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Autore: Fiamminga    05/02/2016    2 recensioni
John e Sherlock si trovano a condividere l’appartamento, mentre uno sta ancora cercando di ottenere la sua tanto agognata laurea in medicina e l’altro perde tempo a investigare crimini improbabili per dar fastidio ad un giovanissimo ispettore Lestrade che non sa più dove mettere le mani. In tutto questo si aggiunge una strano feeling e strane situazioni che mineranno il confine dell’amicizia su cui i due coinquilini hanno messo i paletti. Ah, e secondariamente rischiano di essere uccisi da un tale di nome Moriarty, ma sono situazioni di routin.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avviso: Questa storia l'ho scritta qualche anno fa. Ero ancora una giovincella allegra che era fiduciosa nell'attesa della terza serie di Sherlock. Non ho postato all'epoca questa storia perché credevo che non fosse originale, anche perché ero fresca fresca di fandom e quindi forse mi ero riempita di immagini di altre fanfiction. Ho deciso di postarla perché stava facendo le ragnatele nella sua cartella, perciò grazie ad un incoraggiamento della sempre amata WikiBi che ormai è il mio motore che mi fa andare avanti e un una risistemata ai capitoli vi presento molto umilmente (Quasi) Amici, titolo derivato da un film fracese molto bello e molto noto che non c'entra assolutamente niente con la presente fanfiction. Ogni capitolo avrà il nome di una canzone scritta da Ludovico Einaudi, che ha ha diretto la colonna sonora di Quasi Amici. Mi sentirei di consigliare l'ascolto durante la lettura (era la musica che ascoltavo quando scrivevo) ma se non volete farlo non vi perdereste poi granché. 
La storia conta sei capitoli abbastanza lunghi che posterò ogni venerdì. Fatemi sapere che ne pensate. 
ps: mi dissocio un po' dallo stile che ho usato, ora la scriverei in modo molto diverso ma chi ha il tempo?
Enjoy!


 
(QUASI) AMICI
 
 
 
I.UNA MATTINA
 
 

 
Ci fu un’esplosione così violenta che fece cadere la sveglia dal comodino, sulla moquette e disperse piccoli ingranaggi metallici in tutte le direzioni. Quando John si alzò, allarmato, li pestò con i piedi nudi, ma non si fece troppe storie a scendere le scale di corsa con una rotella piantata nel piede sinistro. Si precipitò nel salotto: fuori era ancora buio, c'era una sola luce accesa. 
La cucina era invasa dal fumo, nero e denso. Suonò l'allarme antincendio e si sentì del vociare forte al piano inferiore e oltre il muro dell'altra abitazione.  – Che diavolo è successo? – gridò preoccupato.
- Oh, buon giorno John. Non ti preoccupare rimetto in ordine
Da qualche parte oltre il fumo turbinate venne la voce baritonale di Sherlock che evidentemente si stava muovendo perché i tacchi delle sue scarpe di pelle ticchettavano sul pavimento. – Credo che dovremmo dire alla signora Hudson di comprare un nuovo microonde. –
- Hai fatto esplodere il microonde? Che ti diceva il cervello?
- Il mio cervello, John -  rispose il suo coinquilino emergendo dalla nebbia tossendo – aveva perfettamente ragione. - quando rivelò la sua figura slanciata e perfettamente fasciata dalla camicia color melanzana gli fece ondeggiare davanti alla faccia una provetta piena di un liquido scuro e denso. – Ho risolto il caso di Lestrade.
- Si, ok, ma lo dovevi fare proprio adesso? In casa? Con il nostro microonde? Domani andiamo in università, non potevi aspettare? Ora questo fumo entrerà anche nella tua stanza! - e mentre lo diceva si affrettò ad aprire tutte le finestre.
- Sherlock! Oddio Sherlock! – dalle scale arrivò una trafelata padrona di casa con una vestaglia a fiori e la cuffietta da notte che non le rovinava la piega. – Cosa è successo? –
John le spiegò brevemente la situazione e lei lo ascoltò continuando a guardare Sherlock – Oh, bè, questa volta te lo aggiungo all'affitto! Solo la settimana scorsa ho dovuto cambiare la moquette!
- Sono stato aggredito non potevo non difendermi. Ogni materiale organico estraneo finito per terra era solo una conseguenza logica del mio istinto di sopravvivenza.
- O per l'amor del cielo! – mrs Hudson alzò gli occhi e tornò indietro. – Io vado a dormire, sono una signora anziana, io, non potete farmi alzare così alle tre di notte! Potrebbe venirmi un infarto.
-Non dica così. Ci penso io qui.- rispose John.
- Certo che ci pensi tu, John. E per carità mettiti qualcosa addosso, sei indecente!
John allora si prese il tempo di osservarsi: come al solito dormiva in boxer e canotta ma il risveglio improvviso l'aveva lasciato in uno strato disastroso, con l'elastico delle mutande al limite dei fianchi e la maglia aggrinzita sopra lo stomaco. Tentò di darsi una sistemata (per quanto potesse essere possibile visto che era in intimo).
Sherlock lo guardò con un’espressione strana, poi tirò il ventilatole dal ripostiglio e lo accese per facilitare la fuoriuscita del fumo.  Mentre John agitava i giornali per lo stesso motivo Sherlock sussurrò qualcosa.
- Eh?
