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Autore: NightWatcher96    25/01/2016    2 recensioni
Universo 2003, ambientato in "L'agguato di Bishop". Questa storia racconta la carneficina della Febbre Spagnola, ora in un tempo moderno e della lotta dei nostri impavidi eroi che cercano non solo di salvare il mondo intero bensì anche un fratello dalla mania di distruzione di J.Bishop.
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N/A Dopo tanto tempo, eccomi qui a scrivere una storia un po' particolare, che ha delle basi storiche più che vere e alcune ricerche che ho fatto su Internet per quanto riguarda la Febbre Spagnola. La scienza ha ricreato in laboratorio questo mostro terribile, secondo ciò che ho letto ma se effettivamente riuscirebbe a diffondersi? Tragedia!
Ecco perché mi cimento a scrivere qualcosa sulla serie del 2003, la mia preferita in assoluto e molto, molto fluff. 
Beh, buona lettura!!!


 
Il laboratorio 18 non era mai stato tanto silenzioso in mesi interi di lavoro.
Il più brillante scienziato di bell’aspetto non si era mai dato tanto da fare per trovare un importante vaccino in grado di sconfiggere le varie infezioni che tempestavano l’intera Big Apple in quel triste periodo. Aveva lavorato giorno e notte e finalmente era vicino a finalizzare le sue scoperte.
“E’ instabile, John…” fece mesto un uomo al suo fianco.
“No. Taci. E’ una questione di geneti-“.
“Stai sbagliando!” aggredì l’altro, sbattendo una cartellina in terra.
C’erano diversi tavoli di metallo sparsi in quella camera sfumata dall’arancio di enormi capsule riempite di liquidi trasparenti o dalla leggera tinta violacea dove galleggiavano ammassi informi di cellule.
John non fissò con rabbia ma decise di ignorarlo comunque, mentre premeva un pulsante per riempire una fiala con un campione delle sue scoperte geniali. Che lo avrebbero sicuramente reso ricco.
“FERMO!” intervenne l’altro.
“Toglimi immediatamente le mani di dosso!”.
“JOHN BISHOP! Ti ho detto di fermarti! Non capisci che questo tuo vaccino potrebbe gettare New York… no, che dico! L’intero mondo nel caos infernale per anni, forse? Questo virus è così potente che chissà cosa potrebbe fare se si diffondesse erroneamente fra la popolazione! Questa non è una cura! Ho studiato i tuoi progetti nei minimi dettagli! La composizione chimico-biologica è errata! E’ solo un virus!”.
Bishop sogghignò oscuramente, guardandolo con occhi malvagi dietro le spesse lenti scure che generalmente indossava e, colto da un impeto di adrenalina, lo spintonò contro una capsula. Le vibrazioni la fecero tremare pericolosamente e un nugolo di particelle ronzò scombussolato a mo’ di spirale.
“Sai anche troppo per i miei gusti!” disse, sguainando un bisturi che afferrò da un tavolo.
Il suo sostituto sbiancò letteralmente, guardandosi intorno nella disperata speranza di poter trovare qualcosa con cui almeno difendersi. Bishop avanzava velocemente e all’ultimo momento sollevò il braccio verso il suo volto spaurito.

L’altro uomo scosse energicamente il capo e lo spinse violentemente con una testata nello stomaco verso una vetrata. Se non avrebbe potuto difendersi, lo avrebbe scaraventato giù dal quattordicesimo piano del Padiglione Alpha, dedicato proprio allo studio della genetica e la biochimica.Ma Bishop non era così stupido, si liberò, purtroppo, con una dura ginocchiata nello stomaco del compagno e lo spostò di propria forza verso le vetrate.
“Non commettere un errore che potrebbe costare tanto a tutto il mondo!” gemette.
“Non mi interessa niente dell’umanità! Quando sono stato rapito, nessuno ha speso una lira per aiutarmi! Nessuno mi ha mai creduto! E allora è ora che il mondo sappia che John Bishop è un uomo assai vendicativo! Inizierà un nuovo ordine mondiale e tutti si piegheranno sotto il mio volere!” esclamò l’altro.
Il giovane scienziato spalancò la bocca con fare scioccato e soggiogato dalla rabbia per essere stato sempre e solo usato lo spinse ancora una volta verso le console dove facevano capolino alcuni cavi scoperti.
“Oh, no!” urlò, a un certo punto.
Il crash che seguì lo spintone lo fece pietrificare: Bishop si era schiantato sulle capsule contenenti il virus maledetto e tutto il liquido violaceo si stava riversando verso alcuni estrattori collocati sul pavimento.
“Complimenti… adesso sei tu l’artefice della rovina del mondo e della sua rinascita!” esclamò Bishop.
Preso da un impulso di collera accecante, l’uomo tirò fuori dal camice bianco che indossava una pistola e con mano tremante premette il grilletto verso il petto di un Bishop fradicio e seduto su ciò che rimaneva delle console.
Da alcuni cavi impregnati di quella sostanza inodore e liquida prendevano forma delle fugaci scintille di elettricità.
Bishop incassò il colpo al centro del petto e dopo qualche istante il suo capo ciondolò inerme, appoggiato sulla clavicola in apparenza. Finalmente morto ma con il ghigno della vittoria impresso sulle labbra.
Rimasto da solo, il giovane uomo deglutì, si guardò per un'ultima volta intorno e incapace di vivere con un senso di colpa troppo grande, sparò ancora. La canna della pistola aveva centrato perfettamente la sua tempia.
Quella notte del 1918, febbraio per essere precisi, il mondo avrebbe contato molti più morti, forse molti di più rispetto alla Grande Guerra che intanto infervorava ancora. I primi casi si sarebbero sentiti nella penisola iberica e successivamente, con lo sbarco degli americani, anche l’Europa avrebbe fatto i conti con questo virus terrificante.
La Febbre Spagnola…
 
