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Autore: fennec    22/01/2016    3 recensioni
Lui era Sherlock Holmes e aveva sacrificato la sua intera vita al servizio della logica.
E ora gli era rimasta solo un'unica logica soluzione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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la logica del dolore
La logica del dolore
 
 


 
 
 
Tutte le vite finiscono, i cuori vengono spezzati.
Affezionarsi non è un vantaggio.
 
 

« Non siete altro che degli assassini, dei luridi, sporchi e odiosi assassini! » il grido di Sherlock li fece sobbalzare non appena si affacciarono sul grande atrio. Il viso rosso e sconvolto, gli occhi pieni di lacrime. Questo fu tutto quello che intravide Mycroft, perché il fratello scappò subito su per le scale, i passi pesanti che picchiavano con forza ad ogni gradino.
Non avrebbe avuto alcun senso nascondergli la verità. L’avrebbe scoperto comunque, capiva sempre quando gli si mentiva.
 
« Barbarossa è ormai vecchio, Sherlock, non c’è niente che possiamo fare per lui, non guarirà. Ti assicuro che il veterinario non lo farà soffrire »
« Ma è il mio cane! Non lo potete ammazzare! »
Naturalmente non si era bevuto, per quanto fosse vera, la storiella sull’iniezione di sonnifero. Il sonno era il sonno, la morte tutt’altra cosa, un bambino qualsiasi, anche il più stupido, l’avrebbe capito… e suo fratello - per quanto detestasse ammetterlo - non era affatto stupido.
« Mi dispiace, Sherlock » si sentì dire con una voce non sua « Ma è così che vanno le cose. Ciascuno di noi ha il suo tempo… Barbarossa è stato tanti anni con te, è arrivata la sua ora ».
« No, non è vero! Non è arrivata la sua ora! Tu dici così solo perché non gli vuoi bene, non gliene hai mai voluto! »
Mycroft lo fissò negli occhi e lo guardò serio, come si è soliti fare quando si rivelano verità importanti: « Tutte le vite finiscono, Sherlock. Il dolore è la logica conseguenza della perdita di qualcosa o di qualcuno che amiamo. Affezionarsi non è un vantaggio, i cuori vengono spezzati. Non lasciare che il tuo cuore venga spezzato, non fare lo stesso errore della gente comune. Le persone sono stupide: si lasciano abbandonare a sentimenti ed emozioni confuse quanto momentanee, a sciocche fantasie… e cosa ne hanno in cambio? Un motivo per cui soffrire. Non essere stupido, Sherlock, non correre questo rischio, non farlo più, ti costerà caro».
 
E quel giorno il bambino, nonostante fosse per lui insopportabile ascoltare un consiglio di Mycroft, pur di non soffrire più fece una solenne promessa: da allora in poi non si sarebbe mai affezionato a nessuno, non si sarebbe più lasciato sopraffare dalle emozioni, avrebbe obbedito unicamente alla voce della logica, della razionalità e dell’intelletto, al cervello e non al cuore. Del resto, l’umanità si era evoluta grazie alla scienza e all’abbandono della brutalità e dell’insensatezza dell’istinto. Se era la pura ragione l’unica via per il progresso, doveva essere quasi naturale immolarsi per essa.
 
Quasi inutile dirlo, fu impossibile mantenere la promessa.
Per quanto Sherlock si sforzasse e si allenasse continuamente per osservare e rielaborare la realtà circostante con l’occhio freddo, calcolatore e distaccato dello scienziato, talvolta il suo io più nascosto, quello che aveva imparato ad ignorare sin dall’infanzia, prendeva il sopravvento. E fallì. Anzi, collezionò un fallimento dopo l’altro.
Si affezionò a Victor Trevor, poi a Lestrade, a Molly Hooper, alla signora Hudson, a Irene Adler.
Ma il suo più grande errore fu affezionarsi a John Watson.
John Watson, un medico militare di ritorno dall’Afghanistan che soffriva di disturbi psicosomatici e che probabilmente non aveva ancora posto fine ai suoi giorni solo perché era troppo coraggioso o troppo orgoglioso per farlo. Un uomo irritantemente per bene, così ligio al senso del dovere e allo spirito di sacrificio da fargli venire l’orticaria. Così ordinario e prevedibile nel suo essere disponibile, gentile e maledettamente ottuso.
Eppure, da quando John Watson era entrato nella sua vita Sherlock non aveva più saputo farne a meno, non aveva più potuto farne a meno. Un errore di dimensioni epocali.
 
« Tutte le vite finiscono, i cuori vengono spezzati. Affezionarsi non è un vantaggio ».
 
Stupido. Era stato incredibilmente ingenuo e incommensurabilmente stupido a non considerare nemmeno per un istante che John Watson, in quanto umano, era soggetto a tutte le leggi naturali a cui gli esseri umani sono soggetti.
La morte era sempre stata una legge naturale. Ancor di più: dall’inizio della vita la morte era sempre stata la conseguenza logica della vita stessa. Soltanto la stupidità della fantasia umana, così spaventata da quella logica incontrovertibile, poteva credere nell’esistenza immortale di un dio, qualsiasi assurda forma o nome esso assumesse di volta in volta. Nulla era più logico della morte.
Ciò che non era affatto logico era il modo in cui la morte incontrò John Watson.
Non c’era nulla di logico nel fare da scudo umano a una persona che faceva uso delle buone maniere solo per soddisfare i propri bisogni, non c’era nulla di logico nell’offrire il proprio corpo vivo come riparo a una persona che infieriva su corpi morti per scopi discutibilmente scientifici o che, ancora peggio, infieriva sul proprio stesso corpo privandolo del cibo, del sonno e perfino della salute se ciò serviva a dimostrare la propria capricciosa superiorità intellettiva.
Non c’era nulla di logico nel morire per Sherlock Holmes, ma John Watson l’aveva evidentemente ritenuto tale. Oppure, molto più semplicemente, non ci aveva nemmeno pensato - di rado, in effetti, lo faceva - e si era lasciato guidare dal cuore e dall’istinto per prendersi una pallottola che non era indirizzata a lui.
Cuore e istinto. Ciò che Sherlock aveva sempre rinnegato alla fine gli salvò la vita. O forse la distrusse definitivamente.
Perché se era pur vero che il detective era uscito fisicamente indenne da quella sparatoria, una morte diversa, più lenta e terribile si stava impossessando del suo corpo, della sua mente, del suo cuore. Sherlock stava di nuovo precipitando in caduta libera, come era successo anni prima dal tetto del St. Bart’s, ma stavolta l’atterraggio sarebbe stato fatale.
 