- Ho detto che mi dispiace di averti svegliato. -   poi gli si avvicinò e lo aiutò. – Mi sono dimenticato, domani hai un esame-
- In effetti- John fece una smorfia a metà tra il divertito e il depresso. – Ma ormai non fa niente, non riuscirò più a dormire. Tornerò sopra a studiare. - lanciò un occhiata divertita al suo coinquilino e disse – è già tanto che te lo sei ricordato. Di solito cancelli queste cose dal palazzo mentale. Mi ritengo fortunato che tu abbia speso anche solo un mezzo neurone geniale che ti ritrovi. -  poi rabbrividì: tutte le finestre aperte nel cuore di gennaio avevano la controindicazione di congelare l'ambiente.  All'esterno scendeva una lentissima pioggia che era quasi nevischio.
Sherlock notò la pelle delle sue braccia tendersi per l'aria fredda e gli prese la coperta lasciata sulla poltrona rossa la sera prima.  Gliela mise addosso con delicatezza. John lo guardò sorpreso di quella gentilezza.  – Mi dispiace – disse di nuovo.
- Smettila, mi stai spaventando adesso- rispose John guardandolo storto. Quando mai era così gentile e affabile?
– Io faccio il tè – disse poi tanto per dire qualcosa. Anche perché ormai era sveglissimo, tanto valeva mangiare qualcosa prima di mettersi a studiare. E con la coperta avvolta come un mantello andò nella cucina completamente distrutta e mise il bollitore sul fuoco. 
Era ovvio che avrebbe fatto il tè anche a Sherlock, e si chiedeva il perché, visto che era stato tanto antipatico da fargli esplodere casa il giorno prima dell'ultimo esame di anatomia. Tuttavia aspettò che il bollitore iniziasse ad ondeggiare mentre l'acqua bolliva e versò tè nero in due tazze. Ne portò una al suo amico, seduto sulla sua poltrona nera mentre guardava il flacone risultato del suo esperimento.  Lo accettò rivolgendogli uno sguardo strano e poi tornò ad esaminare la sua prova.
John si sedette davanti a lui e si rannicchiò sulla poltrona, con le ginocchia sotto il mento, avvolto nella coperta e con il tè tra le mani vicino alla faccia. – Allora? Chi è stato, il marito o il suo datore di lavoro? -
- Il postino … - gli rispose l'altro rimanendo a bocca leggermente aperta dopo averlo visto. – Sei buffo-
- Sempre meglio di incazzato a morte- alzò la tazza in un metaforico brindisi e cominciò a sorseggiare il suo contenuto. – in quel caso avrei potuto sgozzarti e buttarti dalla finestra.- e rise. Assaporò brevemente l'immagine di tirargli un bel pugno.  Lo guardò come se potesse davvero farlo in quel momento. Gliene avrebbe tirato uno forte, di quelli che tagliano.  Ma non sul naso. Dio, non avrebbe rovinato la sua faccia: lo avrebbe fatto sullo zigomo, e a quel punto probabilmente si sarebbe tagliato lui. A quel pensiero rise più forte, e il suo coinquilino continuò a guardarlo in modo strano, appoggiando poi il tè sul tavolino come se dentro potesse esserci qualche tipo di droga.
*
Il giorno dopo (anzi, sarebbe meglio dire quello stesso giorno) John uscì dall'esame scritto sentendosi un verme strisciante. Infatti strisciò fino al più vicino bar a imbottirsi di caffè, cercando di dare un senso logico a pensieri confusi che vagavano solo su termini astrusi e domande del precedente esame. Si disse che poteva farcela, ormai era solo quell'anno. Quell'ultimo anno e sarebbe diventato medico. Finalmente, gli sembrava passata una vita. In effetti era passata una vita.
Bevve un altro caffè come un alcolizzato avrebbe bevuto una birra, pagò il conto e uscì ciondolando.
-John! -  lo chiamò qualcuno all'angolo della strada.
- Sarah, ehi, ciao-  le fece un sorriso tirato. – Come stai?
- Io bene, tu piuttosto sembri uno zombi – gli sorrise.
-Esame- rispose lui – Spero almeno che sia andato bene.
Seguirono svariati botta e risposta di convenevole cortesia che tutti in quel genere di situazione dovrebbero avere: un “ma sei un genio" seguiti da "non più di te" fino ad arrivare a "ma dai tanto è ovvio che prendi il massimo" che i conclude con un bel " nei miei sogni magari".
Sogni che tra l'altro non aveva fatto perché non aveva dormito per colpa dell'irruenza di Sherlock. Mentre qualche cresta sbroccata della sua corteccia prefrontale produceva questo pensiero sbiancò rendendosi conto di quanto potesse suonare ambiguo. Gran cosa che non l'aveva detto ad alta voce.
John aveva avuto un breve flirt con Sarah mesi prima (e prima che Sherlock rovinasse tutto come al solito) ma erano rimasti amici senza prendersela troppo: caso più unico che raro viste le conclusioni drammatiche che avevano tutte le sue relazioni da quando viveva a Baker Street e da quando conosceva il suo migliore amico. Si incamminarono insieme lungo il marciapiede parlando di professori e della laurea ormai imminente e della tesi da preparare e risistemare.  Si scambiarono opinioni per un po' fino a quando non raggiunsero il punto dell'appuntamento che Sarah aveva con Molly davanti al più vicino Starbucks.
Quando arrivarono trovarono la ricercatrice del Bart che aspettava fuori la porta accompagnata da un ragazzo. Parlottavano animatamente e Molly faceva un po' la vezzosa, in quel modo imbarazzato e impacciato dei timidi. Quando lo salutò tutta allegra, con il trucco evidente e i capelli ben fonati John fece una smorfia di sorpresa.
Quel genere di espressione bizzarra che riusciva a fare solo la sua faccia, come se fosse sul punto di starnutire. La cosa che lo sconvolse tanto era vedere che Molly, l'innamoratissima (di Sherlock) Molly ora aveva un ragazzo, ed era un tipo anche carino, che la teneva per mano.