Presente, 10 febbraio…
 
Pioveva su New York City.
Gocce inquinate si diffondevano sugli alti grattacieli scuri nella penombra della sera fredda.
La gioia dei bambini a tirarsi ancora palle di neve, l’amore delle coppiette nel Central Park a fantasticare su San Valentino, anziani che passeggiavano ancora mano nella mano erano dettagli per un uomo che aveva sulle spalle un centinaio d’anni di evoluzioni con mille sfaccettature differenti.
Nel suo laboratorio dell’FBI, in un grattacielo corvino, John Bishop osservava la città dal 98esimo piano, con le mani dietro la schiena coperta dal solito soprabito corvino ed occhi ostili scuriti dagli occhiali neri.
-Stolti umani. Gioite perché siete stati sempre fortunati- pensò, avvicinandosi a un piccolo tavolo di metallo.
Una valigetta corvina di pelle conteneva una lettera ormai ingiallita, una vecchia e sgualcita fotografia in bianco e nero che ritraeva due uomini in un laboratorio e un piccolo cofanetto di metallo.
Bishop lo aprì con un codificatore usb che custodiva gelosamente nel suo abito e tirò fuori una fialetta contenente un liquido trasparente.

Aveva ricreato il Virus della Grande Influenza e non vedeva l’ora di testarlo per capire se gli effetti causati nel 1918 erano ancora i medesimi o più forti. Il mondo doveva essere punito!Bishop sogghignò oscuramente: sapeva esattamente come attirare dei topolini nella sua trappola!
In fretta lasciò quell’oscuro ufficio, oltrepassò un corridoio dalle sfumature grigie e raggiunse una porta blindata. Con la lettura delle impronte digitali della sua mano vi entrò e marciò dritto verso un tavolo di metallo dove vi era legato qualcosa di vivo.
“Come andiamo, quest’oggi?” ridacchiò.
Il coccodrillo tenuto fermo da cinghie di cuoio sui pettorali, vita e gambe si limitò a ringhiare perché anche se era del tutto intenzionato a recidergli la testa con un solo morso non avrebbe potuto farlo a causa della museruola.
“Leatheread, è questo il tuo nome. Giusto, coccodrillo?” derise, mentre gli abbassava sul volto un piccolo lucernario.
Il coccodrillo mugugnò qualcosa d’incomprensibile.
“Ah, già. Perdona la mia leggerezza!” ironizzò Bishop, togliendogli l’arnese dal muso.
“Non la farai franca, mostro!”.
“Quest’oggi sono venuto a darti la possibilità di essere libero” fece l’uomo.
Il coccodrillo sollevò un sopracciglio ma tacque.
“Non fraintendermi. Non sono venuto qui per niente e non ho alcuna intenzione di renderti vita facile, Leatheread. Però, giusto per curiosità personale, mi chiedo effettivamente come potrebbe essere un incontro con i tuoi amici tartaruga dopo quasi un anno”.
Gli occhi di Leatheread si ampliarono nell’orrore ma poi le iridi vi si affilarono e ben presto la sua lucidità mentale fu sostituita dalla collera più profonda.
“Non ti azzardare! Lasciali stare, hai capito?!” ruggì, dimenandosi.
“Sono certo che mi ringrazierai, alla fine”.
Detto ciò, l’uomo non si fece scrupoli ad iniettargli un siero nel bicipite destro e godersi i ruggiti d’agonia del povero Leatheread, incapace di dominare il fuoco ardente che scorreva nelle sue vene.
“Sogni d’oro!”.
L’ultima cosa che il coccodrillo vide fu un luccichio di mostruosa malvagità nello sguardo di Bishop e le porte che si richiudevano, mentre la luce biancastra diventava il nero più assoluto…
 
