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Autore: Little_Bad_Girl    22/01/2016    1 recensioni
[Attenzione! Tematiche delicate/Angst]
«La rosa candida fu adagiata nel mezzo dell'ammasso. Lei si riconobbe a stringerla e studiarla tra le dita, concessione della luminositá lunare.
Non possedeva spine… non era uno dei propri fiori cremisi.
Eppure la trovó bellissima.»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Ma perché gridi ‘aiuto’ ai sordi e mostri cicatrici ai ciechi?”


Crimson Roses



Cremisi.
Il minuscolo bocciolo di fiore, possedeva il colore vivido e conturbante. Del cremisi.
Uno dei tanti, nel giardino regale, e seppur i germogli, tutti gli altri, fossero oramai prossimi allo schiudersi sotto i materni raggi solari, quello pareva sigillato, pareva che temesse d'uscir fuori e donare gioia alla natura del medesimo giardino.
O donare un minimo di allegrezza, a quegli occhi lucidi di lacrime, amareggiati e spenti, che lo adocchiavano quasi supplicandolo di schiudersi. Ogni giorno.
Delle iridi ambra trascorrevano ore ed ore ad attender che si svegliasse, che la svegliasse dai propri incubi.
Eppure rimaneva lì, cosa tangibile, ma troppo distante, per lei.
Desiderava ardentemente che il bocciolo crescesse e maturasse, distendesse i petali rubino e rilasciasse un profumo dolce.
Lei amava il profumo delle rose cremisi. Amava quella rosa, inspiegabilmente, nutriva il bisogno di ammirarla schiudersi.
Così, pensando sempre allo stesso modo, si convinse che, magari, sarebbe sbocciata anche la propria, di gioia, insieme a tal rosa. Se ne convinse talmente tanto, lei bambina…
E si sbagliò, infatti.
Poiché della sua rosa, col tempo, non ebbe che da tastarne solo le spine.
~
E le spine crebbero, celermente ricoprirono ogni stelo indaco, si aguzzarono simil a spille tra le dita, resistevano ai caldi afosi dell'estate ed erano custodite dalle protezioni innanzi gli inverni gelidi.
Lei se ne prendeva cura, lei non poteva e non voleva far altro.
Non aveva nulla, se non le sue rose.
Le lacrime oramai erano solamente un ricordo sbiadito, l'animo era temprato dalle sofferenze, dettate da tutto e tutti coloro che l'accerchiavano.
Piangere non sfumava il suo dolore, non più.
Neanche l'ammirare la sua piccola rosa, neanche strillare, neanche correre tra le braccia di suo padre.
Giacché egli non vi era da tempo.
Oramai… lei aveva disperatamente necessitá di altro, un qualcosa che non credette esistere.
Una distrazione dai propri incubi insaziabili.
Eppure quel “qualcosa” giunse, desiderato, ed insieme terrificante. Lei lo provò, allo stremo dell'angoscia.
Le rose erano molte, le spine generavano un agglomeramento sotto lo splendore dei petali vellutati, un ammasso stellare aguzzo.
Lei, cullata dal buio della notte, sfiorò un aculeo di rosa.
Il polpastrello venne scalfito, la piccola spina goccioló rosso.
Ironia… era il medesimo color cremisi che lei tanto amava.
La fitta la deliziò, la minuscola ferita venne portata sulle sue labbra rosee e baciata.
Dolse ancora, e per un brevissimo lasso temporale, nella quale le nubi oscure nella sua mente fratturara si dileguarono innanzi l'agonia imminente del graffio, lei inspiró a pieni polmoni. Chiuse le palpebre.
Le parve di vivere.
E mentre il dolore cessava, le nubi imperversarono ancor più fameliche.
Quegli occhi scintillarono, tuttavia. Adesso sapeva…
Lei aveva bisogno solamente di altre spine.
~
Curò sempre più rose, affinché i rovi aumentassero, s'incastrassero in matasse fitte ed indistinguibili di punteruoli verdi.
Destinati, ognuno d'essi, a mutare colore.
Per lei era un farmaco, breve di durata, ma pur sempre un rimedio, potente nella sua brevitá.
Il dolore.
Lei si avvicinava di notte al suo groviglio, e la luna candida era la sola testimone mentre tentava invano di far terminare le proprie sofferenze, per sempre.
E vi credeva, vi credeva ogni singola volta che affondava l'intero avambraccio destro tra le spine, che le avvertiva squarciarle sempre più carne pallida in striature confuse, atroci.
Che roteava e spingeva il braccio tra il gorgo, instancabile nella sofferenza, e finché non percepiva il liquido caldo del suo stesso sangue bruciare, chiazzarle interamente il braccio.
Per lei divenne una tonalitá perfetta, quel colore.
Solo allora ritraeva l'arto… e respirava ancora, stendendosi al suolo.
Le spine le perforavano la pelle tenera. Viveva come non aveva mai vissuto, in quegli attimi, così libera dalle proprie follie e fobie.
