Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: manicrank    01/02/2016    2 recensioni
Non era necessario che sapessero quanto ormai sentire quella voce fosse ossigeno per lui.
Non ne avrebbero avuto idea, comunque.
Steve aveva sempre avuto un rapporto complesso con le telefonate perché l'ultima che aveva fatto prima di finire seppellito nel ghiaccio era stata con Peggy, ed era stata una telefonata d'addio pensando all'imminente morte. Adesso però gli pareva il contrario. Ogni minuto che passavano attaccati alla cornetta era un minuto in più di respiro.
____________________________________________
[ Accenni bromance Stony ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Let's have dinner


«E questo è internet
Concluse, allargando le braccia in un modo un po' old per lui, che ormai – si diceva – aveva superato la fase teatrale di quando tentava di vendere testate missilistiche nei paesi mediorientali. Sin da bambino aveva studiato delle mosse, dei gesti, cose uniche da utilizzare per dare enfasi ai propri discorsi. Sperava che così suo padre lo avrebbe notato o magari lo avrebbe sgridato. Qualsiasi cosa andava bene al piccolo Anthony.
Ed ora che erano passati una buona manciata di anni, eccolo lì a ripetere quelle pose che giusto un eroe dei fumetti avrebbe potuto utilizzare. Ma d'altronde lui era un eroe dei fumetti. Se lo ripeteva spesso, perché in quelle storie i personaggi erano immortali, vivi, e pieni di risorse.
Tutto il contrario di Tony Stark, che passata la quarantina e con un foro nel petto si apprestava a scalare l'ultima montagna della sua vita, giusto per poter dire di aver visto la vetta, prima di rotolare giù all'infinito nel buio eterno. Aveva detto teatrale, no?
I ragazzi seduti nell'auditorium iniziarono a scemare in file composte fuori dalle porte di sicurezza, di quelle a doppio battente con le maniglie antipanico verdi. Li osservò come fossero tutti formichine operose che andavano ad imbucarsi di nuovo nel loro noiosissimo formicaio, fatto di cunicoli stretti e bui. Lui odiava le formiche. Erano intelligenti ed avevano tutte le risorse per fare grandi cose, eppure stavano lì a compire gli stessi gesti vita dopo vita, solo con l'intento di spargersi e proliferare, senza sfruttare davvero tutte le loro capacità. E mentre pensava ciò, l'uomo chiuse la valigetta e si diede una sistemata alla cravatta, osservando di sfuggita nello schermo buio del laptop il riflesso azzurrino che il reattore gettava tutto intorno. I primi tempi – ricordava – dormire era un incubo.
Non poteva rigirarsi a pancia in sotto perché gli faceva davvero male, e se stava a pancia in sopra il vedere la luce riflessa nell'oscurità della sua stanza da letto gli levava ogni briciolo di sonno che aveva. Poi pian piano ci si era abituato, ed ora lo considerava molto più che un pezzo utile alla sua sopravvivenza. Era come avere un cuore.
Sospirando chiuse il computer e lo infilò nella borsa nera, poi si apprestò a salire le scale, scuotendo di tanto in tanto un braccio per via del pizzicore dei sensori che si era impiantato e che continuavano a sanguinare nonostante tutto. Ma ormai era la sua vita quella. Prima di uscire gettò un'ultima occhiata a quel luogo scialbo che urlava università da ogni centimetro polveroso e si disse che era caduto davvero in basso se iniziava a tenere conferenze anni '90 a gruppi di studenti più in coma che svegli, ma quelli erano gli ordini di Fury. Tenere un profilo basso sino all'arrivo dei risultati.
Anche se per lui, tenere un profilo basso, era quasi impossibile.


