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Autore: stefaniaodair    09/02/2016    1 recensioni
Virgina vive a New York e, a parte le prese in giro dei compagni, ha tutto quello che vorrebbe. Una madre che la ama, una migliore amica, quasi un ragazzo...Ma un giorno sua madre decide di trasclocare e di farle cambiare scuola. Il suo primo giorno è un giorno disperato, ma poi incontra la misteriosa Jeanine, nonchè sua compagna di stanza e il suo fratello così sexy... Virginia si innamora, si diverte, a dispetto di coloro che l'hanno abbandonata durante il cambio di scuola. Recupera il suo "tutto", ma c'è un problema: qualcuno è sempre pronto a fare del male a lei e al suo ragazzo... Così Virginia, anche nella sofferenza, ci mostrerà che, anche se i proiettili uccidono, l'amore rimane.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Sono sempre rimasta affascinata dalla velocità con cui avvengono i principali fatti, esperienze ed eventi della nostra vita. Mi è sempre piaciuto osservare ciò che mi circonda con la dovuta lentezza: il sole alla finestra, il profumo floreale della mia stanza quando mi sveglio, i miei respiri brevi e silenziosi. Ma trovo che ci sia una cosa molto più interessante di questa: i ricordi. Questi fatti, esperienze ed eventi, che anche nel loro essere una goccia infinitesimale nel mare del tempo, rimangono impressi nella nostra memoria, come onde sonore che si ripetono all'infinito. Alcuni, come gli scogli erosi dall'acqua, si modificano o si annullano completamente. Se ne vanno, si perdono. E ogni ricordo perso, è un pezzo di noi che è volato via. Altri, invece, forse i più importanti, rimangono, perché non c'è possibilità che il tempo li sbiadisca. Loro sono troppo forti, non esiste nulla al modo che li cancelli. Nemmeno la morte. Uno di questi è l'amore. Già, l'amore. Sentimento effimero ma infinito allo stesso tempo, non c'è modo di reprimerlo. Lo stesso accade con i ricordi a lui legati. Nella vita succede, ci si innamora della persona giusta, e tutto diventa migliore. Non lo si dimentica. Come io non potrò mai dimenticare Kurt. *** Mi sveglio con la luce del sole che illumina l'altro cuscino del mio letto matrimoniale, che però uso sempre e solo io. L'aria profuma di fiori, di estate, di vacanze. Un odore dolce, ma anche un po' pungente, come di salsedine. Ma non è possibile, perché io non abito vicino al mare. Mi alzo, districandomi dal groviglio di coperte che mi trattiene. Mi sento tutta intorpidita mentre osservo il sole già alto nel cielo. Se andassi ancora a scuola, a quest'ora sarei già stata svegliata da Haley, la mia migliore amica ( nonché compagna di stanza) e sarei stata mandata in presidenza. Avrei saltato cinque ore di lezione. Ma oggi non importa, sono a casa e nel bel mezzo delle vacanze estive. E ho proprio bisogno di una bella rinfrescata. Entro nel bagno adiacente alla mia stanza e mi guardo allo specchio. Sono veramente brutta, non come le altre mie coetanee. Loro non hanno le lentiggini, e i loro capelli non sono di un rosso sporco, a metà tra il vermiglio e il nero. Sono dei capelli impossibili, i miei. Non so mai come pettinarli, perciò li raccolgo in una coda. Apro l'acqua e metto la faccia sotto il rubinetto. In estate l'acqua fresca è un sollievo, soprattutto al mattino. Be', forse non è più mattino presto, ma mi sono appena alzata... Sento squillare il mio telefono: è Haley. Rispondo, felice di sentirla, perché mi manca davvero tanto. Non ci vediamo spesso, lei solitamente è sempre in vacanza in questa stagione. Anche se non abito molto lontano da casa sua. “Ciao!”, quasi grido nel telefono, mentre mi scuso con lei per non averla chiamata, non avevo credito...