Nelle
case dei fuori sede c’è sempre un orologio fermo.
Camilla, studentessa
universitaria pendolare, è piuttosto sicura che il mondo ce l’abbia con lei
quando, a conclusione di una serata in compagnia, scopre che l’ultimo treno a
sua disposizione è stato cancellato. In preda alla rabbia e vittima di un
acquazzone appena scoppiato, incontrerà
per caso Andrea, suo compagno di corso per cui ha sempre provato una sospetta
attrazione.
– Sei e tre quarti. Ora
esatta –
Nelle
case dei fuori sede c’è sempre un orologio fermo. Sono entrata in quattro
diverse case di studenti fuori sede e in ciascuna di esse vi ho trovato un
orologio fermo. Anche qui. In casa di Andrea l’orologio della cucina segna le
sei e tre quarti, e so per certo che si sbaglia: devono essere almeno le undici
passate. Andrea mi ha lasciata sola nella cucina dicendomi di aspettarlo qui
mentre va a prendermi qualcosa perché mi possa asciugare. Sono fradicia,
bagnata dalla testa ai piedi, e tutto ciò non sarebbe successo se il mio ultimo
treno possibile per tornare a casa non fosse stato cancellato. Sono arrivata in
stazione al termine del – lungo – aperitivo con i miei amici solo per scoprire
che il treno delle 22:45 non sarebbe mai passato. Le alternative che mi
rimanevano erano due soltanto: aspettare in stazione il treno successivo,
ovvero quello delle 04:40, oppure incamminarmi verso casa di uno dei miei
compagni di corso fuori sede e chiedere asilo per la notte. Come ho messo piede
fuori dalla stazione, però, il cielo cupo che era calato sulla città si è
scatenato e ha cominciato a piovere. È stato proprio mentre ero ormai convinta
che il mondo ce l’avesse con me che, innervosita, infreddolita e bagnata, ho
incontrato Andrea. “Camilla, che fai in giro così?” mi ha chiesto. Gli ho raccontato tutto e lui ha insistito
affinché lo seguissi a casa – dove stava andando – e che mi fermassi per la
notte, così da asciugarmi, riscaldarmi e riposare.
Sono ancora intenta a osservare l’orario
immobile quando Andrea torna in cucina: «Ti ho portato un asciugamano,
intanto.»
Mi tende l’asciugamano e io lo ringrazio,
cominciando a tamponare i capelli bagnati.
«Vieni con me, ti do qualche vestito asciutto.»
Lo seguo lungo il corridoio per il breve
tratto che distanzia la cucina – vicina all’ingresso – dalla sua camera, la
prima porta sulla destra. Come entro anche io Andrea si toglie il pullover,
sollevando anche un po’ della maglietta che porta sotto di esso. Guardo di
sfuggita quei centimetri di pelle, la linea della schiena, per poi sollevare
gli occhi quando riprende a parlare:
«Puoi mettere questi, sono usciti dalla
lavatrice questa mattina.»
Da una pila di vestiti solleva un paio di
capi e me li allunga. Li afferro: «Non ci sono i tuoi coinquilini?», chiedo.
Pare rimanere sorpreso dalla domanda: «No. I
week end tornano entrambi a casa. Rimango sempre solo.»
Annuisco, dopodiché sollevo appena i vestiti
che mi ha dato per fargli capire che mi riferisco a questi: «Ti ringrazio. Sei
stato davvero gentile, mi hai salvata.»
«Ci mancherebbe. Non potevo certo lasciarti
sotto la pioggia, che amico sarei stato?», sorride e gli rispondo allo stesso
modo. Mi indica dove si trova il bagno, informandomi anche di avermi lasciato
in vista il phon.
«Fai con comodo», conclude.
Mi chiudo la porta del bagno alle spalle e
subito mi sfilo gli abiti bagnati, lasciandoli sul bordo della vasca da bagno.
