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Autore: _mary_laura_    20/01/2016    0 recensioni
[Dolan Twins/Ethan Dolan/Grayson Dolan]
Cassandra non è abituata alle persone e forse non ci si abituerà mai. Crede che siano solo un ostacolo alla sua barriera, alla sua libertà. Eppure alcune persone le ama. Poche, ma importanti. Quando parte per Los Angeles, obbligata dal suo patrigno, sembra che il mondo le debba crollare addosso. Lontana dai suoi affetti, dalla sicurezza di un posto che considera casa. Cassandra però non sa che è a Los Angeles che troverà la serenità. E, soprattutto, la felicità. E scoprirà che le persone non sono male come sembrano, soprattutto se si tratta dei gemelli Dolan.
"-Lasciamelo portare, per favore. Sono più forte di quello che sembro.
Mormoro quando sento sua sorella salire le scale e il chiacchiericcio di Lily e Grayson sparire inghiottito dalle mura della casa.
Lui cerca di nuovo i miei occhi, probabilmente perché li ho spostati troppo verso le sue labbra carnose, e mi inchioda in quel mare castano.
-Questo l’ho capito dal primo momento in cui ti ho vista."
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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https://www.youtube.com/user/TheDolanTwins

Non volevo fare questo stupido scambio culturale. Non volevo andare via da Silvia, da Federico. Non volevo perdere l’estate dei miei 18 anni in un posto che non conosco, con gente che non conosco che parla una lingua che capisco a stento. Non volevo andare via dal mare, dal mio mare, che quest’anno avevo deciso di condividere anche con Fede. Non volevo vestire degli abiti, una pelle, delle emozioni che non mi appartengono. Non volevo lasciare a casa i miei libri. Non volevo salire su quest’aereo che mi deporta in una terra decantata per la sua bellezza ma che per me assomiglia alle più tetre delle prigioni. Non volevo andare a Los Angeles. Non volevo. Eppure ho dovuto, devo, dovrò. Per colpa sua. Per colpa di quell’uomo che mi dice di chiamarlo padre ma che per me rimarrà sempre un estraneo. Per colpa di quell’uomo che è entrato nella mia vita con l’irruenza di una palla da demolizione. Per colpa di quell’uomo che mi ha portato via mia madre. Ancora. Vorrei urlare, piangere, avvelenarmi, diventare nulla e tutto insieme. Ma non posso. Sii forte bambina. Gliel’ho promesso. E lo farò. Solo per lui.

         ********************

Brusii, suoni metallici, mani che sventolano, nomi gridati, abbracci, sguardi un vortice di persone che tenta di risucchiarmi e che io cerco di evitare, guardandolo con indifferenza da fuori. Mi sistemo la treccia fulva sulla spalla destra e proprio in quel momento una ragazza dai capelli biondo platino mi urta da dietro e, senza nemmeno scusarsi, si lancia tra le braccia di un ragazzo per poi baciarlo. Faccio una smorfia reprimendo un conato di vomito e decido di attraversare la porta a vetro degli arrivi. Faccio un respiro e mi butto. Appena arrivo dall’altra parte mi porto faticosamente fuori dalla calca di abbracci e baci e mi avvicino ad un totem con delle tabelle delle partenze. Il mio cuore batte alla velocità della luce, mentre il mio respiro inizia a farsi irregolare. Inspira, espira. Inspira, espira. Calmati. Non farti prendere dal panico. Immagina qualcosa di bello. Chiudi gli occhi, rilassati. Pensa. Una biblioteca. Una vetrata che dà sul mare. Una canzone cantata a mezza voce. Apro gli occhi e riassumo il controllo su me stessa. Apro la mia borsa e cerco l’e-mail con i dati della famiglia che mi deve ospitare. Non ho una loro foto ma io gli ho inviato una fotografia di me e Silvia a Jesolo, di qualche settimana fa, quando avevo già i capelli rossi. Scorro le frasi finchè non mi imbatto nel cognome di coloro da cui devo alloggiare. Dolan. Dovrebbero avere tre figli, due maschi e una femmina più piccola di me di due anni. Non ho voluto saperne di più. Avevo fatto voto di silenzio. Vietando a chiunque di parlarmi. Dalla destra mi giunge una voce maschile adirata, le cui parole mi paiono incredibilmente comprensibili.
-Oh my God! You’re such an idiot! I can’t understand what did you do to be late!
Mi viene quasi da ridere, sembra troppo Federico. Ahi. Il dolore mi colpisce troppo forte e troppo reale. Il mio migliore amico. Il mio fratello immaginario.
Devo distrarmi da tutto ciò, così ritorno ad ascoltare la conversazione di prima. Evidentemente il tipo stava parlando ad un ragazzo perché la voce che risponde è bassa e leggermente roca. Inizio a tradurre mentalmente.
-Oh, stai un po’ zitto, sei tu che non sai guidare. Comunque magari non è ancora uscita. Oppure è in bagno, oppure è al bar, oppure…
Sento il rumore di uno schiaffo seguito da un’imprecazione e mi giro di colpo verso la fonte del suono. Non era uno schiaffo, ma un coppino. Un ragazzo si sta tenendo la nuca, mentre l’altro mi guarda con gli occhi marroni sbarrati. E’ decisamente un gran bel tipo: alto una spanna più di me, castano, i capelli tenuti corti sui lati, mentre un piccolo ciuffo spicca sopra la testa, la carnagione bronzea e la mascella spigolosa. Non riesco a distogliere lo sguardo finchè l’altro non alza il viso e… cazzo, vedo doppio? Alzo un sopracciglio stordita finchè non capisco: gemelli. Due schianti di gemelli. Mi si secca definitivamente la gola quando quello del coppino fa: -Keisandra?
Che? Ma che razza di lingua parlano?! Comunque sembra rivolto a me, perciò mi faccio coraggio.
-What?
Domando. Sembra stupido, ma loro si sorridono e mi si avvicinano, finchè non sono ad una ventina di centimetri da me. Il tipo di prima guarda un foglietto stropicciato per poi ripuntare gli occhi nei miei.
-Are you Keisandra Vannani?
Chiede incerto, spostando il peso da un piede all’altro. Ci metto un po’ per capire: Keisandra è l’orribile storpiatura americana del nome Cassandra. Il mio nome. Quindi vuoi dire che dovrò abitare da loro due? Diventerò pazza.
-Y- yeah. I am.
Rispondo con un filo di voce. I loro visi si illuminano e poi mi stringono entrambi la mano.
-Io sono Grayson Dolan e questo è mio fratello Ethan, starai con noi per i prossimi mesi.
Dice il ragazzo che non mi aveva ancora parlato. Merda. Penso che entrerò nel panico non appena metterò piede nella loro auto. Spero di riuscire in qualche modo a distinguerli, ma per ora la confusione regna sovrana.
-Piacere di conoscervi e grazie per l’ospitalità.
Dico rivolta a nessuno in particolare. Quello che credo essere Ethan sorride prendendo il mio trolley nero, mentre Grayson afferra il borsone azzurro.
-Il piacere è tutto nostro. Non preoccuparti, col tempo riuscirai a distinguerci, nel frattempo sappi che Grayson è quello noioso.
Non riesco a trattenere una risata, mentre usciamo dall’aeroporto.
L’aria calda e afosa di Los Angeles mi colpisce il viso lasciandomi senza fiato per alcuni secondi. Fisso il grigio finchè i miei occhi non si abituano alla luce e mi ritrovo in un parcheggio che sembra in procinto di essere inghiottito dai grattacieli. Non mi ero accorta di quanto fossimo vicini alla città.
-Dio mio.
Mormoro dimenticandomi di parlare in inglese, ma i ragazzi sembrano aver capito perché in coro mi fanno: -Benvenuta a Los Angeles.

