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Autore: Kejeli    30/01/2016    2 recensioni
"Così era quello il calore? L'amore? Il sentire il cuore correre nel petto e lo stomaco stringersi in un nodo, il rendersi conto che mai nessuno conterà mai più allo stesso modo, il sapere che finalmente non era più solo, che la felicità era proprio lì davanti a lui, con un maglione a righe, una camicia a scacchi e le labbra che sapevano di tè alla cannella?"
#Johnlock
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Happy Home

Sherlock Holmes avrebbe sempre voluto fare amicizia, sin da quando era un bambino impacciato che osservava i suoi compagni di scuola giocare nel cortile mentre lui, chino su un libro, si mordicchiava le pellicine intorno alle unghie. Ma perché avrebbe anche solo dovuto provarci? Suo fratello maggiore, Mycroft, gli aveva sempre detto che sarebbe stata una fatica inutile, che era troppo strano e stupido per poter piacere agli altri bambini. Da che Sherlock era venuto al mondo Mycroft era sempre lì: composto e acido, a ricordargli quanto fosse più ignorante e stupido rispetto a lui. La loro madre lo zittiva sempre con uno schiaffetto sulla collottola, ma quelle parole lo tormentavano notte e giorno e così arrivò ad aprire raramente la bocca, a rifugiarsi in un mondo tutto suo dove si limitava a fissare le altre persone, cogliendo i dettagli delle loro vite con uno sguardo rapido freddo, ma senza mai avvicinarsi. Mycroft aveva accompagnato la sua crescita più dei suoi genitori che, sempre impegnati col lavoro, lo affidavano al fratello maggiore confidando nel suo buonsenso e lui, sempre umiliato e deriso, riusciva a malapena a rispondere alle sue offese. Passò così tutta la sua infanzia nell'ombra, col naso sui libri e la strana sensazione che le lezioni a scuola fossero troppo facili.
L'adolescenza lo travolse come un treno in piena insieme ai cazzotti degli altri ragazzi che calavano sul suo viso ogni volta che apriva bocca e, quando tornava a casa, era proprio Mycroft a nascondergli i lividi per evitare che i genitori si preoccupassero. Fu allora che il maggiore degli Holmes iniziò a preoccuparsi per lui: quando lo vedeva rientrare con un occhio pesto o un labbro sanguinante, quando lo scopriva in balcone con una sigaretta tra le labbra a quattordici anni appena, quando lo vedeva tornare con la testa bassa e nessuna voglia di parlare.
Sherlock non era stupido, non lo era mai stato. Il suo problema era essere infinitamente più intelligente delle persone normali, ma meno del fratello: negli anni in cui avrebbe dovuto imparare a socializzare si sentiva invisibile, negli anni in cui avrebbe dovuto godersi la giovinezza spensierata lo era fin troppo, ma nel modo sbagliato. Era come se dicesse sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, come se a nessuno importasse niente di quello che aveva da dire.
La solitudine era l'unica cosa che avesse realmente mai conosciuto. Cominciò a usare la droga quando iniziò a sentire che nulla al mondo avrebbe potuto essere più interessante e, anche allora, Mycroft lo cercava disperato in ogni vicolo sudicio, in ogni lurida bettola o casale abbandonato in cui avrebbe potuto trovarlo, se lo caricava sulle spalle e lo riportava a casa con le lacrime a corrodergli le guance.
Nulla migliorò quando le loro strade si separarono. Mycroft andò via di casa e Sherlock anche, entrambi chiusi nei loro Palazzi Mentali, entrambi sprovvisti di chiave per uscirne, iniziando a fare l'unica cosa che sapevano fare: il primo esercitava il proprio potere e il proprio controllo a capo dei Servizi Segreti britannici, il secondo non potè fare altro che inventarsi un lavoro unico tanto quanto lui: il Consulente Investigativo.
Fu allora che le persone iniziarono a sviluppare una sorta di irritato rispetto per le sue straordinarie capacità e che lui, di conseguenza, iniziò a mostrarsi sempre più saccente e indisponente.
Si stava autocondannando a un'esistenza solitaria e vuota in cui il rapporto più intimo l'avrebbe avuto con i cadaveri che gli chiedevano di esaminare.
Finchè non arrivò John Watson.
-Sherlock, tutto bene?- Il detective sollevò gli occhi sul suo coinquilino. Da quanto era steso su quel divano? Perché John si stava togliendo la giacca? Quando era uscito? -Mi sembri strano.- Si mise a sedere annuendo e passandosi una mano tra le onde corvine.