In casa di Andrea c’è un tepore meraviglioso e nonostante sia poco fuori dalla
città c’è calma; si sente solo la pioggia che scende e che probabilmente
continuerà così per tutta la notte. Mi fa uno strano effetto essere qui, in
casa di Andrea di sera. Anche se siamo in corso insieme da quattro anni, anche
se ci possiamo definire amici, ho sempre provato un’attrazione per lui,
nell’ultimo periodo addirittura più intensa del solito. È una persona come non
ne avevo mai conosciute prima: acculturato, interessato e al tempo stesso alla
mano. Ha conoscenze approfondite in arte e musica quanto in storia e
letteratura e ascoltarlo mentre racconta di personaggi storici o musicisti per
me è qualcosa di davvero piacevole. Ho sempre adorato ascoltarlo fin dalle
prime volte; mi piace rimanere a guardarlo mentre parla, tormentandosi la barba
corta e scura, quando i suoi occhi e il suo sorriso si distendono e lui pare
chiaramente rilassato. Mi si stringe appena lo stomaco ripensando a ieri, a
quando Andrea si è messo a recitare un breve sonetto in risposta a
un’osservazione del nostro professore. Io, che ero praticamente di fronte a
lui, sono rimasta ad ascoltarlo come sempre e quando i nostri sguardi si sono
incrociati ha continuato a guardarmi come se stesse parlando esclusivamente a
me, come se fossimo stati solo noi due. A pensarci bene non credo di aver mai
avuto a che fare con qualcuno in grado di affascinarmi quanto lui, qualcuno con
cui vorrei parlare solo per il piacere di ascoltare sia il suono della sua voce
sia ciò che ha da dire, con la consapevolezza che sarebbe certamente qualcosa
di interessante. Improvvisamente l’idea di essere in casa di Andrea, sola con
lui, non mi fa più solo uno strano effetto, quasi mi rende felice; così come il
fatto che il mio treno sia stato cancellato e i miei vestiti inzuppati d’acqua
mi infastidisce meno.
Termino di asciugarmi i capelli, anche se
rimangono leggermente umidi sulle punte, dopodiché spiego i vestiti che mi sono
stati dati e comincio a infilarli. È incredibile come gli abiti siano
caratterizzati dall’odore che la persona che è solita indossarli ha. I vestiti
di Andrea hanno il suo profumo, fresco ma delicato al tempo stesso.
Torno dal ragazzo, ancora nella sua stanza:
«Ho fatto», dico appena entro.
Si volta verso di me, come mi vede sorride:
«Come vanno i vestiti?»
Alzo le spalle: «Leggermente larghi. Ma per
il resto sono perfetti» rispondo, facendogli notare i risvolti fatti alle
maniche del maglioncino. «I miei vestiti bagnati li ho lasciati nella vasca da
bagno. Non sapevo dove metterli.»
«Hai fatto bene. Vado a stenderli, così si
asciugano per domani. Torno subito.»
Mi supera ed esce dalla stanza, lasciandomi
sola. Mi siedo quasi subito sul bordo del letto – addossato a una parete e che
si trova proprio di fronte a una porta a vetri che dà su un piccolo terrazzino
– e mi guardo intorno. La sua camera da letto lo rispecchia molto, come
comprensibile. Su una stretta libreria ci sono una quantità di libri di varia
natura, romanzi, saggi, volumi di storia. Noto le dispense dell’università, un
po’ di disordine qua e là, il computer in standby sulla scrivania. Nell’insieme
non è niente male, questa stanza possiede una propria personalità.
Andrea torna. Si affaccia alla porta,
rimanendo per metà sul corridoio. Mi cerca per un breve momento con gli occhi,
trovandomi infine seduta sul suo letto.
«Mi piace la tua stanza.» gli faccio sapere
prima che possa dire qualsiasi cosa. Sorride:
«Buono a sapersi. C’è un po’ di disordine,
però.»
Alzo le spalle: «Non mi infastidisce.»
Si passa una mano sul collo, entrando
finalmente nella stanza: «Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo? O preferisci
dormire?»
Mi spiazza leggermente. In verità non ho
sonno. Non so se è colpa della doccia fredda che ho fatto prima di arrivare
qui, o se è per via del fatto che mi sono resa conto di avere veramente voglia
di parlare con lui, ma proprio dormire è l’ultimo dei miei interessi.
«Ti dirò, nessuna delle due cose. Non ho
molto sonno e neanche voglia di qualcosa di caldo.» rispondo. Andrea solleva le
sopracciglia, infine sorride: «Ho della birra.»
«Questa è già meglio.»
Ride: «Aspetta qui.»
