Quinta
lezione
“She's electric, She's in a family full of
eccentrics…She done things I never expected, and I need more
timeeee!!!”
Eravamo
in macchina, su Via Ostiense, mentre Federico cantava gli Oasis a voce
sostenuta: per la verità aveva una bellissima voce,
invidiabile se si fosse
considerato che non aveva mai frequentato alcun corso di canto. Aveva
imparato
da solo, o almeno così sosteneva. Al tempo, ci piaceva
musica molto simile e
passavamo moltissimo tempo insieme, tanto che molte conoscenze erano
convinti
che fossimo amanti in segreto. Ovviamente tra noi non c’era
mai stato nulla di
romantico, a parte qualche abbraccio da amici nei momenti
più difficili.
Lo
guardavo mentre canticchiava e si spostava i capelli, più
lunghi del normale,
dal viso e guidava la sua Matix: la luce rossastra del tramonto gli
colorava i
capelli castani di una sfumatura ramata che ricordava molto il colore
dei miei
capelli, mentre gli occhi si accendevano a contatto con il sole. I
lineamenti
leggeri e delicati gli conferivano un’aria spesso da bambino,
sebbene la sua
altezza raccontasse un’altra storia. Era sempre stato
più alto di tutti coloro
che si trovassero nelle sue vicinanze, ma dimostrava ancora diciassette
anni
scarsi: mi metteva di buon umore, specie quando cantava sovrappensiero
o in
momenti rilassanti o euforici.
Cercavo
di capire che senso avesse la sua ultima frase, proferita con un filo
di voce,
ma il sorriso contagioso di Federico mi distolse definitivamente dallo
stress
della giornata, dai miei mille pensieri e da Dante. Ultimamente tendevo
a
pensarci decisamente troppo, il che non era da me, specie in vista di
una
sessione di esami.
Fortunatamente
quella sera avrei rivisto i miei cugini, la mia famiglia, Alessandra e
avrei
passato una serata all’insegna del puro divertimento.
Supponevo che Fede avesse
organizzato qualcosa per la serata, ma non indagai oltre per
permettergli di
fare il misterioso. Sicuramente ci teneva più di quanto ci
tenessi io, che non
ero mai stata una grande amante dei compleanni, anche se la
curiosità iniziava
a rodermi da dentro ma finora l’esonero di economia politica
e diritto privato
mi avevano consumato energie, tempo e risorse.
“Mostro, allora che ti metti per stasera?”
“Cosa dovrei mettermi di particolare? Ci
sanno giusto Alessandra e la mia famiglia!”
“Va bene! Ma nella vita non si sa mai!”.
Ah, tana. Trovavo sempre
estremamente
divertente stuzzicare il mio migliore amico, perché a
differenza di tante altre
persone, non sapeva mentirmi.
“Non si sa mai? Che pensi possa succedere? Al
massimo andremo a berci qualcosa io, te ed Ale!”
Lui
si
prese qualche secondo, poi si girò lentamente verso di me e
con fare lamentoso
aggiunse: “Ma se neanche
bevi…Secondo te
ti porto a bere?”
“Ah… perché mi vuoi portare da
qualche
parte??”. Era veramente tenero, quando finiva per
inciampare nei suoi
stessi piedi.
“Assolutamente no, non ho programmato niente.
Perché vuoi fare qualcosa? Possiamo sempre sentire
Alessandra, figurati. Nessun
problema, però comunque devi metterti qualcosa di carino!”.
Chissà perché
improvvisamente aveva iniziato a parlare più velocemente:
era divertente quando
cercava di nascondere qualcosa.
“Va beeeene. Metterò qualcosa di
carino…”
“Lo scelgo io però!”
“Ah, pure! E tu scusa??”
“Io ho già lasciato tutto da mamma Carola!”
e chiuse la conversazione con una linguaccia. Eravamo arrivati a casa
mia.
***
*** ***
Verso
le otto di sera iniziarono ad arrivare i primi invitati e io ovviamente
ero in
ritardo, per dare ascolto a quel capriccioso di Federico, avevo finito
per
mettere a soqquadro l’armadio.
