Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: Jinny82    07/02/2016    3 recensioni
Due ragazzi si conoscono a Iwojima, diventando inseparabili anche quando la separazione sembra inevitabile
(come dire tutto e niente XD)
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Di nuovo alle prese con la sconda guerra mondiale vista dalla nippoparte (??), impantanandomi in luoghi e periodi che conosco poco (quel poco che mi ricordo dal liceo, ad esempio, e poi santo google, anche se non ho trovato quello che volevo sapere, qundi mi sono presa delle prepotenti licenze poetiche)

Ovviamente NON ho riletto, perchè sono pigra, ce l'ho sotto gli occhi da almeno due settimane e sono le 6 di mattina XD Errori, icongruenze, nomi sbagliati (gente che arriva in scivolata da altri fandom, potrebbe essere, ma non per effettivo errore di nome, quanto per errore di battitura, che già ho una mira ehm invidiabile, aggiungiamoci i ditini congelati ... una meraviglia), segnalateli, per favore (così vado a correggere in tutta pigrizia senza rileggere io XD)

Ho messo ooc perché come al solito non sono sicura per nulla, ed essendo una au è più che probabile che mi siano sfuggiti (in certi momenti io stessa ho avuto l'impressione che gli altri 3 compari siano stati mischiati nel mezzo, pur non essendoci XD Mah)



 Shin aveva pianto, quando aveva ricevuto la lettera di arruolamento. Aveva quasi sperato di scampare, in realtà. Magari la guerra sarebbe finita, si diceva mentre sentiva alla radio propaganda sulle vittorie giapponesi, magari gli sarebbe toccata solo la leva normale, due anni in una caserma da qualche parte e finita li, anche se il pensiero di lasciare sua madre sola per due anni lo faceva comunque stare male.
Quasi tutti i ragazzi che erano stati a scuola con lui, si erano arruolati volontariamente. Erano partiti pochi mesi prima, salutati dalle madri e dalle sorelle in festa, incoraggiati dagli anziani. Lui era rimasto indietro, insieme a sua madre e sua sorella, memori di quando, due anni prima, il marito di Sayoko era partito. Di lui erano tornati solo l’amuleto che la ragazza gli aveva dato, una foto ormai ingiallita di quando erano ancora fidanzati ed una lettera scritta la sera prima di “cadere eoricamente sul fronte”.
Sayoko si era uccisa pochi giorni dopo la partenza dei ragazzi, a due settimane dall’arrivo degli ultimi “resti” del marito. Shin l’aveva trovata con i polsi squarciati, le lacrime ancora a bagnarle il viso. Era riuscito ad evitare che la madre la vedesse, ma comunque il pianto che aveva scosso la donna appena aveva capito che la figlia se n’era andata, l’aveva portata ad avere un collasso, dovuto alla sua malattia cardiaca, e Shin aveva temuto di perdere pure lei.
E poi erano arrivate loro, le donne per la Patria. Tutte vestite uguali, con la loro brava fascia sul petto. Avevano consegnato la lettera per il sevizio di leva a Shin, congratulandosi con lui, iniziando a berciare sui preparativi per la sua partenza. Avrebbe potuto combattere per l’Impero, quale grandissimo onore ...
<< Non posso lasciare sola mia madre! >> aveva sibilato Shin. Stalle sempre accanto, gli aveva fatto promettere suo padre, anni prima, mentre la malattia, contratta in Cina durante l’occupazione, lo trascinava via.
<< Ma tua madre sarà fiera di te, ragazzo! Lo saremo tutti! >> tagliarono corto quelle. Uscirono, andando a comunicare a tutta la via la lieta novella. Il giorno dopo ci sarebbe stata la “festa” per la partenza ... Shin entrò in casa, andandosi ad inginocchiare davanti al tavolo basso, nella stanza dove, accanto al braciere, sua madre rammendava alcuni indumenti, ormai talmente usurati da sembrare trasparenti
<< E’ arrivata ... >> mormorò Shin. E si trovò a singhiozzare come un bambino, le braccia incrociate sul tavolo, la testa nascosta. Non avrebbe mai voluto crollare davanti a sua madre, ma ... Sentì la mano gentile di lei accarezzargli i capelli e le spalle. Poi un abbraccio, tanto stretto da risultare disperato. Shin si costrinse a calmarsi e si liberò, prendendo le mani alla madre e guardandola negli occhi. Quegli occhi così simili ai suoi.
<< Tornerò da te. >> promise. La donna gli sorrise, annuendo.
La mattina dopo, però, Shin si ritrovò completamente e totalmente solo. Sua madre non era in casa, quando si svegliò. La cercò ovunque, allertò i vicini. Poco prima che venissero per la “cerimonia” della partenza, gli portarono il corpo della madre. Shin si trovò circondato da persone che non riconosceva, che gli facevano le condoglianze. Ma lo consolavano dicendogli che sarebbe andato a servire l’Impero. Lui si limitò a rimanere inginocchiato accanto al corpo privo di vita di sua madre, tenendole una mano, guardando il fazzoletto che ora le copriva il viso, sentendosi completamente svuotato.