“Buongiorno, Virginia. Conoscendoti, credo che tu ti sia appena alzata dal letto!” risponde lei con voce gioviale. “Dove sei adesso?” “Tra qualche ora salirò sull'aereo che mi porterà a casa!” “Non vedo l'ora di rivederti.” “Nemmeno io.” “Piuttosto, dove sei stata?” “A Londra.” “Com'è?” “Meravigliosa come sempre.” Intanto ci lanciamo in una lunga conversazione su quanto sia bella la capitale inglese, di quanto divertimento ci possa essere... Intanto sento di appartenerle, mentre lei appartiene a me. Sono certa che ovunque io vada mi starà sempre vicina, anche se non fisicamente. E io farò lo stesso per lei, perché, se niente ci può separare, non credo proprio che una cosa come la distanza lo possa fare. “Ora ti saluto, devo lasciare l'hotel.”, mi annuncia. “Fa che Rasha non ti veda!” “Lo stesso vale per te.” “Buon viaggio!” ''Fa che Rasha non ti veda' è il nostro saluto: un po' come il 'darsi il pugno' per certi di noi. L'abbiamo inventato in onore di uno scherzo fatto a una nostra antipatica compagna di scuola, Madison. Ci prendeva in giro, come facevano tutti nei miei confronti, ma molto più pesantemente. Allora,un giorno, Haley ed io le abbiamo detto che un bellissimo ragazzo, Rasha appunto, la osservasse sempre. Questo Rasha, biondo e con gli occhi azzurri, stava valutando se innamorarsi o no di lei. Quindi le abbiamo detto che, se avesse ancora mostrato il suo lato più cattivo nei nostri confronti, questo 'principe azzurro' non l'avrebbe mai degnata di uno sguardo. Non ci infastidì mai più. Non era una persona abbastanza stupida da crederci, ma lo fece lo stesso. Ecco cosa sono capaci di fare le troiette come Madison, soltanto per detenere il record di 'più peni assaggiati in un anno' al mondo. Non lo fanno per amore, bensì per il sesso. E il sesso non è amore. Non è altro che una sua inutile deformazione, un continuo scontrarsi di corpi senza il minimo sentimento. Esco dal bagno stringendo il mio cellulare tra le mani, felice di quella telefonata, con i capelli legati in una coda di cavallo. *** Entro in cucina, dove mi aspetta mia madre, vestita di tutto punto, mentre sorseggia un caffè e legge il giornale. Solo ora mi accorgo di essere ancora in pigiama. “Ciao, Virginia. Hai dormito bene?”, mi chiede mentre cerco di far funzionare la caffettiera. “Sì, tu?” dico, rivolta a lei, che annuisce appena e non stacca gli occhi dal quotidiano. Mia madre è una giornalista, e pare che abbia scoperto un traffico illegale di armi tra gli Stati Uniti e certi stati africani. Un giorno un gruppo di energumeni in giacca e cravatta ha persino cercato di ucciderla. Siamo anche state sotto protezione per un po', anche se lo Stato disapprova ciò che scrive. Ecco perché tutti (tranne Haley) ce l'hanno con me: sostengono che mia madre miri a far cadere il governo americano, e pensano di rimediare facendo del male a me. Uno dei motivi per cui fatico a trovare amici è proprio questo. “Vorrei parlarti di una cosa...” sussurra lei piegando il giornale. Il caffè che ho preparato sbrodola, scivolando prima lungo la tazza, poi sul mio braccio. Mi asciugo, pensando a cosa potrebbero voler dire quelle parole. Finora non avevano significato nulla di buono, ma, facendo appello a tutto il mio coraggio, poso la tazza, mi siedo e dico: “Parla pure.”. Mia madre fa un lungo respiro e comincia: “Vedi... Ho deciso che non frequenterai più il St. Vincent. E...La settimana prossima ci trasferiremo. Andremo a vivere da Frank. So che adesso credi che non ti piacerà ma sarà bello.” All'improvviso il mio mondo crolla, o almeno dovrebbe averlo fatto, perché sento che anche io sto andando in pezzi. Lasciare la mia scuola? La mia casa? La mia migliore amica, l'unica al mondo? “No, non se ne parla nemmeno.”, ringhio. E poi dovremmo stare a casa di quell'idiota di Frank...Mi rifiuto di farlo. Frank è il fidanzato di mia madre. Dopo la morte di mio padre adesso preferisce donare il proprio cuore a uno stupido qualunque, quindi direi che è cambiata molto. “Non fare così, in fondo sai che è bello cambiare!” mi dice di rimando. Ma io non ascolto, non ha senso ascoltare chi mente. Anzi, non riesco a sentirla. Le mie orecchie sono come piene d'ovatta. Lascio la tazza sul tavolo e corro nella mia stanza. Ignoro la voce di mia madre che mi intima di aspettare. “Non fare la stupida, non si fugge di fronte ai problemi!”, provo a pensare. Ma tanto è inutile, ho smesso di fare anche quello, ciò che ci rende diversi dagli animali. Ora sono una di loro. Afferro una felpa, attraverso il corridoio ed esco. Non so dove sto andando, o forse sì, ma al momento non m'importa.
   
 
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