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Autore: valepacini98    02/02/2016    0 recensioni
E se il tuo principe azzurro fosse un tossico?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ti salverò.

 

Capitolo 1: L'inizio di tutto

 

A Mariangela quel posto non era mai piaciuto.

Nonostante gli incoraggiamenti quotidiani da parte dei professori e dei suoi genitori, lei continuava a sentirsi un pesce fuor d'acqua.

Era un giorno molto piovoso, quel 7 di gennaio.

Mariangela adorava la pioggia: la faceva sentire un po' meno sola e stressata, come se le gocce d'acqua sul suo viso potessero esprimere ciò che lei, fragile e scostante, non avrebbe mai potuto tirare fuori. Proprio per questo non portava mai con sé l'ombrello, perchè voleva sentire la sua pelle bagnarsi, assaporandone la tristezza.

Quel piovoso e buio mattino Mariangela Marchesi, una studentessa come tante altre, stava percorrendo il marciapiede destro della via Romana, diretta all'Istituto Fermi, la sua scuola. Come al solito, il treno che la portava a Lucca era arrivato troppo tardi e la navetta, calda e abbastanza asciutta, aveva preferito andarsene senza di lei. La ragazza non provava più rabbia di fronte a quella situazione, ormai diventata quotidiana, che infondo era positiva: preferiva di gran lunga fare due passi a piedi sotto la pioggia ad ascoltare musica, piuttosto che trascorrere una ventina di minuti al giorno in compagnia dei suoi coetanei, puzzolenti e privi di qualsiasi senso morale.

L'unica cosa che la risvegliava da quello stato di apatia era proprio la musica. In quel momento era appena iniziata “The Vengeful One” dei Disturbed, una delle sue band preferite: conosceva a memoria tutte le loro canzoni, dalla prima all'ultima pubblicata. Mariangela era sempre stata metallara fin da piccola, quando suo padre e suo zio le avevano trasmesso la passione per il metal crescendola tra le voci potenti degli Iron Maiden e gli assoli di chitarra dei Pantera.

Nonostante la canzone, però, la ragazza continuava ad essere molto malinconica, quella mattina. Nessuna canzone al mondo avrebbe potuto distogliere il suo pensiero da ciò che, quel giorno, la attendeva: la sua classe.

O meglio, i suoi compagni.

Non poteva vedere nessuno di loro.

Mariangela li considerava solo un branco di pecoroni che seguivano la moda più che i valori della morale, prendendo in giro chiunque passasse sotto ai suoi occhi. Ma il problema non era tanto come fossero loro: questi erano affari loro, di certo non suoi. Il problema era che il bersaglio preferito di tutta la 4AIF era proprio Mariangela Marchesi.

Non c'era giorno, ora, minuto o addirittura secondo in cui qualcuno di loro non avesse qualcosa da ridire su come lei si vestiva, come era o cosa diceva.

Nonostante questo, però, la ragazza non aveva nessun timore di loro. Ciò che le facevano provare era rabbia, mista ad angoscia e tristezza: non erano mai riusciti, però, a spaventarla o metterla a disagio più di tanto.

Proprio questi sentimenti la guidarono su per le scale dell'istituto, che aveva ormai raggiunto: in modo automatico, mise un piede davanti all'altro, fino a trovarsi davanti alla sua aula.

Y4.

Orario di giovedì: prima ora, classe 4AIF con il professori Cecchetti.

Entrò, e con grande disgusto notò come tutto il casino si fosse dileguato in un millesimo di secondo, al fine di concentrare tutta l'attenzione su di lei.

-Marchesi, ma che piacere averla con noi, stamani!

Mariangela guardò l'orologio: erano le 8:47.

Quarantasette minuti di ritardo. Era normale che il Cecchetti fosse su tutte le furie, ma lei non sapeva proprio cosa farci.

-Ormai dovrebbe saperlo, sono quattro anni che arrivo a quest'ora.

-Appunto per questo la situazione è ormai inaccettabile. Ora datti una mossa a sederti, e non aspettarti voti alti in condotta.

