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Autore: Chanel483    12/02/2016    5 recensioni
"... ma anche considerati i loro trascorsi, mai in tutta la sua vita Stiles aveva davvero immaginato, nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi, che una mattina, aprendo gli occhi, avrebbe visto qualcosa di simile."
[ Stydia || Post 4^stagione - circa ]
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E niente, è successo praticamente che ero convinta di essere riuscita a superare questa mia insignificante ossessione per gli Stydia che va avanti ormai da anni e invece, dopo le ultime puntate, la situazione è drasticamente peggiorata e questo è il risultato. E mi dispiace per voi.
La fanfiction è ambientata più o meno dopo la quarta stagione, nel senso che ci troviamo alla fine di un ipotetico ultimo anno di liceo ma non tiene conto di ciò che è successo nella quinta stagione (no, non li ho ancora perdonati per quello che hanno fatto sopportare alla mia Lydia, nonostante il "lieto fine").
Si tratta ovviamente di una Stydia, con vaghissimi accenni Scira e giuro di aver davvero provato a rendere Stiles un personaggio anche solo vagamente serio... ma no, non ci sono riuscita.
Sperando di aver finito con le indicazioni per l'uso e non essermi dimenticata nulla, buona lettura.

 

Too smart
O di come una sola notte con Lydia Martin possa ripagare dieci anni di attesa.
Ps: Ma se a questa dovessero seguirne altre, nessuno si lamenterebbe.
 
Aveva otto anni Stiles il giorno in cui si era reso conto di essere inesorabilmente innamorato di Lydia Martin e che molto probabilmente questo mai sarebbe cambiato.
Era un giorno di terza elementare come tanti quando uno Stiles in miniatura si era erto innanzi alla classe durante una lezione, ostentando la spavalderia di un eroe mitologico, ed aveva intonato una canzoncina volgare, imparata da dei ragazzini più grandi, proprio in faccia alla maestra. L’intera classe era scoppiata a ridere all’istante ed il bambino – che in realtà nemmeno conosceva il reale significato di quelle parole – si era sentito invincibile, nonostante il carico di compiti aggiuntivi che, per punizione, la donna gli aveva assegnato per casa. Era stato in quel momento, mentre tornava al suo posto, che aveva incontrato il suo sguardo smeraldino ed era stato come se la vedesse per la prima volta. Rideva con la bocca aperta, le fossette in evidenza sulle guance morbide e due lacrime precariamente incastrate tra le lunghe ciglia.
Era stato quello in momento in cui aveva deciso che l’avrebbe amata sempre.
Erano ormai passati dieci anni da quel giorno. Non poteva dire che lo sviluppo del loro rapporto fosse stato facile, tutto il contrario. Ci erano voluti sette lunghi anni perché lei si accorgesse anche solo della sua esistenza ed un’altra manciata di mesi perché iniziasse effettivamente a considerarlo. Era stata lunga, ma ne era valsa la pena perché – nonostante un’interminabile serie di alti e bassi – alla fine erano diventati amici, davvero amici, di quelli che se ne hanno pochi.
Ma anche considerati i loro trascorsi, mai in tutta la sua vita Stiles aveva davvero immaginato, nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi, che una mattina, aprendo gli occhi, avrebbe visto qualcosa di simile.
Lydia Martin – proprio lei – gli dava la schiena – nuda – e dormiva con la testa posata sul suo cuscino, i capelli biondo fragola sparsi un po’ ovunque. Davanti ad una simile visione, gli ci vollero appena una manciata di secondi per ricordarsi ciò che era accaduto tra loro la sera prima.
Aveva forse dodici anni Stiles, quando aveva iniziato a fantasticare su come sarebbe stato fare sesso con Lydia Martin. Da allora ci aveva pensato praticamente ogni giorno – anche più volte al giorno in effetti, durante il periodo della pubertà – ma mai aveva anche solo sperato che quella fantasia potesse trasformarsi in realtà.
Erano trascorsi dieci anni ed una manciata di mesi da quel giorno di terza elementare, nessun’altro avrebbe portato così tanta pazienza, nessun’altro sarebbe stato in grado di dimostrarsi tanto determinato, eppure quella sola notte era valsa ogni singolo minuto d’attesa.
