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Autore: Mel_deluxe    30/01/2016    1 recensioni
Le avventure della Ragazza dai capelli rossi... egocentrica, invidiosa, insolente, capricciosa e anche un po' stupida. La sua vita è costernata da varie disgrazie: degli orribili capelli pazzi e incontrollabili, un accento irlandese incomprensibile, una scarsa voglia di crescere, e soprattutto i suoi odiosi, fastidiosi e incorreggibili sette fratelli...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Ragazza dai capelli rossi'
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Mi fermo improvvisamente, riprendendo fiato. La casa davanti a me e piccola ma accogliente, esattamente come me la ricordavo. Mi dirigo velocemente verso il campanello e, dopo averlo suonato, il suo suono rimbombare si sente all’interno della casa.
La porta si apre lentamente.
«Ciao!» esclamo allegra non appena la vedo la sua figura apparire.
Veronica è davanti a me che mi guarda straniata.
«Cosa ci fai qui?» mi chiede, evidentemente sorpresa.
«Beh, io…»
In effetti è un po’ strano presentarmi qui, a casa sua, dopo tre mesi, a presentare le mie scuse. Forse dovrei andarmene…
Oh, suvvia, Lea! Se è andata bene con Julia andrà bene anche adesso!
Prendo un lungo sospiro e infine proclamo:
«Mi dispiace.»
Resto in silenzio. Veronica mi guarda impassibile.
«Tutto qui?» mi chiede quasi annoiata.
A quel punto alzo gli occhi al cielo e sospiro infastidita.
«Senti, se fossi brava con le parole magari sarei anche più convincente!» continuo. «Ma purtroppo non è un talento che ho. Quindi non ho idea di come esprimere quanto io sia dispiaciuta di averti detto tutte quelle cose… e aver detto agli altri tutte quelle cose su di te. In ogni caso non starò qui a supplicarti in ginocchio di ritornare mia amica. Solo… mi dispiace, ok?»
Ho urlato fino ad adesso, ma Veronica non sembra né convinta né soddisfatta. Continua a fissarmi per qualche secondo. Poi, con tono quasi arrabbiato, dice:
«Wow, Lea, davvero, non credevo che fossi tanto insensibile. Hai idea che cosa significhi non sentirsi abbastanza carina, o non sentirsi all’altezza di nessun’altra ragazza, comprese le tue amiche?»
«No, non lo so!» la interrompo. «E forse è questo il nostro problema: pretendiamo che capirci a vicenda e metterci nei panni di qualcun altro sia una cosa scontata, ma non lo è! Io non sono te, come tu non sei me. Io sono Lea e tu sei Veronica, siamo persone diverse, io non posso pretendere che tu sappia come ci si senta ad essere me e io non posso sapere come si sente a essere te!»
«Quindi stai dando la colpa a me di tutto, è così?»
«No, sto solo dicendo che dovremmo smetterla di attaccare gli altri per qualcosa che noi non abbiamo. Va bene, non sei bella come me, e allora? La gente apprezza anche altre qualità, sai? Io non sono buona e gentile come te, ma non m’importa. So di non esserlo, e mi vado bene così come sono. Ma ti stai dimenticando una cosa che entrambe sappiamo essere: amiche. Io ti voglio bene, davvero e anche cercando nel più insignificante spazio del tuo cuore, io spero che tu riuscirai a perdonarmi un giorno.»
Faccio una piccola pausa. Veronica ora sembra prestarmi più attenzioni.
«Detto questo.» continuo dopo aver preso fiato. «Voglio solo dirti che io ti trovo fantastica, esattamente così come sei. Sei una ragazza brillante, e la migliore amica che avrei mai potuto desiderare. L’unico difetto che hai è l’ignorare tutto ciò.»
Veronica mi sorride finalmente, e si asciuga una lacrima che le sta scendendo dall’occhio.
«Grazie.» dice solamente, ma capisco che, se ne avesse la forza, mi direbbe molto di più. Le sorrido e corro ad abbracciarla velocemente.
Finalmente mi sono liberata di questo peso, non resistevo più.
Ora che io e Veronica abbiamo fatto pace posso finalmente aiutare Andy a conquistarla. Davvero, capisco perfettamente perché si sia innamorato di Veronica. Mio fratello d’altronde è un ragazzo così…
Aspetta, un attimo… Andy… fratelli… casa… compleanno….
Oddio!
I miei fratelli sono ancora a casa con Liza! Oh, lo sapevo che non avrei mai dovuto deviare a casa di Veronica, a quest’ora la casa sarà il centro di una guerra nucleare!
Mi stacco velocemente dall’abbraccio.
«Viv, sono felicissima che tu mi abbia perdonato, ma mi sono ricordata che devo ancora fare una cosa!»
«Eh?» risponde lei, stupita. «Ma speravo di chiamare Julia e vederci un film stupido tutte tre insieme!»
«Mi piacerebbe un sacco, ma devo proprio andare! Possiamo fare domani?»
Veronica mi dice di sì e le prometto di richiamarla il giorno dopo.
Poi corro verso la prima fermata dell’autobus, mentre la voce di Veronica, da lontano mi saluta sorridente.
 

