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Autore: Matt_Sivert_91    26/01/2016    1 recensioni
In una fredda notte invernale Sabrina, diciottenne che lavora in un locale per soli adulti, viene rapita mentre sta tornando a casa.
Si risveglia in un palazzo abbandonato, legata su un materasso gettato a terra ed imbavagliata.
L'intervento di uno sconosciuto, proprio quando sta per essere violentata, costringe il suo aggressore alla fuga.
Il suo salvatore però rimane ferito da un colpo di pistola alla testa durante la colluttazione e perde la memoria. Dopo aver ricevuto le cure in ospedale, Sabrina decide di ospitarlo a casa sua, visto che non ha un posto dove stare.
Inizia così a svilupparsi tra i due un rapporto molto intenso ed anche in qualche modo eccessivo.
Tra le indagini di un ispettore molto ambiguo e il torbido ambiente in cui è costretta a vivere Sabrina, i due vivranno molte vicissitudini e saranno costretti a compiere scelte complicate.
Il passato di Hero, nome affibbiatogli dalla ragazza, è sconosciuto.
D'altra parte quello di Sabrina nasconde un terribile segreto che l'ha profondamente segnata, ma che lei pare aver dimenticato.
Riusciranno i due a crearsi un futuro felice insieme, oppure i fantasmi del passato e l'incombente minaccia del ritorno dell'aggressore glielo impediranno?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Al suo risveglio, la ragazza si ritrovò sdraiata su un materasso appoggiato a terra in una stanza che sembrava abbandonata a giudicare dai muri con l’intonaco cadente e l’assoluta mancanza di qualsiasi arredamento. 

Provò subito ad alzarsi, ma non ci riuscì. 

Aveva le mani legate con una corda ad una tubatura sporgente dal muro e per quanto si sforzasse, provocandosi un gran dolore ai polsi, non riusciva a liberarsi. 

La bocca era tappata da un pezzo di nastro adesivo. 

Non si era mai sentita così indifesa, nemmeno nei momenti più bui e brutti della sua infanzia. 

Un grido soffocato le rimase bloccato in gola quando vide materializzarsi dall’unica porta della stanza un uomo robusto con un passamontagna sul viso.

 L’aggressore si avvicinò al materasso adagiato al suolo e con un ghigno malefico sussurrò “finalmente ti sei svegliata, ora possiamo divertirci…”. 

Sabrina rabbrividì alle parole dell’uomo e si rese pienamente conto della situazione in cui era finita: era da sola, immobilizzata e imbavagliata, in un luogo probabilmente poco frequentato o del tutto disabitato. 

Quell’uomo aveva intenzione di violentarla, lei non poteva fare nulla per impedirglielo e nessuno sarebbe intervenuto a salvarla. 

L’aggressore si inginocchiò sul materasso, ai suoi piedi, e iniziò a divaricarle le gambe. 

Nonostante la sua resistenza, lui l’ebbe vinta facilmente, era semplicemente troppo forte per lei. 

Dopodiché si diede da fare con la cerniera dei jeans e le abbassò prima i pantaloni e poi le mutandine. 

A quel punto si slacciò la cintura, abbassò i pantaloni e la cinse con forza ai fianchi.

 Sabrina sentì le lacrime rigarle il viso e si preparò ad affrontare ciò che sarebbe successo di lì a poco chiudendo gli occhi e voltando la testa su un fianco. 

All’improvviso la pressione dell’uomo su di lei sparì e un rumore sordo, come qualcosa di pesante che urtava il suolo, la spinse ad aprire di nuovo gli occhi.

 Vide l’uomo col passamontagna a terra, all’apparenza svenuto e, in piedi di fianco a lui, un ragazzo che non doveva essere tanto più grande di lei. 
Il giovane la guardò e le disse con voce trafelata “Non ti agitare! Ci sono qui io! Andrà tutto bene”.

Gli occhi di Sabrina si illuminarono di gioia e sollievo. 

Subito dopo le si avvicinò e cercò di sciogliere i nodi delle corde che la tenevano prigioniera. 

Intento com’era in quell’operazione, non si accorse che nel frattempo l’uomo col passamontagna si era rialzato.

Sabrina lo notò subito, ma i suoi sguardi e le sue parole soffocate dal nastro adesivo non furono di aiuto per il suo salvatore.

 L’aggressore gli fu addosso in un lampo e lo placcò con violenza, scaraventandolo al suolo.

 Il giovane non era mal messo fisicamente, ma il rapitore era decisamente più robusto e, dopo averlo rialzato, lo sbatté con forza e ripetutamente contro la parete. 

Il ragazzo sembrava sul punto di perdere i sensi, ma, forse con l’ultimo barlume di lucidità rimasto, con le dita colpì l’uomo dritto negli occhi. 