Ascoltò senza sentirli realmente i vicini, due anziani coniugi, dirgli che si sarebbero occupati loro dei funerali, ed indicò loro, senza davvero capire cosa stesse succedendo, il posto dove tenevano gli unici soldi. Che si prendessero pure tutto, lui non aveva un motivo per tornare, ora ... non più ... qualcuno aveva acceso la radio, ma quando iniziò a trasmettere un motivetto propagandistico, Shin ebbe una reazione inaspettata perfino per lui stesso. Si alzò di scatto, già con la divisa che, in fretta e furia, si erano premurati di fargli avere. Prese la radio, scaraventandola dall’altra parte della stanza, la spina strattonata con tanta foga da staccarsi dal cavo. Guardò l’oggetto, ora un ammasso indistinto di schegge, a terra, poi i pochi presenti, che avevano gli occhi sgranati. Lui, il ragazzo sempre gentile con tutti, capace di un’empatia fuori dal comune, sempre pronto ad aiutare e consolare, ora era un essere furioso. Tremava, per la rabbia ed il dolore. La guerra lui doveva ancora iniziarla, ma gli aveva già portato via tutto ciò a cui veramente teneva ... cadde in ginocchio, nascose il viso tra le braccia incrociate sul tatami e gridò tanto da sentire male alla gola. Poi si raggomitolò su un fianco guardando il cadavere di sua madre, vedendo solo lei. L’avevano trovata accanto al pozzo. Doveva essersi sentita male e non aveva avuto il tempo di chiedere aiuto. L’anziano medico disse che era probabilmente morta da qualche ora. Shin sentì tutto, ma non lo recepì se non in seguito.
Vennero a prenderlo. Nemmeno il tempo per il lutto gli lasciarono. I vicini si sarebbero occupati di tutto. Anche loro, le donne per la Patria, si sarebbero occupate delle faccende inerenti casa e funerale. Shin le guardò, senza vederle. Guardò il gruppetto sparuto di ragazzi. Un paio, lo sapeva bene, non avevano ancora l’età per essere arruolati. Ma se avevano ricevuto quella maledettissima lettera, evidentemente l’Impero aveva davvero bisogno di “uomini”.
Sarebbero stati addestrati sul luogo, gli dissero, mentre li caricavano su una nave. La destinazione era un posto che Shin non aveva mai sentito, Iwo Jima.
Non parlò con nessuno, durante il viaggio. Rimase seduto con le ginocchia strette al petto. Non aveva portato praticamente nulla. La sera prima la madre gli aveva dato una foto di loro quattro, quando ancora suo padre era vivo, ed ora lui la teneva stretta fra le mani.
Qualcuno tentò di parlare con lui, ma rinunciarono ben presto.
Quando arrivarono a Iwo Jima lo diressero in uno dei tunnel, dove stavano quelli che avrebbero iniziato l’addestramento la mattina successiva
<< Per ora riposatevi. Capito?! >> urlò un ufficiale, dopo averli fatti mettere in riga, sull’attenti. Dissero che siggnorsì avevano capito, e l’uomo uscì. Shin si lasciò cadere su quello che gli era stato indicato come suo giaciglio, e rimase di nuovo con lo sguardo perso nel vuoto
<< Riposatevi? Ma non ci danno da mangiare? >> borbottò una voce accanto a lui. Shin si girò appena, curioso, trovando un viso leggermente tondeggiante, due occhi sinceri ed un sorriso enorme. Shin fece un piccolo sorriso, in risposta, ma tornò subito a guardare nel vuoto
<< Io sono Shu, sono di Yokohama. >>
La voce del ragazzo lo riportò leggermente alla realtà. Shin si girò di nuovo a guardarlo, facendo un piccolo cenno col capo, in segno che aveva sentito. Fece per rispondere, ma la voce non gli uscì. Inspirò un paio di volte, poi finalmente riuscì a mettere insieme un saluto
<< Shin ... di Hagi ... >> borbottò. Non voleva essere sgarbato. Semplicemente si sentiva ... malissimo, si rese conto.
Aspettò in silenzio, lo sguardo fisso su un punto indefinito davanti a lui, che venisse qualcuno a dare loro qualcosa da fare ... Un ufficiale venne dopo qualche ora. Li guidò a prendere il rancio, spiegò brevemente come si sarebbe svolta la parte dell’addestramento, e spiegò che anche loro avrebbero dovuto contribuire attivamente agli scavi di tunnel e trincee.
La notte, Shin si trovò a rigirarsi, incapace di prendere sonno
<< Anche tu non riesci a dormire? >> chiese una voce nel buio, accanto a lui. Shin sospirò
<< Già ... >> mormorò << Non riesco a smettere di pensare a mia madre ... non mi hanno nemmeno lasciato il tempo di farle il funerale ... >> sospirò ancora
<< L’Impero prima di tutto. >> borbottò Shu. Shin fece una smorfia, sbuffando e girandosi su un fianco, nella direzione dove sapeva c’era il giaciglio di Shu, accanto al suo
<< Io nemmeno dovrei essere qui ... ma durante la guerra sinogiaponese ero uno sporco cinese. Adesso si sono ricordati che sono nato in Giappone, e quindi è mio dovere farmi ammazzare per l’Impero. >> borbottò << E non possiamo neanche lamentarci apertamente, rischiamo che ci ammazzino i nostri superiori ... e ho ancora fame. >>
<< Parli sempre così tanto? >> si informò Shin, divertito
<< In realtà no. Ma adesso sono nervoso. >> ridacchiò. Shin sorrise
<< Penso che lo siamo tutti .... >> mormorò.
Shu sospirò, intrecciando le mani dietro la nuca
<< Avrebbero dovuto darti almeno il tempo per il lutto ... >> mormorò. Shin si rannicchiò su un fianco
<< Temo adesso sarei un disertore o qualcosa di simile ... >> sospirò. Sentì una mano di Shu infilarsi sotto la coperta del suo giaciglio e, istintivamente, la strinse, quasi aggrappandovisi. Era un contatto ... strano. Ma in quel momento sentì di averne bisogno in maniera dolorosa. Intrecciò le dita con quelle dell’altro giovane, in silenzio, lasciando che quello gli accarezzasse la pelle con il pollice. Si addormentarono con ancora le dita intrecciate tra di loro.
 
Nei giorni seguenti furono sempre insieme, durante ogni lavoro, compreso svuotare il secchio che, durante la notte, veniva usato per espletare i propri bisogni.
Si trovarono a parlare della vita prima della guerra, della scuola, dei compagni. Shu aveva addirittura avuto una ragazza
<< Ma non ha funzionato ... mi ha lasciato dopo pochi giorni ... >> spiegò, ridacchiando e grattandosi la nuca, con quel suo fare imbarazzato che Shin aveva imparato a conoscere e che lo faceva immancabilmente sorridere.