Uscito dalla porta principale, Tony notò l'assiepamento di studenti attorno alla sua armatura aperta, quasi parcheggiata in attesa che il conducente tornasse a reclamarla. Si avvicinò declinando con un cenno le varie richieste dei ragazzi e si nascose al sicuro tra quelle strette pareti metalliche, l'unica cosa che ormai riusciva a farlo sentire al sicuro, a casa. Nemmeno la casa di Malibù l'aveva mai sentita così sua come quelle appendici in lega, oro e rosse, così poco da profilo basso e così molto da Tony Stark. Ancora una volta sentì Jarvis accendersi e la sua voce familiare salutarlo, prima di avviare il protocollo base del decollo e lasciarsi alle spalle quella triste cittadina in Oiho, l'università e gli studenti.

 

 


Il rumore degli spari era forte e rimbombava nelle pareti vuote come fosse assordante, vicino, pronto ad uccidere. Era sempre così ormai. Ogni volta che socchiudeva le palpebre vedeva dietro di esse il fuoco delle granate divampare e poi i fucili sparare raffiche di proiettili, vedeva i suoi compagni cadere, ancora e ancora, e l'immagine di Peggy che andava svanendo mescolata al sangue e alla polvere del campo di battaglia. Poi le esplosioni diventavano plasma azzurro ed i proiettili erano come schegge impazzite di ghiaccio, tutti i suoi ex-commilitoni venivano sostituiti da facce meno comuni e più familiari, che sapevano di vita e di adrenalina. Anche il viso di Peggy si tramutava, ma ogni qual volta Steve tornava in sé e faceva per afferrarlo, quello si dissolveva nel turbinio degli incubi che minacciavano di trascinarlo sempre più a fondo, senza lasciarlo andare mai. Tutta la sua vita era sempre stata in bilico. Ci pensava ogni volta che apriva di scatto gli occhi e si ritrovava ansimante sul pavimento del suo monolocale, sudato e scosso ancora dai brividi di terrore che quei sogni confusi portavano a galla. Si stropicciava gli occhi come un bambino e si metteva seduto, passandosi le mani tra i capelli corti, trovandoli fradici ed appiccicaticci.
Pensava al fatto che nulla era cambiato. Che la guerra esisteva sempre, che non si poteva far cessare nemmeno con l'aiuto di un supereroe, nemmeno con tutte le motivazioni del mondo. Sarebbe sempre esistita perché era nella natura dell'uomo combattere per il puro e semplice gusto di farlo, in una maniera puerile, per dire: “Io ho vinto”.
Poi si alzava e ciondolava fino al bagno, si lavava il viso e si guardava nello specchio stentando a riconoscersi. Quel viso scavato e quelle occhiaie non facevano parte di lui, non più, eppure adesso si riconosceva solamente in esse.
Da bambino aveva sempre creduto che essere un eroe fosse un sogno irraggiungibile.
Da ragazzo aveva lottato per renderlo realtà, almeno un poco, entrando nell'esercito.
Da adulto desiderava solamente tornare indietro e poter cancellare tutto ciò che era stato.


Adorava osservare l'alba, così saliva fin sul tetto usando le scale antincendio e si metteva seduto nel solito angolino, osservando tra le punte dei palazzi di Manhattan spuntare il sole e bagnare l'oceano, facendolo brillare d'oro e di azzurro chiaro. Lo rilassava molto quella visione e gli infondeva sicurezza, lo faceva sentire un po' meno sbagliato. Così tutti i pensieri svanivano e tornava il solito Steve di sempre, pronto a stendersi sul filo spinato per far passare le persone.
Una volta un uomo gli aveva detto che non aveva senso stendersi se bastava tagliarlo, e lì per lì non ci aveva dato peso. Adesso quelle parole si facevano sempre più pesanti e colmavano la sua mente in modo fastidioso. Avrebbe dovuto sedarle, prima o poi.

 

 


Tony non era un uomo comune, tanto meno un eroe comune. Non si era mai definito tale e rispondeva a tutti che non lo faceva né per la gloria né per l'onore. Il suo era un desiderio egoistico e puro, una cosa che non poteva essere compresa da chi inneggiava alla giustizia assoluta e alla libertà. Era un imprenditore e lo sarebbe sempre rimasto, anche se da un po' aveva imparato ad usare la sua intelligenza per aiutare davvero le persone.
Se prima forniva loro armi con cui potersi uccidere a vicenda, ora forniva loro gli scudi con cui difendersi e proteggere le persone a loro care. Un bel cambiamento. Ma quella era stata anche l'eredità di suo padre.
L'unica cosa di Tony che era davvero sua era la sua mente.
Poteva sempre fare affidamento su di essa, non lo aveva mai tradito ed anche nell'occasione peggiore era riuscita a dargli idee per risolvere tutto, per cambiare le carte in tavola ed uscire vincitore. C'era chi lo chiamava genio, per questo. A lui non dispiaceva.