-Dove sei stato?- Chiese, convinto di irritarlo con quella domanda visto che, come minimo, gliel'aveva detto prima di uscire. John, infatti, sbuffò appendendo la giacca.
-Con Lestrade, ricordi? Tu non sei voluto venire perché in una scala da uno a dieci era un caso da sei e tu non ti volevi muovere se non per un otto.- Ah, già. Lo guardò prendere il giornale che stava sul tavolino e sedersi accanto a lui, inebriando Sherlock con il suo dopobarba al muschio bianco.
Era da tempo che si sentiva diverso nei suoi confronti, che, per qualche strana reazione chimica, il suo cuore accelerava ogni volta che il dottore entrava in una stanza, che quei suoi orribili maglioni avevano iniziato a sembrargli tanto perfetti. Lo osservò mentre teneva il capo chino sulle pagine e non potè fare a meno di sorridere sentendo il calore del suo corpo perché mai nella vita, mai, si era mai sentito tanto apprezzato e accettato da un altro essere umano. A John non importava se metteva un barattolo di bulbi oculari nel microonde, se gli rovinava il finale di un film dopo cinque minuti dai titoli di testa; John passava sopra ai suoi lunghi silenzi rispettandoli e lo ascoltava rapito durante i suoi monologhi frettolosi e supponenti. John tornava a casa e accendeva il camino perché sapeva che lui non ne era capace e che sarebbe morto di freddo piuttosto che ammetterlo, John preparava sempre due tazze di tè, John gli sorrideva la mattina appena sveglio e la sera prima di andare a dormire.
Ma come poteva dirgli quanto apprezzasse tutto questo? Come poteva trovare le parole perfette a rendergli giustizia, sempre che ne esistessero?
-Sherlock?- John lo guardava perplesso, accortosi che l'amico lo stava fissando e allora, avvicinandosi appena, gli mise una mano dietro la nuca bionda e lo attirò a sé sfiorandogli le labbra con le proprie. L'aveva visto fare milioni di volte nei film, per la strada, a teatro, eppure si sentiva talmente inesperto da aver paura di rovinare tutto, ma fu John, a quel punto, a premere più forte le labbra su quelle del detective, lasciando cadere a terra il giornale e infilandogli le dita trai morbidi capelli scuri come la notte.
Così era quello il calore? L'amore? Il sentire il cuore correre nel petto e lo stomaco stringersi in un nodo, il rendersi conto che mai nessuno conterà mai più allo stesso modo, il sapere che finalmente non era più solo, che la felicità era proprio lì davanti a lui, con un maglione a righe, una camicia a scacchi e le labbra che sapevano di tè alla cannella?
Sherlock sentì gli occhi inumidirsi sotto le palpebre chiuse, ripercorrendo con la mente tutta una vita di rifiuti e di sofferenze e rendendosi conto che John l'aveva presa, l'aveva stracciata e sostituita con la sua incondizionata amicizia e, infine, col suo immenso amore.
John Watson gli aveva insegnato ad apprezzare le poesie, gli diceva di tenere la testa alta mentre suonava il violino alla finestra, gli stava accanto come nemmeno il più paziente degli uomini sarebbe mai stato in grado di fare.
-Sherlock… Io ti amo.- Sussurrò John, allontanandosi leggermente dalle sue labbra, corrugando la fronte quando si accorse che il detective aveva gli occhi umidi.
-Grazie.- Mormorò Sherlock con voce sottile, appena udibile. Non sapeva cos'altro avrebbe potuto dirgli in quell'attimo. La gratitudine verso l'uomo che gli aveva salvato la vita era viscerale. E quell'uomo lo amava, nonostante tutti i difetti che superavano i pregi, nonostante tutto.
John gli sorrise dolcemente, comprendendo all'istante quali fossero i pensieri e i sentimenti di Sherlock, tornando sulle sue labbra per condividere con lui l'ossigeno e il respiro e Sherlock si lasciò andare tra le sue braccia, scoprendo un mondo nuovo in cui era finalmente felice, in una casa solo per loro, in una vita da affrontare insieme, in un'eternità in cui le loro anime si sarebbero sempre cercate e trovate.
-Ti amo anche io.- 

Angolo dell'autrice
Buonasera dolcezze, ecco una piccola one-shot sulla mia OTP del cuore che avevo voglia di scrivere da un po' di tempo. Spero davvero che vi piaccia e che vi faccia emozionare almeno un pochino (io ho adorato scriverla :3) 
Vi consiglio di leggerla ascoltando "Happy Home_Hedegaard" :)
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione se vi va, 
alla prossima <3

-Kejeli.

  
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