Quest’ultimo, evidentemente scosso dal colpo ricevuto e parzialmente accecato, mollò la presa e si diresse alla porta che dava su un’altra stanza. 

Il giovane, ripresosi dai duri colpi contro il muro, si lanciò al suo inseguimento, ignorando i mugolii di Sabrina. 

Avrebbe voluto che lui la liberasse e lasciasse perdere l’uomo, ma le sue speranze furono disattese.

 Aveva paura che potesse accadere qualcosa di brutto al suo soccorritore e l’idea di tornare di nuovo nelle grinfie di quel maniaco la terrorizzava.

 Per un tempo che le sembrò infinito non sentì alcun rumore provenire dalla stanza a fianco, poi, dal nulla, udì uno sparo. 

Per lo spavento sobbalzò sul materasso e il suo cuore iniziò a battere ancora più velocemente, come se non fosse bastato il ritmo frenetico che aveva tenuto da quando si era risvegliata in quell’incubo.

 ‘E se fosse morto?’ si chiese in preda al panico ‘non doveva inseguirlo, lo sapevo! Quel porco aveva sicuramente una pistola e ora lo ha ammazzato’. 

Mentre formulava questi pensieri nella sua testa, sentì un altro colpo di pistola e il suo battito cardiaco accelerò ulteriormente. 

Credeva che il suo cuore fosse sul punto di saltare fuori dal suo petto vista la forza e la frequenza  con cui batteva contro la sua cassa toracica. 

Dopo altri interminabili momenti udì dei passi, qualcuno si stava avvicinando alla stanza. 

Era certa che il suo aggressore stesse tornando per riprendere la violenza da dove era stata interrotta.

 La sua unica speranza era che qualcuno avesse sentito gli spari e, di conseguenza, chiamato la polizia.

 I passi si fecero sempre più vicini e una lunga ombra oscura si proiettò nella stanza. 

Sabrina guardò con terrore verso l’entrata. 

‘Spero che finisca al più presto e che non mi lasci vivere’ fu l’unico pensiero che riuscì a formulare.

 Sentiva che non sarebbe riuscita a superare quel trauma, quindi sarebbe stato meglio morire. 

Era ormai rassegnata al suo destino. 

Perciò quello che vide entrare dalla porta fu per lei come una visione celestiale, la più bella sorpresa della sua breve vita. 

All’uscio non c’era l’uomo con il passamontagna venuto per  terminare la sua violenza, bensì il giovane con in mano una pistola.

 Guardandolo meglio alla sinistra luce della lampadina sopra la sua testa, vide un rigagnolo di sangue che gli colava dalla fronte, disegnando una linea irregolare che gli attraversa l’occhio sinistro e la guancia, fino a giungere al mento.

 Sembrava scosso e disorientato. 

Quando la vide sgranò gli occhi sconvolto, come se la scena all’interno della stanza gli si presentasse per la prima volta davanti agli occhi.

 Si rese conto soltanto in quel momento di avere una pistola in mano e la gettò subito a terra, quasi con paura.

 Subito dopo accorse da lei.

 “Stai tranquilla, adesso ti libero!” disse con voce tremante. 

Si inginocchiò di fianco al materasso e si rese conto che i jeans e le mutandine di lei erano abbassate. 

Distolse rapidamente lo sguardo e si tolse la giacca per coprirla. 

Fatto ciò, cercò di tranquillizzarla, poiché si agitava ed emetteva gemiti incomprensibili.

 “Non ti agitare! Non voglio farti del male! Ti libero subito!” la rassicurò. 

Questa volta la sua voce era più ferma e decisa, cosa che ebbe un effetto positivo sulla ragazza.

 Smise di dimenarsi sul letto e di lamentarsi. 

La liberò dalle corde che la immobilizzavano e le tolse con delicatezza il nastro adesivo dalle labbra, per non provocarle dolore.

 Sabrina, appena fu in grado di muoversi, strisciò contro il muro e tirò su l’intimo e i pantaloni.

 “Lui dov’è? Che fine ha fatto?” gridò in preda al panico guardando oltre la spalla del ragazzo. 

Lui si guardò intorno e chiese a sua volta “Lui chi?”. 

“Come chi? L’uomo col passamontagna, il mio aggressore, quello con cui ti sei scontrato!” rispose Sabrina con una gran rabbia causata dalla paura. 

Il ragazzo sembrava molto confuso e poco lucido. 

“Davvero non so di chi tu stia parlando. Non ho visto nessuno, né tantomeno mi sono battuto con qualcuno” cercò di spiegarle “tutto quello che mi ricordo è che sono entrato in questa stanza e ti ho trovata legata su questo materasso, nient’altro”. 

Lei era sull’orlo di una crisi di nervi. 

“Ma che ti è preso? Hai bevuto? Hai preso una botta in testa?” gli urlò in faccia sfogando tutta la sua frustrazione.

