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Autore: Marti_51    19/01/2016    0 recensioni
Questa è una raccolta di racconti, ogni racconto è stato ispirato da una canzone, ecco perché il titolo! I personaggi cambiano sempre, cercherò di rendere ogni storia originale, perdonatemi se non ci riuscirò. Alcune storie finiranno bene, altre finiranno male, altre ancora non finiranno proprio.
Grazie della lettura :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Si erano andati tutti a rifugiare nella casa in campagna di Paul. Erano in una dozzina, sempre i soliti, sempre gli amici del liceo. Il loro legame, nonostante fossero passati tre anni dalla fine del liceo, non era ancora finito. Continuavano a uscire tutti insieme, come se fossero una grande famiglia. Anzi, forse lo erano davvero. Si conoscevano talmente bene… Bastava guardarsi negli occhi e già si capiva tutto, uno sguardo e un mondo si srotolava ai loro piedi.
Erano tutti a giocare al paroliere in sala da pranzo, intorno al tavolo con il ripiano di marmo bianco. Le loro grida si sentivano fin dal piano di sopra. Esattamente sopra alle loro teste c’era la veranda del secondo piano. Ampia, spaziosa, c’erano solo due sedie a sdraio e un piccolo tavolino di legno. A rendere bello il tutto era la copertura di vetro, si poteva stare fuori anche con la pioggia quando non era particolarmente freddo.
I due ragazzi erano stesi su due lettini diversi e guardavano il cielo. Erano in silenzio, non avevano molto da dirsi. Forse si erano già detti troppo.
“- Non mi ami. - Non era una domanda, era un’affermazione. - No, non ti amo. - Lo sguardo del ragazzo si posava ovunque pur di non dover affrontare quello della ragazza. - Ma non riesci a fare a meno di me. - Neanche questa era una domanda. - Non lo so, Christina. Se lo sapessi te lo direi. - Un piccolo sbuffo da parte di lei, come se non credesse alle sue parole. Per dieci stupidi mesi aveva potuto credere che il sogno della sua vita si realizzasse: amava Eric dalla seconda liceo e nonostante tutto quel tempo, nonostante tutto quello che avessero passato i due, non era mai finita. Lui scappava ma poi ritornava sempre, la evitava per non illuderla ma non riusciva a fare a meno della sua presenza, della sua voce, delle loro mani che si toccavano. Lo sguardo di lei era come una droga, non poteva fare a meno di perdersi nei suoi occhi. – Mi lascerai mai andare? – chiese di nuovo la ragazza, incrociando le braccia sul petto. – Ma io ti ho sempre lasciata libera… - replicò il ragazzo. Christina alzò gli occhi al cielo: aveva ragione. Era lei che rimaneva imprigionata. –Questi mesi sono stati alcuni dei miei più felici… - iniziò il ragazzo, sperando di migliorare la situazione. – Non provarci Eric. – lo ammonì subito lei. A quelle parole rabbrividì: odiava quando pronunciava il suo nome con quella freddezza, tra loro due stonava proprio. – Fammi parlare Christy… Sono stato felice con te, davvero. Ma io non ti amo quanto mi ami te, questo lo sai. Vuoi continuare a illuderti? – le chiese. Il ragionamento non faceva una piega, effettivamente. Christina sospirò, rassegnata, poi aggiunse:- No, non voglio. – Altro sospiro. – Sono stata felice anche io comunque. - Concluse, stendendosi sul lettino.”
Christina analizzò tutto quello che si erano detti e non era stupita di non essersi ancora messa a piangere: aveva sviluppato un autocontrollo invadibile. Poi solo le cose inaspettate la faceva piangere e quella, lei, l’aveva fiutata da tempo. Sapeva benissimo che lui non ricambiava in pieno il suo sentimento, non l’avrebbe mai fatto. Per un periodo di tempo si era illusa che sarebbe bastato del tempo per dimostrargli che insieme sarebbero stati perfetti, per farlo innamorare quanto lo era lei. Poi la sua parte razionale aveva ripreso il sopravvento e si aspettava quel discorso da un momento all’altro. Che avesse scelto proprio quel posto per farlo, però, la faceva soffrire. Era lì che si era resa conto di essere ancora innamorata di lui, tre anni prima. Aveva un ricordo dolce di quel posto, lui l’aveva rovinato.
- Chissà domani… - disse Eric, interrompendo quel silenzio.
- Sarà strano svegliarsi con questa nuova consapevolezza…-
- Lo possiamo fare ancora, lo sai, vero? -
- Cosa? - chiese dubbiosa Christina, alzando un poco la testa per guardarlo in faccia.