Marciavano tutti i giorni, per l’addestramento. E scavavano. Tunnel, e tunnel, ed altri tunnel. A Shin non piaceva per niente rimanere sotto terra, tanto che più di una volta aveva dovuto fermarsi per tentare di regolarizzare il respiro e non fuggire urlando, cosa che gli era valsa l’immancabile bastonata immediata da parte del superiore di turno
<< Ormai sono talmente pieno di lividi da risultare inutile. >> borbottò una sera cercando una posizione sul giaciglio che non gli provocasse dolore da qualche parte
<< Non siamo talpe. >> continuò
<< A me non da fastidio stare qui sotto ... non ci arrivano le bombe, quantomeno ... >> mormorò Shu. Shin si girò a guardarlo, e trovò sul viso dell’altro un’espressione tremendamente seria
<< Shu ...? >>
Quello fece una smorfia, poi allungò una mano, intrecciando le dita a quelle di Shin in ciò che nell’ultimo periodo era diventato ormai un gesto abituale. Shin strinse leggermente la presa. Sentivano gli aerei, all’esterno, ci sarebbe stato un raid, probabilmente ...
<< Non credo di poter reggere se perdessi qualcun altro ... >> mormorò Shu. Shin sgranò gli occhi
<< Che ... >>
<< Tutta la mia famiglia è morta in un raid notturno ... stavamo dormendo quando è suonato l’allarme, solo io e mio padre abbiamo fatto in tempo ad uscire prima che la casa, che aveva preso fuoco, crollasse. Mia madre, le mie due sorelline e i miei due fratellini sono rimasti intrappolati dentro. Mio padre ... >> la voce gli si incrinò e strinse la presa
<< Lui è stato centrato da uno di quei maledetti affari incendiari che ci sono nelle bombe ... mi ha spinto in acqua, ma lui ... >> smise di parlare, raggomitolandosi e posando la fronte sulle loro mani allacciate. Shin allungò la mano libera, iniziando ad accarezzargli i capelli. Shu sospirò, poi alzò il viso, sorridendo leggermente
<< Grazie ... >> mormorò. Poi sbadigliò, stiracchiandosi, e chiuse gli occhi. Shin continuò ad accarezzargli i capelli, inconsciamente, fino ad addormentarsi.
Essere sempre loro due era diventata ormai un’abitudine, ma alla fine dell’addestramento vennero affidati a due sezioni differenti, dislocate in posti differenti nel labirinto di cunicoli che avevano scavato e stavano ancora scavando. Nonostante questo, trovavano sempre il modo per ritagliarsi il “loro” tempo, anche sfuggendo agli sguardi dei superiori o contravvenendo agli ordini. Erano troppo pochi, aveva fatto notare un giorno Shu
<< Di sicuro non ci ammazzeranno. Mal che vada ci prendiamo un giro di bastonate, sai che novità ... >>
Shin aveva riso, a quelle parole,e  Shu gli aveva preso la mano. Si erano allontanati da tutti, come ormai loro solito, e sedevano, protetti alla vista sia da chi stesse sull’isola sia da chi venisse dal mare, in una piccola sporgenza della parete rocciosa, che si poteva raggiungere abbastanza agilmente nonostante la semi invisibilità, e guardavano il pezzettino di spiaggia che riuscivano a vedere. Ad un tratto, Shu sospirò
<< Posso ... chiederti una cosa? >> domandò, stringendo appena la presa sulla mano dell’altro. Shin si girò ad osservarne il profilo leggermente corrucciato. Era dimagrito, mentre erano li. Quando si erano conosciuti, il viso di Shu aveva una rotondità che parlava di pasti abbondanti e salute, ma ora iniziava ad essere scavato, ed anche il colorito non era più roseo come un tempo. Però lo sguardo, quello sguardo che era capace di rassicurare Shin sempre, nemmeno lui sapeva come, era rimasto invariato. Deciso e profondo.
<< Dimmi. >> mormorò, sentendo il cuore accelerarli in petto, senza capirne la ragione. Shu si morse le labbra, poi arrossì di botto, inspirò profondamente e si girò a guardarlo
<< Come reagiresti se ... se io ... >> sospirò ancora, e la mano in quella di Shin tremò leggermente
<< ... se provassi a baciarti ... come reagiresti? >> riuscì a balbettare. Shin lo osservò per un momento, spiazzato dalla domanda. Perchè avrebbe dovuto provare a baciarlo? Non era una ragazza ... anche se ... non gli sarebbe dispiaciuto proprio per nulla, lo pensava da un po’ , seppure in forma inconscia. Intrecciò le dita a quelle di Shu, stringendo la presa, guardandolo negli occhi. Poi annuì, semplicemente, avvicinandosi impercettibilmente. Si viveva una volta sola, e loro probabilmente non ne avrebbero avuto ancora per molto, non era il momento per mettere a tacere il cuore, che ormai martellava direttamente nelle orecchie. Shu si chinò e posò le labbra su quelle di Shin, in un gesto un po’ goffo, ma di una dolcezza disarmante. Shin portò la mano libera dietro la nuca di Shu, ricambiando quel leggero tocco delle labbra più e più volte, schiudendo poi le labbra, leccando leggermente quelle di Shu, che sospirò, schiudendole a sua volta, lasciando che le loro lingue si sfiorassero e poi iniziassero la loro danza. Lentamente, però. In quel momento tutto quello di cui avevano bisogno era dolcezza, e calore. E si, quel sentimento che, ancora piccolo, riscaldava i loro cuori quando pensavano l’uno all’altro o quand’erano vicini ... Si staccarono per potersi guardare negli occhi. Shu ridacchiò e gli asciugò una lacrima
<< Stai piangendo anche tu! >> si imbronciò leggermente Shin. Shu annuì, ridacchiando di nuovo e Shin lo abbracciò stretto, sentendolo tremare, affondandogli una mano nei capelli, e Shu gli si aggrappò, sospirando più volte, calmandosi e scostandosi leggermente, solo per poter essere lui ad abbracciare Shin che, con un sorriso ancora umido di lacrime, gli si rannicchiò tra le braccia
<< Adesso ho davvero paura, sai? >> mormorò dopo un po’, rannicchiandosi meglio tra le braccia di Shu
<< Quando sono partito, con mia madre morta quella stessa mattina, pensavo di non avere più nulla da perdere. Lo pensavo davvero, e allora anche morire ... non mi sarebbe importato. Ma adesso ... non che mi importi effettivamente di morire io, ma ... ho di nuovo qualcosa da perdere, e questo mi spaventa a morte ... >> sentì le lacrime lottare per uscire di nuovo e si aggrappò alla casacca di Shu. Quello gli affondò il viso nei capelli, accarezzandogli la schiena in gesti lenti e rassicuranti.
