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Autore: The Writer Of The Stars    12/02/2016    3 recensioni
“Kazuha.”
Ma Heiji l’aveva chiamata per nome. Non le aveva detto null’altro, solo poche sillabe banali che da diciassette anni componevano il suo nome, eppure l’udire quella voce così calda, così ferma nonostante il panico, così roca che al solo pensarci le pizzicava la gola e le pulsavano i timpani, quelle vibrazioni erano state in grado di attenuare un poco il tremore incontrollato. D’un tratto il vuoto del buio aveva assunto la consistenza morbida della pelle ambrata di Heiji e se fosse stata più tranquilla, Kazuha si sarebbe abbandonata a quella mano poggiata sui suoi occhi per l’eternità.
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HeijiXKazuha |Ambientata durante il videogame "Detective Conan: Il caso Mirapolis."|
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Latteo era il luccichio dell’epidermide nel buio circostante, capace di illuminare esso solo l’oscurità innaturale. Il blackout era giunto d’improvviso, come d’improvviso si erano trovati senza luce a guidare le mura gelide del labirinto. C’era una vaga coltre di inquietudine ad aleggiare su di loro già da prima che la luce venisse a mancare, quando il corpo di quello spaventoso tizio dalla cicatrice in viso era riverso in terra e l’odore di mandorle penetrava violentemente le loro narici. Col mancare dell’oscurità gli era quasi parso di percepire un vento freddo solleticargli le membra, o probabilmente era stato quel brivido di terrore che gli aveva attraversato la schiena all’udire il suo grido, a gelargli il sangue.

Diciassette anni non significano nulla se confrontati con un’infantile paura come quella per il buio e Kazuha portava in sé questa consapevolezza sin dal giorno in cui, per un maligno scherzo nei suoi confronti, alcuni bambini l’avevano rinchiusa nello stanzino degli attrezzi della loro scuola, sola e completamente al buio. I manici rigidi e scalfiti delle scope avevano preso le sembianze di una colonna vertebrale scarnificata mentre gli strofinacci, pregni d’acqua sporca e detergenti di seconda scelta, s’agitavano sul fondo delle sue iridi smeraldine come capelli strappati da una chioma leonina nella notte dei morti. Non aveva che sette anni, eppure, un decade dopo, quell’assurda paura dell’oscurità non l’aveva mai abbandonata, anzi, alle volte sembrava acuirsi patologicamente. Heiji non dimenticava mai nulla che riguardasse la ragazza ed era consapevole della sua fobia quasi incurabile; per tale motivo, non appena l’oscurità li aveva avvolti in quell’attrazione per bambini che trasudava inquietudine e cianuro da ogni parete, non si era curato che l’eventuale assassino potesse approfittarne per scappare, o peggio, uccidere uno di loro. L’istinto gli aveva semplicemente urlato di voltarsi di spalle, dove sentiva la presenza di Kazuha, e nel mentre che le labbra piene di lei si spalancavano per abbandonarsi ad un grido di terrore, la mano bronzea era già accorsa a stringere quella esile e perlacea della ragazza, stringendola con una potenza inaudita che, se fosse stato nel pieno delle sue facoltà mentali, avrebbe temuto di udire le ossa scricchiolare nel tumultuoso silenzio del labirinto nefasto. Kazuha tremava, se n’era reso conto perché sentiva il suo respiro accelerato solleticargli dolorosamente il collo mascolino, e aveva la nausea nel tentativo di trovare un punto fermo da fissare, poiché un punto fermo non esisteva in quella tela impressionistica dai colori bui, scarabocchi tutti uguali dall’oscurità disarmante.

“Kazuha.”

Ma Heiji l’aveva chiamata per nome. Non le aveva detto null’altro, solo poche sillabe banali che da diciassette anni componevano il suo nome, eppure l’udire quella voce così calda, così ferma nonostante il panico, così roca che al solo pensarci le pizzicava la gola e le pulsavano i timpani, quelle vibrazioni erano state in grado di attenuare un poco il tremore incontrollato. D’un tratto il vuoto del buio aveva assunto la consistenza morbida della pelle ambrata di Heiji e se fosse stata più tranquilla, Kazuha si sarebbe abbandonata a quella mano poggiata sui suoi occhi per l’eternità.

“Chiudi gli occhi.” Le aveva sussurrato, e lei aveva eseguito, come un buon militare obbedisce agli ordini del proprio generale, con la fiducia che una sposa ripone nelle mani del suo consorte alla prima notte di nozze.

Chiusi gli occhi, l’eco soffuso della voce calda di Heiji le solleticava i timpani, ma era un piacevole fastidio a cui non avrebbe mai faticato ad abituarsi, e la cassa toracica quasi sembrò smettere di tremare.

Così, con la voce di Heiji nelle orecchie e la mano del detective stretta vigorosamente alla sua, il buio non sembrava farle più tanta paura in quell’incubo che aveva le sembianze di un miraggio.

 

Nota autrice:

Per la serie, “a volte ritornano”, sono riuscita finalmente a palesare la mia presenza in questa sezione, dopo mesi di assenza! Ovviamente con un’Heizuha (e cosa sennò?) Ad ogni modo, ci tengo a precisare un attimo l’ambientazione di questa one shot, poiché temo non possa risultare nota a tutti. Dopo averlo terminato per tre volte, due giorni fa ho riacceso la Wii e messami alla console non ho potuto fare a meno di avviare una nuova partita al videogioco “Detective Conan: il caso Mirapolis” (il che non ha senso, dal momento che praticamente lo conosco a memoria ormai, ma passiamo oltre) e in questo gioco ambientato in un enorme e nuovo albergo (il “Mirapolis”, appunto) Conan e Heiji si trovano a risolvere una serie di omicidi assai complessi. Uno di questi, avviene proprio all’interno di un’attrazione per bambini, “Il labirinto di ghiaccio” appunto, dove ho ambientato la storia. In quel momento, sia Heiji che Kazuha si trovavano, insieme agli altri, sul luogo del delitto ed è avvenuto un improvviso blackout. La mia mente, così, si è degnata di partorire quello che gli sviluppatori del game non ci avrebbero mai concesso (anche se alcune battutine ammiccanti nel corso del gioco tra i due mi hanno fatto assai piacere). Termino il sermone esplicativo con l’augurio che ciò che abbia scritto possa essere di vostro gradimento.

Alla prossima! (Si spera!)

Letizia

   
 
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