Per questo, ora, Tony Stark non sapeva cosa fare.
Se ne rimaneva fermo col foglio tra le dita a riflettere, osservando il sole tramontare e trovandolo un'assurda parodia della sua vita. Brillante, piena, ma pronta al declino. Anche lui sarebbe sparito inghiottito dall'oceano? Sarebbe sparito per sempre sul fondo e non sarebbe stato più in grado di emergere? Erano domande che affollavano spesso la sua testa di quei tempi rendendogli difficile il concentrarsi sul altro. Così chiedeva a Jarvis di aiutarlo e progettava armature su armature, facendo ciò che gli riusciva meglio, ciò per cui era nato. La sua mente sarebbe vissuta per sempre in quella tecnologia e forse avrebbe aiutato il mondo ad evolversi, a cambiare in meglio. Ce la stava mettendo tutta d'altronde, se lo meritava.


Non ricordava più da quante ore non chiudesse occhio. Aveva perso il conto superata la cinquantina ed adesso non lo trovava nemmeno più rilevante, persino Jarvis aveva smesso di fare il punto della situazione o di tenere d'occhio i suoi parametri vitali. Tony aveva bisogno di tutto che di quello, a quel punto. Se ne stava fermo a pensare e poi disegnava, assemblava, costruiva. Che fosse un braccio meccanico o un telecomando.
Le armature in coda di costruzione ormai erano centinaia.
Ripensò alla conferenza nell'università e si disse che fosse proprio una cosa assurda. Lui che aveva accettato di fare una cosa del genere? Quasi comico. Eppure non se pentiva. Se ciò che aveva detto poteva aver dato motivazione anche solo ad un ragazzo, allora sarebbe stato un successo, e forse avrebbe potuto accogliere il futuro con tranquillità.


Se ne stava steso su un tappetino sottile da yoga, aveva le braccia dell'armatura addosso ed un paio di occhiali da sole in testa, un panino giaceva scartato e mozzicato al suo fianco ed una nuova alba stava sorgendo. Non sapeva da quante ore consecutive fosse sveglio. Non gli importava.
Quando suonò il campanello nemmeno ci fece caso, e se non fosse stato per Jarvis il povero ospite sarebbe rimasto alla porta all'infinito, richiedendo la sua presenza.
Alla fine si convinse ad alzarsi e così com'era raggiunse l'ingresso.
Da quando Pepper se n'era andata non aveva più voluto alcuna assistente al fianco, preferiva così, perché non ne aveva più bisogno. C'era la tecnologia a fare tutto al suo posto, e poi aprire la porta non gli dispiaceva poi così tanto come voleva far credere – certo, aveva ancora un problemino quando gli porgevano le cose ma ci stava lavorando.
Uno sbadiglio sfuggì alle sue labbra nel premere il pulsante sul tastierino touch screen, poi le porte si aprirono silenziose e davanti comparve la rassicurante quanto assurda figura del capitano Rogers. Era sempre uguale da che Tony lo aveva conosciuto.
Il solito taglio di capelli militare, il solito viso stoico, la barba fatta, la camicia a quadri vintage – o originale, direttamente dagli anni '40 – ed il giubbino di pelle da aviatore mancato. Aveva qualcosa quella shilouette che infondeva sicurezza. Forse era tutto quel patriottismo che usciva da lui come profumo. Tante volte gli aveva provato a chiedere se usasse Eau De America o un profumo come tutte le persone normali, e tante volte si era sentito dire che doveva smetterla di essere così infantile.