Scompare di nuovo. Sento il frigorifero
aprirsi e poi rumori di vetro. Il ragazzo ricompare in fretta, tendendomi una
delle bottiglie di birra che ha in mano. Si siede accanto a me, appoggiando la
schiena al muro e io lo imito, mettendomi a sedere più comodamente. Avvicino la
mia birra alla sua: «Ti devo un enorme favore.», lo informo. Batte il collo della sua bottiglia con
quello della mia, guardandomi: «Ti ho già detto di non preoccuparti. Una volta
ogni tanto non è male avere un ospite in casa.»
«Non ne avevi da un po’?» chiedo dopo aver
bevuto il primo sorso.
Scuote la testa: «No. Ultimamente passo i
week end solo. Infatti stasera sono uscito così da poter fare qualcosa.»
Beve dalla bottiglia, poi guarda verso il
computer: «Ti va se metto della musica?»
«Molto volentieri.»
Si alza dal letto e raggiunge il computer,
che pare risvegliarsi dal letargo appena Andrea lo tocca. Il ragazzo apre una
serie di cartelle: «Hai delle richieste in particolare?» mi chiede. Guardo
fuori dalla porta finestra che ho davanti, pensando alla sua domanda. Piove
ancora e le luci della città, che si propagano in lontananza, sono qualcosa di
suggestivo. Considerando che dev’essere quasi mezzanotte l’unica musica che
avrei voglia di ascoltare adesso deve essere rilassante; perché è così che mi
sento io ora: rilassata.
«Non saprei. Qualcosa di tranquillo, su cui
si possa chiacchierare.» rispondo.
Andrea, ancora di spalle, annuisce con la
testa: «Che ne dici di un po’ di jazz?»
Abbiamo parlato in più occasioni di musica
noi due. Quando lui ha scoperto che ho cominciato ad avere un vero e proprio
debole per l’atmosfera che la musica jazz e soul sono in grado di creare, mi ha
subito confessato di essere lui stesso amante del genere e di ascoltare artisti
del calibro di Louis Armstrong, John Coltrane e Miles Davis.
«Direi che è proprio il genere che ci vuole
ora.»
«Ho gli album di Ella e Louis.»
«Vai con il play. Non potrei chiedere di
meglio.» dico, sollevando la mia birra.
Fa partire la musica e torna a sedersi
accanto a me. Bastano pochi secondi della prima traccia perché io mi senta
incredibilmente bene. Sono a sedere accanto ad Andrea, una birra in mano e due
grandi artisti della musica jazz a cantare per noi. Davanti ai nostri occhi la
città bagnata dalla pioggia, le cui luci dei lampioni la fanno brillare come un
gioiello. Noto l’interruttore della luce alla mia sinistra e senza pensarci due
volte la spengo. Andrea mi guarda.
«Così possiamo rilassarci.» gli dico.
Sorride e beve dalla sua bottiglia: «Allora,
dove siete andati di bello prima che il tuo treno venisse cancellato?» mi
chiede, per nulla punzecchiandomi.
Gli racconto della serata, dell’aperitivo
improvvisato al termine della lezione a cui lui non aveva preso parte e che si
è poi protratto un po’ troppo a lungo, finendo con l’essere la causa della mia
presenza in questa stanza. Di tutta risposta mi racconta della sua serata,
trascorsa per un paio di ore in uno dei tanti localini della città, a parlare
con un amico ascoltando il concerto in acustico di un altro loro conoscente. Da
qui la nostra conversazione si spiana con tranquillità. Iniziamo a parlare di
musica, di amici che fanno musica, di amici in generale. Ridiamo mano a mano
che gli aneddoti si fanno più assurdi ma comunque veri, finendo la birra praticamente
insieme. Non ho idea di che ore si siano fatte, ma non mi importa. Mi sento a
mio agio accanto ad Andrea e l’atmosfera che si è creata grazie alla musica,
alla penombra, alla birra e al ragazzo mi rilassa completamente. Sento che
potrei stare qui fino all’alba.