-Buongiorno, eh.

La ragazza aveva sempre adorato la materia del Cecchetti: sistemi racchiudeva tutte le sue passioni, ossia i computer, i fili e le reti. L'unico problema era che lei e quel professore proprio non riuscivano ad andare d'accordo.

Non potevano proprio vedersi.

Da quando si erano incontrati per la prima volta, il 13 settembre di due anni prima, era stato odio a prima vista: Mariangela era arrivata alle 8:50, come sempre, e lui non aveva perso l'occasione per mandarla immediatamente dal preside. A partire da quel giorno, non aveva mai smesso di metterle i bastoni tra le ruote.

Appena la ragazza si mise a sedere sulla prima sedia trovatasi davanti, sapeva già cosa sarebbe successo.

-Marchesi, che ti sei presa una scarica elettrica? Guarda come sei ridotta!

-Io mi sarei vergognata anche solo a pensare di uscire così.

-Ma perchè è ancora qui? Solo a vedera mi sale il vomito.

I suoi di compagni di classe. Sempre così gentili, così delicati da ricordarle ogni secondo della sua vita l'intero elenco dei suoi difetti, dal primo all'ultimo, giusto per darle un po' noia.

Ogni giorno, ogni singolo giorno della sua vita era stato così: passava la giornata a isolarsi dagli altri, proteggendosi dalle loro risate soffocandole con la musica alta. Mariangela non capiva bene quale fosse la vera ragione di tutto questo: lei non aveva fatto loro niente, aveva sempre fatto di tutto per essere loro amica o comunque per evitare di dare loro fastidio.

Sentì, da lontano, il Cecchetti che urlava di fare silenzio; era a meno di due metri dal professore e in mezzo ai suoi coetanei, ma questo non le impediva di sentirsi assolutamente ed irrimediabilmente sola. C'era tantissimo rumore intorno a lei, ma sentiva solo i suoi pensieri.

“Sei sola, Marì. Sola. Tutti ti disprezzano. Nessuno ti ama. Sei irrimediabilmente sola.”

Questi erano i pensieri che non la facevano dormire, che la perseguitavano ogni singolo minuto.

Nessuno poteva fare niente per lei.

Chiese di andare in bagno e si avviò verso l'uscita.

-Oh, finalmente se n'è andata.

Sentiva da dietro la porta i commenti dei ragazzi, molto cattivi, e quelli delle ragazze, ancora più spietati.

Decise che non le sarebbe più importato di loro.

Non che ci avesse mai fatto molto caso, ma da quel momento in avanti non li avrebbe proprio più ascoltati.

Sali le scale che portavano al piano Z, il piano delle prime classi, dove si trovava il bagno delle donne più vicino, e si ritrovò in quel corridoio che aveva percorso più volte, tre anni prima: numerose porte verdi su entrambi i lati, lunghe luci che si estendevano verso la fine sul soffitto, pareti di un vago celestino scolorito e due macchinette per la merenda. Niente di tutto questo era cambiato, da tre anni prima. Agli occhi di Mariangela, tutto era rimasto immobile, come congelato in uno specifico momento del passato: non era il luogo ad essere cambiato, era lei stessa. Ripensò a tutti i momenti passati in quel corridoio, al primo anno, e provò una vaga sensazione di nostalgia, quella sensazione che tutti noi abbiamo guardandoci indietro e rivivendo, nella nostra mente, tutto ciò che siamo stati e che ormai non siamo più. Mariangela non era più quella bambina studiosa, gentile e fiduciosa, piena di rispetto per il prossimo. Questo suo essere era stato distrutto quello stesso primo anno, a causa delle prese di giro e delle cattiverie dei compagni.

La ragazza, prima di iscriversi alle scuole superiori, era pieno di buone aspettative: aspettative che erano state deluse tutte, una dopo l'altra. Piano piano, la bambina gioiosa, felice e spensierata di un tempo si era trasformata in una ragazza buia, triste e sola, la quale passava le giornate davanti al computer, a vivere le vite degli altri per evitare di ricordarsi della propria.

