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Autore: Irina_89    20/03/2009    2 recensioni
Tolse il cuscino dal suo viso e lo riportò sulla poltrona, coprendolo leggermente con un altro.
Osservò, poi, il corpo scomposto dell’uomo che giaceva senza vita sul letto e si avvicinò nuovamente a lui. Lo scoprì dalle coperte, gli sistemò le gambe in posizione più naturale e rilassata, lo ricoprì e gli posò le mani lungo i fianchi, mentre il debole ma continuo suono prodotto dalle macchine che rilevavano l’assenza del battito cardiaco, lo accompagnava.
Poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
“Addio, signor Rosenbaum.”
Genere: Thriller, Suspence, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrò nella stanza bianca, proprio come faceva ormai da due mesi. La stanza era candida, ma non dava nessuna sensazione di benessere. Sembrava soffocarlo. Ovunque guardasse c’era bianco. Era tutto sterile e anche tutto silenzioso, se non per quelle macchine che registravano i battiti cardiaci del padre, sdraiato su un materasso ancora più bianco, se possibile.

Si avvicinò all’uomo e posò lo zaino per terra, per poi andare a prendere una sedia nell’angolo della stanza. La mise vicino al letto e si stravaccò su di essa.

“Un po’ di educazione!” brontolò il padre.

Il ragazzo roteò gli occhi e si sedette più composto.

“Come stai?” gli chiese, quindi.

L’uomo lo guardò con occhi stanchi, ma gli sorrise.

“Bene.” Disse.

Il ragazzo annuì, osservando il padre praticamente inerme su quel letto. Era pallido, quasi volesse essere coerente con tutto ciò che lo circondava.

“Tu come stai?” si informò l’uomo, posando una mano su quella del ragazzo.

“Sopravvivo.” Sorrise debolmente lui.

“Non ti senti solo, in quella casa così grande?”

“È casa nostra.” Alzò le spalle il ragazzo. “E poi tra poco torni pure tu. I medici hanno detto che ti sei stabilizzato.”

“Ehi,” ridacchiò goffo tra un colpo di tosse e l’altro. “Lo sai, vero, che non devi essere troppo fiducioso?”

“Me lo ripeti sempre, papà. Lo so che sei un cinico pessimista, ma lasciami almeno pensare come voglio.”

“Come ti pare. Sappi che io ti avevo avvertito.” Sospirò rassegnato, mantenendo comunque il sorriso che trapelava dalla folta barba bianca.

“Accidenti, papà!” sbottò il ragazzo. “Ma lo vuoi capire che se tu ti metti già nell’ottica di morire, poi non riuscirai davvero ad uscire dall’ospedale?”

“Proprio perché so che non ce la farò, mi sto mettendo in quest’ottica, ragazzo.”

“Vabbè, fai come ti pare, vecchio.” Borbottò, alzando gli occhi al cielo ed incrociando le braccia al petto.

“Grazie.”

“Comunque, cosa dico a Ludwig?”

“Che rimarrò qui.”

“Ok.” E riprese lo zaino da terra. Se lo mise su una spalla e si voltò per andarsene.

“Ah, ascolta.” Lo chiamò l’uomo, prima che suo figlio raggiungesse la porta ed uscisse. “Ti sei comportato bene, a casa?”

“Sì.” Rispose esasperato. “Non sono più un bambino da parecchi anni, papà. So come ci si comporta. E poi c’è Ludwig.”

“Già, non sei più un bambino.” Ripeté l’uomo, sorridendo nostalgico ad un vago ricordo che gli era tornato in mente. “Te la ricordi quella filastrocca che ti insegnai tanto tempo fa?”

“Vecchio!” esclamò l’altro. “Ma cosa vuoi che mi ricordi delle filastrocche che mi insegnavi?” fece scocciato.

Il padre ridacchiò di nuovo. Sapeva che suo figlio era scontroso solo perché quella era una situazione difficile. Voleva solo dimostrarsi forte.

“Ok, torna pure a casa.” Disse infine, chiudendo gli occhi.

Il ragazzo si voltò e tornò dal padre, gli diede un bacio sulla fronte e lo salutò di nuovo.

“Ti aspetto.”

Il padre rise ancora una volta.