L'inimicizia tra lui ed il Capitano veniva da una generazione passata, in verità.
Il padre di Tony aveva aiutato a creare quello che ad oggi tutti conoscevano come Capitan America, e Steve aveva quasi un'ossessione per quell'uomo con cui aveva condiviso moltissimo – ai suoi tempi. Inoltre aveva fondato lo S.H.I.E.L.D e costruito la più grande industria di armi del paese.
Tutte cose che lo avevano portato distante da suo figlio.
Non poteva crescerlo perché era troppo impegnato a cercare Steve nell'oceano.
Non poteva aiutarlo o sostenerlo perché era troppo impegnato a creare qualcosa che avrebbe salvato la terra. E non poteva di certo dirgli: “Bravo figliolo” perché lui non sarebbe mai stato all'altezza di Steve Rogers. Ecco tutto.
In sostanza lui odiava il Capitano da prima che si conoscessero e lo aveva sempre ritenuto un ottuso patriottico reso eroe da qualcosa che nemmeno aveva inventato lui. Insomma, era stato creato a tavolino come una cavia da esperimenti che per caso diventa super-forte. Niente merito.


Di contro, il Capitano odiava Tony Stark perché a causa di ciò che aveva inventato molte persone erano morte e la guerra era passata ad un livello più pericoloso. Aveva rifornito l'Hydra anche se non poteva saperlo e molte cose brutte erano successe per colpa sua. Inoltre lo trovava un borioso egoista ricco con nient'altro talento che i soldi.

 

 


Nessuno dei due si stupì davvero quando il Capitano entrò nell'appartamento di Tony alla Stark Tower, si sfilò il giacchetto e si sedette sul divano, iniziando a parlare di come la sua testa fosse in procinto di esplodere, troppo piena di tutto per concedergli un attimo di pace e di tranquillità. Gli disse della guerra, delle morti, di Peggy, di suo padre. Tutto ciò che sentiva di dovergli raccontare lasciò le sue labbra come fosse la cosa più naturale del mondo e Tony lo stette a sentire.
Non seppe per quanto andò avanti, eppure non sembrò pesargli nemmeno un po'.
Quell'uomo sembrava più umano adesso che in ogni altro momento della sua vita.
Ascoltò degli incubi e della tensione costante, della paura, dell'insonnia, ed un poco si rivide in quelle parole cariche d'angoscia. Così quando Steve smise di parlare iniziò lui, spiegando di come non chiudesse occhio da secoli ormai e di quanto la sua vita stesse andando a rotoli come una piccola palla di neve che rotola lungo una montagna e che quando arriva a valle è ormai una valanga. Incontrollabile, incontrastabile.


Si dissero tutto come due adolescenti ad un pigiama party e lo fecero con una naturalezza tale da sembrare vecchi amici ad una rimpatriata. C'era intimità e sincerità tra loro. Forse perché non c'era mai stata simpatia, allora veniva più facile aprire il cuore, sbattere in faccia tutta la sofferenza e l'astio accumulatosi. Non c'era paura di ferire l'altro dicendo qualcosa di triste.
Forse fu in quel momento che Tony e Steve divennero amici.

 

 