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I ragazzi non smettono di parlarmi per tutto il viaggio. Si interrompono solo per scoprire che ho ancora diciassette anni e che il mio compleanno è la prossima settimana. Dicono che sarà “the best ever”. Dicono. Io so come sarebbe dovuto essere per essere il migliore di sempre. A Scilla, con i miei migliori amici, due settimane. Avevamo programmato questo viaggio già dall’inizio dell’anno ma circa un mese fa tutti i nostri sogni sono andati in fumo. Tre mesi e mezzo lontana da casa. Un incubo. Sentire i miei amici solo per telefono o vederli in videochat. Non potrò più appoggiarmi alla spalla di Fede mentre sono triste o abbracciare per ore Silvia quando mi sembra che la mia vita non abbia più uno scopo. Il che succede molto spesso. Come farò a resistere quaggiù? Tutto di cui ho bisogno è solo essere amata per come sono. E per ora solo tre persone sono riuscite nell’intento. Non mia madre. Non il mio ex ragazzo. Non il gruppo di amici con cui esco. Non Mr. Chiamami-papà. No. Solo Fede, Silvia e il mio vero padre. Ettore. Che è morto prima di potermi vedere finire le scuole medie. Che non potrà mai festeggiare con me la mia laurea. Che non potrà mai accompagnarmi all’altare. Che non potrà mai giocare con i suoi nipotini. Sei anni sono passati eppure ciò che sento è così forte e lacerante che sembra sia accaduto ieri. Mi copro la bocca con la mano mentre guardo fuori dal finestrino i grattacieli sfilare veloci accanto a noi. Non posso permettermi di mostrarmi debole. Non posso non mantenere la parola che gli ho dato appena un giorno prima di vederlo riverso a terra con un buco nello stomaco. Strizzo forte gli occhi e scuoto la testa. I gemelli continuano a cianciare sui posti che devono mostrarmi, sulle cose che dobbiamo fare sugli amici che mi devono presentare. Tutto ciò che vorrei fare davvero in questo momento è dormire, scivolare via dal mondo schifoso in cui vivo e sognare di risvegliarmi a casa, dove c’è tutto ciò che amo. Come a conferma dei miei pensieri faccio un lungo sbadiglio.
Ethan, che sta guidando, interrompe la chiacchierata per lanciarmi un’occhiata fugace.
-Ci credo che sei stanca, il fuso orario dall’Italia è di nove ore. Ci metterai qualche giorno ad abituarti ma alla fine vedrai che sarà più duro il ritorno a casa.
Sì. Che sarà il 14 ottobre. Quindi tra un bel po’ di tempo. Sospiro e mi accoccolo nel sedile anteriore del loro suv scuro e cerco di non pensare a nulla. Ho appena chiuso gli occhi quando sento le prime note di Love Me Harder alla radio. Come posseduta alzo il volume e inizio a canticchiare la mia canzone preferita.

Tell me something I need to know
Then take my breath and never let it go
If you just let me invade your space
I’ll take the pleasure, take it with the pain
And if in the moment I bite my lip
Baby in that moment you know this is
Something bigger than us and beyond bliss
Give me a reason to believe it

Con poche parole mi sono guadagnata l’attenzione di entrambi i fratelli e Grayson deve ricordare ad Ethan di guardare dove sta andando perchè si era imbambolato a fissarmi. Questa cosa mi ricorda un passo di Hunger Games dove Peeta dice a Katniss che persino gli uccelli sugli alberi cessavano il loro canto per ascoltare la sua voce. Sorridendo inizio il ritornello e alla mia voce si aggiunge quella baritonale e carezzevole di Ethan.