<< Ho paura anch’io. E non dire che non ti importa di morire, perché non reggerei ... Non reggerei davvero ... >> mormorò Shu, con la voce che gli tremava, stringendolo forte a sé
<< Vorrei poterti promettere di non morire, ma cos’altro ci hanno mandati a fare qui? E’ fin troppo chiaro come andrà ... >> sospirò Shin. Shu si staccò di colpo, tenendolo però per le spalle, guardandolo dritto negli occhi. Dalle spalle, le mani passarono al viso di Shin, accarezzandolo, asciugandogli le lacrime. Shin sospirò, prendendo una mano all’altro ragazzo, tenendo il palmo contro la propria guancia, chiudendo gli occhi e calmandosi a quel contatto. Shu lo baciò ancora, molte volte, con dolcezza e tenerezza infinite. Rimasero abbracciati a guardare il loro pezzettino di mare fino all’ora del rancio serale, momento in cui vennero ovviamente puniti per aver ignorato gli ordini, evitando i propri compiti. Ma a loro due, in quel momento, non importava. Avevano l’un l’atro, non era più solo un pensiero inconscio. Ora lo sapevano.
     
Le portaerei americane si erano avvicinate, i raid avvenivano più spesso, e sempre più spesso piloti partivano per non fare ritorno. Shu vedeva Shin diventare più pallido ed apatico ogni minuto, e la cosa non gli piaceva per nulla.
Poi arrivarono. Gli americani. Solo pochi, chiaramente per togliere di mezzo mine ed altri impedimenti. E loro avevano sparato. Shin era alla mitraglia accanto alla sua, quel giorno, e ad ogni soldato che cadeva, piangeva. Shu chiese un cambio per entrambi e lo prese da parte, trascinandolo in un luogo appartato, un cunicolo in disuso dove non sarebbero andati a disturbarli, facendolo sedere e stringendolo a sé, lasciandolo sfogare
<< Non ce la faccio ... >> mormorò quello, raggomitolandosi su sé stesso. Shu lo strinse quasi cullandolo, lasciando che anche le proprie lacrime scendessero
<< Io vedo solo persone ... >> mormorò ad un tratto. Shin gli si strinse più contro
<< Non nemici, persone, e ... beh, è terribile ... >> continuò Shu. Shin alzò il viso e lo baciò, con irruenza. Era terrorizzato, era sconvolto, e voleva assicurarsi che lui fosse li.
<< Voglio solo essere sicuro che non ti abbia colpito ... >> singhiozzò. Shu allora ricambiò quei baci stranamente passionali, con urgenza, come se senza non potesse respirare.
Mentre altri morivano, loro si accarezzavano in maniera sempre più frenetica. Le urla dei feriti venivano coperte dai loro sospiri. La paura di perdere l’altro si acuì mentre si fondevano in un’unica cosa e quando, stremati e fisicamente appagati, si strinsero l’uno all’altro, entrambi sapevano che non avrebbero potuto rinunciare a loro due. Shin sospirò, accarezzando la schiena di di Shu
<< Se ci trovassero adesso ... >> mormorò, per poi ridacchiare, arrossendo violentemente all’idea che qualcuno li vedesse nudi e abbracciati, raggomitolati in un cunicolo. Shu mugolò leggermente, baciandogli una spalla e Shin ridacchiò di nuovo
<< Sei la creatura più adorabile dell’universo, lo sai? >> mormorò. Shu sussultò ed alzò il viso, sgranando gli occhi ed arrossendo violentemente
<< Eh? Io... eh? >>
<< Appunto ... >> sospirò Shin, con un sorriso dolcissimo. Shu si chiese se quello fosse lo stesso Shin che, fino ad un secondo prima di concederglisi, piangeva disperato ... gli accarezzò il viso, sospirando, e Shin gli prese la mano, baciandogli il palmo. Si rivestirono in silenzio, strappandosi controvoglia al calore reciproco, e tornarono alle postazioni. Shu sentì il soldato che aveva dato il cambio a Shin chiedergli se si sentisse bene, ma Shin non rispose, limitandosi a riprendere il proprio posto.
 
Dopo quell’incursione, ripresero i bombardamenti. Loro rimanevano rintanati nelle grotte e nei cunicoli, dove potevano evitare la pioggia continua di bombe. Shu si trovò sempre più spesso a sussultare. Odiava i bombardamenti, non riusciva a fare a meno di ripensare alla morte della sua famiglia. Per fortuna, essendo impossibilitati a fare molto, durante i bombardamenti poteva passare il tempo con Shin. Per lo più rimanevano abbracciati, parlando a bassa voce della loro vita prima della guerra, di come sarebbe stato bello che la guerra non ci fosse mai stata. Spesso si trovavano a chiedersi cosa ci sarebbe stato dopo, ma il silenzio che seguiva quelle domande era fin troppo eloquente.