- John, conosci Jim? - 
- No, purtroppo- fece lui, stringendo la mano della nuova conoscenza. – Devo fare le congratulazioni? –
- Stiamo insieme da due settimane- rispose Jim rivolgendo un sorriso a Molly che fece una risatina.
Mentre Sarah iniziava ad esaltarsi e a chiedere spiegazioni, perché a quanto pare era una sorpresa anche per lei, John si voltò per controllare il telefono che gli vibrava nella tasca posteriore dei pantaloni.
Dove sei? Ti ho cercato fuori dall'aula. Il postino è in fuga. SH
John rispose al messaggio riprendendo a parlare con il resto del gruppetto, interessato a sapere da dove era potuto spuntare Jim. A quanto pare era un impiegato di banca della City che conosceva il padre di Molly perché suo cliente, e durante un invito a cena si erano incontrati.
- Si, John sta per finire medicina. Sei così stanco per l'esame? Sarà andato più che bene, se Sherlock ti aiuta non puoi non riuscire. – disse Molly.
A quella frase John poteva avere due reazioni: prendersela perché insinuava che non riusciva a studiare da solo senza l'aiuto di Sherlock, oppure approfondire il perché di quella citazione. Significava che Molly continuava a pensare al suo amico?
- Sherlock? Chi è?- chiese Jim e come se l'avesse evocato dal vicolo stretto dietro di loro arrivò il ragazzo in questione, tutto trafilato. Aveva i capelli scompigliati e il viso arrossato per la corsa, gli occhi accesi per l'adrenalina e l'eccitazione.
-John! - si fermò ad osservare il quartetto, e John seppe che in pochissimi secondi aveva dedotto tutto quello che avevano fatto da quella stessa mattina, e vide poi il suo sguardo puntare Jim esattamente un nanosecondo dopo aver visto la sua mano intrecciata a quella di Molly.
-Ciao- dissero tutti, mentre si avvicinava e si risistemava la giacca. Considerò John che aveva bisogno un soprabito nuovo, ormai quello grigio che aveva si era consumato quasi fino allo sfacelo.
- Molly - rispose lui osservando Jim fin nei minimi particolari, poi sorrise e gli diede una mano – Chi è il tuo amico? -
Come se non lo sapessi fu il pensiero di John che rivolse gli occhi al cielo.
Lei cominciò a palare e a presentare il suo nuovo compagno, tutta eccita e presa quasi da una motivazione religiosa, più probabilmente per gelosia ma fu interrotta maleducatamente da Sherlock che la fermò rispondendo al telefono.
- è Lestrade. Oh, è insopportabile- poi si rivolse alla cornetta del telefono – NO! Quanto potete essere imbecilli? Avevo un po' più di rispetto per te e per … Anderson ha detto cosa?! E tu stai a sentire cosa ha detto quell' incapace senza cervello? Non so chi gli ha dato la laurea e per quale raccomandazione è finito a lavorare con te, ma se ti dico che è andato all'aeroporto allora dovreste andare all’aeroporto! -  e chiuse la chiamata, sbottando e alzando il braccio per far fermare il taxi.
- Oh! Ma quello è vecchissimo Nokia? Accidenti dovrebbe stare in un museo-  disse Jim con un fischio – posso vederlo un attimo? -
Sherlock, stranamente glielo porse. Quello smanettò un attimo sulla tastiera e rise – Quanto vale adesso? Magari non va nemmeno su internet-
- Funziona perfettamente per quello che devo fare, grazie- si riprese il telefono e saltò sul primo taxi prendendo John che non fece nemmeno in tempo a salutare gli altri, che invece salutarono lui con una mano.
- Non ti dico nemmeno che saresti dovuto essere più delicato-
- Con te? -  i suoi occhi grigio-ghiaccio lo fulminarono all'improvviso, quasi l'avesse picchiato.
John si strinse nelle spalle – Quello sempre, ma so che non potrai mai farlo. Ma no, mi riferivo a Molly, infondo è andata avanti e ha preso atto che tu non … sai, insomma che sei sposato con il tuo lavoro –
- Non è cambiato nulla, dalle massimo un mese e ritorna single.
- E perché?
Sherlock gli diede il suo telefono, c'era la pagina delle bozze di messaggi: la prima aveva come prima parola JIM. Non capendo la aprì e vide il messaggio:
Chiamami seguito da un numero.
- Era visibilmente gay- commentò il suo coinquilino riccioluto.
John si voltò verso di lui con lo sguardo stralunato. Poi vedendo che Sherlock rideva della sua espressione cancellò il messaggio in un raptus di nervosismo.
- Hai cancellato il suo numero?
- Si, perché avevi intenzione di chiamarlo? – non si accorse che la sua voce suonava come una minaccia.
- Certo che no – rispose Sherlock.
- Allora che vada al diavolo.- rispose l'altro e gli ridiede il telefono con un gesto di stizza. Incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale con uno sguardo corrucciato. – Tanto non lo rivedremo mai più –
Sherlock lo osservò mentre il suo viso si tranquillizzava e il nervosismo svaniva man mano che il riflesso dei palazzi di Londra passava dietro di lui. Il suo profilo si fece più tranquillo, poi sospirò. – Scusa, è stata una stupidaggine-
- Non fa niente- rispose l'altro.  – Mi fa piacere –
John lo guardò di nuovo stranito – Mi spieghi cosa ti succede? È da stamattina che sei Mr. Cortesia. Ti ricordi i miei esami, mi dai le coperte e ora … -
- Niente, davvero- Sherlock guardò davanti a sé scosse la testa. – E solo che pensavo che visto che tu a Natale mi hai detto di essere mio amico allora ho pensato che sia opportuno che tu abbia una stanza nel mio Palazzo Mentale-
-Oh
Oh
- Non sprechi spazio ed energie? Sarebbe più opportuno che ti ricordarsi che le stelle sono masse di gas incandescente e che la terra gira intorno al sole?