Suono ripetutamente il campanello di casa mia. Come mai nessuno viene ad aprirmi? Cos’è successo, i miei fratelli hanno fatto fuori Liza direttamente?
Finalmente la porta si apre leggermente.
Abbasso lo sguardo. Mi ha aperto Hayden, che ha le mani e il volto completamente sporchi di sugo.
«LEEEEAAA!» strilla non appena mi vede, allungando le braccia per farsi prendere.
Io le sorrido e la predo in braccio, facendo attenzione a non sporcarmi i vestiti di sugo. Faccio un bel respiro ed entro in casa.
Dire che c’è rumore è dire poco. Qui è in corso l’apocalisse.
Laura e Ricky saltellano sul divano, cercando di buttarsi giù a vicenda. Irene è in cucina sul tavolo, che strilla in lacrime, mentre Mike le disegna dei baffi sulla faccia con il sugo che, deduco, è lo stesso che ha addosso Hayden.
Inoltre per terra è pieno di vestiti, di latte rovesciato e di giocattoli rotti.
Non c’è traccia di Andy e Anna, né di Liza.
All’improvviso sento la sua voce provenire dal piano di sopra. Strilla qualcosa, ma non riesco a capire nulla. Sulla sua voce, però, riesco a sentire anche quella di Anna.
Appaiono improvvisamente entrambe, dietro la ringhiera del soppalco.
«Tornatene dentro, idiota!» strilla Liza infuriata. Nessuna delle due mi ha notata.
«Non ci penso nemmeno! Solo perché hai convinto mio fratello a chiudersi in camera non significa che debba farlo anche io!» ribatte Anna, correndo su per le scale.
Io metto giù Hayden con cautela, che corre subito ad aiutare Mike ad imbrattare la faccia di Irene.
«Stammi a sentire, razza di clone di Lea!» dice Liza, seguendola giù. «Non voglio che te lo ripeta un’altra volta! Ora tu…»
Entrambe si bloccano, avendomi notata. Anna non dice nulla, ma Liza si fa strada e si accanisce subito su di me:
«Tu!» urla minacciosa. Si avvicina velocemente, mentre io non mi muovo di un passo. «Lo sai che ore sono, vero? Mi hai lasciata qui un’ora più del dovuto a curare i tuoi maledetti fratelli!»
Subito si fa silenzio intorno a lei. I miei fratelli iniziano a radunarsi intorno. Perfino Andy, che deve aver sentito le urla di Liza dalla sua stanza, esce e si unisce al nostro gruppo, lì alla base delle scale.
«È stato terribile!» continua Liza, mettendosi le mani nei capelli. «Hanno quasi distrutto la casa, saltavano su ogni cosa, si buttavano giù dalle scale per divertimento, mi trascinavano da ogni parte, lanciavano cibo ovunque!»
Io la guardo senza nessuna pietà. Non ho detto nulla fino ad ora, ma quando vedo Liza che prende Hayden per un braccio e la strattona, mi sento in dovere di ribattere. La bambina inizia subito a piangere, ovviamente, ma a Liza non importa. Mi indica ripetutamente le sue mani, dicendo:
«E lo vedi questo? Volevano disegnare sui muri con il sugo! Sapevo che eri problematica, ma non sapevo che tutta la tua famiglia lo fosse!»
Mentre parla, Liza guarda uno ad uno i miei fratelli, che si sentono subito minacciati e iniziano in massa a nascondersi dietro di me, come per proteggersi.
«Ora basta.» le dico, decisa. «La scommessa è finita, puoi anche risparmiarci i commenti.»
«Oh no, non ho finito!» mi risponde Liza, a voce ancora più alta. «I tuoi fratelli sono dei mostri! Sono rumorosi, pazzi, stupidi e anche brutti! Non credo ci siano dei bambini peggiori di loro. Sono da manicomio, non c’è che dire.»
«Ehi!» ribatte Anna, in un impeto di coraggio. «Non siamo da manicomio!»
«Ma sta zitta!» Liza risponde immediatamente. «Sei davvero una cretina. Tu e i tuoi fratelli siete solo degli indomabili galline che non sanno nemmeno…»
Improvvisamente il rumore di uno schiaffo risuona per tutta la casa.
Poi il silenzio più totale.
Mi guardo la mano incredula. Poi alzo lo sguardo e vedo Liza che si copre la guancia, guardandomi a bocca aperta.
L’ho fatto veramente. Ho appena tirato uno schiaffo a Liza. Non mi sentivo così realizzata da anni.
«Loro sono i miei fratelli.» l’ammonisco, guardandola negli occhi. Nella mia voce c’è grande sicurezza. «E tu non permetterti mai più di parlar loro in questo modo.»
Liza mi guarda sorpresa, come se d’un tratto vedesse una Lea completamente diversa. Beh, forse sono diversa. Per la prima volta nella mia vita, ho difeso i miei fratelli. E nel farlo, sono perfino riuscita a intimidire la mia più grande nemesi.
Liza continua a osservarmi. Il silenzio regna nella stanza. I miei fratelli sono ancora impauriti dietro di me, a differenza di Andy, che dal soppalco mi guarda compiaciuto.
Dopodiché, senza aggiungere una parola, Liza se ne va, ricolma di vergogna.
Appena si richiude la porta principale si chiude dietro di lei, i miei fratelli vincono la paura e scoppiano in urla di gioia.
Tutti corrono ad abbracciarmi, volano nell’aria strilla, e quasi tutti si congratulano con me.
«Sei stata fichissima Lea!» mi dice Ricky.
«Sei la mia sorella preferita!» è invece ciò che dice Anna.
«LEEEEAAAA BRAAAVAAA!»
Come al solito Hayden si fa riconoscere.
Mi abbracciano tutti, senza aspettare il loro turno, ovviamente. In men che non si dica, mi ritrovo con cinque bambini attaccati a me. Ridiamo e festeggiamo tutti insieme. Però non m’importa se non posso muovermi. Sono così felice in questo momento.
«Anche io vi voglio bene, ragazzi.» dico, con totale sincerità.
«Dunque è bene quel che finisce bene.» Sento la voce di Andy dietro di me. «E i McEwitch sono di nuovo una famiglia.»
 