Federico
si stava cambiando nel bagno del piano di sotto, mentre la mia camera
era al
piano di sopra, era sparito già da un pezzo, senza contare
che il suo cellulare
con faceva che squillare e vibrare per gli innumerevoli messaggi che
continuava
a ricevere. Era assurdo, ma sembrava essere il suo di compleanno, non
il mio:
era candidato favorito per il premio dell’uomo più
cercato del giorno.
Mia
madre andò ad aprire al campanello e potei sentire la voce
cristallina di
Alessandra, che a quanto potevo intuire dai suoi passi, aveva optato
per un
paio di tacchi. Sul parquet. Il Generale Carola ne sarebbe stata
entusiasta!
Risi tra me e me al pensiero di mia madre che sbiancava davanti ad un
sicuro
tacco stratosferico della mia amica: per essere un’ingegnera,
era troppo bella
e troppo curata. Glielo dicevo sempre.
Presi
qualche attimo per guardarmi allo specchio: sopracciglia selvagge,
capelli
anarchici, come il colore che li distingueva, un seno decisamente
troppo grande
per le mie spalle e delle gambe troppo grosse per i miei gusti. Non ho niente di speciale, niente.
L’università
è piena di ragazze molto più attraenti di
me… Mi rattristai per un attimo,
poi sorpresa mi risvegliai. Certi pensieri non erano da me, non mi era
mai
interessato come vestissero le ragazze della mia facoltà,
tanto meno la mia
indifferenza alla moda o al mio look. Non mi ero mai posta certi
problemi,
neanche quando avevo iniziato la mia storia con Marco.
Non
diedi comunque troppo peso a quel pensiero, dando la colpa allo stress
dell’esame appena sostenuto. Finii di vestirmi e mi truccai
leggermente, dopo
di che scesi al piano di sotto.
Evidentemente
nel frattempo erano arrivati tanti altri zii, cugini e amici di
famiglia, ma fu
facile per me trovare Federico, visto che si ergeva sempre sulla folla.
Era
vicino una finestra del grande salone di casa mia: aveva optato per un
jeans
chiaro, una maglietta semplice e una camicia a maniche corte sopra.
Aveva al
polso il braccialetto che gli avevo regalato ai diciotto anni, mi
faceva sempre
sorridere questo dettaglio: era l’ennesima dimostrazione che
mi volesse bene.
Accanto a lui c’era Alessandra: in una parola, bellissima.
Aveva scelto una
gonna leggera, e una canottiera rosa con dei merletti che metteva in
risalto la
silhouette slanciata. Quei due erano molto vicini, forse a causa della
musica e
della troppa gente ma per un attimo, vedendoli così da
lontano, mi sentii
improvvisamente sola. Federico era piegato leggermente verso Ale, e lei
con un
bicchiere in mano lo ascoltava sorridente.
“Ehi babbei!”, richiamai la loro
attenzione in mezzo a diverse persone che continuavano a farmi gli
auguri e a
dirmi quanto fossi bella, sebbene non si scordassero mai di omettere
che con
qualche chilo di meno sarei stata anche meglio. Dannata
sincerità, almeno il giorno dei miei vent’anni,
potrebbero farne
a meno!
Mi
avvicinai anche io verso la finestra, mentre Federico mi seguiva con lo
sguardo
senza dire una parola, supposi che tutto sommato fosse soddisfatto
della sua
scelta del vestito. Ale mi salutò con un sorriso e poi
rivolse il tuo sguardo a
Federico, il quale però lasciato il bicchiere a
metà stava ancora guardando
verso di me. Li raggiunsi finalmente e il mio amico non
tardò troppo nel
prendersi i meriti dell’opera svolta prima: “Beh, direi che non ti sta male questo vestito”.
Ale
lo
interruppe, “L’hai scelto
tu?”
Lui
alzò
gli occhi al cielo, “Senza di me,
che
farebbe? Hai visto come si concia…” e mi
sorrise dolcemente, era evidente
l’aria di sfida, ma feci comunque la finta offesa.
“Sì, sì… vienimi a
chiedere una mano la
prossima volta che una ti si incolla in biblioteca! Farò
finta di conoscerti!!O
peggio.. non ti passo i miei schemi di diritto privato!”