Cause if you want to keep me
You gotta, gotta, gotta, gotta, got to love me harder
And if you really need me
You gotta, gotta, gotta, gotta, got to love me harder
Ooo love me, love me, love me
Ooo harder, harder, harder

Lo lascio continuare a cantare mentre io e Grayson facciamo la seconda voce. Devo dire che è piuttosto bravo, ma suo fratello fa abbastanza ridere. Infatti Ethan gli tappa la bocca con una mano mentre con l’altra guida l’auto.

Cause if you want to keep me
You gotta, gotta, gotta, gotta, got to love me harder
And if you really need me
You gotta, gotta, gotta, gotta, got to love me harder

Ooo love me, love me, love me
Ooo harder, harder, harder
Ooo love me, love me, love me
Ooo harder, harder, harder

So what do I do if I can’t figure it out
You got to try, try, try again
So what do I do if I can’t figure it out
I’m gonna leave, leave, leave

Senza accorgermene siamo usciti da Los Angeles e stiamo fiancheggiando una strada di villette a schiera con dei piccoli giardini dove alcuni bambini stanno giocando tra di loro.
Una bimba mi saluta con la manina e io non faccio a tempo a ricambiare che è già sparita dietro ad una siepe. Giriamo in una stradina di sassi che porta ad una casa di circa tre piani di mattoni rossi con una grande veranda bianca sul davanti e quella che sembra una piscina sulla destra.
La canzone finisce nel preciso istante in cui la macchina si ferma diagonalmente e io spalanco la bocca girandomi verso i gemelli che mi guardano con aria divertita.
-Cioè volete dirmi che voi abitate qui?
Chiedo col mio inglese stentato. Grayson fa una gran risata gettando indietro la testa e Ethan scuote la testa abbassando lo sguardo sul cambio dell’automobile.
-E’ più meno la stessa cosa che la gente ci dice la prima volta che vede casa nostra.
Mormora Grayson uscendo dall’auto. Io mi slaccio la cintura e li seguo nel caldo afoso della periferia di Los Angeles. Gli alberi che crescono nel giardino contribuiscono ad attenuare la calura, ma l’umidità continua ad aleggiare su di noi creando una patina che si appoggia alla nostra pelle.
-Chissà perché mai.
Dico tra me e me in inglese. Ethan ,che è accanto a me, fa una risatina e incrocia i miei occhi per un attimo. Li abbasso prima di lui. Non riesco a fissare qualcuno negli occhi: ho come l’impressione che lui riesca a leggermi dentro scoprendo quanto fragile sia, quanti nervi lascio scoperti.
Grayson apre il portellone del bagagliaio e tira giù il mio trolley mentre io mi affretto ad afferrare il borsone prima che lo faccia Ethan, ma i miei sforzi sono vani perché, ancora prima di appoggiarlo a terra, lui me lo sfila dalle mani lasciandomi a trasportare solo la mia Freitag semivuota. Dire che mi sento a disagio è dire poco. Spero solo di non essere viola in faccia perché sennò completerei l’opera a meraviglia.
Sto per muovere un passo quando Grayson mi afferra per un braccio esercitando una lieve pressione con le dita sulla mia pelle pallida. Mi volto verso di lui e noto che ha il labbro inferiore leggermente mangiucchiato sulla destra. Se lo morde esattamente come me. Noto un certo imbarazzo nel suo sguardo anche se mi limito a fissargli il naso, un trucco che mi ha insegnato Silvia per far credere all’interlocutore di guardarlo negli occhi.
-Allora, nostra madre è… un po’…
Si interrompe per cercare la parola adatta, roteando gli occhi e lasciandomi il braccio libero.
-Diciamo che assomiglia a Molly Weasley quando accoglie Harry in casa.
Conclude Ethan con una smorfia di autocompiacimento. Gli sorrido speranzosa. Magari gli piacciono i miei stessi libri. Forse ho trovato un fanboy. Questo vorrebbe dire che non sono una specie che si è già estinta.
-Have you ever read Harry Potter?
Chiedo titubante, sperando fino in fondo che mi risponda di si. Ma un suo lieve cenno del capo mi fa capire che in realtà gli unici libri che ha letto solo quelli scolastici.
-No, ho solo visto i film. Non mi entusiasma molto leggere, diciamo che non riesco a stare dietro al racconto, mi perdo dopo poco.
Fa alzando un angolo della bocca in un sorriso che sa di dispiaciuto. Senza che il mio cervello glielo abbia domandato le mie gambe hanno camminato fino a davanti alla loro porta di casa e adesso uno dei gemelli (mi sono già persa evviva) sta suonando un campanello bianco sulla destra della porta. Da dentro giunge uno scampanellio simile a quello dello xilofono e dopo alcuni secondi si sente una chiave girare nella toppa.
-Ci sono stati alcuni furti nella zona e da allora i nostri genitori non si fidano a lasciare la porta aperta.
Mi sussurra il ragazzo alla mia destra. Annuisco e aggrotto le sopracciglia mentre la porta si apre di uno spiraglio, lasciando intravedere due magnifici occhi verdi e dei capelli rossicci. Subito però lo sguardo si fa acceso e l’uscio si apre del tutto mostrandomi una signora di mezza età alta un po’ meno di me, longilinea, con una folta chioma di capelli ricci che le scendono sul seno coperto da una maglietta a maniche corte bianche abbinate ad un paio di jeans lunghi al ginocchio leggermente scoloriti. Un sorriso a trentadue denti spicca sul suo volto, creando un po’ di rughe attorno agli occhi e alzando leggermente gli zigomi, creando due piacevoli fossette agli angoli della bocca carnosa come quella dei suoi due figli.
