pensiero iniziò a fluttuare nella sua testa, come se potesse vederlo davanti agli occhi.
“Anche io ho una simpatica cicatrice dietro la schiena” gli confidò la donna, spostando le proprie dita un po’ più in basso e mostrandogli il punto esatto “Qui”.
Lui e Carol avevano sempre avuto ogni tipo di conversazione. Spesso non era servito loro neanche andare nei dettagli per capire cosa l’altro stesse provando, ma in quell’occasione sembrava che lei volesse condividere un ricordo e a lui non dava alcun fastidio, anzi. Si ritrovò a rispondere spontaneamente raccontando che usare la cinta era uno dei metodi preferiti di suo padre.
“All’inizio ero solo un ragazzino che non capiva cosa stesse accadendo e perché. Sentivo solo un dolore del cazzo. Poi quel dolore è diventato rabbia e poi odio…” Daryl aveva iniziato pian piano a far finta di assistere alla scena dall’esterno, sperando che quel povero ragazzo si alzasse e reagisse.
Calò il silenzio, inevitabilmente. Carol terminò di strofinare la spugna sulla sua pelle ormai umida.
“Ed ha usato la cintura in rare occasioni, per fortuna. Era così fiacco da non aver neanche voglia di sfilarserla. Preferiva essere veloce ed immediato. Le mani o i piedi bastavano. Ed io ero lì a pensare a come potermi scusare una volta che avesse terminato di picchiarmi.”
A quel punto Daryl decise che era ora di girarsi ritrovando lo sguardo serioso ed intenso di lei.
“Perché?” chiese subito con calma. Nella sua testa quella domanda era suonata con molta più enfasi. Parlare del suo dolore e di quello di Carol messi insieme era letteralmente come aumentare al quadrato quello che stava provando ora.
“Non lo so, Daryl” ammise lei in modo sincero “All’inizio non riuscivo ad odiarlo… volevo solo…” il tono divenne quasi incerto “Ho sbagliato.” terminò decisa guardando però altrove.
Daryl continuò a studiare l’espressione afflitta sul suo viso e poi osservò il cerotto che aveva in fronte. Forse era davvero arrivato il momento di sapere cosa era accaduto ad Alexandria mentre era via. Sentiva sempre di più l’urgenza di chiederglielo.
“Cosa è successo mentre non c’ero?” chiese allora a bruciapelo. “Qualcuno ti ha fatto del male?”
L’espressione di Carol non mutò e questa volta non sembrò neanche essere sull’orlo delle lacrime.
“Lo sai che per come stanno le cose ora, è inevitabile che…”
“Risparmiami queste cazzate, Carol!” sputò fuori Daryl, interrompendola. Ne aveva abbastanza di frasi generiche su quanto il mondo fosse una merda. Ne era già al corrente, grazie tante.
Era da un po’ che non alzava la voce con lei. Non era arrabbiato, quella era in realtà preoccupazione.
“Morgan. Ho sentito la dottoressa parlare di qualcosa successa con lui e che ad un certo punto davvero non era più sicura chi fosse dalla sua parte o meno” Quando lo aveva incontrato per la prima volta, quell’uomo gli era sembrata la persona più pacifica sulla terra mentre ora stava iniziando ad immaginare i più diversi scenari nei quali lui e Carol potessero essersi trovati. Ripensò al modo in cui lei gli aveva freddamente intimato di non avvicinarsi. Possibile che Morgan fosse stato capace di…
 “Posso occuparmene da sola.” fu la risposta di Carol, che alzò la testa per guardarlo di nuovo.
“Lo so” la voce di Daryl si addolcì di nuovo “So che ne sei capace”.
Quel bastardo dell’ex marito di Carol non era più un problema per lei, Daryl sapeva che ci fosse tanto altro a cui dare importanza in quel momento.
“Ma sono preoccupato” terminò, in un soffio.
La donna allungò un braccio per far cadere la spugna sul lavandino e poi si mosse con decisione verso di lui. Gli prese il viso tra le mani e gli diede un bacio.
Daryl fu preso alla sprovvista, di nuovo, nel senso che non era affatto abituato a percepire quando sarebbe potuto arrivare un contatto del genere. Il momento fu diverso rispetto a quello della mattina, decisamente più breve.