“Ah!” lo fermò per la seconda volta. “Fai il bravo, mi raccomando! E non -”

Non aprire le porte che non conosci.” Recitò il ragazzo. “Lo so, me lo ripeti ogni volta.”

“Bene, bravo piccolino.”

“Papà!” lo riprese il figlio. “Se fai così, inizierò a pensare che la tua malattia sia una presa per il culo!”

“Che termini!” farfugliò con finta indignazione il padre.

Il ragazzo lo guardò eloquente e l’uomo si mise a ridere. Era tanto che non rideva.

Il figlio gli sorrise ed uscì, sistemandosi meglio lo zaino sulla spalla, mentre l’uomo lo salutava come ogni giorno da due mesi.

Purtroppo la sua malattia era decisamente grave. Molto grave. Non sapevano ancora se il contagio fosse una cosa da considerare (visto che la natura della malattia non era ancora stata scoperta), ma visto che nessuno degli infermieri accusava malessere, questo problema non venne considerato.

L’uomo lanciò un’ultima occhiata alla porta, prima di chiudere gli occhi.

Sapeva che suo figlio era una persona eccezionale. Era intelligente ed educato, benché non sempre volesse farlo vedere. Una volta gli disse che essere educato lo faceva assomigliare ad una ragazza, per questo iniziò ad avere atteggiamenti un po’ più informali e qualche volta volgari.

Sospirò.

Sperava con tutto se stesso che la sua intelligenza lo portasse a scoprire la verità.

Il momento era sempre più vicino.

 

***

 

Qualcuno bussò oltre la bianca porta di quella stanza.

L’uomo aprì gli occhi e diede il permesso per entrare. L’ospite non si fece attendere, girò la maniglia e varcò la soglia.

“Ehi! Cosa ci fa lei qui?” domandò meravigliato.

“Sono soltanto passato a vedere come stava.” Spiegò l’altro. La sua voce era roca. Troppe sigarette. L’aspetto, però, era sempre il solito. Non era cambiato troppo dall’ultima volta che l’uomo l’aveva visto. Quanti anni erano passati? Due? Tre? Sì, qualcosa del genere.

Purtroppo, il loro incontro non era stato positivo. Sapeva che quell’uomo non avrebbe portato a niente di buono. Ed il fatto di ritrovarselo nella propria stanza, stava confermando quel timore.

“Ho sentito che è stato colto da un malore.” Iniziò l’ospite, avvicinandosi alle macchine collegate al paziente. Premette un bottone e si allontanò di nuovo, mettendosi in tasca le mani coperte da un paio di guanti di cuoio marrone. Quegli occhi cupi lo stavano fissando senza battere ciglio. La sua voce non aveva intonazione. Era piatta, come se non gli importasse veramente del motivo per cui si trovava lì.

“Sì, ma non è niente di grave. Sembra che vada tutto bene, ora.” Sorrise l’uomo.

“Bene.” E si avvicinò alla poltroncina con i cuscini che si trovava di fronte al letto dalle lenzuola candide. Gli diede le spalle e sfilò le mani dalle tasche.

“Che ne dice se riprendiamo la questione di qualche tempo fa?” disse l’uomo, afferrando qualcosa dalla poltrona.

“Ma quella questione era stata risolta, si ricorda?” fece l’altro. Iniziava ad essere impaurito e i macchinari a cui era collegato percepirono l’aumento delle pulsazioni.

“Io non ne sarei così sicuro.” E con passi rapidi e silenziosi si avvicinò al malato, premendogli il cuscino sul viso.

L’uomo tentò di lottare, per riuscire a respirare, mentre il suo assalitore premeva con tutte le sue forze la sua arma contro il volto della sua vittima. Dovette aspettare, perché il corpo a cui aveva appena tolto la vita, smettesse di agitarsi convulsivamente.

Tolse il cuscino dal suo viso e lo riportò sulla poltrona, coprendolo leggermente con un altro.

Osservò, poi, il corpo scomposto dell’uomo che giaceva senza vita sul letto e si avvicinò nuovamente a lui. Lo scoprì dalle coperte, gli sistemò le gambe in posizione più naturale e rilassata, lo ricoprì e gli posò le mani lungo i fianchi, mentre il debole ma continuo suono prodotto dalle macchine che rilevavano l’assenza del battito cardiaco, lo accompagnava.

Poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

“Addio, signor Rosenbaum.”

 

***

 

“Sì, infatti.” Confermò, avvicinandosi alla finestra della sua stanza. Fuori splendeva il sole, anche se le temperature non avrebbero mai raggiunto quelle del suo paese.

“Come ti trovi lì?” si informò la voce all’altro capo del telefono.

“Bene. Le lezioni inizialmente le seguivo molto difficilmente – te l’avevo già detto –, ma ora è tutto a posto.” Rispose la ragazza, appoggiando la testa al vetro freddo, sorridendo alla vista di qualche bambino che giocherellava con i genitori nel prato davanti all’edificio in cui alloggiava con molti altri studenti stranieri.

“Oggi cosa fai?” chiese ancora la madre.

“Penso che andrò a lezione e poi un po’ a giro per la città, visto che è il mio giorno libero dal lavoro.”

“Già, hai detto che hai trovato lavoro come commessa, no?”

“Sì, credo sia uno dei modi migliori per entrare in contatto con le persone.”

“Che brava, la mia Bea!” si congratulò la donna.

“Mamma, dai. Lo faccio solo perché mi piace l’inglese.” Sorrise timida. Le piaceva quando la madre le diceva di essere fiera di lei.

“E fai bene. Una buona conoscenza dell’inglese ti può portare ovunque.”

“Già.”

La conversazione, però, venne interrotta da un bussare alla porta.

“Scusa, mamma. Devo andare ad aprire. Ci si sente poi, ok?”

“Va bene, tesoro. Ti saluto papà e Cristina, ok?”

“Grazie. Ciao!” e le mandò un bacio.

La madre ricambiò il gesto e la chiamata si chiuse.

La ragazza posò frettolosamente il telefono sulla scrivania – totalmente coperta da libri, quaderni, penne e ogni altro genere di oggetti – e corse ad aprire la porta.

“Un momento. Sto arrivando!” rispose in inglese, sentendo ripetersi quel bussare.

Aprì la porta e si affacciò, sorridendo alla donna dai lunghi capelli biondi di fronte a lei, la direttrice dell’alloggio.

“Salve.” Sorrise lei.

“Salve.” La salutò a sua volta la ragazza.

“Devo informarla di un cambiamento che potrebbe darle qualche fastidio.”

“Un fastidio di che tipo?” poi aprì totalmente la porta. “Vuole entrare?”

“Grazie.” Accettò lei.

La ragazza chiuse la porta alle sue spalle e si sedette sulla sedia della scrivania, indicando il letto – certamente più comodo – alla direttrice.

“Beatrice – posso chiamarla così?”

“Certo.”

“Bene, Beatrice. La sua camera è l’unica che abbia un letto libero.”

La ragazza annuì, sistemandosi meglio i corti capelli castani dietro l’orecchio.

“Abbiamo ricevuto la telefonata che chiedeva un posto per un ragazzo per almeno un mese.” Continuò la donna. “Questo è il problema: sarebbe disposta a condividere la camera con un ragazzo?”

“Io?”

La direttrice annuì.

“Bè, cioè, non c’è niente di male…” mormorò, distogliendo lo sguardo dalla donna. “Sì,” disse poi. “Non dovrei avere problemi.”

“È sicura?” chiese conferma la donna. “L’ho chiesto a lei, prima di rifiutare perché, per un mio principio, eviterei di far dormire delle persone di sesso opposto nella stessa stanza. Ma mi fido di lei, e poi questo ragazzo pare sia il figlio di una persona di una certa importanza nel suo paese. Mi hanno assicurato che pur di far alloggiare qua questo ragazzo, sono disposti a pagare anche di più del necessario e, bè, i soldi fanno sempre comodo.” Spiegò, imbarazzata.

“Certo, capisco.” Annuì ancora Beatrice. “Comunque, va bene. Non dovrei avere problemi. Dia pure la conferma.” Sorrise.

“Bene.” Sorrise a sua volta la donna. “Il ragazzo si chiama Jacob – il cognome al momento non lo ricordo – e dovrebbe arrivare nel giro di qualche giorno.” E si alzò, aprendo la porta. “La ringrazio infinitamente per la sua comprensione e la sua collaborazione.”

“Niente.”