Andrea si solleva gli occhiali da vista sopra
la testa, passandosi una mano sul viso mentre sorride, intento a terminare di
parlarmi dell’ultima cosa tanto comica quanto assurda che gli è capitata nei
giorni precedenti. Rimango ad ascoltarlo guardandolo, mentre si ricompone e
termina di raccontarmi tutto, scoppiando a ridere insieme a me sul finire
dell’ultima frase. Aspetta che mi ricomponga, cosa che, fra un’esclamazione di
incredulità e l’altra, mi richiede più tempo del previsto. Mi guarda sorridendo
finché non ho completamente smesso di ridere, gli occhi marroni che paiono
ancora più scuri nella penombra della camera. Poi all’improvviso si fa serio
continuando ugualmente a guardarmi e io non so più cosa fare o cosa dire. E
come tutte quelle volte che non so che fare, anche se le conseguenze non sempre
sono le migliori, mi lascio andare. Probabilmente
trascinata dall’atmosfera mi lascio guidare dal mio corpo e senza troppe
esitazioni mi avvicino ad Andrea fino a baciarlo. Appena la mia bocca arriva a
contatto con la sua lo sento inspirare, per poi ricambiare il mio bacio con
sicurezza sempre maggiore. Stringe il corpo al mio, almeno quel tanto che la
posizione cha abbiamo – seduti uno accanto all’altra sul letto – gli permette,
fa scorrere la mano destra fino al mio collo, schiudendo le labbra. Il suo
profumo, lo stesso che sale leggero anche dai vestiti che indosso, mi avvolge,
sulla sua bocca c’è il sapore di birra che certamente si trova anche sulla mia.
Perdo la cognizione del tempo, il conto dei respiri che si sovrappongono,
completamente presa dal bacio che io e Andrea ci stiamo scambiando, tanto dolce
quanto perfetto, desiderando fra me e me che non finisca mai.
Però, come comprensibile, finisce. Andrea si
separa con lentezza, allontana la mano dal mio corpo, fa scivolare un momento
gli occhi sulle mie labbra e abbozza un sorriso. Sorrido anche io, soddisfatta
dell’esito che la mia impulsività di pochi minuti fa ha avuto. Andrea non mi ha
respinta e ciò significa che, in un modo o nell’altro, ricambia il mio
interesse. Tuttavia ora non so cosa dire. Come altre volte in cui un bacio si è
appena concluso non so cosa fare. Il ragazzo continua a guardarmi, cominciando
a muovere leggermente la testa a seguire il ritmo della canzone che Ella e Louis
hanno iniziato da poco a cantare e che è anche una delle mie preferite in
assoluto.
«Stars
fading but I linger on, dear…»
Riconosco le parole e mi unisco al suo canto,
tornando a rivolgere lo sguardo fuori dalla porta finestra e posando la testa
sulla spalla di Andrea, che mi accoglie con dolcezza senza smettere di
canticchiare, esattamente come me.
*
Apro
gli occhi dopo essere stata leggermente scossa. Davanti a me la città è ancora
avvolta nel buio, con la pioggia che continua a scendere lieve. Mi ricordo che
sono a casa di Andrea. Sollevo lo sguardo rendendomi conto di avere ancora la
testa appoggiata sulla sua spalla. Sospetto fortemente di essermi addormentata,
probabilmente per merito della musica, o della birra, o dell’insieme delle
cose. Mi allontano dal ragazzo che si volta a guardarmi: «Non volevo
svegliarti, scusa. Mi sono mosso troppo» dice.
La musica non risuona più, non ho
idea di quanto sia passato dal momento in cui mi sono addormentata.
«Che ore sono?» domando.
Controlla l’orario sul telefonino:
«Le sette meno un quarto.»
Mi passo una mano fra i capelli,
pensando che l’orologio della cucina di questa casa almeno in questo momento
segna l’ora esatta. Provo a pensare a quante ore possano essere passate, ma è
difficile trarre delle conclusioni. Finisco anche con il chiedermi se davvero è
successo tutto veramente, se sul serio io sia riuscita a baciare Andrea. Lui,
al mio fianco, è talmente tranquillo da lasciarmi supporre che mi sia sognata
tutto quanto: a volte i sogni hanno un aspetto talmente reale. Mi alzo in
piedi, stirandomi per bene. Il ragazzo mi guarda, in attesa.
«Stavo pensando che potrei andare.
Ho un treno intorno alle 07:30. Almeno sarei a casa sufficientemente presto da
non dover disdire gli impegni che avevo in programma questa mattina» dico. Si
alza anche lui: «Sì, ok. Allora vado a vedere se i tuoi vestiti si sono
asciugati, altrimenti tieni i miei» esce dalla stanza, lasciandomi sola nella
sua camera ancora immersa nel buio. Accendo la luce, sempre più convinta di aver
sognato tutto. Con molta probabilità sono crollata parecchio prima di quanto mi
sia immaginata.