<< Beh ... se morissimo tutti due, non lascremmo nessuno a piangere per noi ... >> sospirò Shin una notte, mentre il cunicolo dov’erano rifugiati tremava ad ogni esplosione. Shu lo strinse a sé, sospirando
<< Non mi piace questo tipo di discorso ... >> mormorò. Shin si staccò, baciandolo dolcemente, e fu lui ad abbracciarlo. Sapeva quanto i bombardamenti lo rendessero nervoso. Infatti, Shu si rannicchiò più che poteva, serrando gli occhi per un momento, mentre un’altra esplosione faceva tremare tutto. Si nascosero nell’ombra, sentendo dei passi, e sentirono due ufficiali parlare in fretta, a bassa volce. Capirono solo che i radar si comportavano in maniera strana, ma i due si allontanarono troppo in fretta per poter carpire altro. Si scambiarono un lungo sguardo, sentendo l’inquietudine farsi strada dentro di loro. Shin strinse un po’ più forte Shu, istintivamente, affondandogli il viso nei capelli. Si scostarono, iniziando a baciarsi, Fu un gesto quasi istintivo, un bisogno di dolcezza, una necessità l’uno dell’altro, che non avrebbero potuto controllare. Si amarono, nascosti nel cunicolo come la prima volta, ma in maniera completamente diversa. Si amarono fino all’ultimo sospiro, fino all’ultimo gemito trattenuto a malapena, fino all’ultimo richiamo sussurrato, donando tutto sé stesso al proprio amore, prendendo da lui tutto quello che aveva da offrire, consapevoli che quel momento avrebbe potuto essere il loro ultimo.
Piansero, insieme, senza capirne bene il motivo. Rimasero abbracciati fino a quando le bombe smisero di cadere. Solo allora si rivestirono, ma senza riuscire a staccarsi.
Fu Shu il primo ad alzarsi, guardando un punto indefinito davanti a lui, allungando poi la mano verso Shin, che la strinse, facendosi aiutare ad alzarsi a sua volta.
Si guardarono negli occhi, si diedero un ultimo piccolo bacio, poi si separarono, tornando alle rispettive mansioni.
Fu la mattina dopo, che iniziarono ad arrivare messaggi inerenti uno sbarco, facendo loro capire a cosa si riferisse il frammento di conversazione che avevano sentito la sera precedente. Shu e Shin si trovarono di nuovo fianco a fianco alle mitragliatrici, e Shu si trovò a trattenere il fiato. Da dov’erano si vedeva una parte della spiaggia, e la parte di mare nella visuale era completamente occupato da navi americane.
<< E’ la fine ... >> mormorò un altro soldato che era assieme a loro. Shu si girò verso Shin, che allungò una mano ad intrecciare le dita con le sue. Non gli importava che li vedessero, a entrambi serviva quel contatto più di ogni altra cosa. Dovettero però staccarsi ben presto, sparando ai soldati. Shu si trovò a scollegare il cervello da quello che vedeva. Sentiva i singhiozzi di Shin, accanto a lui, sentiva gli ordini di continuare a sparare. Vide i carriarmati, ma continuò a sparare. Poi, in un istante, tutto cambiò. Ci fu un’esplosione molto, troppo vicina. Shu si sentì sollevare. Quando sbattè contro la parete rocciosa dietro di lui, aveva già perso conoscenza, anche se un ultimo eco dell’urlo disperato di Shin risuonava ancora in un angolo della sua coscienza ...
 
Shin tentò di rialzarsi, ma la gamba sinistra doveva essere fratturata, perchè non lo resse, mandandogli invece una forte fitta e facendolo franare di nuovo a terra, reprimendo un grido. Gli doleva il ventre, ma non aveva il coraggio di guardare cosa effettivamente stesse premendo spasmodicamente con la mano destra. Una voce dentro di lui gli diceva di non togliere la mano. Solo quando avesse trovato Shu avrebbe potuto concedersi il lusso di guardare e sentirsi male, non prima.
Il carro armato e i soldati americani erano passati avanti, ad un’altra zona di quelle prime fortificazioni nel monte. Quindi Shin riuscì a trascinarsi indisturbato fino alla sagoma indistinta di Shu. I due soldati che erano con loro, addetti al cambio delle mnizioni, erano morti, quindi quando raggiunse Shu, era terrorizzato. Ma l’altro respirava ancora. Aveva battuto la testa ed aveva delle escoriazioni. Doveva avere il braccio sinistro, dove aveva sbattuto contro la parete rocciosa, spezzato, dalla posizione innaturale in cui lo teneva. Gli si avvicinò, accarezzandogli il viso, ma Shu rimase privo di sensi. Shin gli si rannicchiò accanto, incapace di muoversi oltre. Gli sfuggì un gemito di dolore, mentre una fitta improvvisa al ventre gli fece perdere i sensi.
Si risvegliò in un posto che non riconobbe ed un uomo decisamente occidentale si chinò su di lui, controllando qualcosa, scrivendo qualcos’altro. Gli parlò, ma Shin non capì la lingua. Un altro uomo comparve nella sua visuale, e questa volta aveva i lineamenti da orientale
<< Sei prigioniero delle forze armate degli Stati Uniti d’America. >> gli annunciò. Shin lo guardò, confuso, dolorante, spaventato ... strinse leggermente le mani, spostando lo sguardo sul soffutto che riusciva a vedere
<< Dove siamo? ... >> riuscì a chiedere, con un filo di voce. Si portò una mano al ventre, sentendo le fasciature, e sussultando al contatto. D’accordo, faceva male ...
