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Autore: Helien    20/03/2009    6 recensioni
E per la prima volta vidi davvero i suoi occhi. Vidi davvero la sua espressione, il suo sorriso. Confuso forse. Mentre le mie lacrime scendevano ostinate, presuntuose, e il mio corpo era scosso dai singhiozzi. Mentre delle note mi accarezzavano le orecchie, mentre le mie labbra sussurravano a tratti parole tremolanti, che andavano a ritmo con la musica. Accarezzai quel pezzo di carta colorata, proprio nel punto da cui la mia mano era attratta. Lentamente. In sincronia con quell’ ultimo suono, con quell’ ultima stilla.
Genere: Romantico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Need of a Bond

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Eccomi. Vi presento una fan fiction, che da tempo mi frullava in mente, e che la Kià (inconsapevolmente) mi ha spinto a scrivere su carta word. :iononcentroniente:

Come ogni cosa che faccio, o dico XD, anche questa FF è sotto copyright, perciò gradirei che non vi passasse neanche per l'anticamera del cervello di copiarla.
Anche se poi non capisco che gusto ci sia a rubare le cose degli altri, per giunta brutte. :huh:

OK, detto questo, vi lascio a leggere quest'altro mio frutto, ovvius della mia mente intasata da popcorn e cereali inbevuti in cocacola. :pazzo:

Buon divertimento!

1. Flaubert's




Mi strinsi convulsamente nel cappotto grigio striminzito, sperando di trovare quel calore di cui sentivo un disperato bisogno.
Attraversai distrattamente la strada.
Il cielo era plumbeo e minaccioso sopra la mia testa.
Oh ti prego! La pioggia no!
Già il freddo penetrava abilmente nel tessuto dei miei vestiti e si rifugiava indisturbato dentro le mie ossa; Ci mancava solo il temporale che mi avrebbe assicurato un malanno.
Beh, e non era proprio consigliabile ammalarsi; Significava non poter andare a scuola, dover restare a casa, e volente o nolente sbrigare le faccende domestiche, sia del mio appartamento, sia di case altrui.
Sapevo che dovevo aiutare mia mamma nel mantenere noi 3, ma preferivo di gran lunga andare a scuola. Non avevo intenzione di ridurmi come lei a pulire le scale di lussuosi alberghi.
Non volevo osservare con occhi pieni di tristezza e rammarico la vita degli altri, le loro pellicce, i loro gioielli. I loro sorrisi.
Io volevo essere diversa.