Alla tana…
 
Leonardo Hamato si stiracchiò, traendo un respiro profondo.
Era quasi l’ora della pattuglia serale per cercare anche qualche spicciolo dimenticato dal mondo della superficie e per quanto la cosa lo eccitava, c’era un brivido insistente che continuava a camminargli lungo la sua spina dorsale. Un pessimo presentimento, come lo avrebbe sicuramente definito Mikey.
Erano quasi due mesi interi che il loro piccolo salvadanaio a forma di tartaruga di ceramica era vuoto. Sembrava che le persone non erano più così sbadate da lasciar cadere monete nei tombini o banconote di piccolo taglio nella neve. E di conseguenza la loro piccola cucina era sempre più vuota.
Tutte le sere si arrangiavano con un barattolo di minestra, del pane rinsecchito in acqua calda o qualche fetta biscottata. E in due mesi si erano alquanto deperiti.
Leonardo si era reso conto di aver almeno perso la bellezza di dieci chili, tanto che il suo piastrone si era trasformato in un guanto aderente, mostrando il costato.
I muscoli di Raphael erano meno tonici e lui stesso aveva cominciato ad allenarsi sempre meno al suo sacco da box, troppo spossato, stanco e affamato.
Donnie non riusciva a concentrarsi e a malapena terminava i progetti che la sua mente geniale creava. Aveva frequenti emicranie e talvolta non si alzava nemmeno dal letto.
Il più giovane, di due anni in meno rispetto ai tre sedicenni, si era deperito tantissimo. Michelangelo aveva sempre vantato un metabolismo più che veloce e proprio a causa della scarsa nutrizione e una buona parte di umiltà con la quale abbondava i piatti dei fratelli e lui fingeva di avere un’enorme scodella di zuppa completamente annacquata, aveva perso la bellezza di sedici chili.
Il suo peso, togliendo quello del guscio, era sui quarantotto.
Splinter e gli altri Hamato erano davvero preoccupati ma per quanto si sforzavano, non trovavano alcuna soluzione. La sfortuna era completamente dalla loro parte: April e Casey, ormai una coppia, si erano momentaneamente trasferiti in Canada per prestare le cure alla madre del giovane vigilante, colpita da un cancro benigno al cervello.
“Andiamo?” fece la burbera voce di Raph.
Leonardo annuì leggermente, poi osservò Donnie stringere la cintura un po’ di più sull’addome incavato e sorridere debolmente a un Mikey talmente debole da dondolarsi per ogni passo compiuto.
“State attenti figli miei” ricordò Splinter. “E che la fortuna vi assista”.
I quattro ninja si inchinarono rispettosamente e finalmente uscirono…
 
