Piccola
storiella, forse un po’ sciocca, forse no. A
me piace. Forse perché è semplice e,
ultimamente, la semplicità non è più
apprezzata. E, poi, mi piace anche perché la
dedico alla mia Bedda-chan. Alias Callistas. Che magari ora
starà guardando lo
schermo del suo nuovo computer, pensando che sono pazza e chiedendosi
dove
avessi preso tutta questa confidenza con lei. Questo è solo
un piccolo modo,
insignificante, per cercare di ringraziarla per tutto quello che sta
facendo
per me. Per il fatto che mi sta aiutando molto e mi sta facendo
guardare avanti
senza che io le avessi chiesto niente. La ringrazio perché,
anche se poteva
benissimo non farlo, mi è rimasta accanto e mi sta aiutando
tantissimo, più di
quanto crede. Ed io ripeto che la ringrazio infinitamente, per questo.
Ora mi
dileguo. Un bacione a tutte!! Mary
LEGGETE
E COMMENTATE IN TANTI!!!
La “vera
forza”
Fece un piccolo passo
avanti, tranquilla,
e intanto prendeva la mira con l’arco, verso
l’albero che avrebbe dovuto
colpire, diversi metri lontano da lei.
Scoccò la
freccia, invano: la destinazione
presa da essa era completamente differente
da come l’aveva programmata. Ed in più, in quella
giornata, era la quarta che
smarriva, finita in chissà quale parte del bosco. Certo,
avrebbe potuto
chiedere a lui di recuperarla,
ma… non ne aveva voglia.
Non se la sentiva
di parlargli, quella mattina.
Si sedette
stancamente a terra,
farfugliando maledizioni incomprensibili verso qualcuno di inesistente. Piuttosto erano rivolte a
se stessa.
Sentì una
mano leggera e calda, posarsi
sulla sua spalla destra e, successivamente, vide un suo compagno di
viaggio
sistemarsi accanto a lei. “Qualcosa che non va?” chiese l’uomo
sorridente, voltandosi verso di
lei in cerca del suo sguardo.
“Maestro
Miroku…” sussurrò, stupita dalla
presenza del bonzo. Non erano mai rimasti soli, loro due. Si sentiva un
po’ in
imbarazzo, con quella vicinanza.
“Allora,
c’entra per caso InuYasha?” le
scompigliò i capelli ridendo, quando la vide arrossire
violentemente. “Ormai
tutti hanno capito che c’è del tenero, fra voi. Da
quando è scomparsa per tre
anni ed è tornata, lui non fa altro che pensarla.”
le confessò.
“Oh! Le
assicuro che non è affatto così. Tra
noi non c’è nulla. O almeno, se
c’è qualcosa, io non ne so niente.”
borbottò imbarazzata,
stringendo nel pugno della mano un lembo della divisa scolastica delle
medie,
scolorita dal tempo. Anche se aveva ricevuto il diploma, continuava ad
indossare quel completo, in memoria dei vecchi tempi, quando
viaggiavano per i
villaggi in cerca di Naraku e dei pezzi della sfera dei quattro spiriti.
“Si capisce
che le vuole bene. Il suo
problema è che non sa esprimersi. Purtroppo, oramai, tutti
hanno notato questo
suo difetto. Anche lei, divina Kagome.” proferì il
monaco buddista, volgendo il
suo sguardo al cielo azzurro, degno di una splendente mattinata di
sole. “Ciò,
però, non cambia quello che prova per lei.”
“Forse…” acconsentì.
“Ma non riesco a capire il perché
di tutti i suoi dubbi.” Si passò, sbuffando, una
mano fra i capelli corvini,
scompigliati dal venticello leggero che aleggiava nell’aria.
“Beh, i
dubbi
sono umani e lui, anche avendo un aspetto demoniaco, ha un cuore umano. Ed anche parecchio
confuso. Gli sono successe
tante cose, è normale che abbia dubbi, ora.”
“Sì, ma sono
io che dovrei farmeli, tutti i problemi
che si fa lui.” disse
la ragazza. “Sono
io, al contrario suo, a non meritare il suo… amore.”
continuò, iniziando a giocare con l’arma che poco
prima
impugnavano le sue mani delicate.
Miroku la squadrò
confuso, poi sorrise leggermente.
Kagome gli faceva tenerezza. Era una bambina. Ingenua,
per giunta. Si domandava spesso perché, una ragazza come
lei, rimanesse in quel mondo tanto burbero, poco elegante, poco
raffinato. Non adatto
a quel corpicino esile e a quel sorriso spontaneo, sincero, che avrebbe
creduto
a tutto e tutti. Poi, dandosi dello sciocco, si rispondeva da solo.
L’amore, a
volte, spinge a fare cose impensabili per chiunque, che poi si rivelano
tanto
semplici, una volta fatte. Era semplicemente l’amore per il
mezzo demone, a
portarla in quel luogo così inadatto a lei.
L’invitò a continuare il suo
discorso. A spiegare cose le passasse per la testa.
“Io sono solamente
d’impiccio, per lui. Riesco sempre
a finire nei guai ed ogni volta deve venire ad aiutarmi. Non so
cavarmela da
sola, purtroppo.” gli
rivelò, arrossendo
e torturandosi una ciocca di capelli. “Lui è forte
e io no. Non può essere
fiero di me. Non può… amarmi.