Quel grande palazzo, dove mi recavo ogni mattina, che usualmente noi studenti chiamavamo prigione, per me rappresentava una piccola ancora di salvezza.
Non eccellevo, non avevo voti alti, ma cercavo instancabilmente di superare la media, nonostante i miei ripetuti scarsi risultati.
Hai troppe distrazioni, non riesci a sfruttare al meglio le tue capacità, lo capisci?
Questa era la frase ricorrente che i professori mi ripetevano alla consegna del compito in classe, alla fine dell’interrogazione, o prima di lasciare l’aula dopo il suono della campana per andare a casa.
Ma loro che ne potevano sapere?
I ragazzi, la musica, uscire il sabato sera, le amiche, i vestiti firmati.
Queste erano le svariate cose che, secondo loro, potevano distrarmi.
Oh, magari.
Quante volte avevo desiderato essere una delle mie compagne, veneratrici di Paris Hilton, dei pon pom e dello shopping.
Lo desideravo si, desideravo farmi abbracciare dalle spire della superficialità, delle raccomandazioni, dei soldi; Benché tante volte avevo, per orgoglio, disdegnato tutta la loro categoria.
Appunto perché si sa: è facile disprezzare ciò che non si può ottenere.
In ogni caso quello che volevo ottenere io, era la serenità.
E purtroppo, dovendo ad ogni costo cadere nel materiale, l’unica cosa che era in grado di darla, a me e alla mia famiglia, erano proprio quei fogliettini di carta.
Soldi, soldi, soldi.
Guardai stanca l’orologio: si era fatto tardi, non potevo continuare a perder tempo, girando a zonzo per la città.
Feci qualche metro, e nonostante l’orario mi fermai, come ogni giorno, davanti alla vetrina del negozio di musica.
Riusciva a darmi sollievo, prima di ritornare a casa.
Seguendo il rito, entrai.
Il familiare tintinnio dei campanellini, appoggiati sullo spigolo della porta a vetri, mi fece sorridere.
Anche il rumore delle foglie, sbattute qua e la dal vento, riusciva a mutare in una fresca melodia se lo ascoltavi appena entravi da Flaubert’s.
-salve signorina!- mi salutò l’anziano signore da dietro il bancone.
-Salve signor Flo, come sta?- chiesi avvicinandomi sorridente alla cassa.
-Non c’è male. Potrebbe andar meglio.- rispose con occhi tristi, girando lo sguardo.
Quel vecchietto mi aveva visto crescere, ascoltare i primi dischi, aiutarlo ad impilare i primi cd, imparare a leggere utilizzando i testi musicali.
Era il mio nonno personale, quello che cercava di viziarmi nonostante non aveva elevate possibilità economiche, quello che mi cullava quando piangevo e volevo scappare di casa.
Non aveva nessuno lui. Io.. beh, mia mamma non c’era mai, mia sorella, nonostante gli stessero stretti quei sei anni, data la sua spiccata maturità, non poteva essere considerata come qualcuno su cui contare.
Insomma:lui non aveva nessuno, proprio come me.
-Perché? Sta male? Li sta facendo i controlli annuali? Si chiama prevenzione, appunto per P R E V E N I R E! Non mi costringa a venire con lei!- dissi alterata, ricordandomi la sfuriata che gli ebbi fatto qualche mese prima dopo che avevo casualmente saputo, che non si faceva le analisi del sangue da due anni e mezzo.
-Oh, no no! Li ho fatti, ci mancherebbe. E’ il negozio!- confessò grave.
-Il negozio?- chiesi confusa.
-Oltre a te, che vieni ogni giorno per fare i compiti e ascoltare la musica nel frattempo, vedi qualcun altro che mette più piede qui?- domandò tristemente retorico.
Mi guardai attorno: il negozio era vuoto.
Magari era l’orario..
Si, ma ieri e avantieri?
Gli presi le mani tra le mie, come per rassicurarlo.
In quel preciso istante entrò una ragazza.
Una zingara.
Tiara, Zara, no! Lara..
Si, proprio quella che stava sempre vicino al portone di casa mia!
Non me ne curai più di tanto, perché le dovevo stare antipatica.
Io,le sorridevo sempre, ogni volta che passavo dal marciapiede, ma come per tutta risposta, il secondo dopo sputava a terra.
Credo fosse un modo per ripudiare il mio saluto.
Lasciai le mani del signor Flaubert, e iniziai a girare per il negozio, alla ricerca di un buon cd, in modo che quegli ultimi minuti prima di tornare a casa, li potessi passare ascoltando qualche nota, e ultimando nelle cabine d’ascolto del secondo piano del negozio, i compiti.
Salita velocemente al piano superiore, entrai nella prima cabina ed, inserito il cd nel lettore, premetti play.
Iniziai a sentire le prime note affluire nelle mie vene, e canticchiare piano quelle parole soffuse..

Days when you ask yourself..
if it is worth really the pain..


E anche gli esercizi di matematica, le soluzioni, riuscirono ad uscir fuori da quella mano che, impugnando una bic nera, scriveva velocemente x e y seguiti da tanti numeri incomprensibili.

and at the same instant
you already know the answ..