Alessandra
seguì con attenzione lo scambio, come sempre, e con voce
ferma e pacata chiese:
“Cos’è sta
storia della biblioteca?”.
Pensai che alla fine noi donne siamo tutte uguali, sempre curiose.
“Mah Ale, una sottospecie di femmina che si
era appiccicata a Federico questo lunedì. Mai vista e
conosciuta, avendo tutta
la biblioteca a sua disposizione, ha ritenuto che la luce migliore
venisse
dalla finestra accanto a Teddy…”, mi
rivolsi verso il mio amico, “Che
poi, ci vuole coraggio eh! Sei un orso!”
“Ha parlato la principessina, dovresti
imparare da Alessandra! Tu sei la motivazione vivente del
perché gli uragani
disastrosi portano nomi femminili!”
“Ma davvero???!!”
Alessandra
sospirò e decise di allontanarsi per qualche secondo,
andando a riprendersi da
bere. Io e Federico cercavamo di guardarci in cagnesco, ma passati
pochi
secondi scoppiammo a ridere.
La
serata proseguì in tranquillità, tra scarti dei
regali, candeline e vari cibi.
Come al solito, molti di quei parenti che non vedevo molto spesso
vennero a
chiedermi del fidanzato, che ovviamente scambiarono subito per
Federico. Ormai
avevo imparato una formula che lasciava spiazzati chiunque il tempo
necessario
per permettermi la fuga. Più o meno funzionava
così:
“Ele, allora, te lo sei trovato un ragazzo?
Magari è proprio quel tipo laggiù!”.
“Tipo laggiù” che c’era ormai
da
svariati anni, eppure certi parenti proprio non riuscivano a
ricordarselo.
“Ogni tanto, giovedì piove…”
Al
che, data la risposta completamente insensata, potevo approfittare di
quell’attimo di disorientamento del mio interlocutore per
scappare. Che poi,
non ero mai scappata da domande del genere, ma ultimamente mi
innervosivano,
specie quando davano per scontato che condividessi una certa
intimità con
Federico. A quanto pare, non ero l’unica seccata dalla
monotonia familiare:
Alessandra era parecchio taciturna. Negli ultimi tempi per la
verità aveva
cambiato atteggiamento, era più silenziosa del previsto,
perdeva più facilmente
le staffe quando si lasciava andare e si curava più del
solito per uscire.
Pensai che il primo anno di università cambiasse un
po’ tutti indistintamente.
Erano
ormai le dieci, quando i miei amici si avvicinarono a me con dei
regali, in
realtà Alessandra mi stava tendendo una busta per le
lettere. Come era
prevedibile non c’era alcun bigliettino di auguri smielato da
parte sua, la
cosa mi fece sorridere. Erano passati ormai sei anni da quando ci
eravamo
conosciute, eppure rimaneva sempre la stessa ragazza riservata ed
elegante, non
amava le grandi dimostrazioni d’affetto ma c’era
sempre accanto a me.
Il
suo
regalo non la smentiva, erano tre biglietti per la fiera dei cavalli
che si
sarebbe tenuta di lì a poco alla nuova fiera di Roma. Ale
conosceva bene il mio
amore per i cavalli, aveva potuto conoscerlo personalmente quando mi
veniva a
vedere agli allenamenti. Una volta iscritta
all’università, non avevo trovato
più molto tempo per cavalcare.
“Aleee grazie!! Ci andiamo tutti insieme
allora!”, la abbracciai forte, in modo da metterla
anche leggermente in
imbarazzo e infatti non resistette molto prima di allontanarmi in modo
goffo e
imbarazzato.
“Bene, ora che la principessa ti ha dato il
suo regalo, ti do il mio!”, Federico era
l’esatto opposto della mia amica.
A lui piaceva stare al centro della scena, era solare ed affettuoso, il
che lo
rendeva estremamente socievole ed affabile. Il suo regalo si presentava
come
una scatola e onestamente non avevo veramente idea di cosa potesse
trattarsi.
In salone, l’attenzione dei miei familiari si era concentrata
su quello che
stava avvenendo, come se si aspettassero chissà quale evento.