 
«Liza! Ehi, Liza, aspetta!»
Lei si volta lentamente verso di me.
«Congratulazioni.» mi dice, mentre io la raggiungo sulla strada. «Devo dire che io non avrei mai trovato il coraggio di tirarti uno schiaffo così forte.»
Una volta arrivata di fronte a lei, sospiro e le dico:
«Mi dispiace. Lo so che non siamo mai state molto amiche. Ma negli ultimi tempi ho imparato parecchie cose, tra cui il fatto che non ha senso odiarci per qualcosa che è successo più di dieci anni fa.»
Lei sbuffa.
«Beh, sì, forse…» Fa finta di non essere convinta.
Io mi avvicino a lei e le metto affettuosamente una mano sulla spalla. Lei non ribatte.
«Senti, ho qualcosa da proporti.» dico. «Che ne dici di una tregua?»
Liza mi guarda indecisa.
«Che genere di tregua?»
«Smettiamola di odiarci, proviamo una volta tanto ad andare d’accordo o almeno a… non sabotarci a vicenda, ecco!»
Dopo qualche altra parola, riesco a convincerla finalmente.
«Beh, forse hai ragione.» dice infine Liza. «Non ha senso continuare così, soprattutto se litighiamo per un pacchetto di caramelle. Ti concedo la tregua, Lea, ma voglio un’ultima condizione.»
«Cioè?»
«Posso tirarti uno schiaffo. Adesso. Poi ti prometto che ti lascerò in pace.»
Inizialmente sono titubante ad accettare: non voglio ricevere uno schiaffo da Liza. Però poi ci penso su: uno schiaffo, dopotutto, quanto mai potrebbe far male?
Così acconsento.
Chiudo gli occhi, in attesa che la sua mano colpisca la mia guancia. Aspetto qualche secondo, intanto Liza mi tiene sulle spine.
Poi arriva, un colpo così forte che per poco non mi fa cadere a terra. Il dolore segue subito dopo. Nonostante ciò, cerco di nasconderlo.
«Bene. ora siamo pari.» esclamo, portandomi una mano alla guancia colpita.
«In effetti abbiamo vinto entrambe la scommessa.» dichiara invece Liza. «Entrambe siamo resistite a casa dell’altra fino alle quattro. È un pareggio dunque.»
Ci zittiamo. Nessuna delle due sa cosa dire.
«Allora?» chiedo io, infine. «Cosa facciamo?»
«Non lo so.»
Ci guardiamo in silenzio.
«Siamo davvero state così prese dallo sconfiggerci a vicenda che non abbiamo minimamente considerato la probabilità di un pareggio?» domando, accennando un sorriso.
«Già.»
«Quindi? Come concludiamo questa storia?»
«Direi esattamente come è iniziata: con una stretta di mano.»
Allunga la sua mano, io gliela stringo senza pensarci.
«È una tregua, quindi?» chiedo speranzosa.
«Per adesso sì.» risponde Liza. «Ma se provi a tirarmi di nuovo uno schiaffo non esiterò a lasciarti di nuovo a casa a curare Principessa.»
Le sorrido. Lei se ne va senza dire nient’altro.
Poi la guardo, mentre si allontana a piedi lungo la strada.
E così io e Liza ci siamo date una pausa. Certo, non posso certo definirci amiche, ma spero che un giorno riusciremo a esserlo. E se anche mi dispiace di aver perso per sempre quelle caramelle all’anguria, sono felicissima che la scommessa si sia conclusa in questo modo.
Prendo una boccata d’aria.
Ah, che giornata. Non credevo che in un solo giorno avrei potuto fare tante cose. Ho fatto pace con Julia e Veronica, ho finito i miei esami, ho curato il cane di Liza e ci siamo perfino date una tregua.
Eppure mi sento come se mancasse ancora qualcosa.
Mi volto e vedo la casa dei Richardson, esattamente di fronte a me. Davanti alla casa c’è già la loro macchina pronta per l’aeroporto che li porterà per sempre a Bristol.
Certo, c’è ancora una cosa che devo sistemare, dopotutto…
Mi avvicino sempre di più alla macchina, finché, dietro di questa appare Jenny, che carica un borsone nel bagagliaio.
«Oh, Lea, ciao!» mi saluta, evidentemente felice di vedermi. «Buon compleanno, cara.»
Incredibile, si è ricordata del mio compleanno.
Beh, per quanto odiassi il suo atteggiamento, devo dire che mi mancherà. Sia lei che Larry.
«Volevo salutarvi.» dico sorridendole. «Siete stati dei vicini di casa meravigliosi.»
Jenny mi sorride e mi abbraccia. Poi sospira di malinconia.
«E dire che ci trovavamo così bene qui…» ammette, sciogliendo l’abbraccio. «Mi dispiace dover partire così in fretta, dopotutto.»
Prendo fiato. Devo chiederglielo. Coraggio, Lea. Devo assolutamente.
«Jenny?» la chiamo e lei si volta subito. «Ecco… Marc è in casa?»
Lei mi sorride dolcemente.
«Mi dispiace, Lea. È andato via un’ora fa.»
«Cosa? E dove?» chiedo incredula.
«Oh, non me l’ha voluto dire. Ha detto che doveva semplicemente andare in un posto, ha preso dei biglietti in camera sua, non so se ti è d’aiuto. Comunque ha promesso di essere qui tra mezz’ora circa. Insomma, in tempo per la partenza.»
«Aspetta.» la interrompo. «State partendo ora?»
«Sì, non ti ha avvisato nessuno? Abbiamo deciso di partire tra poco.»
Non ci credo. Se ne stanno andando di già.  E io non ho ancora salutato Marc.
Beh, non posso di certo rimanere qui ad aspettarlo. Non avrei nemmeno il tempo di dirgli tutto ciò che devo dirgli.
Devo raggiungerlo.
E anche se Jenny non ha saputo darmi indicazioni, so esattamente dove si trova in questo momento.
«Jenny, posso entrare un secondo?» le chiedo, cercando di non sembrare troppo agitata, indicando la casa.
«Certo, cara.» mi risponde. Dal suo tono di voce comprendo che ha notato che mi sono di colpo allarmata. «Guarda però che Marc…»
«Grazie mille!» Non le do il tempo di dire altro che già sono a correre dentro casa sua.
Attraverso il salotto e salgo velocemente le scale, il più in fretta possibile.
Arrivo finalmente alla camera di Marc. È completamente deserta, tutte le sue cose sono scomparse, fatta eccezione per qualche ultimo mobile: un armadio e una scrivania. Una busta di carta è appoggiata su quest’ultima. Esattamente ciò che stavo cercando.
Mi avvicino e l’afferro. Proprio come sospettavo, all’interno c’è solo uno dei due biglietti che avevo regalato a Marc al suo compleanno.
È andato alle Isole Aran. Per dire loro addio, suppongo.
Osservo attentamente il biglietto aereo rimasto.
Non posso aspettare oltre. Il traghetto è troppo lento, potrei perdere per sempre l’occasione di parlare con lui. Devo raggiungere le Isole, nel modo più veloce possibile.
Mando giù la saliva a forza, mentre guardo quel biglietto come se fosse il mio peggior nemico.
Forza, Lea. Devi fare questo piccolissimo sforzo. È solo un volo di venti minuti dopotutto. Sì, insomma, quanto mai potrà essere spaventoso…
 