Steve era tornato a New York momentaneamente, era da un po' che non succedeva niente degno di nota e la noia andava accumulandosi. Lo stress lo aveva lasciato in pace da quando si era sfogato con l'unica persona che mai avrebbe creduto amica, eppure, era stata l'unica ad ascoltarlo e capirlo davvero. Il loro rapporto travagliato, adesso, era in una specie di stallo.
Certo, c'era competitività e quel sano antagonismo che li faceva sempre dare il massimo, eppure, egli riusciva a percepire una nuova e sottile emozione dipanarsi come un filo di fumo nell'aria tersa. Quasi impercettibile eppure concreto, difficile da afferrare ma tangibile.
Non aveva ancora capito come o quando, eppure si sentiva legato a quell'uomo che non possedeva un cuore, forse come non lo era mai stato con nessuno. Lo chiamava spesso al cellulare e Tony rispondeva mentre costruiva armature o aggiustava motori. Dormiva poco, ma aveva ripreso a farlo da quando Steve gli aveva detto: “Anche Einstein dormiva due ore l'anno.”
Tony gli mandava brani da sentire su youtube e libri da leggere. Cose per recuperare anni ed anni di vuoto. Gli aveva fatto apprezzare i Black Sabbath e gli aveva spiegato che la questione di Ozzy con la colomba era tutta una montatura.
Sembravano funzionare in un certo senso e quel loro equilibrio costituito era fatto da piccole cose.
Piccole cose che stavano portando fuori Steve dal caos della sua vita e che lo stavano aiutando a dargli un senso, a renderla di nuovo ordinata, con un punto di partenza ed uno di arrivo.
Una volta, al telefono, si erano messi a parlare di quanto il mondo fosse ormai pazzo, e ciò che fino a cinquant'anni prima era considerato impossibile era ormai ordine del giorno. Nessuno dei due ci credeva ed erano entrambi artefici di quella realtà. Ma non del tutto. Il dodici percento. A testa.


Pian piano le loro telefonate si allungavano ed i punti in comune aumentavano.
Ad esempio tutti e due trovavano Thor un po' sbruffone, Natasha sexy e Clint... beh lui era normale. Ma parlavano poco degli altri.
Tenevano il lavoro separato dai loro momenti privati perché pensarci avrebbe solo riportato alla mente tutto ciò che tentavano di seppellire mattone dopo mattone, ed insieme ce la stavano quasi facendo, pian piano. Sembrava un'impresa anche facile quando la si immaginava in teoria, quando si confrontavano le idee e si trovavano soluzioni su carta. La pratica lo era un po' meno.


Steve era diventato dipendente da quelle telefonate. Quando doveva andare in missione gli dispiaceva non poter telefonare, e quando combatteva pensava sempre al rientro a casa, a quando avrebbe finalmente alzato la cornetta ed avrebbe sentito di nuovo la voce un po' roca di Tony a chiedergli cosa stesse combinando di patriottico ultimamente. Si prendevano in giro, ma gli piaceva così. Era un modo solo loro. Non lo aveva detto a nessuno, nemmeno a Fury. Non era necessario che il resto della squadra sapesse certe cose d'altronde, perché non erano niente di serio o di rilevante.
Non era necessario che sapessero quanto ormai sentire quella voce fosse ossigeno per lui.
Non ne avrebbero avuto idea, comunque.
Steve aveva sempre avuto un rapporto complesso con le telefonate perché l'ultima che aveva fatto prima di finire seppellito nel ghiaccio era stata con Peggy, ed era stata una telefonata d'addio pensando all'imminente morte. Adesso però gli pareva il contrario. Ogni minuto che passavano attaccati alla cornetta era un minuto in più di respiro.


Fu un giorno, assolutamente per caso, che Steve decise di interrompere quel loro equilibrio alzando la cornetta per porre la domanda più sciocca di tutto l'universo. Forse anche su Asgard lo avrebbero preso in giro per quello, ma non poteva farci niente.
Dalla sera prima – dopo una lunghissima telefonata con Tony – gli era rimasta incastrata una domanda che si era vergognato troppo di porgere. Così aveva deciso di non attendere il consueto orario per fargli uno squillo, ed ora stava lì, eccitato come una scolaretta, in attesa del solito: “Pronto?” giusto per fargli quella semplice domanda. Tre parole, non di più. Coincisa, pulita, senza fronzoli e manierismi, senza decorazioni naif inutili e polverose. Solo la precisione dell'acciaio.