Notò gli occhi di Carol che brillavano, ma non c’erano lacrime. Chissà che stupida faccia doveva avere lui! Due baci in un solo giorno. Molti più di quanti ne avesse ricevuti in tutta la sua vita.
Le mani di Carol erano ancora attaccate al suo viso e gli stavano accarezzando le guance.
“Lavati” disse “Ti aspetterò nel salotto e ti racconterò quello che è successo”.
Daryl si sentì leggermente più sollevato.
“E parleremo anche di questo, se vuoi”.
Senza specificare, perché naturalmente non ce ne fu bisogno, lo liberò dalla sua presa leggera e andò a recuperare camicia e gilet.
Daryl non provò una bella sensazione quando Carol fece scivolare via le sue mani calde, lasciando le guance in balia dell’aria umidiccia del bagno. Gli era piaciuto quel contatto, a dire il vero. Se ne rese conto piano piano che i secondi passavano. Solitamente era sempre stato preso dal fastidio dell’essere toccato. Ora invece la sensazione era opposta. Provava assoluto desiderio che qualcuno lo facesse, che Carol fosse abbastanza vicina da poterselo permettere e perché no, che anche lui potesse fare lo stesso.
Non ci sarebbe stato bisogno di parlarne, e di parlare del bacio (anzi, dei baci) se è per questo, perché non avrebbe saputo da dove cominciare. Non gli avevano procurato alcun fastidio, quindi andava tutto bene. Sperò che ciò bastasse, che Carol lo capisse come aveva sempre capito tutto il resto.
Si girò a guardarla mentre lei era in procinto di aprire la porta. Gli rivolse un ultimo breve sorriso e inaspettatamente, perché ormai Daryl era convinto che avrebbe girato le spalle e fosse andata via, parlò di nuovo.
“Grazie per la rosa”.
Daryl rispose automaticamente con un cenno e rimase fermo a guardare nello stesso punto fino a quando lei non uscì.
Poi si sfilò velocemente ciò che rimaneva dei suoi indumenti e si gettò sotto la doccia.
Si ricordò del limbo, di quel prezioso momento di calma prima delle ennesime morti da piangere o dell’ennesima battaglia da combattere. Non poteva permettersi che ciò terminasse prima ancora di aver ricevuto alcune risposte. E con Carol ciò accadeva spesso e malvolentieri. Chissà se magari un giorno avrebbe trovato il coraggio di darle un bacio a sua volta.
Aveva ancora i capelli gocciolanti quando prese gli indumenti puliti dalla cesta e notò qualcosa di strano. I pantaloni, per avere delle toppe, ipoteticamente dovrebbero essere usati o consumati. Quel paio invece sembrava appena uscito da un negozio. Nessuna macchia scolorita, nessuno strappo, neanche una minima imperfezione eccezione fatta per le due toppe di cui aveva parlato Carol. Avvicinò la stoffa per osservarle meglio e se la passò tra le dita. Per tutta la sua vita si era dovuto arrangiare da solo, soprattutto per quanto riguarda i vestiti che raramente aveva cambiato, se non quando ce n’era stata assoluta necessità. Aveva quindi anche imparato a coprire buchi, strappi, macchie troppo grosse, cucendosi delle toppe lui stesso. Sapeva riconoscere un lavoro fatto a mano rispetto ad un prodotto di fabbrica e quei pantaloni non erano di certo stati pensati per essere così. Doveva essere stata Carol, se lo sentiva.
Fece una smorfia, scuotendo la testa. Anche nelle situazioni più improbabili, loro due continuavano sempre a scambiarsi piccoli doni. Spesso non si trattava neanche di cose materiali, ma in quel caso era come se in cambio della rosa che lui aveva trovato sulla schiena di quello zombie, lei gli avesse regalato un pantalone, qualcosa di altrettanto semplice.
Pensare di aver ricevuto un regalo era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato da quella giornata di merda. Ampliava ancor di più quello che dentro sentiva provasse per lei che spesso era nebuloso a causa del fumo delle tante tragedie di quella terra maledetta ma che in momenti come quelli era chiaro come la luna piena nelle notti più buie.
"Il mondo è contro di noi" pensò mentre scendeva al piano terra “Ma siamo pronti a fargli il culo.


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Angolo dell'autrice parte 2: Vi dico già da ora che ho in programma la mia prima LONG. Grazie a tutti per le letture e le recensioni. Sono sempre molto apprezzate! CARYL ON!
   
 
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