 
OH MIO DIO NON PRENDERÒ MAI PIÙ UN AEREO NEL RESTO DELLA MIA VITA.
Non so nemmeno come faccio ad essere ancora viva. Quel maledetto aereo traballava così tanto che credevo sarebbe crollato da un momento all’altro.
Basta, ho chiuso con questa storia. Io e gli aerei semplicemente non siamo fatti l’uno per l’altro.
Dal lato positivo, però, sono alle Isole Aran finalmente. Ora devo solo trovare Marc, anche se so esattamente dove si trova. C’è solo un posto alle Isole Aran dove potrebbe essere andato.
Sono seduta alla fermata dell’autobus che porta a Dún Aonghasa da quasi mezz’ora. Di questo passo non arriverò mai in tempo. Chi lo sa poi, magari se n’è anche già andato…
No. Devo raggiungerlo subito, devo rimediare a tutto.
Mi guardo intorno velocemente. La strada è deserta e non c’è nessun’altro nei paraggi oltre a me.
Alzo lo sguardo verso la scogliera.
Va bene, Dún Aonghasa, a noi due.
Mi alzo le maniche del vestito e faccio un lungo respiro. Inizio a correre con determinazione lungo la strada che porta alla scogliera.
Mi fermo a prendere fiato dopo circa trenta secondi.
Okay, data la mia costituzione da mollusco atrofizzato, direi che non posso continuare così. Quindi, con determinazione e calma inizio a scalare l’alta scogliera, ovviamente camminando con calma.
Non incontro quasi nessuno, a parte qualche gruppo silenzioso di turisti. Sono quasi le due ormai, il sole batte forte e io non ho mangiato una sola briciola da stamattina.
Diamine, avrei potuto fermarmi in qualche bar a Cill Rónáin, magari da quel barista simpatico che parlava gaelico. Mi rendo conto, però, che in questo momento è Marc che ha la priorità. Sì, anche sul cibo.
Wow. Lo ami DAVVERO allora!
Cammino per circa quaranta minuti. Ogni tanto mi fermo per riprendere fiato, mi metto seduta e osservo tranquillamente il mare. I gabbiani sopra di me e le onde del mare che si scontrano contro gli scoglio sono un sottofondo musicale perfetto a mio parere.
Beh, non credo esista posto più bello di questo. Dopotutto, questo è forse il miglior compleanno della mia vita.
Mi rialzo e riprendo la mia lunga camminata, solitaria e silenziosa. Spero solo che Marc sia in cima alla scogliera quando arriverò. In caso contrario, vedrò di ucciderlo non appena lo rincontrerò di nuovo.
Quando arrivo in cima alla salita sono ormai al limite della stanchezza.
Mi piego per riprendere fiato. Se solo avessi dell’acqua qui con me il mondo sarebbe un posto più bello.
Appena mi rialzo di scatto, mi blocco: davanti a me, a una trentina di metri di distanza c’è un ragazzo biondo, di spalle, in piedi che osserva il mare. Rimango a fissarlo per qualche secondo. Non c’è nessun altro oltre a noi due.
La stanchezza di colpo mi scompare e subito inizio ad avvicinarmi velocemente.
«Marc!» lo chiamo, quando sono ormai nella sua visuale.
Lui si volta di scatto. E di colpo è lì davanti a me, uguale a come era l’ultima volta che l’ho visto.
Mi mancava quel suo sguardo intenso, e il suo viso raggiante e guardargli i capelli che svolazzano nel vento. Diamine, quanto mi è mancato.
Marc mi ha finalmente riconosciuto. Mi guarda confuso, come se non si aspettasse che fossi lì. Io intanto mi sono piazzata perfettamente di fronte a lui.
Rimaniamo in silenzio a fissarci, ma solo per un attimo.
«Lea?» dice, mostrandosi sorpreso di vedermi. «Cosa…»
Gli tiro uno schiaffo sul braccio. Lui rimane visibilmente sconvolto.
«Ahia!» urla, fissandomi scandalizzato.