 

 


A Los Angeles faceva caldo ormai, l'inverno era passato da un pezzo e si sentiva già l'estate sulla punta della lingua, il vento caldo tanto amato dai surfisti che scuoteva le onde e le palme della west coast. A Tony piaceva quella città perché era sempre viva. Era la città giusta in cui vivere se si voleva avere successo, se si possedeva un'azienda o se si aveva un bel faccino da telecamera. Lui modestamente aveva tutte e tre le cose. A suo parere potevano anche rinominarla Starkcity.
Lo aveva proposto, in effetti, tre volte.
Ovviamente era stata bocciata subito l'idea.
Comunque Tony Stark ultimamente faceva solo una cosa nella sua vita oltre costruire armature, ed era parlare al telefono con Steve Rogers. Si raccontavano di tutto e pian piano qualcosa stava nascendo tra di loro, un'amicizia, o qualcosa di diverso. Ma c'era fiducia tra di loro.
O meglio. Ci sarebbe stata fiducia tra di loro se lui avesse detto la verità. Ma il punto era che lui non l'aveva detta, e quella mattina si era svegliato con un senso d'amarezza in bocca, qualcosa di scomodo che lo aveva portato a ciondolare per l'appartamento in cui si era rintanato – lontano dal caos della Stark Tower – alla ricerca disperata del senso della sua vita. Non lo aveva trovato nei quadri d'autore o nelle macchine di lusso, nemmeno nei tappeti, nel divano, o negli schermi attrezzatissimi di Jarvis. E nemmeno la voce meccanica di quest'ultimo lo aveva rassicurato.
Eppure quando il telefono aveva preso a strillare fuori orario, Tony non aveva alzato la cornetta, ma aveva guardato il calendario e non aveva visto altro che una data. Una singola data pregna di tutto ciò che non aveva ancora detto.
Così si era vestito elegante ed aveva sorriso indossando il miglior paio di occhiali da sole che possedesse, poi aveva chiamato Fury e gli aveva detto che poteva dare il via al grandioso progetto Last Party, e che la playlist era già inserita nei computer.

 

 


Qualche tempo prima Tony aveva chiesto a Steve – per telefono – cosa ne pensasse dell'eutanasia. Uccidere qualcuno in fin di vita, che avrebbe solo sofferto, senza speranza di salvezza.
Steve aveva riso dicendo che andava contro le leggi naturali e di Dio, e che non la trovava affatto una cosa giusta. Per lui c'era sempre speranza e morire lottando era meglio che morire lasciandosi andare. Nel dirlo aveva ripensato al filo spinato. Lui era l'eroe, gli piaceva stendersi su quello per di far passare gli altri, e l'eutanasia era la forbice per tagliarlo – la via facile, che prendevano i codardi e gli egoisti che non amavano lottare, ma che preferivano sfuggire e nascondersi. Per paura forse, o per non voler ferire i propri amici. Tony aveva risposto che aveva proprio ragione ed aveva riattaccato.


Ora che Steve si trovava innanzi quell'asettico comunicato stampa, tuttavia, sentiva che la propria logica era stata meschina e crudele. E seppure voleva piangere, non lo fece, perché era ormai inutile persino fare quello.

 

 


Tony Stark aveva sempre preferito la via facile, non per pigrizia o egoismo, ma perché era la più logica. Non amava sminuirsi per gli altri, eppure non avrebbe esitato a sacrificarsi per salvare un'intera città, anche se quella gente non gli doveva nulla e probabilmente in passato se ne sarebbe fregato. Anche quella volta non era stato molto diverso, quando aveva letto ciò che poi Jarvis aveva confermato con un'attenta analisi biofisica.
Tutto ciò che Tony aveva sempre reputato suo e solo suo era stata la sua mente. Un organo insostituibile, pieno di idee, che più volte lo aveva salvato tirandolo fuori dai guai. Era il suo gioiello, ed era quella il vero Iron Man, non c'entravano l'acciaio o le armature. Era sempre stata la sua fedele amica, e per uno senza cuore come lui, avere una mente brillante era il giusto pagamento che gli era stato concesso. Forse non era bravo con le emozioni e non capiva gli altri, ma aveva sempre potuto arrivarci con l'intuito, aveva sempre trovato una via con l'intelligenza per colmare i suoi vuoti. Aveva costruito il Reattore A.R.C e tutto quello era opera solo di un unico pezzo di tessuti chiuso in una piccola custodia d'osso. Infallibile.
Almeno fino a qualche mese prima.
Era comico il fatto che l'unica cosa che aveva sempre tenuto Tony Stark in vita adesso fosse anche l'unica ad averlo ucciso, lentamente, pezzo dopo pezzo, strappandogli via tutto ciò che aveva sempre ritenuto importante. Ci aveva provato a trovare una soluzione, aveva anche mobilitato il suo capo da un occhio solo, ma alla fine non erano venuti a capo di niente ed alla fine Tony aveva deciso di porre rimedio alla cosa in un modo – uno solo, quello che trovava più accettabile. Non aveva lasciato messaggi d'addio o salutato gli amici, perché tanto non ne aveva. L'unico che reputava tale era Steve. Steve, che non meritava di vivere anche quello.
Non gli aveva detto niente.
Aveva attaccato e lasciato che il messaggio fosse registrato da Jarvis nella segreteria telefonica.
Poi aveva deciso che la lotta tra lui e quel tumore doveva finire e che non valeva la pena di campare un altro anno in preda all'autodistruzione, così se ne era andato da solo sulla scogliera – laddove ancora si intuivano i pezzi del suo salotto – e si era seduto a guardare il tramonto. Il sole andava giù, ma ora non lo spaventava più affondare.