Scartai
il regalo con una certa fretta e rimasi sbalordita dal pensiero di
Federico: un
planetario per interni. Un planetario, lo stesso planetario che avevo
visto in
un negozio almeno sei mesi prima mentre camminavo in giro con lui.
Conoscevo
anche il prezzo di quel planetario e proprio questo dettaglio mi aveva
spinto a
non comprarlo, banalmente non potevo permettermelo. Guardai il mio
amico in un
insieme di emozioni, che andava dalla pura gratitudine
all’incredulità, al
senso di colpa perché potevo solo immaginare i sacrifici che
aveva sostenuto
per poterlo comprare.
Le
stelle ed il cielo erano sempre stati una mia grande passione e per un
attimo,
alla fine del quinto anno di liceo classico, avevo pensato di poter
prendere
ingegneria aerospaziale, ma poi la macchina mi si era fermata davanti
la
facoltà di giurisprudenza e mi ero resa conto che per me
quella facoltà era
l’unica. Come i grandi amori: puoi cercare di fuggirli, ma
alla fine te li
ritrovi sempre davanti e non importa con quanti altri proverai a
sostituirli,
quando capiterà l’occasione, e capiterà
sempre, non potrai ignorare certi
sentimenti.
Così,
avevo fatto della volta celeste la mia passione, senza approfondire
eccessivamente. Quante estati io e Federico avevamo passato con il naso
all’insù, in una gara a chi scovava più
stelle cadenti.
“Sei un cretino!!!”, alla fine
ripiegai
per la reazione burbera. Ero incapace di giustificare un regalo simile.
Federico
rise, aspettandosi probabilmente quella risposta: “Se vuoi me lo riprendo…!”,
fece per togliermi il mio nuovo
planetario ma con l’atteggiamento tipico di una bambina di
sette od otto anni,
abbracciai la scatola e la schermai con il mio corpo.
“No! Ormai è mio! Potevi pensarci prima!”.
Teddy
mi mise una mano sulla testa e mi scompigliò i capelli,
sorridendomi, “Prego, Mostro!”.
Tra
noi non c’era bisogno di parlare, era superfluo che lo
ringraziassi, io più di
tutti sapevo quanto doveva essergli costato quel regalo, nessuna parola
sarebbe
stata sufficiente tuttavia Federico non perdeva occasione di darmi del
“Mostro”, dovuto dal fatto che non ero una grande
amante delle smancerie, un
po’ come Alessandra, o più semplicemente non ero
in grado di esternare le mie
emozioni più profonde e finivo per mascherarle sempre dietro
un velo di ironia.
Mia
madre arrivò tra noi, incuriosita dai regali e dopo averli
studiati, entusiasta
propose a tutti di provare il planetario. Ormai la sera era
sopraggiunta, così
non ci fu bisogno neanche di chiudere le persiane per creare il buio.
Ci
mettemmo solo qualche minuto per montarlo e quando a luci spente, si
accese il
mio regalo, proiettò in tutto il salone la volta celeste
mentre molto
lentamente si muoveva in senso antiorario.
Eravamo
tutti con la testa sul soffitto, sorpresi da quel momento che sembrava
anticipare l’estate. Era semplicemente perfetto. Ero
completamente rapita dal
mio regalo mentre cercavo di riconoscere le costellazioni che non mi
resi conto
che Alessandra si era avvicinata a Federico.
“E’ successo qualcosa?”,
chiese lei
guardandolo di sfuggita, ma facendo in modo che potesse sentire solo
lui.
“Non mi pare…”, Fede
rimase con la testa
reclinata verso l’alto e un sorriso accennato.
“Stai ridendo troppo. Non sei te stesso da
oggi pomeriggio, cosa è successo?”
“Sono sempre stato un buffone, lo sai
Principessa…”
“No, tu non sei mai stato un buffone. Sei
divertente, ma oggi sei troppo sopra le righe. Sicuro che non sia
successo
nulla?”
“…
Non capisco di cosa parli. Beh, ora
dovremmo andare avanti con la serata. Gli altri ci aspettano”.
“Come vuoi” e detto questo
Alessandra si
avvicinò a me, “Che ne
dici di andarci a
fare due passi? È una bella serata..”.