Io non aspetto altro. Gli tiro un altro schiaffo, e un altro ancora, finché lui non è costretto ad allontanarsi per non ricevere altre dei miei ripetuti ceffoni.
«Sei un idiota!» urlo, colpendolo sempre di più. «Volevi andartene senza salutarmi, eh? Oh, va bene, d’altronde abbiamo così poco da dirci noi due!»
«Eh?» Marc cerca di allontanarsi da me e rivolgermi la parola allo stesso tempo. «Ma di cosa stai parlando?»
Gli tiro un ultima manata, prima di fermarmi per fissarlo infuriata. Lui è davanti a me, troppo sconvolto e spaventato per dire qualcosa.
Non resisto più. Gli prendo con forza il viso tra le mani e gli stampo un bacio sulle labbra.
Marc rimane ancora più sconvolto di prima.
«Okay, ora sono confuso.» ammette, guardandomi male.
Io non gli do il tempo di aggiungere altro.
«Lascia che ti dica un’ultima cosa, Biondo, prima che tu te ne vada per sempre a Bristol…» gli dico, puntandogli un dito contro minacciosa. «Tu sei in assoluto la persona più insopportabile di questo mondo. Sei egocentrico, narcisista, orgoglioso, irritante, fin troppo sicuro di te, credi di avere sempre ragione, e inoltre non accetti che ogni essere non sia incondizionatamente attratto da te!»
Faccio una piccola pausa. Ormai mi sono avvicinata talmente a lui da permettergli di fissarmi direttamente negli occhi. Mi guarda, ma non dice nulla.
Io abbasso lo sguardo, evitando i suoi occhi.
«Ma sei gentile.» continuo, a voce molto più bassa. «E premuroso, hai sempre la cosa giusta da dire, sei affidabile e cordiale, e tremendamente affascinante. E sono venuta qui solo per dirti che avrei adorato essere di nuovo la tua ragazza.»
Non aggiungo altro. Marc è fermo a guardarmi, decisamente più rilassato di prima. Spero che dica qualcosa, che ricambi il discorso. Ma il suo unico commento è un secco:
«Beh, grazie.»
Lo guardo delusa.
«Tutto qui?»
«Cos’altro vuoi che ti dica?»
Sono scioccata. Mi guardo intorno, come a cercare un aiuto.
«Non lo so!» dico, alzando le spalle. «Non ci vedremo per chissà quanto tempo e tutto quello che mi sai dire è “grazie”?»
Marc sorride, alzando lo sguardo.
«In realtà no.» mi risponde. «Solo la mia famiglia parte per Bristol. Io resto qui.»
Rimango a bocca aperta. Sto sognando o l’ha detto veramente?
«Cosa?» chiedo confusa.
«Sì, era quello che stavo cercando di dirti quando sei arrivata, ma tu hai subito iniziato ad accanirti su di me. I miei hanno pensato che forse avrei dovuto passare un po’ più tempo con Pat, dato che ho scoperto, sai… che è il mio vero padre. Insomma, loro tornano a Bristol e io resto qui e vivrò a casa sua. Ero venuto qui solo per prendere questi.»
Dalla sua tasca tira fuori una busta bianca. Allunga il braccio per consegnarmela. Io l’afferro incuriosita.
È una normalissima busta bianca, a parte il fatto che su uno dei due fronti c’è scritto in penna “Buon compleanno, Lea!”.
La apro senza fretta. Dentro ci sono tre fogli.
«Biglietti per le Isole Aran…» dico, guardando meglio il contenuto.
«Sì, per il traghetto.» aggiunge lui.
Non so davvero cosa dire. È un regalo fantastico, non ho nient’altro da aggiungere. Noto però che c’è ancora un ultimo foglio dentro.
«Cos’è?» chiedo incuriosita.
«Oh, quella…» risponde Marc, quasi imbarazzato. «Non è niente…»
Tiro fuori il foglio e lo osservo. È scritto interamente a mano, da una calligrafia che riconosco come la sua.
Leggo in silenzio, dato che deduco che ne conosca già il contenuto.
 
