Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Lilyburn    10/02/2016    1 recensioni
L'orgoglio frena e l'amore dona. Sicuramente difficile combinare le due cose, ma forse non impossibile.
Tratto dalla storia:
Io non stavo male, non ero triste, non ero infuriata e non provavo assolutamente un'insana voglia di strozzare qualcuno. Io stavo bene, anzi molto bene. Mi sembrò quasi di sentirle le grosse risate della mia coscienza, come no.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buona lettura. Ditemi cosa ne pensate.
Un bacio,
Lily


DOVREI ODIARTI

Ero bellamente spalmata sul mio adorato divano color panna, ignorando mia sorella Grazia e le sue amiche. 
Avrei tanto voluto diventare una cosa sola con quel comodo sofà e non provare più niente. L'indifferenza tanto agognata però continuava a sfuggirmi, riducendomi ad un ammasso di ossa e tessuti nervosi da ben cinque giorni. Tutto per colpa sua
E ci stavo ricadendo di nuovo. Serena arrivò giusto in tempo e mi scrollò dai miei pensieri.
Si sedette un po' in disparte - dato che tre quarti dello spazio lo occupavo io - e mi rivolse un'occhiata mista a compassione e tenerezza.
Feci finta di niente concentrando la mia attenzione sul programma vendite trasmesso alla televisione.
A quanto diceva il conduttore c'era una super aspirapolvere multi-funzioni che aspettava solo me. Da non perdere!
«Sicura di non voler venire con noi stasera?» domandò Serena.
Mi espressi con un verso d'assenso.
Serena sospirò. Nonostante si fosse accorta della mia condizione negli ultimi giorni, non mi aveva chiesto nulla probabilmente aspettando che fossi pronta a sfogarmi senza pressioni. Ma io non volevo essere altro se non un involucro umano apatico.
La bionda al mio fianco mi scrutò dai miei calzetti neri a righe gialle e i pantaloni da ginnastica fino ai miei capelli scarmigliati raccolti in una treccia disordinata. 
Sbuffai. «La finisci?»
«Di fare cosa?»
«Di fissarmi come se fossi un cane randagio» le feci notare acida con un eloquente gesto delle mani.
«Oh no, loro sono messi meglio» Grazie per ricordarmi la mia già pietosa situazione, amica.
Serena non veniva mai scalfita dai miei toni, e in questo periodo ero davvero uno spremiagrumi.
Serena tentò di accarezzarmi i capelli, ma io la evitai inabissandomi ancor più tra i cuscini. Non volevo la compassione di nessuno. 
Io non stavo male, non ero triste, non ero infuriata e non provavo assolutamente un'insana voglia di strozzare qualcuno. Io stavo bene, anzi molto bene. Mi sembrò quasi di sentirle le grosse risate della mia coscienza, come no.
Le urla stridule delle ragazze che si stavano agghindando per la serata "all'insegna del divertimento" a detta loro, giungevano dalla camera di mia sorella.
«Dai vieni con noi, ti divertirai. Ti rendo minimamente simile ad un essere umano e poi andiamo a ballare con un paio di bei ragazzi...- feci un verso di disappunto -...senza alcun esemplare dotato di cromosoma Y, passando una bella serata tra donne» insistette la mia amica.
Ci conoscevamo da diciotto anni e non aveva ancora compreso il mio essere più cocciuta di lei. Insomma, eravamo o non eravamo cresciute insieme?
Le lanciai un occhiata torva pronta a dar voce alle mie riflessioni, ma il suono preannunciante l'arrivo di una notifica mi distrasse. Guardai verso il mio iphone sul tavolo ottocentesco di legno al centro del soggiorno.
Digrignai i denti. Sapevo chi era e mi maledii per non aver spento il telefono, o quanto meno attivato la modalità silenziosa.
«Non ti interessa vedere chi è?» domandò ignara Serena.
«No» mi incupii.
Era sicuramente mia cugina che si scusava in tutte le salse possibili e che si rammaricava delle sue azioni circa quella fatidica sera. Così la delusione tornò ad inasprirmi la bocca.
Riportai lo sguardo allo schermo che mi offriva un rarissimo set di stracci di gomma per pulire le testiere dei computer. Imperdibile!
«Cami..» iniziò Serena, ma venne interrotta dal campanello di casa. Che peccato..
«Grazia, hanno suonato!» urlò Serena, che, dopo avermi scoccato un'altra occhiata preoccupata, uscì dal salotto e si diresse verso la stanza della mia consanguinea.
«Camilla, vai tu!» risuonò la voce di mia sorella.
«Non ci penso n-»
«Sono le pizze!»
«Vado!»
Arrancai fino al citofono e sollevai la cornetta: «secondo piano, porta a destra»
Poi premetti il pulsante elettronico che apriva il portone d'ingresso, già pregustandomi il mio succulento e unico vero amore.
Quella sera volevo ingolfarmi di pizza così tanto da scordare persino il mio nome. Ero così allettata dall'idea che mi ricordai solo all'ultimo di aprire la porta dell'appartamento.