Ecco,
la fase B della giornata di oggi.
“Va bene, salgo a prendere la borsa”,
incrociai mia madre e le disse che stavamo per uscire. Il planetario fu
spento,
in pochi minuti salutammo tutti i parenti che si sarebbero trattenuti
ancora
per poco e uscimmo.
Decise
di guidare l’unico uomo del gruppo, non mi meravigliai troppo
quando prendemmo
la sua macchina e andammo in un posto ben preciso. Federico non era
esattamente
il tipo di ragazzo da avere sempre le idee chiare, anzi spesso per lui
un posto
valeva l’altro. Ma lo lasciai portare a compimento la sua
missione e quando la
macchina si arrestò davanti a Giolitti, al laghetto
dell’Eur, ebbi modo di
notare anche gli altri amici.
Mi
girai verso Federico ed Alessandra per chiedere spiegazioni.
“Ci tenevano tutti a festeggiare il tuo
compleanno e visto che ieri sera non era possibile per via
dell’esame, abbiamo
pensato di fare oggi”, mi disse Ale che era rimasta
l’unica ancora sul
sedile. Federico era già corso incontro agli altri, noi
ragazze stavamo per
raggiungerlo mentre gli altri amici da lontano iniziarono a gridarmi i
loro
auguri.
Ci
prendemmo tutti un caffè, tranne Alessandra che non ne
beveva. C’erano
Francesco, un amico che ormai conoscevo da tempo ma eravamo troppo
diversi per
creare qualcosa di profondo, Riccardo, un ragazzo più grande
di me di qualche
anno, Matteo e Kim, Nestor e Silvia, Paolo e Livia e tanti altri. Mi
guardai
intorno e mi sentii veramente una ragazza fortunata, avevo dei buoni
amici e
più di tutti ne avevo due fantastici.
Era
ormai mezzanotte e stavamo guardando le stelle, quando Federico si
allontanò e
tornò con delle lanterne cinesi. Di nuovo qualcosa che mi
piaceva fare:
esprimere desideri. Sono sempre stata convinta che sia importante
seguire i
propri sogni, cercando di realizzarli, ma ogni tanto è bello
lasciarsi guidare
solo dai sentimenti come quando si cerca una stella cadente ad Agosto,
o quando
si lancia una lanterna. In quei momenti mi sono sempre sentita libera
di
esprimere qualsiasi cosa, che andasse anche contro la mia
razionalità. Spesso
in questi momenti ero divenuta consapevole di speranze che io stessa
neanche
conoscevo, quindi in conclusione, mi piaceva poter esprimere dei
desideri.
Qualcosa che sarebbe rimasto solo per me.
Tutti
eravamo pronti a lanciare le nostre lanterne che realisticamente
sarebbero
finite nel laghetto, intorno a noi non c’era molta gente e la
luce soffusa non
permetteva di vedere bene. Piano piano le lanterne iniziarono a volare
in alto,
ma quando venne il mio turno, chiusi gli occhi e invece di desiderare
di
diventare un Pubblico Ministero, per una frazione di secondo mi venne
in mente
solamente quello sguardo fiero e quella cravatta sempre ben annodata.
Non
me
ne resi conto ma la mia lanterna si era appena alzata in cielo e non
avevo
espresso alcun desiderio. O almeno così pensavo: ero
confusa, come spesso mi
capitava da qualche mese a quella parte.
Non
mi
resi conto che Federico si era avvicinato a me:
“Mostro, che desiderio hai espresso?”,
mi
chiese lui guardandomi dall’alto.
“Io… non lo so…”,
era la pura verità. Non
riuscivo a smettere di seguire la strada della mia lanterna. E un forte
odore
di colonia mi invase, ma iniziava a diventare una sensazione piacevole,
familiare.
“…
Ele, chi è quel tipo che oggi ho
visto all’università?”
“Emanuele, un ragazzo che ho conosciuto per
sbaglio qualche mese fa mentre cercavo l’aula della
lezione…”
“Non parlo del ragazzo, parlo di quello in
giacca e cravatta”. La fermezza del suo tono di
voce catturò la mia
attenzione e mi girai verso di lui, ancora più
destabilizzata nel vederlo
osservare dritto di fronte a sé.