Cara Lea,
lo so, forse ti sembrerà strano che io ti dica tutte queste cose tramite una lettera, ma se te le dicessi a voce probabilmente finirei per balbettare ogni parola e non capiresti più nulla.
Innanzitutto buon compleanno, hai finalmente sedici anni, e spero che quest’anno sia ancora migliore del precedente.
In secondo luogo spero che il tuo regalo ti piaccia. Purtroppo ho dovuto sacrificare il tuo regalo per il mio compleanno per venire qui e comprare il tuo. Ho realizzato troppo tardi che avrei potuto anche comprare i biglietti direttamente da terra.
Sì, sono un idiota.
Comunque, ti prometto che ogni volta che vorrai venire qui alle Isole, io ti comprerò tutti i biglietti che vorrai, ti permetterò di non guardarmi mentre vomito per il mal di mare e che imparerò il gaelico per non farti fare brutta figura con gli abitanti.
Devo dirtelo, adoro le Isole Aran, e ancora di più Dún Aonghasa. E non perché è lì che ci siamo baciati la prima volta (cioè, sì, anche per quello ovviamente) ma perché questo posto mi ricorda te. Non posso più pensare a questo posto senza che l’immagine di te con i capelli sul viso mi appaia davanti.
Ora, dato che resto qui a Réimse Wonders… Ti ricordi di quando dicesti che ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che tutto tornasse come prima? Ecco, direi che quel tempo è passato a sufficienza. Quindi, se tu sei d’accordo, potremmo anche far tornare le cose come prima… Se tu sei d’accordo.
Ancora buon compleanno,
Marc.
 