 Soltanto pronunciando quelle parole si rese conto della situazione e riprese a ragionare, anche grazie al fatto che il suo aggressore sembrava essersi dileguato.

 Il ragazzo la guardava con occhi spenti e assenti.

 Questo suo assurdo comportamento e la sua improvvisa amnesia dovevano essere provocati dalla ferita alla testa.

 In preda allo shock non aveva fatto questo semplice collegamento. 

Con il passare dei minuti la sua mente si faceva sempre più lucida. 

“Perdonami, non ci avevo pensato, deve essere quella ferita a confonderti le idee” si scusò dispiaciuta.

 Lui sembrò accorgersi solamente in quel momento del sangue che gli attraversava il viso. 

Si toccò con una mano e guardò esterrefatto  la macchia rossa che si era formata su di essa, senza dire una parola. 

Sabrina vide in un angolo il suo zaino e corse immediatamente verso di esso per recuperare il suo cellulare. 

Doveva chiamare la polizia ed i soccorsi al più presto, la ferita poteva essere molto grave. 

Il problema era che non aveva idea di dove si trovassero. 

Provò a chiederlo al ragazzo, ma questi rispose con un laconico “Non lo so…”. 

Allora si armò di tutto il suo coraggio  e attraversò la soglia.

 Nell’altra stanza c’erano una finestra e una porta aperta. 

Scoprì che erano al primo piano di un palazzo. 

Riconobbe la zona e, osservando con maggiore attenzione, riuscì a leggere un cartello che indicava la via.

 A quel punto poté finalmente avvertire i soccorsi.

 Finita la chiamata, ritornò nella stanza dove era stata tenuta prigioniera e vide il ragazzo sdraiato su un fianco.

 Sembrava morto e perciò urlò sconvolta. 

Non poteva permettere che lui, quello sconosciuto che l’aveva salvata da una fine terribile, morisse sotto i suoi occhi.

 Si avvicinò nuovamente al suo zaino ed estrasse un fazzoletto. 

Corse verso di lui, lo girò in modo da vedere la ferita e gliela tamponò meglio che poté. 

Senza rendersene conto si ritrovò con le lacrime agli occhi. 

“Ti prego resisti, i soccorsi stanno arrivando. Non morire…” sussurrò all’orecchio del giovane.

 Dopo minuti, che le sembrarono eterni, sentì il suono della sirena dell’ambulanza.

 Prima di andare alla finestra per richiamare l’attenzione dei soccorritori e permetter loro di individuarli, gli parlò nuovamente, anche se lui apparentemente non poteva sentire le sue parole. 

"Sono arrivati i soccorsi, andrà tutto bene, vado soltanto a chiamarli. Tu non mollare, ok?” e detto ciò lo lasciò. 

Due poliziotti e due paramedici entrarono nella stanza e lei li condusse immediatamente dal ragazzo. 

Uno dei due soccorritori provò a sincerarsi delle sue condizioni, ma lei lo respinse.

 “Io non ho niente, è lui ad aver bisogno delle vostre cure. Ha perso i sensi da quasi dieci minuti ed è ferito alla testa, gli hanno sparato” spiegò concitatamente. 

I due agenti iniziarono a chiederle spiegazioni sulla situazione, ma Sabrina era troppo intenta a osservare i paramedici soccorrere il ragazzo e li ignorava, percependo a malapena le loro voci.  

Quando le chiesero di seguirli al commissariato, si rifiutò con forza. 

“Io vado con lui in ospedale, devo stargli vicino!” gridò quasi isterica. 

I due si scambiarono uno sguardo incerto, ma alla fine acconsentirono. 

I paramedici sistemarono il ferito sulla barella e lo portarono di sotto, con gli agenti e Sabrina al seguito.

 Una volta per strada, lo caricarono sull’ambulanza e lei chiese di poter fare il tragitto verso l’ospedale con loro.

 Avendo visto la scena con gli agenti pochi istanti prima, non si opposero. 

Durante tutto il viaggio strinse la mano del ragazzo e continuò a parlargli, pregandolo di rimanere in vita. 

Soltanto una volta giunti in pronto soccorso, nonostante la sua reticenza, il personale medico e gli agenti la convinsero a separarsi da lui e farsi visitare.

 Il medico non riscontrò alcuna ferita, a parte qualche livido sulle cosce causato dalle mani del’aggressore. 

Dopo averle somministrato un sedativo, la fece sistemare in una stanza singola, affinché potesse riposare e riprendersi dallo shock. 

I due poliziotti chiesero al medico che l’aveva visitata il permesso di interrogarla, ma questi glielo negò.

 Spiegò loro che, a causa del sedativo che le aveva somministrato, la ragazza non sarebbe stata in grado di rispondere alle loro domande fino al mattino seguente. 

Infatti, proprio in quel momento, Sabrina era caduta in un sonno profondo, seppur tremendamente tormentato.
   
 
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