Sherlock fece spallucce – Cosa mi importa delle stelle se tu sei mio amico? Le stelle di certo non vivono con me, e io non faccio colazione con il sole. Tu fai parte della mia vita, una massa di gas incandescente ad anni luce di distanza non è niente in confronto a questo.
John rimase pietrificato. Ebbe quasi paura di smettere di guardare il suo coinquilino, come se girandosi avrebbe trovato le prove di essersi immaginato tutto il suo discorso. Possibile che Sherlock Holmes avesse un cuore? Che provasse emozioni, tra l'altro?
- Cosa ho detto? -  disse candidamente rispondendo alla sua faccia ammutolita e shockata.
John si riscosse e sorrise. No, davvero, Sherlock era troppo ingenuo per realizzare quanto quello che aveva detto poteva essere bello e dolce. Come un bambino non si accorgeva della cattiveria e del bene che faceva.  Ebbe lo strano desidero di abbracciarlo e ringraziarlo per quelle sue poche e bellissime parole ma non lo fece. Non sarebbe stato il caso, e probabilmente Sherlock non ne avrebbe nemmeno capito il significato.
- Niente, lascia perdere. Allora dimmi: cosa ha combinato il postino?
- AH! Già il postino, prendi-  e tirò una Browning calibro nove dalla tasca.  – Che diavolo? –
- Quanti caffè hai bevuto? Ci sarà da correre. E potremmo infrangere qualche legge internazionale, probabilmente- ammiccò con lo sguardo, i suoi occhi luccicavano in preda alla felicità.
- Non ti preoccupare, ti starò sempre dietro-
 
*
 
Era il venti gennaio e la cucina aveva ritrovato una parvenza di ordine, anche se dove prima c'era il forno a microonde ora c'era un buco nelle piastrelle. John aprì il frigo per prendere l'insalata e vide che era vicino alla testa. Una testa mozzata. Che era lì da ben TRE giorni.
 -SHERLOCK!!!
E non aspettò che arrivasse prima di iniziare a rimproverarlo, tanto che quando entrò in cucina John era già a metà discorso che partiva dal costume riconosciuto dalla decenza comune, sfociava nelle implicazioni emotive di trovarsi una testa mozzata nel frigo e finiva gloriosamente con le implicazioni igienico sanitarie.
Quando smise di sbraitare come un cane rabbioso aveva il viso paonazzo e gli occhi sporgenti. Sherlock notò come sembrava più alto dopo essersi arrabbiato tanto.
- Non posso ancora restituirla, devo analizzare gli effetti di un veleno sui tessuti dopo una settimana.
-Quindi vuol dire che oltre ad essere la testa morta di una persona è anche avvelenata? E la teniamo vicino all'arrosto di Mrs. Hudson? - John si sentiva di nuovo irritare. - quando ti deciderai a fere le cose in modo più normale?  -
Sherlock lo osservò con un’espressione insondabile ma John si pentì subito di averlo detto. Si irrigidì e lo guardò mentre usciva dal salotto, diretto verso le scale.
-Sherlock! -chiamò e gli andò dietro ma l'altro era già uscito fuori dal loro appartamento.  Prese il suo giubbino e corse dietro di lui.  Stava per entrare in un taxi già fermato. Aveva aperto la portiera.
John la richiuse con forza prima che potesse entrarci. Congedò il tassista fronteggiò il suo amico che lo guardava ancora in modo impassibile.
-Perdonami- gli disse - Non pensavo a quello che stavo dicendo.
-Sei libero di pensare quello che vuoi, John. Io devo concludere il mio esperimento. Tutti pensano che io non sia normale e lo pensi anche tu. Ma non ti posso dare torto visto che non sono davvero normale.
-Lo so. Voglio dire, lo so che tu sei speciale e diverso dagli altri ma io sono tuo amico e non dovrei dire queste cose.
-Hai detto solo la verità- la sua espressione era ancora impenetrabile e fredda, distante. John ebbe la sensazione che probabilmente stesse dando fuoco alla stanza che gli aveva dedicato nel suo Palazzo Mentale.  Si scostò e fece per chiamare un nuovo taxi ma John lo afferrò per la manica prima che potesse scappare.
-Sherlock, davvero aspetta. Parliamo un attimo ...!
- Devo andare da Lestrade per il nuovo caso.
-Al diavolo, se è già morto qualcuno non morirà di nuovo. Dammi solo un momento.
Così convinse il suo amico a rimanere con lui, ed entrambi si guadarono fermi sul bordo del marciapiede. John scossa la testa.
-Scusami, davvero. È stato molto scortese e indelicato, per favore, dimenticati quello che ti detto. Non dovevo. Tu sei mio amico e lo rimani anche se sei un sociopatico iperattivo. Ancora una volta, perdonami.
- Ti ripeto che non c'è niente da dire, ora sono in ritardo per Lestrade e sto solo perdendo tempo in una discussione senza senso.
-Aspetta.
E fu un attimo. Con un sonoro CRAAAK, quando John lo prese di nuovo per la manica del cappotto quella si scucì e rimase nella mano del povero studente, lasciando il braccio destro di Sherlock completamente scoperto.
