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Autore: lapoetastra    25/01/2016    4 recensioni
Parlò con calma, come se fosse inevitabile.
Non c’era traccia di vergogna, oppure di trionfo, nella sua voce.
Poi rimase in silenzio, ed attese.
Parole così richiedono sempre una risposta.
Ma John non l’aveva, quella risposta.
Non sapeva cosa dire.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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< Ci vediamo domani, Sherlock > esclamò di colpo John, prendendo la giacca e preparandosi per uscire.
Sherlock sollevò il capo dal pesante tomo nel quale era completamente immerso, e lo fissò con occhi vacui.
< Dove vai? >, domandò, senza nascondere la curiosità – e soprattutto una strana preoccupazione – nel tono.
John sospirò.
< Vado da Mary, Sherlock. È tutto il giorno che te lo ripeto, anche se credo di aver sempre parlato con un muro. Lei.. lei mi ha invitato a dormire a casa sua >, spiegò, scandendo bene le parole come se stesse parlando con un bambino un po’ tardo invece che con il più grande e famoso investigatore di tutto lo Stato.
< Oh. >
Questa volta la voce di Sherlock era intrisa di delusione ed amarezza.
Watson cercò di mantenere la calma, che era praticamente ciò che stava cercando di fare da sempre, con Sherlock, il quale appena sentiva pronunciare il nome di Mary si rabbuiava e cambiava improvvisamente discorso.
< Potresti.. che so, essere felice per me? >, chiese allora irritato il dottore, che non riusciva a comprendere quello strano comportamento da parte del suo coinquilino.
< Sono felice per te, John >, mormorò questi. < Ma non lo sono per me stesso. >
Era arrossito?
Watson non riusciva a capirlo, così come non riusciva a comprendere che cosa intendesse dire con quelle parole enigmatiche.
Ma non c’era tempo per gli indovinelli, ora.
< Puoi per favore cercare di essere più… >
Sherlock, incurante, lo interruppe. < Sai cosa provo per te. Lo sai da mesi. Qui, fra noi, da soli, non fingiamo che tu non lo sappia. Sai che ti amo. Ti ho sempre amato. Ti amerò sempre. >
Parlò con calma, come se fosse inevitabile.
Non c’era traccia di vergogna, oppure di trionfo, nella sua voce.
Poi rimase in silenzio, ed attese.
Parole così richiedono sempre una risposta.
Ma John non l’aveva, quella risposta.
Non sapeva cosa dire.
Aveva davvero sempre saputo che Sherlock provava per lui qualcosa di più di una semplice amicizia? Sì.
Nonostante quello che pensava l’investigatore, le sue doti intuitive non erano così vergognosamente sottosviluppate, e con il passare del tempo si era accorto di alcuni sguardi di Sherlock che indugiavano sulla sua figura un secondo di più, quel secondo labile ed infinito che rappresenta il sottile confine tra la fine dell’interesse e l’inizio del sentimento.
Ed era anche vero che aveva sempre cercato di far finta di nulla.
Perché non sapeva come comportarsi, esattamente come adesso.
< Io ti voglio bene, Sherlock. Come un uomo ama il suo più caro amico. Ma non potrei mai… mi capisci? Non potrei mai desiderare di giacere con te. >
Holmes distolse lo sguardo.
La sua espressione era distaccata, ora, e le guance avevano perso quel leggero rossore che non gli apparteneva, divenendo di nuovo pallide e tirate.
Parlò con distacco.
< Ed anche questo lo sappiamo entrambi da mesi. Ma non era mai stato necessario esprimerlo a parole, quelle parole che adesso dovrò portare con me per il resto dei miei giorni. >
Lo guardò, ed ora i suoi occhi erano di nuovo privi di luce, come se fossero ciechi.
< Avremmo potuto continuare a vivere senza avere questa conversazione, spiacevole per entrambi. Ma per colpa tua, adesso siamo obbligati a ricordarla per sempre. >
Se ne andò, allora, John.
Se ne andò, lasciandolo solo, perché non riusciva a sopportare quella espressione di dolore cocente sul suo volto, perché non riusciva a sopportare di esserne lui la causa.
Se ne andò, con il cuore a pezzi, perché avrebbe voluto amarlo, ma non poteva. Semplicemente non poteva.
Se ne andò, perché non poteva più stare lì, con Sherlock.
Ma non si recò a casa di Mary, quella sera.
Non sarebbe stato giusto, ed oltretutto avrebbe avuto la testa da tutt’altra parte.
Rimase a dormire su una panchina, nel freddo della sera prossima all’inverno, pensando a quella conversazione che davvero ora era condannato a ricordare per sempre.
Quando alzò gli occhi verso la vastità celeste, John vide le stelle.
Tantissime, quante mai ne aveva viste prima, luminose come milioni di lucciole.
Gli fecero venire in mente il sorriso dolce ed un po’ storto che l’investigatore costantemente serio riservava solo a lui.
Si chiese se avrebbe visto ancora quel sorriso.
Una lacrima gli rigò il viso, ed un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra.
Un singhiozzo che suonava tanto come “Sherlock”, ma che nessuno, escluso lui, udì.
 
   
 
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