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Autore: kuutamo    07/02/2016    2 recensioni
Se dieci anni prima le avessero detto che a trent’anni si sarebbe ritrovata sola, infelice e al buio nel suo appartamento di venerdì sera, Elizabeth non ci avrebbe mai creduto. Già, perché prima non aveva nessun dubbio riguardo a chi le avrebbe tenuto compagnia per tutte quelle notti.
Ricordava la sua adolescenza come il periodo più bello ed emozionante di tutta la sua vita, e sapeva di non esagerare. La sua adolescenza era stata Adam.
E anche adesso, a distanza di anni, Elizabeth seduta al buio sul suo letto rimaneva sempre della stessa idea. Certo, era dura ammetterlo a se stessa, ma era esattamente così che stavano le cose. La cruda realtà era quella, anche se continuava a ricacciarla via, quasi fosse stata una mosca fastidiosa. Chissà dove si trovava Adam in quel momento, in quale città si era stabilito, se era felice, e soprattutto con chi lo era. Adam era come un fantasma che si ostinava ad infestare la sua testa, e questo succedeva perché Adam era parte di lei e lo sarebbe sempre stato.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La nebbia si diradava sulle colline permettendo ai primi raggi di sole di filtrare e illuminare quel piccolo angolo di mondo.

Adam rimase a guardare l'alba dal suo porticato con una tazza di caffè ormai freddo in mano.

Spesso gli capitava di perdersi osservando il panorama che la sua casa offriva o semplicemente fissando il vuoto, dimenticandosi di tutto e di tutti. Abitava in una casa ai limiti della città, immersa nel bosco e passava lì sotto il portico il suo tempo quasi tutte le mattine. Dopo essersi alzato, ancora con il buio, preparava il caffè e andava fuori aspettando che le prime luci tracciassero i contorni dell'orizzonte e delle montagne. Rimaneva lì finché il sole non era completamente sorto e a volte si tratteneva anche di più, dipendeva dai suoi pensieri.

Sul suo volto segnato un po' dal tempo, c'erano mille particolari che però, al contrario delle rughe sottili, restavano celate. La sua mente veniva rapita in quei momenti, e se ne risvegliava soltanto dopo aver fatto un lungo giro a largo nel mare dei suoi pensieri, lì dove non si toccava il fondo e poteva scegliere solo se continuare arrancare a nuotare o lasciarsi finalmente affogare.

Nessuno sapeva né tantomeno osava chiedergli a cosa stesse pensando con così tanto trasporto. La sua gavetta, Keith, passava a prenderlo molte volte, ma lo aspettava sempre in auto: Adam si alzava e andava dentro casa a prendere i suoi effetti, poi richiudeva la porta dietro di sé e un attimo prima di voltarsi e affrontare un nuovo giorno indossava il suo sorriso migliore. Tutti in quel posto conoscevano la storia di Adam, e tutti cercavano, stranamente, di evitare certi argomenti; si limitavano ad ignorare alcuni suoi comportamenti ambigui, proprio come faceva il giovane Keith.

Tuttavia, soltanto il diretto interessato conosceva bene i tormenti che lo angustiavano: erano arrivati una sera, col vento caldo di fine agosto e non se n'erano mai andati.

 

Da cinque anni frequentava Kim, una donna che abitava alle porte della piccola cittadina di Twins: con lei le cose si poteva dire che andassero a gonfie vele, o almeno era quello che lui le lasciava credere e che ancor peggio lasciava credere a se stesso. Kim aveva due figli, un maschio e una femmina, avuti con il suo precedente marito dal quale aveva divorziato subito dopo aver saputo d'essere incinta del secondo figlio. Lui la tradiva e lei non sopportava più lo sguardo con cui le altre donne, sue ex compagne di liceo, la trafiggevano ogni volta che si faceva vedere in centro. Adam l'aveva conosciuta per caso quando era passata nel suo negozio per prendere degli attrezzi: l'uomo si era rimboccato le maniche ed aveva messo su una piccola ditta di costruzioni, insieme ad un negozio che fungeva anche da base organizzativa e da deposito materiali. Adam mandava avanti quel posto con l’aiuto di alcuni suoi amici, i quali erano stati licenziati dalla fabbrica locale, chiusa per bancarotta dopo trentacinque anni d'attività.

 

Da quella calda notte di agosto, quando tutta la sua vita era cambiata, aveva fatto passare ben due anni, cinque mesi e due settimane prima che il suo istinto lo spinse nuovamente a tornare dov'era cresciuto, al di là del cartello che diceva << Benvenuti a Twins! >>. Quando aveva riletto quella scritta si era chiesto cosa ci fosse poi di così eclatante da esclamare un così fastoso benvenuto. Aveva cercato di tenersene alla larga, di stare lontano da quel posto, ma il tempo non era stato gentile con lui. Non era stato gentile neanche il suo zio di San Francisco, città dove si era trasferito, dove alle sue dipendenze il vecchio zio lo aveva letteralmente sfruttato come un mulo facendolo lavorare nel ristorante di crostacei che gestiva con la moglie Gladys, povera donna. Cercò di resistere il più a lungo possibile ma un giorno dopo una violenta lite, fu cacciato via e per di più senza essere pagato. Così, senza denaro da parte, l'unica strada possibile che si apriva davanti a lui era quella di tornare a casa, malvolentieri, e fare domanda alla vecchia fabbrica che bene o male non aveva mai negato il lavoro a nessuno in città. Ma al suo ritorno purtroppo, trovò la fabbrica chiusa per fallimento. Dopo qualche mese, aveva trovato un piccolo lavoretto occasionale da taglialegna.