-Oh- disse - ormai è da buttare. - e si sfilò l'intero cappotto gettandolo nel bidoncino trascurando ogni buona regola dei rifiuti e salì in taxi. Solamente in camicia. A gennaio. John non aveva voglia di accudirlo anche quando era malato. Ci mancava che oltre a donna delle pulizie facesse anche da infermiera!
Così entrò anche lui e diede un altro indirizzo al conducente.
-Che vuoi fare? - chiese Sherlock.
- andiamo a comprare un cappotto. Che ti stia bene questa volta. -
Lo portò quindi in un buon negozio non troppo costoso. Era affollato a causa dei saldi invernali e in quel periodo a Londra arrivava gente da tutto il mondo per comprare le cose più strane e più alla moda.
John si era dimenticato di questo particolare ma costrinse comunque Sherlock ad entrare con lui.
Si diressero subito nel reparto che interessava a loro, anche quello pieno di gente. -John- lo chiamò l'altro. -Che cosa vuoi fare?
- Voglio che tu ti senta meglio.
- Le mie funzioni vitali sono perfettamente efficienti.
John alzò gli occhi al cielo. – Si, questo lo so, vorrei solo fare pace.
- Ma io ti ho detto ...
- E io non ti credo! - si voltò verso di lui- Non ti credo perché quando qualcuno ferisce i tuoi sentimenti tu diventi esattamente così: un cervello analitico sputasentenze che mira a far male a sua volta non sembrando minimante toccato. E per questo te ne sei andato con tanta fretta, sapevi che niente di quello che mi avresti potuto dire mi avrebbe dato fastidio come vederti reagire di ghiaccio.
-E perché dovrebbe darti fastidio?
- Perché diversamente da quello che fai credere agli altri io so che tu hai un cuore. Uno bello grande e molto buono anche se non è normale. E io sono un coglione perciò zitto e provati questo. - gli diede un capotto nero preso senza criterio e lo obbligò a provarlo.
Sherlock rimase ammutolito e in soggezione, gli sembrava che qualsiasi cosa avrebbe risposto sarebbe stato come sputagli in faccia. Perciò mentre provava i cappotti che l'altro gli dava impiegò una gran parte delle sue forze mentali per trovare una risposta adeguata a quello che gli aveva appena detto.
Intorno a loro c'era tantissima, gente e l'aria era così rarefatta e calda che sembrava di essere nella bocca di un vulcano.  Venivano sfiorati da presenza esterne ma si erano ridotti a loro due, due paia di occhi che si guardavano e mani che frugavano nei tessuti morbidi.
John trovò qualcosa di più bello, e gli girò intorno per farglielo infilare. Fu una sensazione strana: nessuno l'aveva mai aiutato ad indossare un cappotto. Non ricordava che l'avesse fatto nemmeno sua madre.
Mentre John alzava le braccia per raggiungere meglio la sua altezza sentì un movimento bizzarro nello stomaco. Quasi si contorse quando vide la spalle di Sherlock ruotare appena per aderire meglio alla stoffa e le sue dita bianche alzare il colletto.  -Girati- e non si seppe spiegare perché gli tremava la voce. Era un momento borderline al limite della realtà, e quasi vedeva tutto attraverso una sottile nebbia densa, che li separava dal vociare indistinto del resto della clientela.
Sherlock gli ubbidì e John lo trovò perfetto. Il cappotto, il cappotto era perfetto. Fermò le sue mani prima di metterle sul suo torace per lisciargli le pieghe. Si distrasse e afferrò una sciarpa blu sullo scaffale vicino e gliela mise intorno al collo. Gli stava molto bene.
-Cosa ne dici, dottore?
Dio mio -ti sta molto bene, prendiamo questo. -
Fecero una fila interminabile per pagare e uscirono nell'aria graffiante dell'inverno.
- Scusa, ti ho fatto perdere tempo, ora puoi andare da Lestrade ...
-No, non mi interessa più. Torniamo a casa, voglio suonare il violino.
E così fecero, tornarono a Becker Street, e John si sedette sulla sua poltrona rossa con il libro da studiare in mano, ma era ovvio che sedendosi lì non avrebbe mai potuto mettersi a leggere. Invece guardò la figura slanciata di Sherlock che prendeva posto vicino alla finestra, sorreggeva l'archetto e cominciava a suonare. No: cominciava a comporre.
John si chiese se era il suo modo di assimilare le emozioni o di analizzare, mettendole su musica.
Rimase lì a guardarlo lavorare fino a notte, senza dire una parola. Quando deglutiva la gola era secca e gli occhi erano appannati dal sonno e dalla tranquillità, accompagnati dalla musica lieve ma al tempo stesso intensa del violino.
Sherlock si voltò a guardalo mentre suonava e si vide osservato intensamente, con gli occhi semichiusi. John stava per sprofondare nel sonno profondo.  Senza smettere di suonare si sedette sul bracciolo della sua poltrona, davanti a lui. -John- disse.
Ottenne un mugolio di presenza e nient'altro, ma lo stava ancora guardando.  - Grazie per quello che hai detto in negozio. Sei stato gentile.
- Quanto tempo ci hai messo per capire che era la cosa migliore da dire?
-Tutto il pomeriggio
- Allora lo vedi?
- Cosa? - Sherlock ebbe la tentazione di fermarsi, di smettere di suonare e inginocchiarsi vicino a lui e svegliarlo per rendere tutto più chiaro, ma non lo fece. Si sentiva bene in quella bolla ovattata che si era creata.
-Che hai davvero un gran cuore.  Mi hai pensato per tutto il pomeriggio e sono stato io ad offenderti.