E la porta si chiuse.

Beatrice si guardò intorno. Quella camera era sempre stata tutta sua da due settimane e, a conti fatti, avrebbe dovuto essere così fino alla fine.

Fissò il letto ancora intatto – ma ricoperto da qualunque cosa strabordasse dalla scrivania – posizionato nell’angolo opposto al suo e sospirò. Ora avrebbe dovuto mettere tutto a posto… e non tutto aveva un posto. Abituata com’era ad avere una stanza tutta per sé, non aveva nemmeno mai cercato una collocazione per ogni cosa.

Prese in mano la felpa che molto accuratamente era stata appoggiata sul letto e si guardò intorno. Doveva anche piegare tutti i vestiti, invece che stenderli semplicemente.

Già da quel momento iniziò a rimpiangere di non aver negato la sua preziosa collaborazione.

 

***

 

Aprì la porta e subito venne rintronato dalla musica a tutto volume che riempiva l’intera stanza.

Che cazzo…?

Che canzoni erano? Sembravano rock, ma non ne era sicuro.

Quasi in lontananza, sembrò sentire anche una voce. Cercò di capire chi fosse. Tese l’orecchio e rimase in ascolto.

Gli cascarono quasi le braccia. Lasciò la presa delle sue borse – che caddero a terra senza praticamente fare rumore, visto il casino della stanza – e rimase a bocca aperta, forse più per il disgusto che per altro. Quella voce che doveva provenire dal bagno adiacente alla stanza apparteneva sicuramente ad una ragazza (sicuramente alla sua compagna di stanza) era impressionante, non solo perché stava cercando di seguire le parole di quella canzone, ma perché era stonata nella maniera più assurda avesse mai sentito. Se non ci fosse stata la musica che copriva le sue parole, facendo apparire quella voce come un ronzio in lontananza, avrebbe rischiato di subire un trauma di dimensioni colossali.

Come soluzione estrema, ma non per questo efficace, prese il suo i-Pod e si infilò le cuffie nelle orecchie. Lo accese e fece partire della vera musica, non certo quella spazzatura rumorosa che lo stava facendo diventare sordo.

Certo, sordo ci sarebbe diventato comunque, se avesse continuato a tenere persino la sua musica così alta, ma… a mali estremi, estremi rimedi.

Lasciò le sue borse per terra, togliendosi la terza che teneva a tracolla e mettendola insieme alle altre, e si sedette sul letto, appoggiando la schiena contro il muro. Si guardò intorno, tentando di individuare la sorgente di quella tortura, ma dovette rinunciare, visto che probabilmente si trovava all’interno del bagno, insieme alla sua nuova compagna di stanza.

La loro convivenza sarebbe stata impossibile, già se lo sentiva.

Chiuse gli occhi, cercando di estraniarsi da quell’inferno, ma proprio in quel momento, quel tormento cessò, e la porta del bagno si aprì lasciando sentire parole biascicate con tono incazzato in una lingua decisamente diversa dall’inglese. Non gli ci volle molto per capire che quello altro non era che un ricco repertorio di imprecazioni.

La sua coinquilina uscì dal bagno quasi senza fare caso a lui, visto che aveva solo un misero asciugamano che la copriva, mentre i capelli bagnati sgocciolavano su tutto il suo corpo. Aveva la testa girata all’interno della stanzina, come se stesse discutendo con qualcuno all’interno. Il ragazzo allungò gli occhi verso il bagno, ma non vide nessuno. La sola conclusione a sui arrivò, fu che quella tizia doveva avere seri problemi di nervi.

Borbottò rabbiosa un fiume di imprecazioni e poi sbatté la porta, girandosi verso la stanza con il naso all’insù.

Subito, però, i suoi occhi caddero su di lui e lei si irrigidì, lasciando la presa sull’asciugamano.

Passarono pochissimi secondi, e subito lei urlò, chinandosi a terra per coprirsi con le mani.

“Vattene via, brutto porco che non sei altro!” urlò senza pensare in italiano, serrando gli occhi, mentre con la mano cercava l’asciugamano alla cieca. Una volta trovato se lo avvolse nuovamente intorno, rimanendo accucciata per terra.

Lui la fissava senza muovere un dito, lasciando vagare i suoi occhi verdi su di lei.