Alzo lo sguardo dalla lettera.
«Aspetta!» esclamo, cercando di non urlare. «T-tu resti qui?»
«Sì.»
«Per quanto?»
«Per adesso è solo un anno. Poi si vedrà.»
Non so se avrei mai potuto sentire notizia più bella di questa. Probabilmente era questo che voleva dirmi Jenny prima. Oh, se solo l’avessi ascoltata, a quel punto mi sarei risparmiata tutto questo!
Comunque, Marc non se ne andrà a Bristol, resterà qui a Galway, e vivrà da Pat, esattamente di fianco a me. Sono sicura che se ci fosse un paradiso, sarebbe identico a questo momento.
L’entusiasmo mi prende all’improvviso. Urlo di gioia e mi getto tra le sue braccia. Marc scoppia a ridere e mi stringe ancora di più.
Per un attimo ci guardiamo negli occhi.
«Quindi tornerà tutto come prima?» gli chiedo speranzosa.
«Esatto.»
«Intendi davvero tutto?»
Marc non risponde subito. Mi passa una mano tra i capelli e mi guarda negli occhi sorridendo.
«Sai…» riprende dopo pochi secondi. «Adorerei anche io che tu sia di nuovo la mia ragazza.»
Le mie labbra si aprono in un sorriso. È probabile che io sia la persona più felice della Terra in questo momento.
Decido di riempire quei pochi centimetri che ci separano. Quando le nostre labbra s’incontrano vengo travolta da sensazioni così forti che non ricordavo nemmeno di provare.
Io e Marc stiamo di nuovo insieme.
Oh, sono così felice, felice, felice!
Ci stacchiamo dal bacio, ma rimaniamo comunque vicini.
«Penso di essermi appena innamorata di te. Di nuovo.» annuncio ad alta voce.
Marc scoppia a ridere.
«Dico su serio!» ribatto, trattenendomi anche io dal ridere. «E non parlo di quell’amore che capita agli adolescenti, di cui parlano quei post osceni delle ragazzine su facebook. In realtà… io nemmeno so niente dell’amore, nessuno me l’ha mai spiegato! Alcuni ti dicono che sai di essere innamorato quando capisci che vuoi passare il resto della vita con quella determinata persona.»
Riprendo fiato. Non sono mai risultata così decisa in tutta la mia vita.
«Beh, sai una cosa?» continuo, con un sorriso smagliante. «Dovessimo anche vivere solo dieci secondi insieme prima di separarci per sempre, e io farei di tutto pur di sfruttare ogni millesimo di quei secondi, al fine di renderli un’eternità.»
Mio dio, se non ti conoscessi bene, in questo momento avrei già vomitato quindici volte!
Grazie, stupida coscienza. Le prossime volte vedrò di regolarmi prima di farti morire di diabete.
Marc invece non dice nulla. Mi guarda solamente, senza far trasparire alcuna emozione.
Si avvicina e mi da un leggero bacio sulla punta del naso.
«E io provo per te le stesse cose, Lea McEwitch, Ragazza dai capelli rossi.» risponde infine.
Io lo guardo storto.
«A questo punto preferivo “Bellissima”.» Alla mia risposta Marc scoppia nuovamente a ridere.
«Si può sapere perché odi così tanto i tuoi capelli?» chiede tra le risate.
«Beh, perché sono così… rossi e ricci!»
«Sì, ma ti rappresentano. Sono pazzi, incontrollabili, appariscenti. Ma li adoro. Esattamente così come sono.»
Faccio una piccola smorfia.
«Lea McEwitch, la Ragazza dai capelli rossi.» faccio, per provare. «Suona male, suona malissimo. Ma siccome sei stato tu a sceglierlo, allora ti permetterò eccezionalmente di chiamarmi così.»
«E allora sia, Ragazza dai capelli rossi.»
Ricambio il suo sorriso. Il sole è ancora in alto in cielo. Mi guardo intorno. Ho ancora l’intera giornata da passare con Marc, abbiamo un sacco di cose da dirci. Forse dovremmo tornare in paese, ma anche restare qui è piacevole.
Nella mia testa continua a risuonare quel soprannome.
Ragazza dai capelli rossi.
Forse è vero, forse ha ragione Marc: sono terribili, ma sono del tutto identici a me.
Un po’ mi dispiace di aver compiuto sedici anni. È comunque un’altra parte della tua vita che se ne va.
È stato un anno davvero fantastico. Amo la mia vita, amo i miei genitori, i miei fratelli, le mie amiche e amo Marc.
E sì, amo anche te, maledetta stupida coscienza.
È vero, sono egocentrica, invidiosa, insolente, capricciosa e anche un po’ stupida. Ma dopotutto sarò sempre lei, quella Ragazza dai capelli rossi.
 