-Non mi hai mai davvero offeso. -  e prese a suonare la fase discendente e finale della sua nuova composizione.
- è molto bella. Come la chiamerai?
- non so. Non ti preoccupare possiamo pensarci dopo.
-Mmm- John chiuse gli occhi e fece un sospiro. - Tutto quello che vuoi tu. -
-Ah, e John? -
- Mamm ... Si ...? -
- La testa rimane nel frigo-
 
*
 
- Quindi mi ha detto che dovete trovare un coreano che si spaccia per cinese che è arrivato a Londra da una settimana e che ha un'escoriazione sul viso.
 Lestrade scosse la testa e alzò un sopracciglio - E da cosa lo ha capito?
-Dalle scarpe
John era andato a Scotland Yard su ordine di Sherlock per riferire le sue ultime deduzioni mentre lui andava a fare ricerche per identificare la pelle della valigetta del coreano in questione deducendolo dalla provenienza della marca. Aveva distrutto il suo vecchio telefono nella sparatoria con il postino fuggitivo e gli aveva mandato una mail dall'università.
E visto che secondo lui a John non serviva studiare l'aveva mandato come corriere.
Si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto accompagnarlo anche a comprare un telefono nuovo.
Erano ormai tre giorni che lavorava febbrilmente a quel caso, e avevano orari così diversi che non si incontravano nemmeno la sera, e John rimaneva in dormiveglia la notte fino a quando non lo sentiva rientrare e chiudere la porta della sua camera. Poi si concedeva di dormire come si deve, e la mattina trovava spesso abiti strani che sapeva bene non essere di Sherlock, visto che gli faceva il bucato e le pulizie in camera e ricordava tutti i suoi capi di vestiario.
Probabilmente si travestiva come faceva ogni tanto per spiare i suoi sospettati. Questo però a John non piaceva. Non gli piaceva pensarlo in pericolo senza telefono in piena notte: se fosse sparito non se ne sarebbe accorto nessuno. Eccetto lui.
Lestrade fece una telefonata e avvisò il dipartimento per le persone scomparse di cercare la vittima che Sherlock credeva fosse nascosta da qualche parte. Lestrade era un ispettore fresco fresco di concorso e non gli piaceva scomodare mezzo mondo solo perché Sherlock credeva che fosse morto qualcuno.
- Quel figlio di puttana però ha sempre ragione-  borbottò l'ispettore
 - e tu, John? Ancora a fare da schiavo a quello psicopatico? - disse Sally aprendo il registro del caso
- Non è uno psicopatico è un sociopatico iperattivo- corresse John. -  Ma sì, siamo ancora coinquilini.
- vivere con lui deve essere una cosa folle-
- Abbastanza. Ma non mi dispiace, non ci si annoia mai-  e John diceva sul serio. C'erano tante cose che non gli piacevano del suo coinquilino, ma non aveva più pensato a trasferirsi o lasciarlo stare.
C'era qualcosa che lo riempiva d'orgoglio nel modo innocente con cui Sherlock dipendeva da lui: nel fatto che non mangiasse se lui non cucinava, non si vestiva se non gli faceva il bucato, e non si lavava se non andava a comprare il bagnoschiuma.
Questo gli ricordò che doveva passare in farmacia. Probabilmente Sherlock nemmeno se ne era accorto, ma aveva sperimentato molti prodotti diversi da far usare al suo coinquilino e aveva trovato lo shampoo perfetto per i suoi capelli ricci, di una marca strana e quasi sconosciuta che li facevano diventare lucidi e morbidi. Almeno credeva che lo fossero, visto che non si era mai azzardato a toccargli i capelli.
Una volta, mentre era nel suo Mind Palace ed era distratto gli si era avvicinato abbastanza da poter costatare scientificamente l'esito dei suoi esperimenti: aveva cambiato spugna perché si era graffiato con la retina, e aveva cambiato profumazione perché la vaniglia non gli si addiceva.
E ora doveva trovagli uno stramaledetto cellulare perché non si parlavano da giorni.
Quando uscì da Scotland Yard si sistemò i capelli davanti alla vetrina di un negozio e prese un taxi per arrivare al suo appuntamento. Si era vestito di tutto punto per fare colpo, voleva finire alla grande quella sera. E con alla grande si riferiva a lui su in letto sopra Caroline.
Aveva approfittato della continua assenza di Sherlock per avere un appuntamento come si deve con una delle ragazze più carine che aveva incontrato, una ricercatrice americana in visita a Londra.
Caroline era il suo tipo, nel modo in cui tutte le ragazze erano il suo tipo: non era certo un latin lover a vedersi, ma sicuramente c'era qualcosa nel suo viso rassicurante che piaceva alle donne e aveva imparato a sfruttarlo.
Scese dal taxi davanti ad una farmacia e ne approfittò per comprare lo shampoo per Sherlock. Non aveva niente per riporlo, ma fortunatamente era avvolto con la carta della farmacia e quando Caroline arrivò lo spacciò per dei medicinali contro la tiroide e le chiese se poteva metterlo nella sua borsetta.
Mangiarono ad un bel ristorante cinese: aveva scoperto che lei era ghiotta di cibi orientali, ma a lui non piaceva il sushi, come tutti i tipi di pesce crudo perciò aveva optato per il Grande Dragone. Non troppo costoso ma raffinato. Si sedettero uno davanti all'altro e iniziarono a parlare vivacemente mentre sceglievano cosa ordinare.
La ragazza aveva la risata molto facile, scoprì John e apprezzava molto le sue battute. - La cosa, più bella che un uomo può fare è farti sorridere. La seconda è farti venire come si deve-
Divertente e sfacciata. John sentì le sue parti basse fare la ola in un moto di pura felicità.