Mentre un giorno stava sgomberando una strada sterrata sulla quale i fulmini avevano abbattuto degli alberi, Christopher Dawn passò di lì.

L'uomo abbassò il finestrino, ma Adam non aveva avuto bisogno di controllare chi ci fosse nell’abitacolo, perché avrebbe riconosciuto quell’auto tra mille altre.

"Ma guarda un po' quale lupo è tornato in città! Allora le voci sono vere"

Il ragazzo continuava a spostare rami e ad ammucchiarli sul lato della strada. L'uomo si avvicinò con l'auto ancora un po'.

"Si dice che tu abbia fatto incazzare anche tuo zio, pover'uomo. Deve aver avuto una pazienza quasi inesauribile per tenerti con sé per quanto? Due anni?"

"Sì" rispose a denti stretti.

"Già - notò con soddisfazione l'uomo. Ormai le sue tempie erano completamente ricoperte di radi capelli grigi. Masticò il chewing-gum tre o quattro volte, vestendosi di uno strano ghigno, mentre guardava Adam negli occhi - Lei è ad Atlanta, ma mi dispiace dirti che purtroppo non torna spesso a casa. Credo che non la rivedrai nemmeno per sbaglio"

"Chi ti dice che io voglia rivederla?"

"Ecco! Dannazione, è questo lo spirito giusto ragazzo! Solo che qualche anno fa eri ancora troppo testardo per capirlo"

Christopher Dawn si sistemò meglio al volante soddisfatto per i suoi insulti che quella mattina gli erano usciti fuori una meraviglia, quasi poetici, pensava.

"È stato molto meglio così, dopotutto tu cosa avresti potuto darle?" disse, indicando i rami sul terreno e la figura di Adam che indossava una tuta da lavoro.

Si calò di nuovo sul naso gli occhiali da sole e con un sorriso bianchissimo levò le tende lasciandosi alle spalle una nuvola di polvere che si depositò con il resto dello sporco sui vestiti del ragazzo.

Adam sospirò, amaramente sollevato. Non aveva mai tollerato bene il trovarsi troppo vicino al padre di Elizabeth.

Quindi lei era partita per l'università, come aveva sempre detto di voler fare. Non tornava a casa, come aveva detto di voler fare.

Forse Christopher Dawn aveva sempre avuto ragione, per quanto al ragazzo facesse male ammetterlo.

Non avrebbe mai potuto offrire ad Elizabeth nulla più che se stesso, e questo non bastava nella vita reale.

 

Da quel giorno ormai era passato parecchio tempo e anche se aveva incontrato di nuovo quell'essere repellente, questo si era soltanto limitato a sorridergli beffardamente, non rivolgendogli più la parola.

A voler essere precisi, erano passati dodici lunghi anni dall’ultima volta che aveva visto Elizabeth. I primi tempi a San Francisco erano stati peggio di quanto pensasse, il periodo più buio della sua vita fino ad allora. L’umiliazione di farsi sfruttare da suo zio era stata quasi un balsamo in confronto a ciò che sentiva dentro. Di frequente, sentiva lo scricchiolare sinistro che faceva il suo cuore, provocando un rumore feroce e gutturale: ad Adam pareva davvero di udire tutte quelle crepe allargarsi, ma alla fine si convinse che fosse solo una delirante fantasia delle sue notti in bianco. Lavorare era stato un perverso passatempo, un impiego che gli aveva permesso di staccare da ciò che lo aspettava di nuovo al ritorno al suo appartamento: la solitudine e il silenzio assordante. C’erano state alcune volte in cui Adam inconsciamente si rifiutava di rientrare, rimanendo così a vagare per le strade buie della città per tutta la notte. Presto arrivò anche l’insonnia, ormai una fedele compagna che da quei tempi non lo aveva più lasciato e che periodicamente tornava ad assillarlo con maggior frequenza. Una volta tornato a Twins, Adam iniziò il nuovo lavoro e da allora non si era dato tregua, perché in qualche modo doveva ingannare la sua mente ed iniziare ad andare avanti: era stato tutto l’impegno, la foga e i doppi turni accumulati a fargli mettere da parte un piccolo gruzzolo per permettergli di mettersi in società con i suoi amici del liceo, Cal e Will. Insieme, i tre ora gestivano un’attività di tutto rispetto che, seppur non alla pari di un’occupazione da avvocato o medico, fruttava i suoi guadagni. Inoltre, erano l’unica ditta di costruzioni nell’arco di miglia, pertanto la maggior parte degli appalti che si aggiudicavano veniva da fuori città.