L’aria era anche troppo fredda per i loro corpi malnutriti e anche più sensibili alle temperature verso lo zero. New York era più grande, spaventosa e silenziosa che mai sotto la piccola luna bianca che osava illuminarla.
“Dite che avremo fortuna, stanotte?” fece piano Mikey, nell’invano tentativo di farsi un po’ di calore sfregandosi le braccia.
“Lo spero proprio. Intanto direi di cominciare dalla zona della discarica. Lì si ha sempre qualcosa da trovare” rispose Donnie.
In dieci minuti di salti di tetto in tetto, pause per riprendere fiato e aiuti per vincere le vertigini, scavalcarono il recinto a maglie romboidi di metallo per atterrare sul freddo terreno arido e nauseabondo della discarica.
Dietro alcuni bassi cumuli di spazzatura traballava la luce di un fuoco.
Leonardo indicò silenziosamente di controllare. Trovarono i loro amici senzatetto ammucchiati davanti al fuoco, con qualche avanzo fortunato e il Professore intento a spiegare le sue “Teorie”. Non appena quest’ultimo notò i volti spettrali dei quattro ninja, si fermò e si alzò per un benvenuto più caloroso del fuoco stesso.
“Dici che la pianterà con queste teorie?” bisbigliò un senzatetto al compare al suo fianco che si limitò a fare le spallucce.
“Amici miei! E’ sempre un piacere vedervi!” sorrise il Professore.
“Sentimento reciproco, Professore” sorrise Donatello.
“E vorrei vedervi meno deperiti… purtroppo la mancanza di cibo si sta facendo sentire anche da noi ma almeno, questa sera, abbiamo trovato qualcosa da mangiare. E insisto che voi quattro vi uniate a tutti noi. Come dice il proverbio, più siamo meglio è!”.
“Ma Professore, davvero…! Noi non pos-“.
“Insisto, Leonardo!”.
Ai quattro non rimase altro che sedersi su alcune coperte, riceverne di altre sui corpi infreddoliti e avere il piacere quasi da sogno di afferrare qualche galletta di riso e dei cracker integrali.
“Mi dispiace non potervi dare di più…” fece mesto il Professore.
Leo scosse il capo e guardando i suoi fratelli ribatté con un sorriso: “Lei sta già facendo molto per noi”.
“Allora insisto anche che portiate qualcosina al vostro simpatico maestro! Lasciatemi solo il tempo di prendere almeno una bisaccia che trovai non molto tempo fa e-“.
I quattro ninja ridacchiarono all’incredibile capacità di perdersi in un lunghi discorsi dell’amico di colore ma improvvisamente i loro sensi ninja scampanellarono. I loro sorrisi si tramutarono in espressioni gravi e tese dall’ansia.
“Professore, ragazzi, state dietro di noi e non fiatate” ordinò Raphael, sguainando i suoi Sai.
L’aria aveva cambiato tono: il freddo si era fatto più persistente, l’ansia galleggiava tutt’intorno e il silenzio ronzava nelle orecchie infastidite dallo scoppiettare del fuoco.
Improvvisamente, quattro uomini in nero comparvero da dietro alti cumuli di spazzatura, armati di mitragliette.
“E’ da tanto che non ci vediamo, non è vero, tartarughe?”.
I quattro ninja si tesero non tanto per la voce familiare dietro i quattro aguzzini bensì per il monovolume corvino nel cui retro vi era il povero Leatheread impossibilitato nel muoversi e anche nel parlare.
“LEADDY!” urlò Michelangelo, con le lacrime agli occhi.
“Avevo immaginato qualcosa del genere!” sogghignò Bishop, con le mani dietro la schiena.
“Lascialo immediatamente andare!” ordinò Leonardo, puntandogli la katana contro.
“Allora, per tutto questo tempo, Leatheread è stato tuo prigioniero?” ruggì Raphael.
“A quale dieta vi siete sottoposti, invece?” ironizzò l’altro, con un ghigno.
La prossima cosa che sapeva era la furia di quattro impavidi ninja armati che superarono i suoi uomini con delle ginocchiate contro il cranio, utilizzando le loro spalle come trampolini e la furia investirlo.
Bishop afferrò il polso di Raphael, lo stordì con un pugno nel fianco e lo scaraventò contro Donatello. Poi si accovacciò per schivare un affondo di Leonardo, gli fu alle spalle e sfilandogli la maschera dal viso lo ammanettò e lo spinse giù sul pavimento, disarmandolo e tenendolo fermo con un piede sul guscio.
Attraverso i suoi occhiali si accorse di Michelangelo intento a liberare Leatheread e proprio come secondo i suoi piani, tirò fuori una pistola nera dal soprabito e premette il grilletto contro la più piccola delle tartarughe.
Il coccodrillo osservò impotente l’ago correre inesorabile verso il collo di Mikey ma poté semplicemente dibattersi furiosamente e guardare il suo migliore amico gemere alla puntura estranea.
“Molto bene…” sussurrò Bishop, schioccando le dita.
Non aveva più bisogno di Leatheread, lo avrebbe lasciato lì. Ora aveva un nuovo obiettivo da portare a termine!
La discarica fu investita dalla luce brillante di un faro proveniente da un elicottero corvino, le cui eliche riuscirono a spegnere il fuoco dei poveri spauriti senzatetto. Bishop balzò sulla corda calata giù e ridendo sguaiatamente assieme ai suoi quattro scagnozzi stralunati dalle mazzate, svanì nel cupo cielo di New York.
Leatheread ruggì di rabbia e dimenandosi con brutale forza riuscì a strappare le cinghie che lo tenevano bloccato e la museruola. I suoi occhi scrutarono attenti il piccolo Mikey che continuava a massaggiarsi la nuca con fare pensieroso ma non appena gli volse i suoi occhi azzurri, la gioia li accese.
“Leaddy! Sono così felice di vederti!” pigolò, saltandogli al collo.
“Anch’io, amico mio. Ma… stai bene?”.
“Sì, a parte la puntura sul collo, mi sento perfettamente bene!” disse, mostrando il pollice.
Il Professore e i senzatetto aiutarono le altre tartarughe a mettersi in sesto.
“Che diavolo voleva quel sadico?” ruggì Raphael, muovendo una spalla dolorante.
“Non ne ho idea. Ma quell’uomo non lascia l’Area 51 per niente. Avrà avuto una nuova vendetta da attuare” spiegò Donatello.
“E tu, Leatheread? Come stai?” chiese apprensivo Leo, intento a sistemarsi meglio la mascherina sul volto.
Il coccodrillo annuì lentamente, poi volse gli occhi alla luna. La libertà gli era davvero mancata e mentre ascoltava l’allegro chiacchierio di Michelangelo, nel suo cuore sperava che quel colpo di pistola non avrebbe arrecato alcun danno…

 
  
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