- per fortuna sono bravo in tutte e due le cose-
Non ebbero bisogno di dirsi molto altro dopo quella sua piacevole uscita. Meno di venti minuti dopo si stavano già baciando sul retro del taxi. Casa di John era più vicina e corsero sopra le scale mentre si toglievano i vestiti.
Dio! Quanto tempo è passato da quando mi sono fatto l'ultima, sana, scopata?
Ricordò vagamente che era stato con Johannes la sera prima che lei lo mollasse urlando per Baker Street maledicendo lui e Sherlock. Ma lui non c'era!
Quasi gli venne da piangere per la pura felicità. Due mesi di astinenza. Ora aveva in programma di spegnere il cervello e ragionare solo con il suo pene. Finalmente.
Caroline era brava. Non erano ancora arrivati al dunque, e John stava cercando la scatola di preservativi con una mano nel suo cassetto vicino al letto. Si sentiva esplodere: e il singolo neurone che mandava impulsi nervosi comandava quella singola mano mentre cercava. Caroline lo aiutò a prenderlo. Aprì la bustina con i denti perché le sue mani erano impegnate. Dio si! Era ora!
Le aprì le gambe pronto a tutto, quando suonò il telefono fisso che aveva sul comodino.
- Rispondi-  quasi gli ordinò la ragazza. John aveva serie difficoltà di concentrazione in quel momento ma afferrò la cornetta e disse con voce arrochita dal piacere - Pronto? -
- Spero proprio che tu lo sia- gli sussurrò lei all'orecchio libero. - Mmm- John si morse il labbro per non fare un verso indecente a telefono.
-John-
- Les…trade  ...- articolò a fatica mentre Caroline accelerava le spinte delle mani sul suo inguine.
-Ti senti bene? - rispose l'altro a telefono.
- Divinamente- riuscì a dire John. Caroline fece una risatina soddisfatta.
-Sherlock è tornato? -
Ma buon Dio non mi parlare di Sherlock mentre una ragazza mi sta facendo una sega!
-No ...
- L'ho incontrato un'ora fa... Gli avevo fermato un taxi per portarlo a casa e gli avevo detto di chiamarmi quando arrivava.
-È venerdì sera, c'è traffico... - John voleva solo che stesse zitto e che la smettesse di interromperlo.
Caroline gli stava infilando il preservativo e non aveva più neuroni da dedicare a Lestrade. Non più. Stava per richiudere la cornetta quando sentì l'ultima frase dell'ispettore:
- Sono preoccupato: non stava affatto bene e ...-
A John venne un brivido freddo lungo la schiena ma non per il piacere. Fece scattare la mano libera verso quelle di Caroline e la fermò in un attimo. Forse era stato troppo violento, ma era difficile fermare la sua forza quando era all'erta e anni di accademia militare non aiutavano.
La ragazza emise un grido di dolore quando la respinse contro la testiera del letto.
-Cosa è successo? - chiese mentre riacquistava lucidità. - Cosa gli hanno fatto?
- Stasera abbiamo catturato il coreano, quello che ci avevi indicato. Siamo andati a casa sua per fare una retata e abbiamo trovato Sherlock. A quanto ho capito si era accorto del suo travestimento e l'aveva sequestrato. Solo da poche ore ma l'ha comunque conciato male-
- Come è stato possibile? Sherlock è esperto in arti marziali e ...-
- Da quello che mi ha detto non è voluto scappare per farsi raccontare tutti i dettagli del suo traffico di oggetti antichi, ma John ... L'aveva drogato. -
- Oh merda! -
John scattò dal letto e raccolse i vestiti in tutta fretta. Si infilò nuovi boxer e il pantalone della tuta lascito sulla poltrona vicino all'armadio. Si rivestì in fretta e prese le chiavi di casa che aveva lasciato nella giacca.
- Cosa succede? - gli chiese la ragazza. - John? -
- Scusa ma il mio amico è nei guai. Vai via e non ti preoccupare se la porta non rimane chiusa a chiave. Se hai bisogno del bagno è al piano di sotto vicino alla cucina.
-John! -
-Scusami ma non posso restare
- Lo sai che domani sera torno a Boston, vero? Se ora te ne vai non finiremo mai più.
Si voltò a guardarla prima di uscire dalla porta e non rivederla mai più.
Era una donna nuda, bionda, sul suo letto che lo implorava di rimanere con lui per una notte di sesso. La vide ancora più bella e desiderabile con lo sguardo illanguidito dalla passione che stava   scemando. Gli si strinse il cuore (e qualcos'altro) ma scosse la testa e dopo aver detto -Scusa, ma ha bisogno di me-  sparì oltre la porta.
Bussò dalla signora Hudson e chiese se aveva visto Sherlock, ma lei non seppe dirgli niente. Allora corse fuori dall'appartamento nella strada quasi deserta. Al telefono controllò l'ora: era quasi mezzanotte. 
Decise di andare da Angelo per cercarlo lì, ma non c'era. Cercò intorno alla strada, osservando tutto il quartiere anche nelle ombre più scure. Stava per essere preso dal panico: non poteva contattarlo, lui stava male ed era stato drogato dopo mesi che aveva smesso e ora non si trovava.
Panico allo stato puro. Poi, mentre stava per andare da Lestrade per prenderlo a pugni per averlo fatto tornare a casa da solo senza nessuno ad accompagnarlo ricevette una telefonata da un numero sconosciuto.
- Sherlock?!- disse senza sapere nemmeno se fosse davvero lui.