Mariangela non sapeva dire come fosse potuta venire una simile trasformazione. Aveva ben presente le cause colpevoli, ma non le fasi, il modo nel quale tutto questo era avvenuto.

Sapeva solo che un giorno stava cercando di farsi nuovi amici sentendosi ridere dietro, e qualche anno dopo si era ritrovata da sola, in un bagno scolastico, per evitare di condividere ossigeno con quelle bestie dei suoi compagni di classe.

Non ci capiva più niente.

E non le interessava nemmeno farlo.

Guardò sotto la porta del bagno per vedere se c'erano dei piedi, evitando così di disturbare: vide un paio di converse nere, alte. Sembravano assolutamente immobili. La ragazza, incuriosita, bussò: nessuna risposta.

-C'è qualcuno?

Ancora nessuna risposta.

Si sente un tonfo dietro la porta, e verso di dolore.

Mariangela, presa dal panico, iniziò a tirare colpi alla porta, che era bloccata, per cercare di aprirla. Alla fine ci riuscì, e quello che si trovò davanti la lasciò senza fiato: un corpo giaceva immobile in terra, animato solo da qualche lieve spasmo.

Provò a girare il corpo per cercare di riconoscerlo: era ragazzo.

Aveva i lunghi capelli legati in una coda, e una folta barba nera. A prima vista avrebbe detto che era un giocatore di rugby, un pugile o qualcosa del genere: aveva grandi spalle larghe, gambe e braccia forti e muscolose e un fisico non scolpito o pompato, comunque molto possente.

Lì per lì, Mariangela gli diede 23 o 24 anni: guardandolo bene, però, si rese conto che non poteva avere più di un anno più di lei. Molto probabilmente doveva essere uno di quinta.

Ragazza cercò di chiamare aiuto: nessuno la sentì.

Sarebbe dovuto uscire per cercare qualcuno, ma non se la sentiva di lasciare quel povero ragazzo da solo. Per quanto ne sapeva, sarebbe potuto morire da momento all'altro: non voleva che passasse all'altro mondo da solo.

Cercò di smuoverlo per svegliarlo.

-Ehi? Ci sei?

Niente.

Provò a trascinarlo fuori dal bagno: con grande fatica riuscì a portarlo davanti al lavandino, appena accanto alla porta d'uscita.

Quello scuola e la piena di telecamere. Possibile che un ragazzo fosse potuto uscire, sentirsi male, entrare nei bagni delle ragazze e collassare in quella maniera senza che nessuno se ne accorgesse?

Provò ad aprire la porta. Era bloccata.

-Fanculo, 'sta porta del cazzo si blocca sempre.

Sentì un rumore alle sue spalle: il ragazzo aveva spasmi sempre più forti e frequenti.

Tentò di fermarlo e rianimarlo, ma non ce ne fu bisogno, perché si fermò da solo. Gli sentì polso: era ancora vivo.

Sapeva che doveva fare qualcosa per lui, ma non sapeva cosa.

Si mise braccio di lui intorno alle spalle e provò a sollevarlo.

-Ma quanto cazzo pesi?

Saranno stati sì o no un centinaio di chili da sollevare a peso morto. La schiena di Mariangela schioccò. Si sentì un gran trambusto nel corridoio.

La campanella.

-Cazzo. E ora?

 

 

 

 

 

Ciao ragazzi :D

sono nuova di EFP, questo è un primo tentativo di scrivere qualcosa ahahah

Ho sempre avuto una grande passione per la letteratura, e ho deciso di buttare giù qualcosa.

Per ora ho scritto solo questo primo capitolo, frutto di una serie di bozze precedenti.. Spero che vi sia piaciuto: non esitate a scrivermi per evidenziare eventuali difetti nella scrittura o nella storia, sono qui non solo per tentare ma anche per imparare!

Spero che lascerete tante recensioni, che vi sia piaciuto veramente.

A presto,

valepacini98

 

   
 
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