-Welcome welcome welcome!
Esclama felice per poi abbracciarmi e lasciarmi un bacio tra i capelli. In questa posizione riesco a sentire il suo profumo: sa di fiori di campo, di detersivo al Marsiglia e di biscotti al miele. E’ delizioso a dir poco. Quando si stacca un piccolo sorriso si è formato anche sul mio viso.
-Grazie mille per l’ospitalità signora, è un piacere conoscerla.
Dico recitando a memoria il piccolo dizionario che ho comprato con le frasi di circostanza da rivolgere se non si sa cosa dire.
-Oh, non darmi del lei ti prego, chiamami Lily. Piuttosto è un piacere conoscere te. Ti chiami Keisandra vero?
Con una mano mi spinge dietro la schiena per farmi entrare in casa. Pochi secondi dopo essermi fermata nel vasto ingresso dipinto di bianco sento la porta chiudersi alle mie spalle con un tonfo.
-Sì, ma ti prego chiamatemi Cassandra, non sopporto la pronuncia americana. Senza offesa.
Dico abbassando lo sguardo sulle mie Vans nere. Lei ride di gusto e mi fa cenno di seguirla verso una stanza che si apre sulla destra che poi scopro essere il soggiorno.
-Scusami, ma mi viene naturale. Cercherò di impegnarmi a chiamarti col tuo nome italiano.
Fa lei guardandomi come per studiarmi. Un debole sorriso si impossessa delle sue labbra e poi si sposta dietro di me per guardare i due gemelli.
-Spero che non abbiate fatto impazzire troppo questa povera ragazza.
Fa Lily guardandoli di sbieco, con le braccia sui fianchi e le gambe leggermente divaricate. Quello che credo essere Ethan si passa una mano tra i capelli alzando gli occhi al cielo con fare teatrale, mentre l’altro sbuffa divertito.
-Avanti mamma, così ci fai sembrare due rompiscatole insopportabili.
Dice Grayson. Riesco a riconoscere la sua voce perché quando pronuncia la lettera “r” il suono è basso e sembra raschiare qualcosa. Sua madre fa per ribattere qualcosa, quando una voce femminile giunge da qualche parte della casa.
-La realtà è che siete due rompiscatole insopportabili.
Subito dopo avverto dei passi sulle scale e una ragazzina mora fa capolino dall’ampia porta del salone. E’ la perfetta fotocopia di Lily, fatta eccezione per la chioma scura. Mi sorride incoraggiante avvicinandomisi e noto che è di molto più bassa di me. Deve essere la sorella che, a quanto ho capito, dovrebbe avere sedici anni. Mi tende la mano piccola e minuta e io gliela stringo piano, quasi avendo paura di romperla.
-Ciao, io sono Ashley, la sorella minore dei due rompiscatole insopportabili.
Dice sempre tendendo quel sorriso da manuale che le illumina il volto.
-Io sono Cassandra, mi fa piacere conoscerti.
Faccio incespicando nelle mie stesse parole. Ethan ride di quella sua risata gorgogliante ed affascinante ed io non posso evitare di arrossire violentemente ed abbassare ulteriormente lo sguardo, concentrandomi sulle havaianas a fiori di Ashley. Passa un  secondo di imbarazzante silenzio in cui mi do mentalmente dell’idiota patentata, poi Lily viene in mio aiuto.
-Allora Cassandra, hai fatto un lungo viaggio, immagino tu sia stanca. Ethan, Ashley per favore accompagnatela alla sua stanza: Grayson vieni con me in cantina: devi aiutarmi a tirare fuori le sedie a sdraio.
Io sorrido leggermente ma non alzo lo sguardo di molto, poi mi avvicino al mio borsone e ne afferro la maniglia, ma le dita di Ethan si chiudono attorno alle mie in una stretta d’acciaio. Sono grandi, ma morbide e calde. I miei occhi guizzano verso i suoi ma ci si soffermano per meno di un secondo prima di spostarsi verso il suo naso dritto.
-Lasciamelo portare, per favore. Sono più forte di quello che sembro.
Mormoro quando sento sua sorella salire le scale e il chiacchiericcio di Lily e Grayson sparire inghiottito dalle mura della casa.
Lui cerca di nuovo i miei occhi, probabilmente perché li ho spostati troppo verso le sue labbra carnose, e mi inchioda in quel mare castano.
-Questo l’ho capito dal primo momento in cui ti ho vista.
Mi alita, talmente vicino al mio viso che ormai restano pochi centimetri a separarci.
Io mi mordo un labbro osservando la sua mano lasciare la mia e, un momento dopo, sono con il borsone in spalla accanto a lui.
-Prego, è di qua.
Mi fa cenno con la mano libera verso le scale di colore bianco che corrono sul lato sinistro del muro dell’ingresso e che poi piegano verso destra portando al primo piano.