- Contare le onde del mare. - Mormorò di risposta lui, sorridendo appena. Era uno dei loro giochi segreti: si sedevano sulla spiaggia e contavano tutte le onde che tentavano di scappare dal mare, che tentavano di rompere gli schemi e dimostrare che per la libertà non serve altro che tanta buona volontà. E loro ne avevano, di buona volontà, per scappare dal destino che da troppo tempo li imprigionava in quel meccanismo. - Non esser così seria. - la pregò poi, vedendo che la fronte della ragazza rimaneva corrugata.
Christina, dal canto suo, era arrivata al limite: il ricordo di loro due sulla spiaggia faceva male. Cercò di ricacciarlo indietro, così come voleva scacciare le lacrime che le pizzicavano gli occhi.
- Rimani.- Un sussurrò quasi, ma abbastanza per inchiodarla sul posto e farla desistere dalla voglia di andarsene.
“No, lacrime no!” pensò lei, tornando a stendersi. Non sarebbe rimasta lì fino alla mattina dopo, però, non ci sarebbe riuscita.
Improvvisamente un boato spaventoso li scosse dalla loro tranquillità, facendo battere a entrambi il cuore dalla paura. - Sarà stato un tuono! - tentò il ragazzo, scrutando il cielo. Sì, effettivamente non si vedevano tutte le stelle, ogni tanto erano oscurate da un nuvolone nero.
- Non mi meraviglio, le previsioni lo dicevano da tre giorni! - disse la ragazza, ricordando perfettamente le parole di sua madre riguardo al tempo di quel fine settimana fuori casa.
Altro boato. - E’ una notte di fuoco! - esclamò ridendo Eric, rabbrividendo di sorpresa.
A Christina piacevano i tuoni, anche se per i tre secondi successivi aveva sempre il cuore impazzito e la pelle d’oca.
“Dove sono le tue mani adesso? Mi avevi promesso che questa volta ci saremmo riusciti…” pensò la ragazza, distraendosi dalla paura del tuono e passandosi una mano sul volto. Quant’era sciocca? Dieci mesi e già aveva immaginato tutta la sua vita con Eric. Si poteva però darle torto? Erano sette anni che il suo cuore straziato aspettava un sì.
Proprio in quel momento le rimbalzò alla mente un pensiero che aveva fatto durante una notte di dicembre, una delle tante dove la notte sembrava non finire mai. “Nascerà e non avrà paura, nostro figlio…” Era stato un lampo, già lo vedeva scorrazzare per la casa. Già se lo immaginava al petto. Non avrebbe avuto paura, quel bambino, completamente diverso dai suoi genitori. Già pensava alla dolcezza del suo volto e neanche sapeva dove sarebbe stato lui domani, su quali strade avrebbe camminato, cosa avrebbe avuto per le mani. Si sentiva come se quella  potesse essere l’ultima notte della loro vita che avrebbero condiviso. Il mostro intenso del dolore ruggì nel suo petto, non potendo neanche immaginare una prospettiva tale. Si girò a guardarlo: lui ancora fissava il cielo, disegnando strani ghirigori sul pavimento, con la mano penzoloni giù dalla brandina. “Le sue mani…” una delle parti preferite del corpo di Eric, forse più dei suoi occhi. Si era innamorata di loro la prima volta che l’aveva visto suonare una chitarra.
Eric si girò proprio in quel momento, accorgendosi che la ragazza lo stava fissando. Il contatto visivo rimase, nessuno dei due ebbe il coraggio di spezzarlo. Lui le sfiorò con gli occhi il profilo del mento, le labbra rosse, il naso, gli occhi grandi, il ciuffo di capelli che le sfiorava il volto. – Come sei bella… - Mormorò. Era un sussurro, come se fosse un pensiero detto a voce alta.
Questo bastò a far alzare gli occhi al cielo alla ragazza, scosse la testa e sospirò. Il dolore, quello era sempre più prepotente al centro del suo petto. – Avevo pensato anche a un nostro ipotetico figlio. – rivelò, dopo qualche secondo di silenzio. Per spaventarlo? Molto probabilmente sì. Forse era l’unico modo per mettergli di fronte la potenza del suo sentimento, come se ancora Eric non avesse ben chiara la cosa.
- Oh… - fu l’unica cosa che rispose, preso alla sprovvista. – E come l’avresti chiamato? – aggiunse poco dopo. Sentì salirgli una strana malinconia, come se stesse per perdere qualcosa di molto importante, importante ma indecifrabile. Cos’era? Cosa poteva essere? E cosa poteva farci? Era un senso di disagio, un misto tra la sconfitta, la perdita, la mancanza.