<< Se ti arrendi, non ci saranno conseguenze e, al termine della guerra, verrai rimandato in Giappone ... >>
Shin alzò le sopracciglia
<< La guerra ... finirà? >> chiese, con un filo di voce, sentendo le lacrime scorrergli lungo il viso << Non dovrò uccidere altre persone? >>
Il giapponese lo guardò, poi parlò brevemente col medico, che rispose sorridendo
<< Ha detto che sei il secondo che parla di “persone” e non di nemici ... e l’altro ... vi abbiamo trovati svenuti ed abbracciati ... >>
Shin si morse le labbra, poi seguì il gesto del medico e girò il viso verso la branda accanto alla sua. Shu gli fece un sorriso impacciato. Aveva la testa e un braccio fasciati, ma per il resto sembrava star bene ...
<< Shu ... >> mormorò, allungando una mano. L’altro continuò a guardarlo, confuso
<< E’ ... il mio nome? ... >> chiese. Shin si sentì andare in pezzi, ma si costrinse ad annuire, per poi girare in fretta il viso, tornando a posare la mano sul lenzuolo, stringendolo leggermente
<< Comunque mi arrendo ... >> mormorò, cercando di tenere il tono fermo. Il medico lo visitò, poi gli fece bere qualcosa
<< Ti aiuterà a dormire. >> disse l’interprete, ed i due si allontanarono.
<< Non ricordo niente, sai? >> mormorò Shu. Shin si asciugò gli occhi e si girò a guardarlo
<< Ho aperto gli occhi ed ero qui. Parlo giapponese, quindi deduco di essere giapponese, ma il primo giorno ho risposto in cinese ... so che è cinese, ma non ricordo perchè lo sappia ... e nel nero totale fino a quando ho aperto gli occhi c’è solo una cosa, precedente: una voce che urla un nome. Shu, appunto ... ma non sapevo di essere io ... e ... >> Shu girò il viso, che aveva tenuto puntato verso il soffitto tutto il tempo in cui aveva parlato
<< ... non sapevo fosse la tua voce ... >>
Shin si asciugò gli occhi, facendo un debole sorriso
<< Felice di conoscerti di nuovo, Shu. Io sono Shin. >> riuscì a mormorare, prima di addormentarsi.
Nei giorni seguenti scoprì di essere rimasto svenuto una settimana, di essere in un ospedale americano su una portaerei, di aver subito tre interventi all’addome e uno alla gamba, e di non poter mangiare normalmente per via delle ferite al ventre. Tutto quello che gli somministravano era attraverso un ago in un braccio. Il suo apparato digerente non poteva essere usato per qualche giorno, gli avevano detto. Ancora qualche giorno, ed iniziarono a portargli poco cibo leggero, ma anche quello lo portava ad avere dolori molto forti durante la digestione, tanto che più di una volta si era trovato a premersi il cuscino sul viso per soffocare le grida. Shu, che aveva il permesso per alzarsi, si sedeva allora sul suo letto, accarezzandogli i capelli, calmandolo. Dopo un episodio particolarmente doloroso, una sera, tornarono a nurirlo per via endovenosa. Si sentiva debole, stordito, e il fatto che Shu, pur essendosi subito attaccato a lui, non lo ricordasse, lo destabilizzava completamente. Non aveva più la sua ancora ...
Shu, dal canto suo, si lamentava di poter fare poco, con il braccio ingessato, si lamentava della scarsità del cibo, si lamentava della noia, ma tutto in maniera tale da far ridere Shin. Anche se non lo ricordava. Poi però, di botto, si incupiva, si chiudeva in sé stesso, e tendenzialmente finiva per raggomitolarsi sl fianco sinistro,  piangendo in silenzio. Shin lo vedeva e tutto quello che poteva fare era allungare una mano ed accarezzargli i capelli, quando invece avrebbe voluto stringerlo a sé e dirgli che sarebbe andato tutto bene, perché erano vivi entrambi, ed era quello che contava ...
E poi un giorno, chiacchierando di cose assolutamente inutili, Shu citò un aneddoto inerente una delle sue sorelline. Si fermò mentre parlava e si girò verso Shin
<< Avevo una sorellina? >> chiese, tendendo istintivamente la sinistra. Shin glie la strinse, sconvolto per il fatto che, per qanto non ricordasse, aveva usato il passato
<< Da quanto mi avevi detto, erano due ... e due fratellini ... >> mormorò. Shu gli si aggrappò alla mano e Shin tornò a guardarlo
<< Sono morti, vero? ... >> chiese, con un filo di voce
<< Mi dispiace ... >> mormorò Shin. Shu gli lasciò la mano, annuendo appena, e si tirò le coltri fin sopra il viso. Non parlò più per giorni, poi settimane. Le fratture erano guarite, e Shin stava imparando a camminare di nuovo, nonostante ancora le ferite al ventre gli dessero fastidio. Non c’erano più stampelle disponibili, quindi si era dovuto arrangiare ad appoggiarsi al letto, quando, ancora ingessato, gli avevano detto di iniziare a camminare un po’ ogni giorno. E Shu continuava a non parlare.
Un giorno, Shin gli si sedette sul letto, scoprendogli il viso, e Shu gli rivolse un mezzo sorriso
<< Hai intenzione di non parlarmi più? O ti sei dimenticato anche il giapponese? >> chiese, andando istintivamente a stuzzicargli una guancia con l’indice, come faceva ... quello che sembrava un secolo prima. Shu sospirò e si scostò da quel contatto
<< Ho paura di ricordare. >> borbottò, tirandosi di nuovo la coperta sul viso. Shin rimase bloccato dov’era, incapace di frenare le lacrime o di fermare il tremito che aveva iniziato a scuoterlo violentemente. Si portò le mani alla bocca, cercando di frenare i singhiozzi, riuscendo solo a soffocarli. Shu uscì dal suo nascondiglio e gli posò una mano sulla spalla, in un gesto tanto impersonale da peggiorare la sua crisi. Fu lui a scostarsi, questa volta, andando a sdraiarsi, dando le spalle all’altro ragazzo.
<< Scusa ... >> arrivò il mormorio di Shu. Un tono di voce che parlava chiaramente: non aveva idea di cosa fosse effettivamente appena successo ... non si ricordava di loro due ... Shin premette il viso nel cuscino, e pianse fino ad addormentarsi.