Inizio a salirle meccanicamente, concentrandomi sui miei passi e sul buon proposito di non inciampare. Non davanti a lui. Scuoto la testa infastidita mentre piego verso destra: ma cosa vado a pensare? Lo conosco da quanto? Un’ora. Quando arrivo al pianerottolo di legno chiaro ho già scacciato dalla mente quel pensiero fastidioso e senza senso. Avverto i passi di Ethan e poi lui mi passa davanti, chiedendomi di seguirlo attraverso i corridoi. Svoltiamo a destra, in un interminabile andito lungo il quale varie porte si stagliano bianche ai miei lati. Scorgo due quadri appesi alla parete di sinistra: uno rappresenta tre bambini uno vicino all’altro, sorridenti. Subito dopo però capisco che si tratta dei gemelli e di loro sorella quando erano piccoli. Un moto di dolcezza si impossessa di me mentre immagino il ragazzo che mi cammina davanti diventare un bimbo di cinque anni irrequieto e vivace che gioca con suo fratello. Senza volerlo emetto un verso a metà tra una risata e un sospiro, per poi portarmi subito una mano alla bocca prima di accorgermi che era tanto flebile che Ethan non se ne sarà mai accorto. L’altro quadro invece rappresenta un paesaggio di mare, col sole che si riflette sull’acqua, le onde che si scagliano contro gli scogli e la spiaggia alzando nuvole di schiuma bianca che mi sembra di avvertire sulla pelle mentre i gabbiani stridono attorno a me e il vento mi sferza il viso. Ritorno alla realtà e noto che è firmato L.G. Non ho il tempo di domandarmi a chi si riferiscano quelle lettere che il corridoio finisce e davanti a me ci sono delle scale uguali a quelle che ho percorso poco fa, che però portano ad un ballatoio largo e corto, dal quale si sta affacciando Ashley.
-C’mon! Come here!
Grida Ethan sorridente, dalla cima della scalinata. Così lo seguo e lo raggiungo. Mi accorgo che alle spalle di Ashley c’è una porta spalancata che lascia trasparire la luce della prima estate e che le illumina il viso e i capelli rendendola ancora più bella.
-Una volta era la mia stanza.
Dice prendendomi per il polso e trascinandomi al suo interno dietro di lei. I raggi del sole mi abbagliano per qualche secondo, poi noto un letto matrimoniale con la testiera in ferro battuto dipinto di bianco, una grande finestra con le tende azzurre che ricadono sul pavimento di parquet. Una scrivania in stile settecentesco sempre di colore bianco e una sedia con imbottitura capitonnè grigia e panna sono addossate sul lato sinistro. Un grande specchio è posto accanto al letto e rimanda il mio riflesso stanco e stordito dal fuso orario. Davanti ad esso, verso destra, c’è un manichino di ferro nero adornato da margherite rampicanti che si avvolgono attorno al palo centrale per poi diramarsi verso il basso, quasi coprendo il busto.
-Wow.
E’ la sola cosa che riesco a dire. Ethan, alla mia destra, ride e mette il mio trolley accanto al manichino.
-Ovviamente l’abbiamo un po’ cambiata. Una volta le pareti erano bianche, ma quando tu ci hai detto che adoravi la natura abbiamo pensato di mettere questi adesivi.
Dice Ashley indicandomi uno dei tanti steli d’erba neri che sembrano nascere dal pavimento. Tra di essi spunta qualche fiore di campo e un soffione, dal quale il vento ha strappato alcuni semi che ora volano sopra alla testiera del mio letto.
-Grazie mille, non dovevate prendervi tanto disturbo per me, davvero.
Ashley fa una smorfia, poi mi indica una porta accanto alla scrivania che prima non avevo notato.
-Lì ci sono il bagno e la cabina armadio.
A quelle parole strabuzzo gli occhi. E’ sempre stato il mio sogno.
-Cabina armadio?
Chiedo incredula. Lei annuisce, poi apre la porta e mi fa segno di entrare. Non appena metto piede nel bagno e alzo gli occhi, mi vedo riflessa in uno specchio a parete di forma rettangolare che arriva sino a terra. Sposto lo sguardo verso destra, dove è posto un lavandino azzurro come le pareti e un mobiletto bianco. Alla mia sinistra invece c’è una vasca rettangolare piuttosto ampia nella quale si entra tramite tre gradini ricoperti da un mosaico nei toni del blu.
-E’ un pannello scorrevole.
Dice Ashley alla mia destra, per poi avvicinarsi allo specchio e sollevare una levetta argentata sulla sinistra. Appena la rilascia lo specchio scorre verso destra e viene inghiottito dalla parete. Davanti a me ora si apre una stanza quadrata completamente di legno, costituita da due cassettiere, tre armadi ed una scarpiera. Con i pochi vestiti che ho portato riuscirò a riempirne un decimo. Mi volto verso la ragazza, raggiante.
-E’ davvero stupendo, grazie! Ho sempre sognato di averne una!
Lei ride ed esce dal bagno per poi avvicinarsi alla porta che dà sulle scale. Ethan è sparito e, improvvisamente, mi sento strana per questo.
-Bè, ti lascio riposare, ci vediamo dopo.
Fa chiudendo la porta e correndo per le scale. Io resto in piedi al centro della stanza, la bocca chiusa sui miei saluti non pronunciati.
Mi volto verso il letto e mi ci avvicino, sfiorando le lenzuola beige con la punta delle dita. Poi mi siedo su di esso, travolta da tutti i pensieri che mi vorticano in testa, da tutti questi suoni, colori, oggetti, modi diversi ed anomali. Troppe, troppe, troppe informazioni e pochissimo tempo per digerire questa nuova situazione. Senza rendermene conto mi ritrovo ad osservare il soffitto imbiancato. Cosa fare? Non ne ho idea. Credo che per ora sia meglio seguire il consiglio di Ashley. Così chiudo gli occhi in attesa di Morfeo; ma un’ultima riflessione mi fa suonare un campanello in testa. Io non avevo mai scritto alla famiglia, ha fatto tutto mia madre. Questo vuol dire che è stata lei a dirgli della mia passione per la natura. “Grazie” Le sussurro mentalmente, prima di sprofondare in un sogno vuoto come mi sento ora.

