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Autore: lapoetastra    06/02/2016    2 recensioni
Dovevano parlare, dovevano chiedere scusa e perdonare, dovevano giurarsi che mai si sarebbero lasciati di nuovo, e soprattutto non in quel modo, e che non ci sarebbero più state menzogne tra loro, e dovevano confessarsi a vicenda che, per quanto normalmente facessero finta di nulla, in realtà non potevano vivere l’uno senza l’altro.
Dovevano dirsi tutto questo, adesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il fatto che Sherlock lo avesse ingannato non lo faceva arrabbiare.
Lo riempiva solo di tristezza.
Davvero l’investigatore pensava che non gli importasse nulla della sua – presunta – morte? O forse era lui stesso che non si curava di come John avrebbe reagito ad una tale notizia?
Comunque fosse, Sherlock era scomparso, svanito nel nulla, morto, per quel che Watson ne sapeva.
Ed il dottore aveva pianto, per questo, speso tutte le lacrime che i suoi occhi gonfi erano in grado di produrre, e quando era convinto di non averne più, aveva pianto ancora un po’.
Ogni singolo, doloroso giorno, si era recato sulla tomba di Holmes, il suo più caro amico, a portare fiori freschi e profumati ad un corpo che non c’era, sotto la terra ancora fresca, e che in quei momenti probabilmente lo guardava da lontano, ridendo della sua totale mancanza di intuito.
Ma ora, ora Sherlock non rideva.
E non era un’espressione di superiorità quella che gli deformava il volto austero, ma solo di dispiacere.
Era il miglior investigatore dello Stato, capace di cogliere il più piccolo particolare: sicuramente aveva già notato il naso rosso e screpolato di John, ed i suoi occhi lucidi e secchi, e la semicirconferenza all’ingiù che costituiva la sua bocca, la quale da tempo immemore non rimembrava più il sapore della gioia.
Sherlock aveva capito cosa la sua assenza aveva significato per il dottore, e contro ogni previsione, non ne era affatto indifferente.
Probabilmente quella separazione forzata e ricca di menzogne aveva gravato anche sul suo animo costantemente freddo ed imperscrutabile.
John, per quanto fosse negato come investigatore, lo vedeva chiaramente.
Era scritto a caratteri cubitali sul suo volto, d’altronde, quel viso che aveva osservato talmente tante volte e talmente tanto a lungo da esser in grado di descriverne il più piccolo particolare persino chiudendo gli occhi.
Ed erano proprio quest’ultimi, adesso, ad essere diversi, in Sherlock.
Le pupille erano dilatate, e le iridi erano due pozzi scuri, come se avessero l’arduo compito di trattenere il dolore e non mostrarlo sotto forma di lacrime, che sarebbero state così banali per un uomo straordinario come lui.
E c’era un muscolo libertino che guizzava sulla sua guancia, indice della tempesta che lo agitava dall’interno e gli faceva perdere la sua intrinseca compostezza e padronanza di sé.
E il suo volto era smagrito, come se non si fosse nutrito per giorni interi, o come se fosse dilaniato da un’indicibile sofferenza.
I due uomini continuarono a guardarsi, a scrutarsi, alla ricerca di un segno che lasciasse intendere cosa avevano dovuto sopportare in quei giorni infiniti in cui erano stati lontani.
Dovevano parlare, dovevano chiedere scusa e perdonare, dovevano giurarsi che mai si sarebbero lasciati di nuovo, e soprattutto non in quel modo, e che non ci sarebbero più state menzogne tra loro, e dovevano confessarsi a vicenda che, per quanto normalmente facessero finta di nulla, in realtà non potevano vivere l’uno senza l’altro.
Dovevano dirsi tutto questo, ora che erano di nuovo insieme, ora che stavano entrambi ricominciando ad esistere.
Non dissero nulla, però.
< Tagliati quei baffi, John. Non ti donano per niente >, mormorò di colpo Holmes, ed il suo volto era tornato ad essere distaccato, lontano.
Watson si sarebbe dovuto offendere per quelle parole dure.
Non lo fece.
Semplicemente rise, rise tra le lacrime, quelle lacrime che non finivano proprio mai.
Tutto era tornato come prima.
 
   
 
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