 
La guerra finì. Il Giappone firmò la resa incondizionata. Shin e Shu vennero riportati in Giappone, dove ad attenderli c’era solo disprezzo: si erano arresi invece di morire per la patria.
<< Se non fossi dovuto partire, probabilmente mia madre sarebbe ancora viva. >> si trovò a borbottare Shin, mentre guardava quella che era stata casa sua, ora probabilmente abitata da qualcun altro.
<< E’ qui da dove vieni? >> gli chiese allora Shu. Shin annuì. Poi si girò a guardarlo
<< Tu invece arrivi da Yokohama ... >> gli disse << E a dirla tutta non avresti nemmeno dovuto esserci, a fare la guerra per l’Impero. I tui genitori erano cinesi, mi hai detto. Ma nel momento in cui servivano uomini, l’Impero si è ricordato che sei nato su territorio giapponese ... >>
Shu lo guardò, piegando leggermente la testa di lato
<< Quindi abbiamo fatto bene ad arrenderci. >> mormorò, accigliandosi. Shin scrollò le spalle ed andò, deciso, a bussare alla porta della casa dov’era cresciuto, Shu un passo dietro di lui, pronto a sostenerlo. Anche se aveva dimenticato il proprio passato, nel presente erano di nuovo quantomeno molto amici ...
La porta si aprì ed il viso di un’anziana donna fece capolino. Shin riconobbe una delle vicine, quella che aveva detto che si sarebbero occupati del funerale ...
<< Non sei un fantasma, vero? Sei davvero il piccolo Shin? >> chiese. Shin annuì appena e lei, sorridendo, lo abbracciò. Shin si sentì improvvisamente scaldare il cuore, e si trovò a piangere, ricambiando l’abbraccio della donna, che gli diede piccole pacche sulla schiena, come si usava con i bambini molto piccoli.
<< Ho tenuto pulito, per quanto mi riesca ... i reumatismi non mi danno tregua ... e porto le offerte tutti i giorni ... >>
Shin si staccò ed entrò in casa, correndo, cadendo in ginocchio davanti all’altare. Accanto alla tavoletta per suo padre, quella di suo cognato e quella di sua sorella, ora vi era anche quella di sua madre. Le offerte erano, seppure misere vista la quasi assenza di cibo, al loro posto. Si girò verso la vicina, che nel frattempo l’aveva seguito
<< Grazie ... >> singhiozzò. La donna gli accarezzò il capo
<< Bene, adesso che sei tornato, dovrò preoccuparmi di pulire solo casa mia ... >>
<< E del fatto che mi sono arreso ...? >>
<< Lasciali parlare. Si renderanno conto presto di quanto fosse mancata la presenza di qualcuno di giovane qui. >>
Shin sorrise, asciugandosi il viso, e la donna si congedò. Shu, invece, entrò nella stanza. In silenzio si avvicinò all’altare, suonò la piccola campanella, accese un bastoncino di incenso e giunse le mani. Shin lo osservò, sentendosi di nuovo invadere il petto di gratitudine. Accese anche lui l’incenso per la propria famiglia. Ed un po’ anche per la famiglia di Shu ...
<< Io voglio ricordarmi di te. >> mormorò ad un tratto Shu, sedendosi in una posizione più comoda. Shin si girò di nuovo verso di lui, sentendosi confuso
<< Non mi importa se non ricorderò altro della mia famiglia se non quella cosa di mia sorella che salta nella pozzanghera. Voglio ricordarmi di te, però. Perché ... ad ogni mio gesto, vedo che soffri, davvero tanto. Qualsiasi cosa io faccia ti fa sentire la mancanza di qualcos’altro, lo vedo, e questa mancanza ti ferisce. E vederti soffrire così ... non so perché, ma mi fa male. Davvero tanto. Sento che da qualche parte dentro di me qualcosa ha promesso di proteggerti, ma non ci riesco ... >>
Shin incrociò le braccia sul tatami, sentendo quelle parole, lasciandosi andare ad un pianto dirotto. Quando si calmò, aveva la tasta posata sulle gambe di Shu, una mano dell’altro ad accarezzargli i capelli. Shin sospirò, lasciando che Shu gli asciugasse il viso.
<< Mi va bene anche solo così, Shu ... mi basta ... mi basta che ... >> si portò una mano alla bocca. Cosa stava per dire? Shu era già fragile, in quel periodo, non voleva sconvolgerlo ...