    ********************

Mi sveglio di soprassalto, mettendomi a sedere di scatto sul letto in un bagno di sudore freddo, al buio. Non ricordo di aver fatto un incubo, ma il cuore mi batte ancora forte nel petto. Resto un attimo disorientata, guardandomi intorno, non riconoscendo la mia camera. Poi i ricordi mi sommergono come un fiume in piena ricordandomi che sono a Los Angeles a casa di completi sconosciuti. Un raggio di luna filtra attraverso le tende leggere colpendomi in viso e svegliandomi completamente dal mio intorpidimento mentale. Mi alzo faticosamente dal letto stiracchiandomi e prorompendo in uno sbadiglio poderoso prima di accorgermi di essere ancora vestita. Deve essere notte fonda, perché non si sente alcun rumore nella casa né per la strada poco distante. Cerco a tentoni l’interruttore e , quando lo trovo, una luce biancastra illumina la stanza. Mi tolgo le vans scalciandole vicino al mio borsone, poi apro il trolley e tiro fuori un paio di shorts scoloriti, una canottiera grigia e una felpa leggera nera. Trotterello verso il bagno e mi sciacquo abbondantemente il viso, togliendomi ciò che resta del mio trucco sfatto e bagnandomi i polsi ancora segnati dalle lenzuola dentro le quali erano avviluppati. Il mio stomaco borbotta rumorosamente e mi accorgo che è da circa un giorno che non mangio nulla. Mi cambio velocemente e lascio i miei vestiti sudati piegati sul mobiletto accanto al lavabo. Striscio poi fuori dalla mia stanza, decisa a procacciarmi qualcosa facendo meno rumore possibile. Mentre percorro i corridoi bui e silenziosi una domanda si fa spazio prepotentemente tra le altre. Dove dormiranno i gemelli?  Quando arrivo alla seconda rampa di scale, che conduce al piano terra, noto una porta bianca infondo al corridoio che prosegue davanti a me. E’ socchiusa e una luce gialla filtra dal piccolo spiraglio lasciato. Sto per dirigermi verso la fonte della luce quando un mormorio della mia pancia, più forte degli altri, mi risveglia e mi fa scendere le scale in cerca della cucina.
Quasi inciampo nei miei piedi rischiando di sbattere la faccia a terra, ma riesco a trattenermi giusto in tempo afferrando il corrimano di legno bianco. Tendo l’orecchio per avvertire eventuali rumori che segnalino la presenza di qualcuno sveglio nella casa, ma non sento nulla fatta eccezione per il mio respiro affrettato ed irregolare. Mi sembra stranissimo trovarmi a muovermi tentoni nel buio di una casa che non sia la mia o quella della mia migliore amica. Continuo a spostarmi nell’oscurità rischiarata soltanto dalla luna bianca che fa passare la sua luce attraverso le finestre disegnando ombre inquietanti sulle mura. Entro in una stanza sulla mia destra che non avevo visto stamattina e tasto la parete dietro di me finchè non trovo l’interruttore e tutto davanti a me si illumina facendomi realizzare di essere finita effettivamente in cucina. Tutto è ricoperto di piastrelle color panna e al centro c’è un grande tavolo di cristallo azzurro con sopra un piatto di metallo lucido ricoperto da una pellicola di nylon trasparente.  Mi avvicino ad esso titubante e vedo che ci sono tre fette di pizza margherita appoggiate sotto e un post-it giallo appiccicato ad un bordo del piatto. Lo prendo tra due dita, come se potesse farmi male e inizio a decifrare la scrittura tremolante.
-Hi Cass,
We came to call you for dinner,
but you were sleeping and
 we did not want to wake you up.
We left you some pizza.

