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Autore: Chupacabra19    18/01/2016    4 recensioni
Aggiustò la balestra sulle spalle e si incamminò nella radura. Ad ogni passo, seguiva un ricordo. Più si allontanava e più la mente gli proiettava immagini datate nel tempo, come il primo incontro con Rick. Ad ogni passo, seguiva una fitta al cuore. Non che fosse rimasto molto di quel metaforico muscolo nel petto, già martoriato, ferito, rattoppato e cicatrizzato più e più volte. Ad ogni passo, seguiva un pentimento. Cose che negli anni avrebbe potuto o non potuto fare, frasi non dette, pensieri taciuti, sentimenti mascherati. Ad ogni passo, seguiva una presa di coscienza sempre più profonda, sempre più dolorosa. Ad ogni passo, seguiva una meticolosa attenzione nel nascondere le tracce, quasi volesse cancellare la propria presenza al mondo.
Genere: Azione, Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daryl Dixon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 1 : Non si torna indietro

 

 

 

L'alba primeggiava in cielo quasi timidamente, ricoprendo ogni cosa di un debole e affatto accecante raggio di sole, come per destare la natura costretta al sonno profondo dalla notte con le sue stelle. Sonno profondo che aveva colpito indistintamente tutto e tutti, piante, animali, uomini, donne, bambini, perfino gli oggetti. Tutti tranne due eccezioni: lui e loro. Egli, un uomo, un cacciatore, un arciere, un sopravvissuto, un membro di un gruppo, un lupo asociale, un animale pronto a tutto, e loro, vaganti senza meta e casa, obbligati da una mai appagante fame indistinta. Egli, Daryl Dixon, e loro, bestie. Eppure, sebbene diversi e pervasi da motivazioni completamente opposte, entrambi erano rimasti per tutta la notte a occhi sgranati, irrequieti. Nonostante Daryl fosse all'interno di mura alte e solide, riusciva a percepire i loro passi, le loro agonie. Stava lì notte e giorno, di nascosto in un angolo poco visibile ad occhi estranei, se ne restava lì con la malinconia incessante dall'esterno. Lui per com'era fatto, si sentiva in più, fuori posto, non necessario a questa cittadina. Per quanto tutti vi vivessero felici e contenti, Dixon si sentiva in gabbia. Non era adatto a quella finta vita, non lo era stato quando il mondo non era ancora andato a puttane, figuriamoci adesso. Si guardò intorno come un felino intenzionato a combinare qualche guaio e sgattaiolò verso la recinzione. Tastò la lamiera e le assi apposte, cercando di capire dove poter far leva. Poggiò prima il piede destro e dopo un bel respiro, iniziò la scalata. Non si sentiva in colpa, non aveva tentennato un secondo per una motivazione così sciocca. L'unica cosa che continuava a ronzargli in testa era il timore di deludere Rick, non tanto perché ultimamente si erano avvicinati molto, piuttosto perché sapeva quanto lo sceriffo facesse affidamento su di lui. Soltanto per questo aveva retto, finto che tutto questo gli andasse bene. Ora, però, anch'egli meritava la tanto ardita libertà. Libertà che in fin dei conti muta e cambia aspetto per ognuno di noi, chi può dire cosa sia effettivamente? Daryl sentiva in cuor suo di dover tornare alla natura, come un lupo addomesticato che sente il richiamo della foresta. Dopotutto era proprio questo, Dixon era sempre stato un lupo, e se fino adesso fosse potuto sembrare un cane fedele, beh, era solo finzione. Si può fingere con tutto se stessi di essere qualcos'altro, possiamo addirittura calarci nella parte e convincerci di essere cambiati, ma l'istinto non varia, la vera essenza prima o poi riemerge, riaffiora come un cadavere gettato nell'oceano. Questo era successo anche al nostro interessato. Non appena fu a cavallo della gabbia di ferro, si guardò un attimo indietro come per dare l'ultimo saluto, un addio. Poi si lasciò cadere dall'altra parte. L'erba umida gli bagnò le scarpe. Fu felice anche solo di quel dettaglio. Aggiustò la balestra sulle spalle e si incamminò nella radura. Ad ogni passo, seguiva un ricordo. Più si allontanava e più la mente gli proiettava immagini datate nel tempo, come il primo incontro con Rick. Ad ogni passo, seguiva una fitta al cuore. Non che fosse rimasto molto di quel metaforico muscolo nel petto, già martoriato, ferito, rattoppato e cicatrizzato più e più volte. Ad ogni passo, seguiva un pentimento. Cose che negli anni avrebbe potuto o non potuto fare, frasi non dette, pensieri taciuti, sentimenti mascherati. Ad ogni passo, seguiva una presa di coscienza sempre più profonda, sempre più dolorosa. Ad ogni passo, seguiva una meticolosa attenzione nel nascondere le tracce, quasi volesse cancellare la propria presenza al mondo. Erano passate solo poche ore, ma sentiva il corpo pesante come un masso, quasi tutti quei pensieri gli stessero aggrappati sulle spalle. Aveva camminato molto, ma non era poi così tanto distante da Alexandria. Quello spazio non gli bastava, ne voleva di più, voleva sparire dai loro ricordi e non essere trovato. D’un tratto gli giunse alle orecchie un suono tangibile, pulito. Doveva essere vicino ad un corso d'acqua. Raggiunse velocemente quello che si rilevò essere un magro fiumiciattolo e vi immerse le mani per rinfrescarsi. Le ore erano passate in fretta e il sole aveva già compiuto il suo cammino, adesso si trovava nella posizione più alta, occupato a disperdere un’ondata di calore afosa e asciutta. Calore che all’arciere dava molto sui nervi. Si spogliò dello smanicato di pelle, si liberò della camicia nera e la legò in vita, tornando poi ad indossare il giacchetto a petto nudo. Sgranchite le ossa, decise di riprendere il cammino, ma afferrò la balestra per procurarsi del cibo. Scoiattoli e conigli scarseggiavano ultimamente, ma era comunque ottimista. Non passò molto, infatti, prima che se ne andasse in giro con una sfilza di carcasse a tracolla. Di tanto in tanto sbuffava per il caldo, ma il suo passo non era ancora rallentato. Dai suoi scattanti piedi, si evinceva di quanto fosse determinato nella propria decisione, non aveva rimorsi, dubbi, pentimenti. Voleva semplicemente evadere, non dipendere da nessuno né dover badare a qualcuno, starsene pacificamente con se stesso. Meno problemi, più soluzioni. All’improvviso, però, un grido attirò la sua attenzione. Urla squillanti e fastidiose, tanto che gli attraversarono le ossa. Armò la balestra e si diresse nella direzione di quei pianti tanto disperati, prendendo a malavoglia un sentiero che aveva deciso di scartare in precedenza. Per un secondo, aveva pure pensato di lasciar perdere, di proseguire senza curarsi di quella richiesta d’aiuto. Dopotutto, per quante persone potesse salvare, tutte finivano col morire prima o poi, ed era oltretutto possibile che una volta giunto a destinazione, fosse oramai troppo tardi. In più, non aveva la minima intenzione di accollarsi un nuovo individuo. Sfrecciando nel verde, ripeteva a se stesso, quasi per convincersi, che avrebbe soltanto risolto il problema e basta. La vittima in questione poi avrebbe dovuto cavarsela da sola, dopotutto non era il babysitter di nessuno.