Stare con Lydia era stato bellissimo, così bello da sembrare quasi irreale, e man mano che i ricordi affioravano, Stiles percepiva una sorta di calore esplodere al centro del suo petto. Si sentiva euforico, felice come poche volte gli era capitato. Inaspettatamente, l’idillio di quel momento fu interrotto da un suono improvviso che, martellante, prese a risuonare per la stanza, facendogli rischiare un infarto fulminante. Compresa quale fosse la fonte del rumore, si tuffò di testa verso il comodino e - rischiando di schiantarsi a terra – afferrò il suo cellulare e premette con forza sullo schermo, spegnendo la sveglia. Fece appena in tempo a sospirare che un secondo allarme, se possibile ancora più rumoroso, sostituì il primo. Eseguì una seconda volta l’impresa del tuffo per recuperare il telefono di Lydia, e rischiò quasi di romperlo tale fu la forza che impiegò per schiacciare il pulsante che avrebbe zittito il rumore.
Solo quando la stanza piombò nuovamente nel più assoluto silenzio, Stiles si azzardò a lanciare uno sguardo in direzione della ragazza stesa accanto a lui, giusto per controllare che stesse ancora dormendo, ma una sorta di borbottio indistinto lo fece gelare sul posto.
Lydia si era sempre considerata una ragazza mattiniera. Era quel genere di persona che anche durante il weekend non si alza mai più tardi delle nove, e appena scesa dal letto sprizzava energia da tutti i pori. Quella particolare mattina però, per qualche strano motivo, si sentiva insolitamente pigra, a dirla tutta non le sarebbe dispiaciuto restare a letto ancora un po’.
A svegliarla però fu il trillo acuto della sveglia, che si insinuò senza preavviso tra i suoi sogni confusi, riportandola bruscamente alla realtà. Si sentiva strana, la testa le doleva leggermente, come dopo una sbornia, ma era quasi certa di non aver bevuto nemmeno un goccio d’alcool la sera prima. Ancora intontita, non aprì subito gli occhi, si limitò ad emettere un verso infastidito mentre si rigirava tra le lenzuola, portando così un braccio a circondare il petto nudo del ragazzo steso accanto a lei, il quale per poco non rischiò l’infarto – il secondo nell’arco di pochi minuti.
“Ancora cinque minuti...”
Biascicò Lydia, stringendosi maggiormente a quel corpo caldo, con il quale il contatto contro la pelle
 nuda era così piacevole. Era tanto tempo che non passava la notte con un ragazzo, così tanto in effetti che quasi non ricordava la sensazione di svegliarsi con qualcuno accanto. C’era stato un tempo, dopo la partenza di Jackson, in cui ritrovarsi ogni mattina un ragazzo diverso nel letto non era stato poi così strano, ma ormai non le accadeva più da mesi.
Ci mise diversi secondi ad elaborare quel pensiero, ma quando lo fece un primo campanello d’allarme prese a risuonare nella sua testa. In seguito alla morte di Aiden – avvenuta mesi e mesi prima – Lydia aveva sempre trascorso le sue notti da sola, in effetti.
E allora…?
Spalancò gli occhi di colpo, colta da un presentimento affatto piacevole. La prima cosa che si parò davanti ai suoi occhi fu una parete tinteggiata di verde – sulla quale stavano appuntati ritagli di giornale e fogli di ogni sorta – che poco aveva a che fare con quelle lilla ed elegantemente decorate di foto e quadri della sua stanza. No, quella decisamente non era la sua camera.
Puntellandosi sul materasso, abbassò con lentezza esasperante lo sguardo sul volto del ragazzo che se ne stava immobile al suo fianco e, nel preciso momento in cui riconobbe i suoi lineamenti, tutto nella sua testa assunse un senso – o per lo meno, tanto senso quanto una situazione del genere potesse avere.
Stiles?” chiese, con voce insolitamente stridula, ritraendosi da lui con una sorta di balzo, per quanto lo spazio angusto del letto le permettesse.
“L-Lydia?” balbettò questi in tutta risposta, sollevandosi di scatto a sedere e facendosi così ricadere le coperte in grembo. No, non era esattamente così che, la sera prima, si era immaginato il risveglio di quella mattina.