Sorrido piegando il bigliettino ed infilandomelo in tasca. Sono stati davvero gentili a lasciarmi qualcosa da mangiare nonostante non sapessero se mi sarei svegliata oppure no. Mi volto verso la credenza a vetri che è vicino ai fornelli ed al lavabo. Improvvisamente sento la gola secca, perciò prendo un bicchiere con la base leggermente arcuata e lo riempio di acqua del rubinetto. Lo appoggio sul lavandino cercando di non fare rumore e tolgo il nylon dal piatto. Subito l’odore invitante della pizza mi fa salire l’acquolina in bocca e fa protestare il mio stomaco digiuno. Porto il bicchiere alle labbra cercando di resistere alla tentazione di ingozzarmi di pizza e lo riappoggio al tavolo prima che i miei occhi incontrino le lancette dell’orologio. Segnano le due e mezza. No, non è esattamente l’orario adatto per fare uno spuntino, ma mi sento più sveglia che mai e il fuso orario non fa che peggiorare le cose. Mentre piego un lembo di una fetta di pizza e la mangio lasciandomi andare all’aroma di origano e mozzarella, conto le ore che mi dividono da casa. A Venezia ora sono circa le undici della mattina. Le undici! Quasi mi strozzo con la seconda fetta di pizza mentre ci arrivo. Quindi vuol dire che Silvia è all’ospedale a fare volontariato in pediatria e che Fede è al lavoro nella carrozzeria di suo padre. Mentre mia madre… Mia madre si starà allegramente divertendo col suo nuovo giocattolino. Bevo l’ultimo sorso d’acqua e faccio una specie di grugnito, cercando di non farmi pervadere dal nervoso che minaccia di schiacciarmi. Guardo l’ultima fetta di pizza cercando di capire se riuscirò a farmecela stare dentro, ma arrivo alla conclusione che ilo mio corpo non sopporterebbe un simile sforzo. Rimetto la pellicola sul piatto e lo sposto vicino al frigo, sentendomi finalmente sazia. Non ho mai mangiato molto, ma da quando sono uscita dall’anoressia ho sempre cercato di ingozzarmi con l’unico risultato di stare peggio. Perciò ho imparato ad ascoltare il mio corpo ed a capire quanto può essere riempito. Il mio medico dice che ho fatto degli enormi progressi e che se continuo così raggiungerò i cinquanta chili prima dei diciannove anni. Cinquanta chili. Una volta mi sembravano un’enormità, ma non sono quasi nulla per un metro e ottanta di ragazza. Osservo le mie braccia sottili mentre lavo il bicchiere e lo asciugo con uno strofinaccio marrone che ho trovato appeso ad un gancio. Per ora sono riuscita ad arrivare quota quarantasette chili, ma ingrassare per me si è rivelata una vera tortura. Mi volto verso la porta della cucina, appoggiandomi con le braccia e il sedere al lavabo. Sono talmente persa nei miei calcoli che quasi prendo paura quando vedo la sagoma di un ragazzo stagliarsi sullo stipite della porta. In seguito realizzo che è uno dei gemelli, ma non capisco chi. Ci osserviamo per qualche istante prima che lui mi rivolga la parola. Indossa una maglietta a maniche corte larga tre volte lui di colore grigio, un paio di pantaloncini neri e delle infradito blu.
-Ti sei risvegliata vedo.
Sussurra avvicinandomisi con un ghigno divertito dipinto sul viso ancora assonnato. E’ Ethan, ne sono sicura. Mi sento il sangue affluire al viso e mi faccio piccola piccola ad ogni suo passo. Non riesco a capacitarmi dell’influenza che questo ragazzo ha su di me.
-Sì, il mio stomaco reclamava cibo.
Mormoro a mia volta per poi accorgermi del fatto che probabilmente l’ho svegliato.
-Ti ho disturbato?
Chiedo apprensiva, puntando per la prima volta di mia spontanea volontà i miei occhi nei suoi. Vi leggo stupore, gentilezza e…disponibilità. Non so per cosa né perché, ma sembra essere così.
Si passa distrattamente una mano tra i capelli arruffati, che lo rendono ancora più bello.
-No, tranquilla, non riuscivo a dormire. Avevo voglia di parlare con qualcuno pare, perché ora mi sento già meglio. Però è meglio se ci spostiamo in veranda, Grayson ha il sonno leggero e non voglio che ci interrompa.
Fa con un sorriso malizioso, scrutandomi di sbieco e portandosi il pollice della mano destra sul labbro inferiore. Mi mordo con forza l’interno della guancia per non perdermi in pensieri fin troppo fantasiosi e annuisco.
Lui si volta e spegne la luce dietro di lui, lasciandomi al buio della cucina, prima che mi decida a seguirlo nell’ingresso, dove ha già aperto la porta e me la tiene elegantemente aperta per permettermi di passare. Mi avvicino a lui, ma quando gli passo accanto abbasso lo sguardo di colpo, guardandomi i piedi. Avverto lo strisciamento di qualcosa sul legno, poi la porta che si sposta sui cardini e i passi di Ethan dietro di me prima di vederlo materializzarsi al mio fianco, appoggiandosi con gli avambracci al bordo della balaustra di legno bianco. Lo imito e mi ritrovo ad osservare il suo profilo illuminato dalla luna. La pelle è così bianca che sembra essere fatta di ghiaccio. Sposto gli occhi lungo la fronte ampia, gli occhi aperti e fissi su qualcosa di indefinito contornati da ciglia lunghe e flessuose, il naso dritto e severo che si addolcisce sulla curva delle labbra piene ed appena dischiuse, sul mento prominente e la mascella spigolosa. Venere in persona non avrebbe potuto fare nulla di meglio.
Improvvisamente si volta verso di me ed io sobbalzo, impaurita dal fatto che mi abbia scoperto a fissarlo.
-Dove hai imparato a cantare così?
Chiede semplicemente, guardandomi in viso con un’espressione pensierosa.
Io sorrido e istintivamente mostro i denti, come facevo una volta, prima che lei mi dicesse che sembravo una cogliona. Il ricordo del suo viso e dell’asprezza della sua voce si fa forte e nitido nella mia mente e torno ad essere subito seria.
Mi giro verso la stradina di sassi e lo sguardo mi si posa su un uccellino che pigola pigramente sul ramo della grande magnolia del giardino.
-Non lo so. In un certo senso ho sempre saputo farlo. Era istintivo. Come respirare, ridere, sognare. Non l’ho imparato. Semplicemente il canto, la musica, mi scorrevano nella vene. Facevano parte di me sin da piccola ed hanno aiutato a formare la ragazza che sono ora.