 

[ POV Daryl ]

 

Dopo nemmeno un minuto, le urla si affievolirono, tanto che scomparvero, lasciandomi come uno stronzo in mezzo al nulla. Controllai la zona a me intorno, cercando di capire il da farsi. Ero nuovamente zuppo di sudore, nonostante mi fossi appena rinfrescato. Se la persona era ancora viva, beh, mi stava già sui coglioni. Mi diressi in quella che mi sembrava la giusta direzione, ignorando qualche vagante accasciato a terra. Non vedevo tracce di sangue nel terreno o sui tronchi. Questo significava che la vittima forse era solamente in trappola, sempre che fosse ancora viva. Almeno potevo cancellare l’opzione di un individuo ferito d’accudire. Non ne avevo né tempo né voglia, già era una scocciatura poi dover cancellare le mie tracce su questo sentiero, figuratevi se mi importasse poi di qualche screanzato morsicchiato per bene. Superato qualche rovo, mi trovai dinanzi ad uno spiazzo fortunatamente ombreggiato. Scorsi qualcosa vicino a dei cespugli. Mi accucciai su di essi, tanto da poter osservare un’abbozzata pozza di sangue. Vi immersi le dita, per osservarne il colore non intriso di terreno. Era scuro, per niente addensato o marcio. Era fresco, per così dire. Ma non era molto e questo voleva dire che il sopravvissuto doveva essere in buone condizioni, e inoltre essendo torbido, la ferita doveva essere abbastanza superficiale, o almeno non grave, non avendo intaccato arterie. Rovistai in cerca di qualche frammento organico, non trovando niente del genere, potetti scartare anche l’ipotesi di un attacco di qualche bestiaccia, vagante o cane selvatico. Vidi delle gocce di sangue pure sul cespuglio e sul tronco vicino. Erano tracce basse. Qualcuno aveva gattonato. Sbuffai irrequieto, la cosa stava andando per le lunghe e iniziavo a spazientirmi. Seguii quatto il percorso indicato da quel vivido rosso cremisi, ricredendomi sulla gravità della ferita. Ce n’era troppo a giro per essere superficiale. Il tipo o tipa doveva essere stato fortunato. Tenevo la balestra davanti al volto, pronto a scoccare il dardo se ve ne fosse stata la necessità. Dopotutto la vittima o si era deficientemente ferita da sola oppure era stata attaccata da qualcuno. In questo caso, era meglio stare in guardia. Senza motivo apparente, le tracce erano sparite nel nulla. Qualcosa non quadrava. Iniziai a dubitare del mio stesso giudizio. Possibile che si trattasse di una trappola?