<< Cosa ti basta, Shin? ... >> chiese Shu, continuando ad accarezzargli il viso ed i capelli. Shin inspirò a fondo, poi fece un debole sorriso
<< Questo. Averti accanto. >> mormorò. Shu sospirò, a quelle parole, fermandosi con una mano sulla sua guancia
<< Eh già, devo proprio ricordarmi, di te. >> borbottò, chiaramente a conclusione di un pensiero che non aveva espresso. Shin sospirò e posò la mano su quella di Shu, ancora posata sulla sua guancia. Sempre tenendogli la mano si alzò a sedere e, prima di mettersi a pensare, si sporse verso il suo viso, dandogli un piccolo bacio a fior di labbra. Shu non si scostò, ma lo sguardo che gli rivolse era confuso. Shin sospirò, alzandosi in piedi. Poi si girò, sorridendo
<< Ti porto nel mio posto preferito! >> disse. Shu annuì e si alzò, seguendolo fuori dall’abitazione. Intrecciò le dita a quelle di Shin, in un gesto istintivo, e lo seguì, mentre quello, quasi correndo, lo trascinava per le strade. E ad un tratto, il mare si aprì davanti a loro, sotto un cielo di una limpidezza tale da sembrare finta. Un pezzetto di spiaggia quasi nascosto, dove le onde si infrangevano creando piccoli spruzzi. Shin corse verso l’acqua, togliendosi le scarpe e le calze, rimanendo ben presto solo con la biancheria, lanciandosi tra le onde. Shu si sedette sulla sabbia, osservandolo nuotare, come ipntotizzato. Dopo un po’, Shin uscì dall’acqua, tirandosi indietro i capelli bagnati, sedendoglisi accanto, e Shu lo guardò
<< Quando nuoti sei particolarmente bello ... >> si trovò a mormorare. Shin sgranò gli occhi, arrossendo violentemente, e si girò a guardarlo. Shu continuò, anche se imbarazzato, perchè aveva paura che se non avesse detto in quel momento quello che stava pensando avrebbe perso un altro pezzetto della propria memoria, di quella nuova, che stava costruendo con tanta fatica
<< In realtà ti trovo bello sempre, ma ... è la prima volta che ti vedo nuotare e ... penso tu possa essere un qualche spirito del mare ... >>
Shin abbassò il viso, passandosi le mani sulle guance arrossate, poi si girò di scatto
<< Come sai che è la prima volta? >> chiese. Shu ci pensò, poi scrollò le spalle
<< Lo so e basta. Il come mi sfugge ... ma sentivo di dovertelo dire. >>
Shin sospirò, lasciandosi cadere indietro, sdraiandosi a braccia allargate sulla sabbia, trasformando il sospiro in uno sbuffo quando la schiena colpì la sabbia. La mano di Shu andò a stringere la sua
<< Anche questo so che devo farlo. E’ come un istinto ... >> confessò. Shin si concedette di sorridere a quelle parole, stringendo la mano di Shu, crogiolandosi al calore di quella piccolissima fiammella di speranza.
 
Fu quando un gruppo di bambini li prese di mira mentre tornavano dal pozzo, chiamandoli traditori perchè si erano arresi, che Shu ebbe il suo primo scontro con i propri ricordi. Istntivamente prese per un orecchio il bambino più vicino, ingiungendogli di scusarsi con Shin, che teneva il viso basso. Il bambino, forse per paura di peggiorare la situazione, si scusò e fuggì via
<< Ci sai fare ... >> ridacchiò Shin
<< Beh, con quattro fratelli più piccoli è normale ... la pià grandina era anche tranquilla, ma gli altri tre ... avrei voluto che li conoscessi ... quelle pesti ... gli saresti piaciuto, sai? >>
Shin lasciò cadere il secchio a terra, spalancando gli occhi, e Shu si girò a guardarlo, preoccupato per la reazione
<< Ti ricordi i tuoi fratelli ... >> mormorò. Shu sbatté le palpebre qualche volta, poi si grattò la nuca, evidentemente in imbarazzo
<< Oh ... pare proprio di si ... >> borbottò, ridacchiando. Shin raccolse il secchio, che per chissà quale colpo di fortuna era rimasto in piedi schizzando solo un po’ d’acqua, e si avviò verso casa, trascinandosi appresso uno Shu improvvisamente silenzioso. Posarono i secchi in cucina e Shu crollò in ginocchio, portandosi le mani alla bocca
<< Ricordo anche quando sono morti ... >> mormorò << E mia madre con loro ... e mio padre poco dopo ... >> iniziò a tremare forte. Shin lo fece alzare, facendolo entrare in casa, portandolo nella stanza dove di solito dormiva e stendendo il futon, quasi prevedendo il crollo che avvenne un istante dopo. Shu scoppiò in singhiozzi incontrollati, aggrappandosi a Shin, tremando e sussultando, gridando, disperato, e Shin lo tenne stretto, aspettando che il peggio passasse, rimanendo con li, accarezzandogli i capelli e la schiena. Shu si calmò e Shin lo aiutò a sdraiarsi, stendendogli un lenzuolo sopra,a nche se faceva caldo. Si alzò, con l’intenzione di andare a preparare qualcosa, ma Shu lo fermò, tirandolo per la manica della camicia che indossava
<< Rimani qui, per favore? >> chiese. Shin si sedette accanto al futon, ma Shu scosse la testa. Si spostò, scostando leggermente il lenzuolo, facendo segno a Shin di sdraiarglisi accanto. Shin sospirò e si infilò a sua volta nel futon. Shu, allora, gli si rannicchiò contro, addormentandosi quasi subito.
 
Ogni giorno Shu ricordava qualcosa. I bombardamenti, il fatto di non avere più una casa dove tornare, la lettera. Shin quasi non ci fece caso quando Shu iniziò a parlare di Iwojima. Finalmente quello che Shu stava dicendo, raggiunse la sua mente, occupata a pensare alla zuppa di miso di cui si stava occupando. Posò il coltello con cui stava tagliando il daikon striminzito che era riuscito a prendere al mercato nero e si girò a guardare Shu, che improvvisamente si era zittito. Lo trovò in piedi, tanto vicino da farlo sussultare
<< Scusa ... >> mormorò Shu. Shin alzò le sopracciglia, senza capire. Shu gli prese le mani, portandosele al viso, baciandogli i palmi, attirandolo a sé
<< Scusa ... >> ripeté ancora, con la voce che gli tremava
<< Scusa ... >> singhiozzò, iniziando a baciargli il viso. Shin gli si aggrappò, sopraffatto da troppe emozioni per poter dire alcunché. Ricambiò i baci che Shu ora stava concentrando sulle labbra, gli si aggrappò più forte, gli asciugò le lacrime
<< Sono tornato ... >> sorrise allosa Shu. Shin non riuscì a fare a meno di ridere e piangere allo stesso tempo.
<< Ben tornato ... >> rispose.



Un bel finale tronco, alè.
Bene, io ci ho provato. Galeotto fu il museo Edo Tokyo a Tokyo, appunto, con tutto il settore dedicato alla seconda guerra, che mi ha fatto tornare voglia di riprendere in mano il periodo storico ...
Spero di non aver lasciato troppi strafalcioniiii

 
  
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