- Jake. -  sussurrò lei, andando a interrompere i suoi pensieri.
- E se sarà femmina si chiamerà…? – rispose subito lui, capendo benissimo la scelta del nome maschile, non avrebbe neanche dovuto chiedere.
- L’avrei lasciato decidere a te. – sorrise a metà, un sorriso triste con gli occhi da un’altra parte.
- Helen. – disse dopo qualche minuto Eric. Un fremito lo percorse da capo a piedi e proprio in quel momento comprese la visione che doveva aver avuto Christina, l’immagine di una loro figlia, con i tratti di uno e dell’altra, con i difetti di entrambi, con i pregi solo di Christina. Il suo nome detto questa notte fa loro quasi paura, come se vivesse già, come se potessero già stringerle la mano, accarezzarla, proteggerla.  
- Chissà come potrebbe essere… - sospirò la ragazza, continuando a guardare Eric. Era lì, stesa su quel lettino con l’amore della sua vita non corrisposto, a parlare dell’ipotetica figlia (sì, perché nel momento in cui aveva detto il nome aveva sentito che sarebbe stata un femmina) e a immaginarla.
- Sarà alta come me, mora con i riflessi ramati, con i capelli ricci e disordinati. Gli occhi marroni, grandi come i tuoi. Avrà le mie orecchie e le tue gambe lunghe, i tuoi fianchi stretti, le mie spalle larghe, il mio sorriso e il mio mento . – profetizzò il ragazzo.
- Sarà diversa, bella come una stella… -
- Sarai tu in miniatura. –
Christina si alzò. Era arrivato il momento di chiudere quella storia, di finirla lì con i bei discorsi, con i bei sogni, con le belle illusioni. Si avvicinò al ragazzo, si inginocchiò accanto a lui e gli accarezzò i capelli con una dolcezza disarmante. Gli stampò un bacio sulla fronte, strizzando le palpebre perché il dolore, davvero, si stava divorando tutto.
Lui le bloccò la mano sui suoi capelli e scostò il volto. La guardò negli occhi, fisso, per qualche secondo. – Voglio ancora baciarti. – Non sapeva perché stava dicendo quelle cose, perché la faceva soffrire così. Non la amava, non l’avrebbe amata mai come voleva lei. un sentimento così forte lo spaventava, come poteva provarlo? Come poteva anche solo immaginarlo? – Chiudi gli occhi. – aggiunse poco dopo, vedendo che il suo sguardo si era perso nel vuoto.
- Hai preso una decisione… Non voltarti indietro! – gli intimò lei, tra i denti. Si staccò immediatamente, irrigidita dopo le parole che lui gli aveva detto. Perché? Perché quella sofferenza inutile? Gli occhi non riuscivano a posarsi su nulla, vagavano come impazziti per tutta la veranda, senza posarsi su nulla di preciso ed evitando con cura il corpo di lui. Il viso, quegli occhi penetranti, quelle labbra su cui era morta almeno un miliardo di volte…
Lui non voleva farsi bloccare dalla freddezza con cui aveva accolto l’ennesimo cedimento, la afferrò per il braccio e la trascinò accanto a sé. Lei lo lasciò fare, accoccolandosi vicino a lui, abbracciandolo con energia, mentre sopra di loro il cielo iniziava a piangere. Pioveva e c’era la luna, il paesaggio era mozzafiato.
- Qui tutto il mondo sembra fatto di vetro… - mormorò il ragazzo, accarezzando il braccio nudo di Christina.
- E sta cadendo a pezzi. – completò la frase lei, sentendo il rumore della pioggia aumentare di intensità. Ma a cadere non sarebbe stata la veranda, il tetto di vetro, il tavolino chiaro che alla luna sembrava brillare di luce propria. A cadere sarebbe stata la loro resistenza, la  loro volontà. Il cuore di Christina si infranse al suolo per l’ennesima volta e Eric lasciò che tutto ciò che lo bloccava andasse in frantumi al solo tenerla così vicina al petto. Fu in un lampo: entrambi furono attratti come se fossero calamite.