-Provate a fare una sola stronzata e siete morti! – gridai.

Percepii un leggero fruscio alle spalle e poi solo dolore, una fitta lancinante.

 

 

 

[ POV **** ]

 

Sangue. Sangue, sangue, sangue. Fa male, fa dannatamente male. Fa fottutamente male. Cosa devo fare? Sono in trappola, è incastrata. La gamba è incastrata. Non riesco ad aprirla. Faccio fatica ad afferrare le tenaglie di questa diavolo di trappola per orsi. Le mani sono bagnate, zuppe del mio stesso sangue. Non riescono a fare presa, scivolano sul metallo. Ogni sforzo è inutile. Perché? Perché sono stata così stupida? Gli occhi implodono, sommergendomi il volto di lacrime salate. Sono così patetica. Forse, se chiedessi aiuto, se qualcuno potesse sentirmi, forse, forse potrei salvarmi.  Gridai a squarciagola, o meglio, cercavo di urlare soffocando i singhiozzi. Doveva pur esserci qualcuno nelle vicinanze, non potevo essere così sfortunata. Nessuno rispondeva al mio richiamo. Sono spacciata, è finita.

-Se continui a gridare come una pazza, sì, allora sei spacciata! – mi rimproverò Jen.

-Cosa devo fare? – balbettai asciugandomi le lacrime.

-Se continui a piagnucolare attiri quelle bestiacce. Vuoi essere divorata?

Mi sporcai il viso col sangue, avendone le mani imbrattate, ed ella rise di me. Poi mi scrutò, iniziando a camminare su e giù davanti a me. Tirai su col naso, cercando di ricompormi. Ma il dolore era troppo forte, le lacrime uscivano senza che potessi averne il comando.

-Se continuo a provare, forse qualcuno sentirà.

-Zitta! – esclamò – Nessuno è buono, ricorda. Nessuno ti salva senza volere niente in cambio, tienilo a mente.

Mentre Jennifer continuava a camminarmi intorno, tentai nuovamente di allargare la morsa senza successo. Mi mordevo il labbro per camuffare i singhiozzi. Non avevo solamente un dolore assurdo, temevo di morire lì, avevo paura di morire.

-Ho trovato! – borbottò, tirando un pugno su un palmo della mano – Prendi la pistola, spara alla cerniera delle tenaglie. Dovrebbero rompersi.

Sfilai lo zainetto dalle spalle, afferrando l’arma al suo interno. Levai la sicura e presi la mira, ma le mani tremavano.

-Dai che aspetti? Spara. – insistette.

-Ho paura di spararmi al piede!

Sbuffò spallata e prima che potesse farmi una ramanzina, chiusi gli occhi e premetti il grilletto.

Click

Colpo andato a vuoto, ero a secco.

-Ma porcaputtana. – abbaiò – Avevi finito le munizioni e non te ne eri nemmeno accorta?

Riiniziai a piangere disperata, gettando la pistola di malo modo nella borsa.

-Lo sai quanto è importante avere una precisa cognizione delle razioni e delle scorte rimaste? La prima reg-

-La prima regola per la sopravvivenza è avere sotto controllo il proprio equipaggiamento. – la precedetti, singhiozzando.

Sbuffò, sedendosi accanto a me. Era dispiaciuta di essersi alterata, ma come al suo solito non lo dava a vedere.

-So che fa male. – parlò gentile – Troveremo un modo per liberarti.

Vidi il polpaccio cambiare colore, farsi emaciato. Stava diventando viola. Di lì a poco sarebbe diventato nero. Non era la prima volta che mi rompevo la tibia, ma ancora non mi ero abituata al dolore.  Mentre Jennifer continuava a fissarmi la ferita mangiandosi le unghie delle mani dal nervoso, io osservavo quell’ammasso di ferraglia, sperando di non beccarmi il tetano. Poi, lampo di genio.

-La catena! – esclamai.

Ma Jennifer mi guardò confusa.

-Di solito sono attaccate ad un paletto ben fissato nel terreno, se scaviamo..

-Se scaviamo possiamo muoverci da qua! – finì la frase.