-John... - la sua voce era un sussurro flebile. - vienimi a prendere.
-Dove sei?
- Alla stazione di polizia. Mi hanno trovato per strada mentre ero ...
- Lo so, lo so. Lestrade me l'ha detto, arrivo subito.
E prese immediatamente un taxi e lo pagò di più per andare più veloce.
In un quarto d'ora arrivò alla stazione più vicina e pagò la cauzione di Sherlock. Stava spendendo troppo in quei giorni, ed era sul limite della furia più nera quando gli restituirono il suo amico.
Voleva arrabbiarsi ma non ci riuscì.
L'avevano picchiato sul viso, aveva un livido su uno zigomo e il labbro spaccato. Era chino e respirava piano. A chiunque non fosse stato sul punto di entrare nell'esercito o a chiunque non fosse un dottore sarebbe sfuggito ma John riconobbe con una singola occhiata i sintomi di costole incrinare.
Lo sostenne fino all'uscita e lo portò a casa. Lo guardò preoccupato per tutto il tragitto mentre il suo amico respirava a fatica, con testa ciondolante e gli occhi, quei bellissimi occhi, appannati dal dolore e da qualcos'altro.  Lo aiutò a salire le scale fin sopra alla sua stanza da letto e lo fece sedere lentamente, con lo stomaco attorcigliato e pensieri incoerenti e preoccupati che vagavano alla rinfusa nel suo cervello.
-Cosa diavolo ti è saltato in testa? Il caso lo avevi risolto perché dovevi farti conciate così?
- Non avevo chiarito tutti i dettagli. C'è sempre qualcosa che mi sfugge.
- Perché non sei tornato dritto a casa? Ora mi devi altri soldi, e il tuo debito si sta facendo davvero troppo grande. - John provò a scherzare mentre lo analizzava da capo a piedi per trovare tutte le sue ferite.
Il labbro era spaccato proprio vicino all'arco di Cupido. Il livido era di un giallo-viola acceso. Gli occhi infossati e un graffio sul collo, il segno di unghia: forse per la colluttazione.
Senza che l'altro dicesse nulla gli sbottonò la camicia macchiata di sangue per osservare la situazione delle sue costole: si, decisamente incrinare, e il grosso ematoma rosso che vedeva sul suo fianco aveva la forma di un calcio.  Imprecò silenziosamente e andò a prendere la cassetta del pronto soccorso nel mobiletto del bagno. Non era la prima volta che gli capitava di doverlo curare, ma ogni volta si arrabbiava come se fosse la prima.
 Ecco: era questa una delle cose principali che gli davano fastidio del suo coinquilino, e cioè il suo totale disinteresse per il suo corpo.
Perle ai porci. Con un corpo del genere ...
Non concluse il pensiero e ritornò da lui per spalmargli la pomata e fasciargli il petto. Lo spogliò delicatamente per non procurargli dolore, e notò che aveva abrasioni anche sui polsi. Doveva essere stato legato. La cosa lo fece infuriare ancora di più.
La sua pelle era bollente e sotto il suo tocco, e gli occhi vacui e le pupille dilatate.  I suoi occhi grigi quasi sparivano ne buio. Gli prese il viso e gli controllò meglio lo sguardo: era ancora sotto l’effetto delle droga.
Dopo averlo fasciato con cura sia sul petto e sia sui polsi si occupò del suo viso, disinfettando il taglio sul labbro. Il suo respiro era bollente contro la sua pelle.
Rimaneva zitto, e questo lo preoccupò. Si preoccupava sempre.
-Sherlock? Che droga ti ha dato?
- Non importa più. Il suo effetto è sparito da un po'- disse con la sua voce profonda e baritonale, chiudendo gli occhi.
- Sei ancora drogato ...- stava per dirgli di non mentire ma lui lo interruppe.
- Io ... Sono andato a cercare un mio conoscente che ...-  non continuò il resto della frase che rimase sospesa nell'aria. - Guarda nel cappotto. Buttala nel lavandino, bruciala, sbarazzatene.
John fece come gli aveva detto. Cercò in quello stesso cappotto che avevano comprato insieme, che lui aveva scelto. Nella tasca sinistra estrasse una bustina trasparente, dentro c'era solo cocaina. Non si voltò a guardare Sherlock. Non disse nulla. Andò in bagno e svuotò il contenuto nel gabinetto e lavò la bustina per non lasciare residui.
Quando tornò nella camera da letto lo trovò che aveva gli occhi chiusi e respirava piano, con le mani contratte a pugno.
Gli prese una mano, e Sherlock aprì improvvisamente gli occhi, lucidi e grandi, ancora più azzurri e scintillanti. - Non fa niente. - gli disse. - Siamo umani, persino tu lo sei. Va bene anche se a volte non ce la fai. Me lo hai detto, e questo è bene. Va tutto bene-
- Mi dispiace
- Non fa niente
- Ti ho disturbato
- Non mi disturbi mai. - replicò John.  - Gli amici si aiutano.
- Eri con una donna
John sollevò il suo sguardo azzurrino e fece un mezzo sorriso. - E questo come lo hai capito?
- Hai il suo profumo sulla tua pelle.
- Ah, ovvio.
- La rivedrai?
- Non penso. Domani torna in America.
Sherlock lo fissò intensamente per un attimo prima di stendersi sul letto. John lo aiutò a non sforzare troppo il busto. - Buona notte- gli disse.
- John?
- Si?
- Levatelo. Non va bene con il tuo, di odore.
Allora John si diresse in bagno e si fece una doccia. Nella stanza affianco, Sherlock rimase sveglio fino alla mattina seguente.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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