Se veramente
è questo, ciò che prova. Non sarò mai
né alla sua altezza, né a quella di
Kikyo.”
concluse il discorso
in un sospiro,
provata da quella triste realtà.
Il ragazzo la guardò.
Non era tanto più grande di lei,
ma la vedeva come una bambina. Forse, semplicemente per il fatto che
aveva
sempre guardato la vita da adulto ed ora era forse troppo serio, troppo
maturo,
per la sua giovane età. Ma lo aveva trovato un comportamento
normale, costretto
com’era a guardare in faccia la morte ogni giorno. A pensare
che ogni volta che
si svegliava, potesse essere l’ultima. Vivere con il terrore
di essere
risucchiato dal suo stesso corpo. Ora, tutte queste paure erano
lontane,
dissolte, gli rimaneva solo un vago ricordo di quelle emozioni che
tanto a lungo
lo avevano soppresso, recandogli un immenso dolore. Il suo
comportamento,
comunque, non era mutato e, con il passare degli eventi, ora si
ritrovava a comportarsi
in maniera puramente paterna, con quella ragazza tanto dolce.
“Lei sa cos’è la
vera forza, Kagome?” domandò semplicemente.
“N-no!”
esclamò, un po’ stupita da quelle
parole. In effetti, non aveva mai pensato
a cosa potesse essere la “vera forza”.
“Lei lo sa, maestro?”
“Devi sapere che, la vera
forza, è l’essere
consapevoli di una cosa che ti piace fare, una passione, e metterci
tutto l’animo.
E, quando ci riuscirai, avrai scoperto la vera forza. È
semplice, divina
Kagome.” spiegò,
prima di tornare a
guardarla.
“Oh…
è questa la vera forza?”
“Sì.” Il monaco
si alzò da terra e raccolse il suo bastone. “Bene,
ora vado. Sango e i bimbi
aspettano il loro uomo di casa.”
disse ridendo.
Iniziò a camminare verso il bosco, da dove, con un
po’ di strada, sarebbe
arrivato al villaggio.
“Miroku!”
gridò, per farsi sentire. “La
ringrazio. Lei è un uomo molto saggio. Ah,
mi saluti la sua famiglia!” l’altro
ricambiò il saluto, prima di sparire tra le
fronde degli alberi.
Si alzò
dall’erba, piena di nuove energie, ed impugno
l’arco. Chiuse gli occhi, poi li riaprì, decisa a
non sbagliare il tiro.
“La vera forza
è mettere l’animo in una cosa che ti
piace fare. E riuscirci!”
scoccò la
freccia che, purtroppo, contro le sue aspettative, come le altre
precedenti, si
disperse nel bosco. “Oh! Ci rinuncio! Stupido
aggeggio!” e gettò l’arma a terra,
frustrata.
“Te la prendi anche con
gli oggetti, adesso?” Kagome
si girò di scatto, sentendo quella voce dietro di
sé.
“I-InuYasha!”
balbettò.
“Sono tue,
queste?”
le chiese, porgendole delle frecce che teneva fra le mani
artigliate. “Le
ho trovate nel bosco. Come ci sono finite?”
“Ehm… non ne
ho la minima idea! Sai, le mie frecce
vanno tutte a segno!” stava
mentendo. Sapeva
che fosse sbagliato, ma era necessario. Oltre la figura della debole,
non poteva
fare anche la figura dell’incapace. Doveva sembrare alla sua
altezza. Doveva sembrare
all’altezza di Kikyo. Per sperare che forse, lui la potesse
amare veramente.
“Ah, sì? Fammi
un po’ vedere.” Incrociò
le braccia, evidentemente diffidente.
“Va
bene…”
Sapeva che avrebbe fatto anche la
figura della
bugiarda, adesso. Ma ci voleva provare.
Eseguì la solita
procedura. Stavolta serrò gli occhi,
prima di scoccare. Concentrò tutto il suo potere spirituale
sulla freccia e
tenne bene in mente il suo obbiettivo.
Non aprì gli occhi.
Sentiva il silenziò intorno a sé. Stava
cercando le parole adatte per spiegare la sua menzogna. La sua mente si
bloccò,
quando sentì l’esclamazione di stupore da parte
dell’hanyou al suo fianco. Socchiuse
le palpebre, notando di aver fatto centro. Sospirò di
sollievo.
“Vedi?” si
vantò, dopo essersi ripresa.
“Sì.” La guardò
con due occhi da cucciolo, poi le sorrise e la prese per mano,
spingendola per
la strada verso il villaggio. “Andiamo.”
Kagome lo prese sotto braccio.
Ringraziò mentalmente
Miroku, per averle regalato quella lezione di vita. Anche se, in fondo,
forse l’aveva
sempre saputo.
Ognuno ha una propria forza e
nessuno è paragonabile a
nessun’altro. Ma, d’altronde, lei era solo una bambina, per quanto potesse sembrare o
dimostrare di essere adulta.
E lui lo sapeva. E lui l’amava
per
questo. Sempre che fosse questo, ciò che provava. Un giorno,
però, gliel’avrebbe
confessato e, forse, quel suo essere bambina, le sarebbe piaciuto. E anche molto.