Si baciarono, con una furia strana, con la voglia di fare l’amore, come se fosse la prima volta, come se fosse l’ultima. E forse lo era davvero l’ultima. Le loro bocche si cercavano fameliche, le loro mani accarezzavano ogni centimetro di pelle che avevano a disposizione. Si spogliarono, tenendo sempre gli occhi chiusi e staccandosi quel tanto che bastava per sfilarsi i vestiti. Lei gli slacciò la camicia e gliela fece scendere dalle spalle, facendo passare le dita su quella schiena che tante volte aveva desiderato. Lui le tolse la maglietta, lanciandola lontana in un angolo e beandosi per qualche secondo della vista di lei, sopra di lui, in reggiseno. Tornò a baciarla, mentre si sfilavano entrambi i pantaloni, fino a rimanere nudi. Come se fossero soli sulla faccia della terra, da due divennero uno e Christina non sentì più la differenza di intensità del loro amore perché tra i loro corpi caldi non c’era alcuna differenza.
- Di più –
- Muoviti più in fretta –
- Di più –
- Christina, più su –
C’era silenzio, ora, tra le nuvole, solo i loro sospiri, i loro gemiti facevano da colonna sonora.
- Più su –
- Che si arriva alla luna… -
- Sì la luna –
- Ma non è bella come te questa luna… - furono le parole di lei, sopra di lui, prendendo tra le mani il suo volto sudato, guardandolo negli e vedendoci riflessa la luce della notte.
- Allora su –
- Mettendoci di fianco,più su –
- Guida tu che sono stanco, più su –
E in mezzo alle stelle comete e ai batticuori il loro amore bruciava, come se non si dovesse esaurire mai. L’amore che tante volte Martina aveva represso usciva fuori con tutta la sua forza, usciva e si tramandava ai baci roventi che lei lasciava sulla sua pelle, alla passione con cui si aggrappava alla sua schiena, andava indietro con la testa e ansimava il suo nome.
- Più su –
Caldo, come quasi ci fosse il sole, un sole rovente che bruciava la loro pelle, colpevole di amarsi dopo l’ennesimo addio. Un sole come una catena di ferro, una catena di ferro senza amore.
 
Senza amore. Senza amore. Senza amore. Queste le parole che rimbombavano nella testa di Christina quando, esausta, si stese di fianco al ragazzo, continuando a tenerlo abbracciato. Tutte le volte era così bello che quasi si illudeva potesse andare a finire bene. E invece no. Senza amore. O almeno, senza l’amore che provava lei.
Lento, adesso batte più lento il loro cuore, adesso il respiro torna a regolarizzarsi, nel silenzio della notte che ha fatto da spettatrice.
- Come stai? – chiese Eric, stringendola più forte. Lo sapeva, conosceva bene la colpa di cui si era macchiato e quella domanda non poteva che essere un modo per espiare. Appoggiò una mano sul suo cuore, lo sentiva pompare sangue incessantemente. Era un cuore forte, non l’avrebbe di certo mandato in pezzi lui. O almeno, questo era quello che sperava ardentemente. Meritava di amare qualcuno che ricambiasse, qualcuno che si sarebbe gettato nel fuoco per lei, per non fargli soffrire neanche un battito.
Christina non ebbe coraggio di rispondere nulla, la voce gli moriva in gola e gli occhi stravano iniziando a riempirsi di lacrime. Scintillavano, illuminati dalla luce della luna.
- I tuoi occhi così belli non li ho visti mai… - confessò Eric, fissandola dentro i suoi grandi occhi da cerbiatta. Ferita. Leggeva il dolore che si addensava intorno alle pupille nere. Scostò la testa, mentre le prime lacrime scendevano e andavo a rigare il volto della ragazza. Si girò dall’altra parte, stringendo le palpebre nello sforzo di smettere.
- Ma adesso non voltarti –Eric la implorò
- Voglio ancora guardarti – continuò, accarezzandole la testa.
- Non girare la testa – concluse, prendendole il mento e facendola voltare, mostrando tutte le sue lacrime nude che scorrevano lungo il profilo del volto.
- Dove sono le tue mani? – chiese Christina, scorrendo il braccio di Eric con le dita, fino ad arrivare alla sua mano. La strinse, forte, senza aver paura di fargli male. Gliela strinse, si aggrappò a quella mano che le faceva bene, bene e male allo stesso tempo.  
- Aspettiamo che ritorni la luce, voglio dormire qui. - disse il ragazzo, avvolgendola tra le sue braccia. Non avrebbe mai potuto proteggerla dal dolore ma quella sera avrebbe almeno voluto provarci.
- Aspettiamo senza avere paura, domani -


***

E' la mia prima storia, siate buoni! Ho un problema con il discorso diretto, i trattini a volte sono lunghi altri corti, non ho neanche capito a cosa è dovuto! Spero vi sia piaciuta, nel caso vorrei sapere dove sto sbagliando :) La canzone "ispiratrice" è Futura, di Lucio Dalla. 
Grazie mille per avermi letta. 
  
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