“Perché ti interessa?”
“Perché interessa a te…”,
e così dicendo
si girò verso di me.
“A me non interessa: è il dottor Dante
Palermo. Ci stava facendo lezione, è bravo ma non lo
sopporto. Voglio diventare
una giurista migliore di lui!”, il mio sguardo si
incendiò di una nuova
forza e dentro di me soffiò il vento della sfida. Ero
fiduciosa, prima o poi
l’avrei raggiunto.
“Capisco…”, il mio
amico abbassò per un
attimo gli occhi a terra, dove c’era un tappeto di petali di
ciliegio. Prima
che potessi chiedermi e chiedergli cosa avesse, tirò su la
testa e i suoi
capelli si scompigliarono più del normale anche a causa
della folata di vento
improvvisa, così iniziai a rimetterli a posto, lui si mosse
e forse fu per la
luce rossastra del lampione del parchetto o per le emozioni che
accompagnano
ogni compleanno, ma mi guardò dritto negli occhi e con un
sorriso indecifrabile
mi disse “Allora fai del tuo meglio,
perché io non intendo perdere!”.
Non
capii quello che voleva dire, non in quel momento almeno ma a
ripensarci, forse
avrei potuto sforzarmi di comprendere cosa effettivamente Federico
stesse
cercando di comunicarmi.
Nel
frattempo, la sera del 29 maggio del 2008 altre due persone
passeggiavano nel
parco del laghetto dell’ Eur.
“Sono belle le lanterne, vero?”,
disse
una ragazza bionda abbracciata al suo accompagnatore, il quale
però non stava
guardando le luci nei cielo, ma una ragazza dai capelli rossi
appoggiata ad un
muretto, circondata da amici. Lei stava chiudendo gli occhi mentre la
sua
lanterna prese il volo, quando aprì di nuovo lo sguardo, era
persa nei suoi
pensieri.
“Sono… magnifiche”.
Il
ragazzo in jeans e maglioncino rimase fermo per qualche istante e
incrociò il
suo sguardo con un ragazzo alto, dai capelli castani, di circa
vent’anni. In
quel momento il vento diffuse il profumo che quel giovane uomo in jeans
aveva
scelto, come ogni altro giorno, mentre scompigliò i capelli
dell’altro.
Quello
scambio silenzioso fu interrotto dalla ragazza bionda, “andiamo, abbiamo un discorso in sospeso a casa..
Potresti scoprire che
sono la tua Beatrice, caro il mio Dante”.
Dante
le rivolse un sorriso malizioso, le mise una mano intorno ai fianchi e
riprese
a camminare, allontanandosi da quella ragazza dai capelli rossi che non
lo
aveva notato.
Angolo
dell’autrice:
mi scuso fortemente per il ritardo,
pensavo di aggiornare molto prima, purtroppo la vita lavorativa
è dura!
Allora
cosa mi sento di dire di questo capitolo.. E’ una storia che
potrete leggere
solo con pazienza, se vi aspettate che tutto sia improvviso e lineare,
temo di
dovervi deludere. Dante ed Eleonora hanno bisogno di molto
più tempo per
conoscersi e spero di annoiarvi! Nella storia credo fosse interessante
introdurvi per bene un personaggio come quello di Federico, e
sinceramente sono
molto curiosa di sapere cosa ne pensate, se vi siete fatte delle idee e
che
tipo di sensazioni vi lascia. Lo stesso dicasi per Alessandra, spero
che vi
piacciano perché a me piacciono moltissimo!!
Come
potete notare ho inserito delle immagini, per come io mi sono
immaginata i
personaggi, e non è un caso che non abbia ancora inserito
Dante. Chissà come ve
lo immaginate, magari lo lascerò semplicemente alla vostra
fantasia..
Infine
ringrazio Angyblu che come sempre
è
disponibile a recensire, e tutte coloro che con mia grande sorpresa
hanno
inserito questa storia fra le preferite o le seguite, vi ringrazio di
cuore.
Grazie!
Nel
prossimo capitolo, Eleonora affronterà l’esame di
diritto privato!
Stay
turned!
Soc.