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Autore: lapoetastra    30/01/2016    4 recensioni
[Seguito di "Ti amo. Parole così richiedono sempre una risposta"]
John sta tornando a casa, da Sherlock.
Sherlock è per strada, a cercare John.
Un narciso giace sull'uscio.
Qualcosa è cambiato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato a Koa



Ho lasciato Sherlock come si lascia interrotta una partita a Sassolini, il destino incerto, il risultato sospeso.
Sono scappato da ciò che non sono stato in grado di capire, non dopo che mi è stato rivelato così apertamente, eliminando qualsiasi possibilità di fraintendimento.
Sono scappato da ciò che non sono stato in grado di affrontare.
Sono scappato come un codardo, lasciando Sherlock lì, a guardarmi con quegli occhi che intuiscono sempre tutto, e che erano tristi, l’ultima volta che si sono congiunti ai miei, ipnotizzandomi con il dolore che a malapena trattenevano, il cui ricordo serbo ancora nel cuore come una ferita inguaribile.
Mi ha detto che mi ama, ed io sono fuggito.
Gli ho detto che non avrei mai giaciuto con lui.
È vero?
Non lo so, non più, ormai.
Ho visto la sua espressione, in quel momento, e vorrei aver tenuto tutto per me, ma ora è troppo tardi.
Sono fuggito, allora.
Ed adesso sto tornando a casa, da lui.
Gli devo almeno una spiegazione, devo almeno cercare di riparare al male che gli ho causato.
Quando busso alla porta, lo faccio con mano tremante.
Ed in un attimo rifletto su tutta la mia vita, sul nostro rapporto, su ciò che ho sempre sentito per lui e su quello che mai avrei pensato potesse accadere.
Qualcosa è cambiato.

 

Ha davvero creduto che gli avrei chiesto ciò che non desiderava spontaneamente darmi?
Cielo, che mente ridotta.
Ma gli uomini sono così, d’altronde.
Pensano che l’amore si possa manifestare solo mediante l’atto sessuale.
Quello di molti magari sì, ma il mio no.
Il mio è un Amore senza confini.
Lo sa anche John, adesso, ed è scappato, via da qui, via da me, senza darmi neanche la possibilità di spiegare.
Ha avuto paura che gli saltassi addosso, forse.
Non lo farei mai.
Non cerco quel tipo di rapporto, non voglio solo l’unione dei nostri corpi, ciò che desidero davvero è la fusione totale delle nostre menti e dei nostri cuori.
Avrei dovuto tenermelo per me.
 Adesso si è dissolta la minima speranza che serbavo di poter vedere avverato il mio sogno, un giorno.
E John è scappato.
Lo rivedrò ancora?
Forse no, ed è solo colpa mia.
L’ho cercato dappertutto, tra la folla del tramonto, fino a che i volti delle persone felici sono divenuti un tutt’uno nella mia mente.
Non l’ho mai visto, il suo viso.
Forse è già via, il mio John.
Magari è lontano.
Ed io sono qui.
E non mi resta altro che il suo ricordo, ora, ed il ricordo della nostra infausta conversazione.
Ho la capacità di piangere?
Evidentemente sì, dato che è quello che sto facendo.
È stata la seconda sorpresa, questa, dopo quella dell’Amore che ho scoperto di poter provare per un altro che non fossi io stesso, sentimento che ora è racchiuso nel mio cuore, luogo che ho sempre considerato troppo arido e tronfio per poter ospitare la minima emozione umana.
Torno a casa, torno al nostro appartamento, che è troppo vuoto, ormai, ed in cui aleggiano ancora le nostre parole come il suono stridulo e sofferto di una corda di violino.
È con le lacrime agli occhi che lo vedo.
Lo raccolgo tremando.
V’è un fiore, sull’uscio di casa.
V’è un fiore, delicato e profumato, con un bigliettino attaccato sul gambo effimero.
Lo leggo.
Ti amo, Sherlock.  J.”
Lapidario, epigrammatico. Bellissimo.
Mi stupisco di nuovo di me stesso.
Sto piangendo, ma adesso è la gioia più pura e sfrenata che alberga in me.
John ha capito, John ci ha pensato, John mi ama.
Ed è tornato per dirmelo.
Nessun altro poteva conoscere la mia folle passione per i narcisi, nessun altro che conosco si sarebbe potuto firmare con “J”, iniziale di quel nome che ho scritto centinaia di volte nelle mie notti insonni trascorse a pensarlo.
Porto in casa quel regalo, chiudendomi nella mia intimità e nella mia letizia, solo con il mio amore imperituro.
La solitudine dura poco.
Qualcuno bussa alla porta.
Prego, spero, che sia chi voglio che sia, ma non mi illudo.
Ormai ho preso l’abitudine di non farlo.
Apro semplicemente la porta, con timore di guardare chi sia il visitatore.
È lui.
È John.
È tornato.
Vorrei baciarlo, adesso, ma mi trattengo.
< Ciao >, mormoro dunque, e riconosco l’emozione nella mia voce, e tremo un po’ più forte.
Lo invito ad entrare, e non smetto di sorridere, semplicemente perché non ci riesco.
< Sherlock, io… >, inizia il dottore, ed io vorrei ridere per il suo imbarazzo.
Invece perdo altre lacrime.
< Non c’è bisogno di parlare, John >, rispondo, facendogli vedere il fiore che mi rigiro tra le dita come fosse un tesoro prezioso.
Noto la confusione sul suo viso, e vorrei abbracciarlo.
Non deve aver timore di ciò che prova, non c’è nulla di male.
Piango, e sorrido, nell’attesa che trovi finalmente il coraggio di dichiararsi a voce, come bramano le mie orecchie.
Aspetto, e mi commuovo, e sono felice, e lo amo.