L'avambraccio formicolava e fremeva, poggiato accanto al suo viso, stillava venature fluide raggrumate sui fini fili d'erba e perdurava sino all'alba.
Ne bramava ancora, sempre di più. Voleva vivere, sempre di più.
Lei pensava che l'agonia autoinflitta l'avrebbe aiutata a realizzare il suo sogno.
E neanche un singolo frammento di luciditá osava sussurrarle, nei medesimi attimi della notte, che i suoi insani ideali l'avrebbero condotta a tutt'altro.
Alla distruzione.
~
L'indaco di ogni stelo si estinse, sovrastato dal color carminio del fluido vitale.
Si disse che fu lei a ferirsi, a intingere un pennellino nel suo ampio squarcio e perfezionare i dettagli del groviglio di rose.
Era come un santuario, per lei, un miracolo. La sua salvezza.
L'avrebbe condotta alla morte, lo credeva… magari lo sperava, sarebbe stata una degna conclusione alle sofferenze.
Nessuno l'avrebbe mai cercata, poiché a nessuno importava di lei, nonostante trascorresse giornate intere all'aperto, con le sue rose ed il suo immenso giardino.
Ma lei non aveva bisogno d'altri. Né gl'altri avevan bisogno di lei.
Cosí decretava fermamente, fu l' unico punto concreto tra l' astrattismo della propria vita.
Per gran parte della giovinezza, dopodiché… quel solitario filo cedette.
Ed ella errò, ancora.
~
Era intenta a tagliuzzar le foglie appassite delle solitarie sue rose, quando un tremolio alle membra la agitó.
Spinse gl'occhi sulle mura di siepe che accerchiavano la magione.
Li intersecò in altre iridi scure, nuove, che quasi si rianimarono al contatto visivo, delle labbra chiare si schiusero, biascicarono… e agilmente, tutto scomparì oltre la siepe, per mezzo d' un singolo balzo.
Le labbra si serrarono, severe nell'attimo in cui lo sguardo intercettò qualcosa fluttluare per poi posarsi delicatamente nei pressi del confine del suo giardino.
Ebbe la tentazione di sollevare le proprie vesti nere e far riemergere lo sbadato pegno. Ma non lo fece, poteva esser stata ogni cosa un'illusione.
La follia era cosí prossima…
~
Ma non lo fu allora.
Poiché, la notte seguente, dirigendo il braccio tra gli aghi, s'accorse di un qualcosa, e lo estrasse senza esitazione.
La rosa candida fu adagiata nel mezzo dell'ammasso. Lei si riconobbe a stringerla e studiarla tra le dita, concessione della luminositá lunare.
Non aveva spine… non era una dei propri fiori cremisi.
Eppure la trovó bellissima.
Percepí la fragranza dolce, inspirandone appieno l'essenza, mentre silenziosamente delle mani calde e rassicuranti si poggiarono dolci sui suoi occhi.
“É bella.” Mormorò lei, come se non avesse mai bramato altro che il contatto. Strinse la rosa. Poté avvertire il sorriso alle proprie spalle.
“Voi siete molto più bella. E… e mi chiedevo quale fosse il vostro nome. Vi chiamate Rose?”
“Elise.” Rispose, sorridendo a sua volta. Inarcando le rosse labbra, finalmente. Eranno anni che non sorrideva.
“Il mio nome é Elise.
Il vostro, messere?”
La presa l'abbandonó, il fisico dello sfacciato giovane le venne accanto.
Lei s'accorse quanto fosse… bello; pallido proprio come la candida rosa.
“Maximilian, milady.”
“Maximilian…” ripeté lei, assaporando ogni nota di tal nome. Raffinato, magari nobile.
Lo guardava, come un'illusione, come se potesse dissolversi innanzi i suoi occhi sempre bui. Non riconosceva sentimenti, poiché non li aveva mai provati così intensamente.
Maximilian non fece altro che sorridere e avvicinarsi sempre più alle sue labbra rosse, pericolosamente e lei sospirò.
Socchiuse le palpebre, mentre lui, delicato come un petalo di rosa bianca consumò quell'effimera distanza in un casto, dolce bacio.
No… non era un'illusione.
Soltanto allora la speranza risuonó, comprendendo tutto il proprio eco assordante, nel petto della giovane. Risuonò persino l'antico, sbiadito dolore delle cicatrici, dei tagli.
Non mosse né tese muscolo.
Il contatto si dileguó, eppure lei tenne gli occhi chiusi, finché non fu il calore delle gote arrossate a ridestarla.
Avvertí un fruscio, sollevò le palpebre.
Ma Maxiliam era giá balzato simile una lepre oltre la siepe… la sparizione d'un uomo estasiato, come s'avesse appena conquistato il cosmo intero.
E molto di più ancora.
Lei rise sommessamente, posando la rosa bianca tra le proprie ciocche nere. Sapeva… lui sarebbe tornato.
E nel medesimo giorno…
Elise non ebbe bisogno di sfiorare neppure una sola spina.
***
   
 
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