Con una nuova fonte di spirito spalancai l'uscio sorridendo. Ma si sa che la felicità è solo una fugace scappatoia e che, come tutte le cose, tende a finire con la stessa velocità con cui è cominciata. E la mia, di felicità, si inabissò in un nano secondo.
Eccolo lì, schiaffatomelo davanti in tutto il suo splendore con sei cartoni tra le braccia. 
Un imbecille di un metro e ottantasei dagli occhi verdi e i capelli scuri un po' schiacciati a causa del casco. Combattei con tutta me stessa pur di non passarci le dita in mezzo e accarezzarlo.
Avevo le braccia lungo i fianchi, basita. Possibile che qualcuno lassù mi volesse così male.
Buffo come le coincidenze si aggroviglino fino a generare quelle che diventano impensabili conseguenze.
Amaramente capì che la nostra pizzeria d'asporto abituale oggi era chiusa e che malauguratamente Grazia aveva voluto provare quella inaugurata da poco in centro, dove lui lavorava.
Riccardo aprí la bocca come se stesse per dire qualcosa, ma poi cambiò idea. 
«Camilla» disse solo e mi fece infuriare. Dopo quello che era successo esordiva con un semplice "Camilla"?
Lo so già come mi chiamo, cretino. 
E poi quella sua voce calda e ruvida, quanto mi era mancata.
Mi mancava un po' tutto di lui.
«Cami» mi raggiunse Serena. Credo temesse che mi fossi già mangiata tutte le pizze.
Mi risvegliai dallo shock iniziale e mi ricomposi.
Serena si accorse di lui impalato sull'uscio e gli sorrise. «Ehi Riccardo, da quanto? Accomodati pure»
«No, se ne stava andando» dissi fredda.
Serena mi guardò in viso sorpresa.
«Noi due dobbiamo parlare» replicò lui guardandomi.
«No» cercai di prendere i cartoni per poi chiudergli la porta in faccia. Purtroppo però mi conosceva bene e aveva già intuito i miei piani, così mantenne salda la presa sulle pizze e cominciammo una sorta di tira e molla.
«E va bene!» mi arresi alla fine esasperata. Lui si lasciò scappare un sorrisetto vittorioso che mi feci ribollire il sangue. Si divertiva anche, lui.
Riccardo si fece da parte per farmi oltrepassare la soglia e solo dopo - maledizione - passò la consegna a Serena mentre lei ci osservava perplessa e curiosa.
«Scusa Serena, dobbiamo chiarire una cosa» si rivolse alla mia amica dispiaciuto. 
Io proruppi in una risata sarcastica. "Chiarire".
«Aspetta, i soldi!» esclamò lei rinsavendo.
«Tranquilla, questa volta offre la casa» le sorrise lui magnanimo. 
«Ma che buon cuore» lo apostrofai acida.
Di risposta mi fece un occhiolino, lo sbruffone.
Serena invece lo ringraziò e chiuse la porta lasciandomi sola con Riccardo.
«Non qui» lo fermai prima che dicesse qualcosa «Stanno sicuramente origliando»
Riccardo si disse d'accordo e salimmo fino all'ultimo piano sulla grande terrazza del condominio.
Non avevo intenzione di iniziare io la conversazione, così assaporai l'aria primaverile sulla pelle ed osservai il cielo tingersi di varie sfumature.
«Sei bellissima» esclamò.
Mi voltai verso di lui. Era appoggiato al muro con le mani in tasca. Dopo come a rallentatore si ravvivò i capelli con una mano e i muscoli del braccio gli si tesero. Rammentai la nostra prima volta, i suoi muscoli che guizzavano sotto le mie dita mentre entrava dentro di me.
Gli mostrai il dito medio in risposta, poi mi rivolsi verso la vista.
Lo sentii ridacchiare e lo immaginai mentre con un sorrisetto impertinente mi scrutava dalla testa ai piedi.
«Smettila» dissi.
Udii i suoi passi avvicinarsi.
«Di fare cosa?»
Lo percepivo. Quel profumo misto muschio e menta che lo caratterizzava - e che popolava i miei sogni - mi arrivò tempestivo alle narici. Il suo petto solido mi sfiorava la spalla destra dalla quale si ramificavano innumerevoli brividi. E il suo respiro, caldo, mi soffiava sul collo.
«Tutto questo» lo fronteggiai occhi negli occhi, contrariata.
I suoi, verdi, erano fissi e attenti nei miei, gelidi come il ghiaccio.
Avvicinò una mano al mio viso e spostò una mia ciocca di capelli, sfuggita dalla treccia aggrovigliata, dietro l'orecchio. 
Dischiusi le labbra incantata e lui si chinò su di me. 
«No» mi allontanai infastidita «Smettila»
Riccardo sospirò. «Mi dispiace, Camilla. Va bene? Non volevo baciarla»
Quasi mi strozzai. Se mi andava bene?
«Non volevi? Io..tu...sei completamente deficiente! Pensi forse che io sia qui a tua completa disposizione quando e come vuoi tu?» lo additai furiosa.