-Che palle- sussurrai, sbottando all’improvviso.
Tolsi le cuffie, e messa la canzone in pausa scesi le scale a chiocciola per tornare dall’ anziano proprietario e parlare un po’ dei nuovi cd in commercio.
Non ce la facevo proprio a studiare.
-Ei tu signorina!- sentì urlare -torna subito qui!- il signor Flò urlava e gesticolava furiosamente, mentre la zingara sbatteva la porta velocemente e scappava.
Collegai in pochi istanti tutto, e accorsi al bancone per avere conferma della mia ipotesi.
-Cosa è successo?- domandai, guardando il mio interlocutore tutto paonazzo in viso.
-Rubano! Capisci? Il negozio sta andando in malora...e rubano..- biascicava nervoso.
-Si calmi..- provai a dirgli.
-No! No guarda..ma ora io..- alzò la cornetta del telefono deciso –chiamo la polizia!- concluse.
-No!- urlai interrompendo la telefonata.
Il suo viso mi diceva che era pronto a ribattere, ma io lo anticipai.
-Tenga 10 euro. Bastano no?- frugai nello zaino alla ricerca del borsellino- Non so quello che ha preso ma..- gli porsi la banconota.
Allontanò il telefono da se, e mi guardò negli occhi.
-Mimi..so che tu non puoi permetterti di dar...-
-Poche storie signor Flò! Li prenda.- lo convinsi –sa che so io?- chiesi retoricamente.
-...-
-Che Lei non si può permettere in questo periodo furti. Faccia finta che abbia comprato qualcosa qui- suggerii, in modo da farlo sentire meno in colpa.
-Non avresti dovuto farlo, non la conosci neanche. Non avrei dovuto darti ascolto..- rimproverò ad alta voce.
-La smetta- gli misi dolcemente una mano sulla spalla –Ho fatto quello che sentivo fosse giusto. Quella ragazza ha la mia età- sorrisi malinconicamente.
-Come vuoi tu, Mì – si rassegnò. –Sono le 19.00, non dovresti andare a casa?- suggerì, guardando il grande orologio verde, attaccato alla parete.
-Cavolo! E’ vero! Sopra ho lasciato la canzone in pause, può per favore and..- avvisai.
-Si, non ti preoccupare! Vai!- ridacchiò.
-Allora- presi velocemente lo zaino – arrivederci signor Flò! A domani, E grazie di tutto! – mandai un veloce bacio, mentre aprivo la porta.
-Grazie a te! A domani!- Urlò per farsi sentire, ma io già avevo iniziato a correre, per evitare il previsto rimprovero di mia mamma.

Days in a labyrinth of flames
waiting only that you says:
"You are my way"


Sentivo che mi faceva male la milza, di quanto correvo, ma dovevo andare avanti, qualche minuto ancora e sarei stata a casa.
-Ok- inspirai a fondo appoggiandomi stancamente al portone di legno, con la consapevolezza e il sollievo di essere finalmente arrivata.
-Ei, grazie- sentì sussurrare.
Mi voltai spaventata.
Era Lara.
Nella corsa, non mi ero accorta che lei era proprio nel punto del marciapiede dove la vedevo ogni giorno. Non si era spostata.
-Scusa se non ti ho salutata, ma ero di corsa e...-mi avvicinai imbarazzata.
-Ma stai scherzando? Io non meriterei neanche un tuo cenno...- aveva le lacrime agli occhi.
-Perché dici così?- mi accovacciai accanto a lei.
-Sputare a terra ogni volta che tu mi saluti, non è un comportamento molto educato- ammise.
-Sai anch’io faccio così, ovviamente nella mia mente, quando qualcuno mi sorride o mi saluta- risi nervosamente- mi sembra tutto tanto falso e compassionevole- confessai.
La ragazza annuì.
-Grazie- ridisse. -hai pagato tu vero?- intuì.
-Si, ma come..-
-Avrei sentito le sirene della polizia..no?- spiegò con calma.
-Ah...hai ragione!- le sorrisi, rendendomi conto della mia domanda stupida.
-Senti, io non posso pagarti il..- iniziò con tono sommesso.
-Scherzi, non fa niente! L’importante è che non lo fai più!- l’interruppi convinta.
-No, perché io so...neanche tu stai molto..insomma...sei...- inciampò con le sue stesse parole imbarazzata.
Io le feci cenno di non preoccuparsi. Mentre riflettevo che, infondo, stavo facendo una delle mie prime sincere chiacchierate con una mia coetanea.
Una zingara.
Ma poco importava.

•••••••••••


*si nasconde
Prometto che il prossimo sarà mooooolto più lungo!
Spero di avervi incuriosito abbastanza. *-*
Voi fatemi sapere! U.U
  
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