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Autore: just_silvia    07/02/2016    0 recensioni
I "sette" ultimi capitoli del capolavoro di Ai Yazawa, Nana... con alcune guest star di Pardise Kiss. Non me ne vogliate, spero vi piaccia.
[Nana-Paradise KIss][guests:Isabella, Hiro, Joji] [NanaO+Joji]
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nana Komatsui, Nana Osaki, Nobuo Terashima, Ren Honjo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 90 (penultimo)

 

Sai Hachi,  i momenti di felicità di cui godiamo ci prendono di sorpresa. Non siamo noi che li troviamo, ma loro che trovano noi. (Ashley Montagu)

Cantare e stare insieme a Joji fu la parte migliore del mio esilio, ma come avevo già imparato a mie spese, niente dura per sempre.
Qualche tempo dopo, Koizumi mi comunicò che il suo spettacolo si sarebbe trasferito a Brodway negli Stati Uniti.
“Quanto tempo sarai via?” chiesi subito.
“Sei, sette mesi ma se siamo fortunati ancora più tempo.”
Andai su tutte le furie, sia perché stava per lasciarmi, sia perché con la sua freddezza sperava di star via per più tempo solo per soddisfazione personale. Lo cacciai di casa e per giorni non andai a lavorare, causando non pochi problemi al locale.
Non risposi alle telefonate di Isabella mentre Joji non provò nemmeno a chiamarmi. Supposi fosse amareggiato dal mio atteggiamento e la rabbia si trasformò in preoccupazione per averlo  deluso.
Quando infatti bussò alla mia porta il terzo giorno, aprii immediatamente. Volevo mettergli le braccia al collo e urlargli di non andare. Forse avrei dovuto reagire così da subito, sicuramente non gli sarei piaciuta lo stesso. Fu molto duro con me:
“Non sono tua madre e non sono Ren, anche se non saremo nello stesso continente non smetterò di amarti.”
Il paragone con quelle persone mi infastidì ma non reagii, lo vedevo troppo  freddo e scostante, con la voce diceva di amarmi ma dal suo volto trapelava solo il disprezzo.
“Ho un amico con cui dovresti parlare, gli ho chiesto di venire dal Giappone per aiutarti a superare il distacco – anche se solo fisico -  da me.”
Uno strizzacervelli? Come si permetteva? Stavo per perdere di nuovo le staffe ma scelsi l’indifferenza sta volta. Se ne andò lui stesso vedendo il mio disinteresse, dicendomi che sarebbe tornato dopo qualche giorno con quell’amico.
Non ebbi più sue notizie ed io la sera stessa tornai a lavorare fingendo un abbassamento di voce, il proprietario del locale sembrò più sollevato che arrabbiato (aveva utilizzato una delle mie coriste per sostituirmi che ovviamente – a detta sua – non aveva il mio carisma).
Più passavano i giorni, più mi mancava Joji da morire, eppure resistetti a non chiamarlo. Compresi che dopo quello che era successo con Ren, tutto era relativo. Il dolore di quella perdita aveva reso il resto incredibilmente piccolo.
Quando una mattina si presentarono alla porta Isabella con un altro giapponese, realizzai con disappunto che George non si era presentato.
Resistetti a non chiedere nulla e quando Isabella mi lasciò sola con lo sconosciuto, la salutai cordialmente.
Solo a quel punto il dottore si presentò: si chiamava Hiroyuki Tokumori ma mi disse che avrei potuto chiamarlo Hiro (sensei).  Disse che era il marito di una ex di Joji più che un suo amico, che quest’ultimo aveva molto insistito ma che il suo lavoro di solito non prevedeva viaggi. Koizumi gli sembrava estremamente preoccupato, gli aveva parlato di Nana e di Nancy e che sua moglie Yukari gli aveva chiesto di aiutarlo. Hiro aveva deciso che non doveva essere Joji ad accompagnarlo da me perché avrebbe condizionato il mio umore, nonostante avrebbe tanto voluto rivedermi.
Alla fine della prima seduta mattutina mi diagnosticò la Sindrome da abbandono. 
“Per Sindrome da abbandono si intendere un insieme di sensazioni di disagio – dal semplice fastidio fino all’angoscia e alla depressione – determinato da abbandono reale, tradimento degli affetti o da carenze affettive. Per esempio quando un bambino può percepire la presenza della madre, è rassicurato perché ha imparato che lei si occupa di lui, se però la madre “scompare”, cioè si sposta fuori della percezione del bambino, allora nasce la crisi, l’angoscia, ed il bambino piange, fin quando o non viene rassicurato dalla madre, o non realizza che la persona permane anche se lui non la vede/sente; cioè fin quando non supera una delle fasi precoci dell’infanzia, ed entra nella successiva. So che tua madre ti ha abbandonata. Questa grande paura rimane probabilmente nel ricordo, e le emozioni possono risvegliarsi anche da adulti, quando l’oggetto, verso il quale si è strutturata una dipendenza affettiva, “scompare”.  Come è successo con il tuo fidanzato Ren.”
A parole era tutto chiaro, poi continuò: “Dobbiamo lavorare su te stessa, ponendoci cinque punti:

1) Avere consapevolezza. Come per molti altri comportamenti disfunzionali, la parola chiave è consapevolezza. Ammettere a noi stessi di avere paura dell’abbandono è il primo passo verso la trasformazione. Immagina questa tua paura come un mostro tenuto chiuso nell’armadio: col tempo il mostro diventerà sempre più pauroso. Il tuo obbiettivo è farlo uscire da li: solo così potrai affrontarlo, ridimensionarlo, svuotarlo del potere che ha su di te.

2) Dai importanza alla tua Identità. Quando siamo innamorati, sopravvalutiamo l’altro, che ci sembra perfetto così com’è. In realtà, stiamo trasferendo all’altro tutte le qualità che vorremmo avere noi. Quando poi la relazione finisce, ci sentiamo persi, come se non valessimo niente senza l’altro a fianco. Piuttosto che cercare nell’altro le qualità che non abbiamo e che vorremo avere, cerchiamo di costruircele dentro di noi.

3) Il bicchiere è mezzo pieno, sempre! Spesso il distacco porta con sé anche degli aspetti positivi, anche se non riusciamo a notarli per via del trasporto emotivo. Tutto accade per una ragione: se una relazione – di qualsiasi tipo – arriva al capolinea è perché non è più adatta a noi. Quando lasciamo passare un po’ di tempo e ci guardiamo indietro, ci accorgiamo di come il distacco sia stato un’importante fonte di riflessione, una ricchezza che ci ha fatto crescere, ci ha fatto vedere il mondo da un altro punto di vista e ci ha offerto più opportunità. Quello che stai affrontando ora è uno stimolo verso situazioni nuove e migliori per noi. Non c’è nulla di cui avere paura, c’è invece tutto da imparare.

4) Godi  delle relazioni che hai ora. Il qui ed ora è l’unico momento che esiste, l’unica certezza che hai. Preoccuparsi delle cose prima che accadano è assolutamente inutile. Nulla è per sempre, siano essi momenti belli o brutti. Godi delle relazioni che hai ora, esattamente nel luogo in cui ti trovi con le persone di fianco a te. Non pensare a eventi negativi che in futuro potrebbero portarti via la persona amata, ma cerca di godere del dono che ti è stato fatto.

5) Smettila di generalizzare. Generalizzare ci porta a distorcere la realtà e a cancellare i dettagli che invece fanno la differenza. Così finiamo per non vedere le vie di mezzo, e pensiamo in termini di tutto o niente, bianco o nero. Il fatto che un uomo o una donna ci abbia lasciato non significa che tutti gli uomini e tutte le donne siano uguali e si comportino allo stesso modo. Generalizzare ci allontana dalla fiducia, che invece è il pilastro su cui si dovrebbero fondare le nostre relazioni.”

Dopo una settimana in cui apparentemente chiacchieravamo, ciò nonostante lui assicurava che stavamo lavorando su questi cinque punti, mi permise di vedere Joji.
Fu molto bello andare da lui e rivederlo con meno ansie. Fu molto dolce e premuroso, gli dissi che parlare con Hiro mi stava facendo bene… mi chiesi il costo di tutte quelle sedute.
Mi disse che era un suo regalo e di parlare con lui tutte le volte che volevo, per tutto il tempo che volevo, senza fretta. Non essendo una fanatica dell’amore canonico questo mi sembrò il regalo più romantico  che potessi ricevere.
Alla fine della seduta del giorno dopo Hiro mi comunicò che sarebbe tornato dalla moglie e dal figlio… ma che le nostre sedute sarebbero continuate in video chat ogni mattina, tanto pagava Koizumi.
Dopo un mese con mia grande tristezza dovetti salutare anche Joji, Isabella e tutti gli amici che tramite loro avevo conosciuto. Alla festa d’addio della loro compagnia, George mi fece cantare, in seguito scoprì che era un provino. Per cosa, non lo capii in quel momento.
Non riuscii a sentirmi mai sola perché le video chat giornaliere (ma in orari diversi) diventarono due: con il dottore e con il mio ragazzo.
Il lavoro ed i successi al locale riempivano la mia vita, come i colleghi del posto. La ragazza che sostituivo allungò per un po’ la maternità ma nel frattempo Hiro mi disse di tornare in Giappone: “Non hai più niente da fare in Inghilterra, sei guarita.”
Fui così che decisi di tornare a Tokyo. Il giorno del mio compleanno.

   
 
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