Sussurro quasi rivolta a me stessa, le parole che escono dalla mia bocca senza che glielo abbia chiesto.
Rimaniamo qualche attimo in silenzio, ed io continuo ad osservare l’animaletto che si sposta saltellando e raggiunge un nido in mezzo alle foglie scure, per poi rifugiarcisi dentro. Il nido è il suo posto sicuro. Dove sa che nulla potrà scalfire la sua barriera. Io ne ho uno? Di posto sicuro? Oppure la barriera sottile che ho costruito con tanto impegno attorno a me dovrebbe bastare a nascondermi e a proteggermi dal mondo?
-Direi che hanno fatto un ottimo lavoro. Hanno creato una ragazza fantastica.
Mormora Ethan ricatturando la mia attenzione. Mi sta guardando con gli occhi scuri al buio della notte. No. Mi sta osservando. Non faccio a tempo a distogliere lo sguardo che mi intrappola per la seconda volta in una giornata nel suo. Rimango senza fiato dall’intensità dei suoi occhi.
-Non sai nulla di me. Mi conosci da meno di un giorno. Potrei essere la peggio persona del mondo.
Dico con un filo di voce, stringendo la balaustra di legno sino a farmi diventare le nocche bianche. Anche se non le vedo so che è così. Conosco il mio corpo.
Lui ride e mi si avvicina pericolosamente, ed io, inerme, non riesco a reagire se non spalancando gli occhi e trattenendo il fiato. Quando il suo viso è a qualche centimetro dal mio e riesco a sentire il suo fiato caldo sul viso, si sposta e mi riavvia una ciocca di capelli dietro le orecchie.
-La persona peggiore del mondo non si preoccupa per gli altri, non arrossisce se qualcuno le fa una domanda né si emoziona quando le si lascia qualche pezzo di pizza e un bigliettino. Quella che vedo è solo una persona che ha ricevuto poco amore e che ne ha dato troppo ed alle persone sbagliate. Vedo una persona insicura su di sé e restia a togliere le maschere che con così tanta fatica ha messo sul proprio volto. O sbaglio?
Chiede sussurrando. Ed io non ce la faccio, e prima che riesca a trattenermi la voce mi esce strozzata e tremante.
-No. Non sbagli. E magari non riesci nemmeno a capire che con due semplici frasi hai distrutto la protezione che mi ero creata attorno per anni. E non so come tu abbia fatto. Se tu l’abbia voluto fare. Ma mi hai resa spoglia, nuda, indifesa davanti a te. Perché sei riuscito ad afferrare la mia essenza in così poco tempo.
Ora anche l’ultimo barlume di gioia si è spento sul suo viso, che mi fissa quasi triste e scioccato da dove era prima.
-Ho letto i tuoi occhi.
Mormora per risposta. Allora è vero, è vero che gli occhi sono lo specchio e la porta dell’anima. Allora avevo ragione a tenerli nascosti agli estranei e talvolta anche a coloro che non lo erano. Alzo lo sguardo, che avevo abbassato sulle sue ciabatte e incontro i suoi, di occhi. Velati da una patina che non riesco a trapassare, ma che sembrano volermi circondare e abbracciare. Così glielo chiedo.
-Can you hug me?
Improvvisamente il sorriso torna a far distendere i suoi lineamenti e la ruga in mezzo alle sopracciglia corrugate svanisce.
-Certo.
Sussurra per poi mettere le braccia muscolose attorno al mio corpo minuto. Sento la pressione delle sue mani, una sulla vita, l’altra sulla spalla; io sono invece aggrappata ai suoi fianchi ed ho appoggiato la testa nell’incavo del suo collo. Inspiro profondamente, ricacciando indietro le lacrime che avevano minacciato di uscire dalle palpebre socchiuse. Improvvisamente il suo odore mi colpisce forte, provocandomi una sensazione di calore all’interno delle viscere, all’altezza dello stomaco. E’ un odore particolare, unico, piacevole e maschile. Sudore, acqua, brezza estiva, shampoo e fuoco. Simile a quello che avverto quando faccio i falò con i miei amici vicino al mare. E, senza rendermene conto, mi innamoro di quell’odore e desidero averne sempre di più, ancora e ancora. Mi ricorda casa. E quella cosa che chiamavo serenità. Non felicità. Quella non posso aspettarmi di provarla nuovamente. La mia stretta attorno ai fianchi di Ethan si fa più forte e così la sua su di me. Ormai siamo aggrappati l’uno all’altra. Come fossimo due ancore che si vogliono salvare a vicenda.
Quando ci stacchiamo ho le guance calde e una gran voglia di farlo ancora. Incrocio i suoi occhi e noto che mi stava guardando ancora più intensamente di come ha fatto prima. Non riesco ancora a leggere quello che dicono i suoi, ma so cosa si può leggere nei miei. Riconoscenza.
-Meglio se torniamo dentro, domani io e mio fratello vogliamo farti fare un bel giro.
Mormora, la voce talmente roca che deve schiarirla in più punti della frase. Io annuisco e rientriamo dentro casa, correndo silenziosamente per i corridoi, sino ad arrivare alla porta della mia camera. La apro, ma resto sullo stipite, aggrappata con le mani ad esso mentre lo osservo salire le scale; i miei capelli lunghi e scompigliati che ricadono disordinatamente sulle spalle, i suoi tenuti fermi da una mano che viene pazientemente passata attraverso di loro.
 Aspetto che mi raggiunga, e restiamo qualche secondo in silenzio, mentre mi studia dall’alto.
Ho il fiatone anche se ho corso per pochi metri e ciò mi ricorda quanto debole ancora io sia.
-Allora buonanotte.
Dico in un mormorio. Lui sorride e noto che gli si formano delle piccole fossette sotto gli occhi.
-Buonanotte Cass.
Fa lui di rimando, poi chiudo la porta, appoggio la schiena su di essa e mi lascio scivolare verso il basso. Sconvolta ed esausta dalla ventata di emozioni che questo giorno ha portato con sé. Ed è solo ora, al buio e al segreto della mia camera, che lascio scivolare fuori tutte le lacrime che ho ingoiato dolorosamente durante il giorno.


Angolino autrice!
Rieccomi! Sono tornata con una nuova fanfiction su due ragazzi che letteralmente adoro! Magari qualcuno di voi non li conosce ma vi lascio il link della loro pagina YouTube all'inizio della storia!
Detto ciò, che ne pensate?
Fatemelo sapere!
Love You All!
_mary_laura_

 

   
 
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