 
 
«Un’ultima cosa, Lea…» mi chiede Marc, mentre ci allontaniamo dalla scogliera insieme. «Come facevi a sapere che mi avresti trovato qui?»
«Oh, Marc.» Faccio un leggero sorriso. «È una lunga storia»

 
 
 
 
 
 
And if there's going to be a life hereafter, and something tells me sure there's going to be, I will ask my God to let me make my Heaven in the dear old land across the Irish Sea.”
                   
- “Galway Bay”, Arthur Colhan  
 



 
 
ANGOLO AUTRICE
E così si conclude la nostra avventura! Piangete!
No, in realtà mi risparmio il pippone drammatico per il prossimo capitolo, che sarà l’epilogo, e quindi il capitolo finale. Preparatevi, bimbi miei, perché sarà davvero lungo (il pippone, non il capitolo).
Beh, ci ho messo più di una settimana, ma infine eccolo qui. È un capitolo che non è uscito esattamente come avrei voluto, ma fa niente. Spero che lo apprezziate comunque, anche se non sono proprio Oscar Wilde, ecco.
Se notate ho usato come frase finale “è una lunga storia” che è una frase spesso ripetuta da Lea… e niente! Era da una vita che volevo farlo.
Ci vediamo al prossimo/ultimo capitolo, che, spero, arriverà a breve.
Baci!
Mel.
 
  
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