Era magra, ma i muscoli le davano il giusto equilibrio tra anoressia e normalità. I capelli corti gocciolavano tutto intorno a lei, creando un piccolo laghetto sulle mattonelle della stanza.

“Ti prenderai un raffreddore.” Osservò il ragazzo in perfetto inglese.

La ragazza alzò gli occhi, trovando quelli verdi di lui a fissarla.

“Chi sei tu?” chiese tra l’imbarazzo e l’agitazione.

“Jacob Rosembaum.” Rispose semplicemente, spengendo l’i-Pod e togliendosi le cuffie dalle orecchie.

Lei lo guardò scettica, strizzando gli occhi, come se volesse accertarsi della sua identità.

“Tu devi essere Beatrice Orsini, no?” fece lui in un inglese degno quasi di un madrelingua.

La ragazza annuì, senza togliergli gli occhi sospettosi di dosso.

“Non mi scandalizzo, tranquilla.” Glissò lui, roteando gli occhi. “Ho già visto parecchie ragazze nude prima di te. Non sei niente di speciale, quindi alzati e vatti a vestire.” E le voltò le spalle, prendendo le sue borse da terra e appoggiandole sul letto.

Quelle parole furono una scintilla che fece accendere la furia di Beatrice.

“Chi diavolo sei per darti tutte queste arie?” urlò, tirandosi su, mentre si teneva l’asciugamano con una mano e lo indicava minacciosamente con il dito dell’altra. “Non solo entri senza bussare, ma pretendi anche di fare il padrone qua dentro!”

“Ho bussato, ma la tua musica impediva qualsiasi comunicazione verbale.” Aprì le borse e iniziò a tirare fuori i vestiti, che metteva momentaneamente sul letto. “C’è solo un armadio?”

“Purtroppo sì.” Rispose dura e acida lei.

“Ok.” Aprì le ante del mobile sistemato nell’angolo vicino al letto di Beatrice e con un movimento brusco, scansò i vestiti della ragazza da un lato, liberando uno dei vari ripiani. Andò a prendere i suoi vestiti e iniziò a sistemarli all’interno.

“Potresti almeno evitare di sgualcirli.” Gli fece notare la ragazza.

“E tu potevi evitare di farmi fare questo lavoro.” Osservò lui. “Non sono mai stato in una camera talmente disordinata.” Mormorò poi, conscio del fatto che lei l’avesse sentito.

La ragazza ringhiò come un felino tra i denti, guardando il nuovo arrivato con aria truce. Poi si avvicinò a lui, lo spinse lontano dall’armadio, aprì l’altra anta e prese un paio di pantaloni ed una felpa. Si chinò per prendere la biancheria dai cassetti nella parte inferiore e richiuse il mobile con quanta più violenza poté.

Prese tutta la sua roba e si rinchiuse in bagno.

“Vai in culo, pezzo di cretino.” Borbottò in italiano, sbattendo la porta con altrettanta violenza. Di colpo la musica ripartì a tutto volume e lei si rimise a cantare.

Jacob la seguì con lo sguardo, sorridendo saccente e soddisfatto.

Quella convivenza si sarebbe preannunciata piuttosto impegnativa.

¤°.¸¸.·´¯`»  «´¯`·.¸¸.°¤

Continua...

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Ok, come al solito inizio una nuova storia, senza nemmeno portare a termine tutte quelle che mi sono promessa di concludere... -.-" (Degno di me...)

Vabbè, comunque, questo è un nuovo esperimento, nato dalla mente contorta qui presente, dopo aver passato giorni e giorni a friggersi il cervello davanti alla tv per guardare praticamente i peggio film thriller (non horror, perché per quelli non sono ancora psicologicamente pronta X°D).

Bè, che dire? Saranno un po' di capitoli, ne prevedo una decina, ma non garantisco, visto che la storia è ancora under construction - ho al massimo buttato giù una misera bozza per tenermi in mente i fatti che voglio far accadere.

Spero sia di vostro gradimento, nonostante questa sia la mia prima avventura in questa sezione. =P

Se lascerete commenti, bè, apprezzerò molto. E già che ci sono, ringrazio tutti coloro che perderanno del tempo a leggere questo primo capitolo.^^

Ora vi saluto!

_irina_

  
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