 


Non so cosa fare, non so cosa dire.
Di nuovo.
Ma adesso è tutto diverso, rispetto a prima.
Sherlock brilla di gioia, e quasi mi abbaglia.
Con che coraggio posso di nuovo oscurarlo?
Lo amo?
Non lo so.
Non so nemmeno più chi sono, e cosa voglio.
Lo amo?
Forse.
Altrimenti non sarei arrivato fino a qui, altrimenti nessuna tempesta si starebbe scatenando dentro di me.
Lo amo?
Credo di…
Non parlo.
Facendolo, sono certo che rovinerei tutto, e forse tornerei in me, e magari ci ripenserei e scapperei nuovamente.
Non dico nulla, allora, e semplicemente mi protendo verso di lui e lo bacio, come se potessi trovare la forza che mi manca sulle sue labbra, che sanno di zucchero, che sanno di sale, che sanno di Sherlock e della gioia che percepisco dilagare in lui.
Lo amo?
Sì.
Il narciso cade a terra.
Non penso a chi sia stato a mandarglielo, ora non importa.
Sherlock crede che sia un dono mio, e per ora va bene così.

 


Giù, per strada, un uomo solitario guardava in su.
Guardava le figure che si muovevano come fossero una sola, nella luce calda della lampada.
Le guardava, e piangeva.
Poi, di colpo come un pensiero, si accorse che qualcosa era adagiato al suolo.
Lo riconobbe immediatamente, nonostante lo vedesse da lontano ed in controluce.
Abbandonato e bistrattato, c’era un narciso.
Il suo narciso, il suo dono alla persona che amava più di ogni altra al mondo.
Se ne andò, allora, l’uomo, scomparendo nella notte imperante.
Non piangeva più, ora.
Adesso il suo cuore era folle di rabbia.
Verso se stesso, principalmente.
E di rimpianto.
Per aver firmato la sua dichiarazione d’amore – la prima della sua vita e quasi sicuramente anche l’ultima – unicamente con la sua iniziale, J, e non con il suo nome completo, Jim.
   
 
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