Oltre al lavoro però, Adam aveva un’altra passione, se nel suo caso così si può chiamare. Nel tempo libero amava armarsi di zaino e corde e trovare nuove rocce da scalare. Nonostante però portasse con sé tutto quell’armamentario decisamente pesante, si arrampicava quasi sempre usando soltanto le mani, senza alcuna protezione ad impedirgli di cadere. Ovviamente, per quanto contorta potesse essere a volte la mente di Adam, quando scalava rocce più alte di qualche metro, rinsaniva e utilizzava le imbracature. L’arrampicata era solo un passatempo sì, ma a volte oltre a corrispondere ad una sfida con se stesso, scalare diventava una sfida contro il mondo. Allora Adam si arrampicava freneticamente, le sue mani si muovevano veloci quasi con movimenti ossessivi, fino a quando non arrivava in cima con il petto quasi in procinto di scoppiare; nella vita pensava di non avercela fatta, perciò arrivare in cima corrispondeva a non totalizzare un altro fallimento. Di quello sport lui amava la fatica, la libertà e l’incertezza che si nascondeva dietro ogni appiglio sulla pietra dura. Riuscire a percepire il vuoto e sfidarlo. L’adrenalina che gli regalavano quei momenti era uno dei pochi piaceri della vita, secondo lui, ovviamente dopo il caffè.

Per il resto la sua vita era molto semplice ed abitudinaria.

Adam era sempre stato un tipo schivo, ma da quando aveva rimesso piede in città la gente aveva notato come fosse quasi inavvicinabile. Lui cercava di tenersi lontano, a distanza di sicurezza, sia per non alimentare false speranze nell’interlocutore che provava a parlargli, sia per aspettarsi il meno possibile in termini di rapporti umani. Gli unici che aveva lasciato entrare nella sua vita si poteva dire che fossero Cal e Will, a cui però aveva automaticamente imposto dei limiti non scritti: nonostante questi ‘limiti’ non fossero stati espliciti, sapevano tutti che l’argomento da evitare con Adam era Elizabeth. L’uomo non ne parlava mai, a dir la verità l’unica volta in cui la donna era stata chiamata in causa era stato durante l’incontro con Christopher Dawn. Cal, soprattutto, aveva sempre avuto un sesto senso nei confronti dell’amico, e capiva alcuni suoi atteggiamenti, soprattutto appena Adam era ritornato a Twins, quando le sue ferite erano ancora fresche. Con il passare degli anni però, qualcosa in Adam cambiò, il suo sguardo cupo, ai limiti dell’imbronciato, mutò in una sottile indifferenza e diffidenza nei confronti della vita. A Cal non faceva affatto piacere vederlo in quello stato, rimpiangeva il periodo quando Adam era ancora in preda all’ira e gli toccava vigilare sull’amico affinché non si cacciasse nei guai. Le notti passate al pub in balìa dell’alcol erano passate, ma per quanto miserabili fossero, Cal le preferiva di gran lunga a questo lungo, infinito, periodo di apatia. Nonostante tutta questa preoccupazione però, l’uomo non aveva mai fatto nulla di concreto per cambiare le cose: egli aveva paura che in qualche modo riportarlo allo stato precedente fosse più dannoso dell’atteggiamento che aveva assunto adesso. L’unica nota positiva, se così si poteva definire, era stato l’incontro con Kim. Prima di riuscire ad avvicinarsi ad Adam, Kim ci aveva messo molto, sia a decidersi di conoscere un’altra persona dopo la sua disavventura, sia a coinvolgere l’uomo. Adam alla fine aveva ceduto: Kim era una bella donna, e anche se i suoi figli lo facevano impazzire di tanto in tanto, pensava che quella situazione era il massimo a cui poteva aspirare. Non che ci fosse nulla di male a crescere i figli di un altro, ma Adam sapeva che non avrebbe mai avuto un figlio suo, semplicemente perché non ne voleva uno. La madre di Adam aveva dovuto crescerlo da solo, e lui si era sentito sempre come in difetto, non adatto ad essere qualcosa che non aveva mai conosciuto. Pensava che per essere padre avrebbe dovuto vedere qualcuno che lo fosse stato con lui a sua volta, ma un padre Adam non ce l’aveva mai avuto. La compagnia di Kim dunque, ai suoi occhi non era da disdegnare: sapeva di non meritarla, poiché infondo non l’amava, ma guardarla a volte lo faceva illudere di avere una parvenza di normalità nella sua vita. Sentiva di aver raggiunto una stabilità, sia economica che affettiva, aveva il pieno controllo della sua vita, tutto stava andando per il verso giusto e dopotutto, non aveva di che lamentarsi.

L’unico appunto da fare a se stesso, era quello di non essere vivo.

  
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