«Cosa credi? Che sia facile per me?» continuò lui bonario.
«Per te? Per te! Pensi sempre e solo a te! Sei un'idiota! Anzi sono io l'idiota perché mi-» sono innamorata di te. Mi zittii prima di esordire con qualcosa di sconveniente, come i miei sentimenti. Non gli avrei dato la soddisfazione. «..perché mi sono fidata di te. Sei un microcefalo!» sputai rabbiosa.
Riccardo mi freddò con uno sguardo. «Finiscila, quando ti comporti così sei insopportabile»
Scoppiai a ridere isterica.
«Dio» mi passai una mano sul volto «Con mia cugina poi! Proprio lei, dannazione, Riccardo. Hai idea di cosa provi?»
«Ma non ha significato niente»
«Per me si! Riccardo, per me si. Mi hai delusa. Mi hai illusa che tu potessi...»
«Cosa?» si avvicinò in attesa e insistente mi scrutò gli occhi, stregandomi l'anima.
Abbassai lo sguardo intimorita da tanta intensità. 
«Niente» sfiatai.
Riccardo scosse la testa schioccando la lingua. «Come immaginavo. Sei solo una bambina»
Mi passarono davanti agli occhi i mesi passati assieme e mi parvero falsi, inutili, eppure bellissimi.
Lui mi aveva sempre presa in giro. Per lui non erano importanti i sorrisi, le risate, le discussioni, i baci che ci eravamo scambiati. Erano solo una valvola di sfogo alla noia. Io non ero importante per lui. 
E tutte le cattiverie che mi aveva detto tornarono prepotenti alla memoria, come un macigno che a poco a poco mi stava schiacciando, disintegrandomi.
Persi terreno sotto i piedi e mi infervorai a tal punto.
«Vaffanculo, Riccardo!» urlai «Vuoi sentirti dire che ti odio? Che ti penso incessantemente e costantemente e che questo è il motivo per cui ti odio di più? Vuoi sentirti dire questo?» presi fiato e un singhiozzo mi scosse da dentro. 
Serrai gli occhi e sorrisi amara. «Ma la parte più esilarante sai qual è? È che più di tutti, persino di te, pensa, odio me stessa perché ti amo, deficiente! Ebbene sì, incredibile lo so, ma mi sono innamorata di te e non c'é un dannatissimo giorno in cui non mi compatisca per questo. Sai come ci si senta? Un attimo prima sei dolce e gentile e l'attimo dopo fai lo stronzo e mi mandi via. È come salire su delle maledettissime montagne russe. Io odio le montagne russe!» gridai sentendo una stretta all'altezza del cuore.
Stavo piangendo senza accorgermene. Le lacrime mi bagnavano le guance e ognuna bruciava a modo suo, un po' come ricordo del dolore che avevo provato.
Riccardo mi fissava meravigliato. «I-io..»
«No, ora parlo io! Sono stanca di continuare a fingere che mi vada tutto bene. Che ogni tua carezza non abbia il retrogusto amaro della finzione. Perché so per certo che tu non provi niente per me, niente di niente. Ti ho sentito quando hai detto che non ti sarei mai potuta interessare in quel modo. E non sai che male, cazzo. 
Quindi voglio che tu capisca chiaro e tondo di finirla qui. Che non ho più intenzione di continuare questa farsa. Che-» e mi baciò. 
Si impossessò letteralmente delle mie labbra e mi baciò prima con lentezza, dolcemente, poi con più passione e ardore. Tra le lacrime io ricambiavo in maniera praticamente meccanica. Ormai rispondevo ai suoi gesti inconsciamente, desiderandone sempre di più e odiandomi per il medesimo motivo.
Dio, ero incasinata al massimo.
Una sua mano era sul mio viso e mi premeva verso di lui. 
Posai le mie mani sul suo petto e feci pressione cercando di allontanarlo.
«Ti odio, ti odio, ti odio» mormorai con voce strozzata.
«Basta. Non dirlo» mi prese per i polsi e se li avvicinò al petto ricominciando a baciarmi con foga. 
Con le mani gli accarezzai il petto, le clavicole e il collo. Passai le dita tra i suoi capelli e glieli tirai un po'.
Riccardo emise un verso gutturale e sentii il suo tocco caldo dappertutto, dai fianchi alla nuca.
Ci separammo per prendere fiato e iniziai a tempestarlo di pugni leggeri, priva di forze.
«Sei un idiota, un egoista, uno stupido» singhiozzai.
«Smettila , ti prego» 
Lui mi strinse tra le sue braccia.
Ero esplosa. Stavo buttando fuori tutto ciò che mi ero tenuta dentro troppo a lungo.
Impugnai la stoffa della sua maglia e scossi la testa contro il suo petto sopraffatta dalle lacrime. «Ti odio, ti odio, ti odio»
Riccardo mi baciò la fronte e poggiò il mento sulla mia testa consolandomi.
«Shh» sussurrò «Ti amo anch'io».

   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Lilyburn