« Ti devo una caduta, Sherlock, te ne devo una ».
 
Questa volta, però, nulla avrebbe potuto salvarlo, faceva sul serio.
John non l’avrebbe voluto, non l’avrebbe fatto. John si sarebbe asciugato le lacrime, avrebbe raddrizzato la schiena e sarebbe andato avanti.
Ma lui era un soldato, era sopravvissuto a una guerra e alla presunta morte del suo migliore amico… mentre Sherlock era soltanto un chimico da strapazzo che si divertiva a risolvere crimini e a sparare sentenze dall’alto della sua irraggiungibile intelligenza e, quando i suoi servigi non erano richiesti, scappava alla noia mortale della quotidianità con una siringa.
John era coraggio, altruismo, forza di volontà. Era cuore.
Per ragioni che ancora fastidiosamente non riusciva a capire, era la sua luce nei momenti bui, un faro nella notte, un riparo sicuro nella tempesta della vita. Ma ora il faro si  era spento, la luce si era consumata e il vento soffiava troppo forte per sperare che si riaccendesse.
La razionalità in cui aveva sempre riposto fiducia gli impediva di abbandonarsi a sciocche credenze sull’infinità dell’esistenza, sulla possibilità di una vita oltre la morte… figuriamoci! Stupide storielle da raccontare a bambini altrettanto stupidi per consolarli per una perdita irrimediabile. Stupide storielle, naturalmente, probabilmente la sua ultima possibilità di salvezza. Una possibilità che non avrebbe mai abbracciato.
Del resto, lui era Sherlock Holmes e aveva sacrificato la sua intera vita al servizio della logica.
E fu così che con fermezza allungò la mano verso l’unica soluzione logicamente possibile. Quei gesti erano diventati così abitudinari per lui, che non si accorse nemmeno dell’ago che gli penetrava nel braccio per l’ultima volta.
Si abbandonò sul divano e, prima di chiudere gli occhi, gettò uno sguardo alla poltrona di John.
Un’overdose di morfina era stata la sua ultima scelta. L’unica scelta possibile in effetti, la più logica, se tutto ciò che si desidera è sfuggire al dolore.
Un pensiero gli passò per la testa e quasi quasi scoppiò a ridere. Buffo. Probabilmente stava morendo proprio come aveva fatto Barbarossa una vita fa.
Non seppe dire se fosse colpa della droga che gli correva prepotente in corpo o se semplicemente si trattasse del suo inconscio che finalmente era libero di prendere il controllo, ma poco prima di abbandonarsi al nulla, Sherlock - poteva giurarlo - si sentì chiamare da una voce. La voce di John.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 








Angolo dell’autrice
Salve, popolo di EFP!
Se avete avuto la pazienza e il coraggio di arrivare fin qui, forse potete arrischiarvi a leggere anche qualche necessario chiarimento.
Innanzi tutto - la mia sarà una voce fuori dal coro - ritengo che il rapporto tra Sherlock e John non vada oltre l’amicizia, un’amicizia profonda, strana, unica e tutto quello che volete, ma che comunque amicizia rimane e… no, non mi sembra insensato che una persona si suicidi “soltanto” per la morte del suo migliore amico, soprattutto se la suddetta persona è Sherlock e il suddetto amico è John, la persona più importante della sua vita.
Per quanto riguarda l’ambientazione temporale, questa one-shot si svolge più o meno all’inizio della terza serie, ma con qualche evidente cambiamento: John non conosce Mary. Questo più che altro per fini narrativi: penso che, se John fosse morto dopo aver sposato Mary, Sherlock si sarebbe sentito in dovere di proteggerla - probabilmente gliel’avrebbe fatto promettere solennemente lo stesso John poco prima di morire - e dunque questa fanfiction non avrebbe senso d’esistere… non che in effetti lo abbia comunque! xD 
Per quanto riguarda invece la traduzione della citazione iniziale, nella serie italiana l’espressione “caring is not an advantage” viene tradotta in modo pessimo con “soffrire non è un vantaggio”… Tra tutte le possibilità, “affezionarsi” mi è sembrata quella semanticamente e grammaticalmente preferibile, anche se non rende pienamente il significato di “caring”.
Infine, per quanto riguarda il  finale (scusate il gioco di parole), siete liberi di interpretarlo come meglio volete. Naturalmente Sherlock non crede nell’aldilà, ma ciò non gli impedisce di sentire la voce di John… frutto della sua immaginazione, di un suo desiderio, colpa della morfina, verità? A voi la scelta.
Ok, direi che vi ho già annoiato abbastanza. Ringrazio chi ha letto e chi sarà così gentile da lasciare una recensioncina: qualsiasi commento, positivo o negativo che sia, sarà più che ben accetto, ho molti dubbi su questa one-shot.
E ora la smetto di rompervi.
Alla prossima,
fennec
 
  
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