Andrea rientra nella stanza con i
miei pantaloni in mano: «Paradossalmente si sono asciugati solo questi» dice,
tendendomeli. «Vorrà dire che ti lascerò maglia e maglioncino» conclude con un
sorriso.
«Te li farò riavere, promesso»
scherzo.
«Lo spero per te. Anche perché so
dove vai a scuola» risponde, con lo stesso tono.
Vado a cambiarmi per poi
ricongiungermi con il ragazzo nella cucina di casa sua, la più vicina alla
porta d’ingresso, in cui ho abbandonato le cose ieri sera appena arrivata qui e
dove l’orologio segna nuovamente l’ora sbagliata. Mi vesto, sentendo lo sguardo
di Andrea addosso.
«Ti ringrazio ancora per
l’ospitalità» dico appena termino di infilarmi la giacca.
«Non ringraziarmi. Sono abbastanza
sicuro che avresti fatto lo stesso» replica.
«Senz’altro. Ma ci tengo a
ringraziarti, ecco tutto.»
Si limita a sorridermi e io mi avvio
verso la porta d’ingresso, aprendola. Mi volto verso di lui per salutarlo,
incuriosita e in attesa di quella che potrebbe essere la sua prossima mossa.
Lui non pare essere interessato a fermarmi o ad aggiungere qualcosa, finché non
abbasso un momento la testa.
«Camilla, senti.»
Alzo
gli occhi su di lui, tuttavia non incontro i suoi. Si sta guardando intorno, ma
dopo essersi stretto nelle spalle torna a rivolgersi a me: «Per quello che è
successo stanotte?»
La mia bocca si fa improvvisamente
asciutta e il pensiero di non essermi sognata assolutamente nulla si presenta
intenso nella mia testa.
«Cioè?» domando, per nulla convinta.
Pare sorprendersi dalla mia
reazione: «Ci… ci siamo baciati» risponde, dopo aver allontanato lo sguardo per
un solo momento. Un sorriso si appropria forzatamente del mio volto. Mi chiudo
la porta d’ingresso alle spalle, avvicinandomi così di un passo ad Andrea, che
pare attendere la mia risposta preoccupato.
«Beh, per me è abbastanza chiaro»
inizio. «Io… a me piacerebbe molto se potessimo cominciare a uscire insieme,
magari per…»
«Per vedere se può funzionare»
conclude lui. Lo guardo, sorridendo: «Esatto.»
Si tocca la barba con la mano
sinistra, annuendo leggermente con il capo: «Piacerebbe anche a me.»
Ci scambiamo semplicemente uno
sguardo, senza aggiungere altro. È fatta. Ciò che è accaduto questa notte, in
quell’atmosfera da film, è avvenuto veramente e le conseguenze non possono che
rendermi ulteriormente felice. Andrea riprende parola: «Possiamo parlarne
meglio, comunque. Non vorrei che perdessi il treno ora.»
Mi riporta alla realtà con questa
frase. Non ho voglia di tornare a casa adesso che so che anche lui vuole ciò
che voglio io. Mi piacerebbe chiedergli di rimettere un po’ della sua musica
jazz e tornare con me a sedersi sul letto in attesa dell’alba – che oggi
sicuramente non si vedrà per via del tempo. Tuttavia il mio senso del dovere mi
ricorda che ho degli impegni questa mattina e che se non voglio fare tardi o,
peggio, non rispettarli mi conviene uscire da questa casa in fretta.
Sospiro: «Hai ragione. È meglio che
vada. Però riparliamone di questo, d’accordo?»
Lui sorride: «Senz’altro.»
Apro nuovamente la porta d’ingresso
e mi volto verso il ragazzo un’ultima volta. Sollevo la mano per salutarlo e
lui, di tutta risposta, si avvicina per darmi un leggero bacio sulla bocca: «Ci
sentiamo», dice. Annuisco con la testa e lo saluto, stavolta uscendo
definitivamente dal suo appartamento.
Scendo le scale ed esco nella città
che via via si anima sempre più. Mi sento incredibilmente leggera, come se
nulla potesse andare storto in questa giornata, nata da una notte come non
avrei mai pensato di viverne.