Iniziai a spostarmi strisciando sulle chiappe, alzando di poco la gamba in modo che non toccasse il terreno. Il dolore era così pungente che sentivo il cuore esplodermi dal petto, ma dovevo resistere. Non mi sarei liberata dalla morsa, ma almeno era già qualcosa per il momento. Iniziammo a scavare con foga, riempiendo le unghie di terra. Scavavo in preda alle vertigini, sperando che il paletto fosse corto e non troppo piantato in profondità. Per fortuna, dopo pochissimo riuscimmo ad estrarlo. Stavo per urlare dalla gioia, esultare a squarcia gola, quando Jen mi tappò la bocca.

-Shh. – sussurrò – Sta arrivando qualcuno.

-Dobbiamo nasconderci. – mi impaurii.

Si guardò attorno e poi indicò alle mie spalle.

-Per di qua!

Presi in una mano il paletto, evitando che pesasse a penzoloni e provocasse maggiore dolore alla ferita. Intanto mi spingevo all’indietro, strusciando sul sedere come un bruco sbilenco. Jennifer mi precedeva, esaminando ogni angolo di verde in cerca di un nascondiglio. Finalmente scorgemmo un cespuglio sprovvisto di rovi e ci immergemmo. Poi riuscii a sentire anch’io dei passi lontani, stava arrivando. Sbucai dal cespuglio sebbene Jen mi tenesse per un braccio, ma buttai qualche foglia e terra sulle tracce lasciate, in modo che non potesse trovarci di lì in poi. D’un tratto un uomo superò il nostro cespuglio, fermandosi poco più in là. Spostai un rametto, per osservarlo. Scarponi marroni e lacci stretti ai pantaloni rovinati, giacca di pelle con ali cucite, capelli marroni di media lunghezza spettinati e bagnati, ma soprattutto balestra fra le mani. Lasciai andare immediatamente il ramo, nascondendomi meglio. Tremavo, ma non volevo far rumore.

-E’ pericoloso. – bisbigliai.

-Ovvio che lo è! Quale razza di persona amichevole corre armata e accigliata ad una richiesta di soccorso di una bambina?

Tirai una gomitata a Jen.

-Non chiamarmi così. – brontolai – E cosa suggerisci di fare?

Lo osservò.

-Uno : lo sei, quindi non discutere. Due : quel tipo non mi piace per niente. Sta guardando ogni particolare, presto si accorgerà sicuramente di noi. E’ un cacciatore professionista.

La guardai interrogativa in volto, sebbene odiassi essere chiamata bambina. Sì, lo sono. Undici anni sono pochi per essere chiamata almeno ragazzina, ma con tutto quello che ero riuscita a superare, mi sentivo superiore a quel semplice appellativo.

-Dobbiamo colpire prima noi. Abbiamo un vantaggio, sfruttiamolo. – propose decisa, indicando il coltello da lancio che avevo alla cinta.

Deglutii a fatica tanto erano l’ansia e le pene che provavo. Non era la prima volta che uccidevo una persona, ma stavolta non mi sentivo proprio nel pieno delle forze. Inoltre, avrei dovuto mirare e fare centro al primo tiro. Non avevo un secondo coltello, quello era l’unico rimasto. Una sola possibilità, altrimenti morte certa. Dardo in fronte e addio apocalisse.

-Puoi farcela. – mi fece coraggio.

Presi un bel respiro, agguantai la lama e mi sporsi. Feci volteggiare quel coltellino ad alta velocità, ma nello sforzo del lancio, una fitta indescrivibile mi aveva pervaso ogni nervo, perfino i capillari delle dita. Non ero sicura che il colpo sarebbe andato a buon fine. Prima che potessi capire dove si sarebbe conficcato, Jen parlò.

-Siamo davvero fottute.


Angolo autrice
Che dire, non ho tempo per la mia altra fanfiction ed io, genia che sono, ne inizio un'altra? Ebbene sì, ho avuto questa particolare idea e non potevo lasciarla lì, sospesa nelle mie fantasie. Un avvertimento, sebbene il titolo dia da pensare ad una trama romantica, questa non lo è affatto. Ci sono un paio di particolari che purtroppo ancora non posso spiegarvi, altrimenti faccio auto-spoiler ai miei prossimi capitoli. Nonostante questo cap sia più incentrato sul nuovo personaggio, il protagonista principale sarà Daryl. Qui, dopotutto, dovevo farvi conoscere la new entry. Detto questo, come al solito spero che quanto scritto vi sia piaciuto o almeno vi abbia intrigato un poco, il giusto per continuare almeno a seguire la storia. Fatemi sapere cosa ne pensate, un bacio e grazie anche solo per la visita :*
  
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