 


Si riunirono per una festa. Nessuno aveva l'aria felice, ma così era stato deciso. C'erano musica, donne, alcol e tutti quelli che potevano aver detto di aver conosciuto Tony Stark.
C'era Steve che stava seduto sul divano con in mano un bicchiere di champagne e sentiva che tutta la sua vita era di nuovo crollata, frantumata in una miriade di pezzi che non sarebbero mai più tornati interi. Che non avrebbero mai più avuto un senso. Provò anche a sorridere ed uscì una smorfia, pensò che alla fine quella era la giusta fine per un uomo egoista. E pensò anche che avrebbe voluto essere con lui, perché non credeva affatto fosse egoista, e per lui doveva essere stato difficile riuscire ad ingoiare quelle pillole sapendo che nemmeno un reattore nel petto lo avrebbe fatto sopravvivere. Doveva essere brutto per un uomo che aveva affrontato tutto con la sua mente, venir ucciso da quella. Poi pensò anche che avrebbe voluto rimanere nel ghiaccio e morire senza averlo mai conosciuto, perché tanto, adesso, non avrebbe vissuto mai più.


Solo qualche giorno dopo gli arrivò un pacchetto. Era un palmare. Quando lo accese si librò nell'aria la voce pacata di Jarvis che gli augurò il buongiorno e gli disse che si sarebbe spento a breve, perché era stata apportata una modifica al database ed ora avrebbe servito lui, principalmente. Poi ci fu un conto alla rovescia e la voce cambiò in una più roca e familiare, non disse molto, giusto tre parole ordinate in fila, ben oliate, come un motore, come l'acciaio.
«Let's have dinner.»

















___________________________________________
Buongiorno - ormai - a tutti. 
È la seconda volta che scrivo in questo fandom ed è sempre una fanfiction drammatica. Applausi. Non so perché gli Avengers mi portano a questo, btw, omai il danno è fatto. Sono le 5:44 del mattino ed io sto postando questa cosa dopo che ho ricevuto l'illuminazione divina, cosa che nemmeno Phil davanti al Capitano. 
La fanfiction è strana, lo so, non ha dialoghi e non è ambientata in un tempo preciso, in realtà volevo aggiungere altre parti ma ho pensato che renderla essenziale fosse la strada giusta per incanalare certi tipi di sentimenti. Beh, spero vi piaccia. Fatemi sapere che ne pensare tramite una recensione, o inserendola nelle preferite / ricordate ! 
Per chi volesse pescarmi altrove, sulla mia pagina autrice ci sono tutti i link ai social in cui potermi reperire. 
Comunque io 'sti due li shippo. 
Buon conto alla rovescia a Civil War!
MR


p.s. Al mio Capitano, lo so, dopo secoli in cui mi chiedevi di scrivere una cosa angst e drammatica, finalmente ce l'ho fatta. Sposami. 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: manicrank