Stiles non si era mai ritenuto un portento quando si trattava di capire le ragazze, ma in quel momento Lydia pareva agitata. Molto agitata. Estremamente agitata. Personalmente non ne capiva il motivo – per lui quella era a tutti gli effetti il risveglio migliore della sua vita, cosa poteva esserci di tanto tremendo? – ma vederla in quello stato iniziava ad agitare anche lui. Fece per allungarsi verso di lei – con una mano appena sollevata, senza ben sapere dove poggiarla – ma la ragazza si ritrasse prima che lui potesse toccarla e schizzò in piedi, trascinandosi dietro le lenzuola che, come accadeva in ogni commedia romantica che si rispetti, si avvolse prontamente attorno al corpo. Lui, rimasto di colpo esposto, fu costretto ad afferrare il cuscino dietro la sua schiena e piazzarselo sulle gambe. Un conto era se fossero stati nudi entrambi – cosa che in effetti non gli sarebbe dispiaciuta – ma così era strano, lo faceva sentire quasi vulnerabile. E poi Lydia stava indubbiamente uscendo di testa.
“Ehi, tutto ok?” Non era certo di voler conoscere la risposta, ma non poteva starsene in silenzio mentre lei si guardava attorno visibilmente preoccupata, spostando lo sguardo da un punto all’altro della stanza in modo quasi febbrile.
Sentendolo parlare, Lydia si decise a fissare gli occhi ancora sgranati su di lui: “Sì, alla grande” rispose, ma la voce era troppo acuta per poter risultare credibile. Trascinandosi dietro il lenzuolo, prese a girare per la stanza in cerca dei suoi abiti abbandonati un po’ ovunque, il viso prima cinereo che diventava più rosso ogni secondo che passava.
Era una sensazione stranamente fastidiosa quella che provava in quel momento, mentre si chinava a raccogliere la sua camicetta finita chissà come sotto la scrivania. Non le era mai successo di provare imbarazzo dopo essere andata a letto con qualcuno, né era quel tipo di ragazza che all’alba raccoglieva le sue cose e spariva prima che l’altro potesse svegliarsi, ma ripensandoci forse le cose sarebbero state più semplici se quella mattina fosse stata lei la prima a destarsi.
“Ne sei… sicura?”
Lanciò appena un’occhiata a Stiles, soffermandosi sulla sua figura il tempo sufficiente per rendersi conto che aveva avuto la decenza di indossare dei pantaloni del pigiama e che si era alzato dal letto, ma manteneva comunque una certa distanza e lei non poté che essergliene grata, specie considerando quanto in imbarazzo la mettesse il fatto di essere nuda, nel mezzo della sua stanza – beh, sotto il lenzuolo.
Si sollevò il telo sulle spalle e ci si nascose letteralmente dentro, dando la schiena al ragazzo, prima di iniziare a vestirsi il più in fretta possibile, ben decisa a farlo senza mostrare la più piccola porzione di pelle – e poco importava che a quel punto lui l’avesse già vista nuda.
“Sicurissima.”
Ma non lo era per niente. E le sue mani tremavano tanto che al decimo tentativo non era ancora riuscita ad infilare due bottoni di fila nell’asola appropriata. Alla fine lasciò perdere e passò ad infilarsi la gonna, fingendo di non accorgersi di quanto fosse stropicciata dopo aver passato tutta la notte appallottolata sul pavimento. Iniziò a passarsi febbrilmente le dita tra i capelli, cercando inutilmente di dare un senso al groviglio rossiccio che in quel momento aveva in testa.
“Io ora devo… devo andare” accennò senza guardarlo direttamente negli occhi, dopo aver rigettato il lenzuolo sul letto, evitando di soffermarsi con lo sguardo anche su quello.
Stiles, in procinto di avere un attacco di panico o qualcosa del genere, tanto si sentiva spaesato in quel momento, mosse un paio di passi verso la ragazza: “Lydia asp-”
Ma lei non gli permise di terminare la frase: “No, davvero Stiles, devo andare. Ci… ci vediamo a scuola.” Afferrò la borsetta che la sera prima aveva abbandonato vicino alla porta e, senza rivolgere un ultimo sguardo al ragazzo che ancora la fissava come se stesse impazzendo, lasciò la stanza sforzandosi per non mettersi a correre.
Mentre scendeva le scale che l’avrebbero condotta al piano terra, Lydia si ritrovò a pensare che quella situazione non avrebbe in alcun modo potuto essere più imbarazzante. Questo perché ancora non sapeva che di lì a pochi istanti avrebbe incrociato nel corridoio niente meno che lo Sceriffo Stilinski, con in mano una tazza di caffè, indosso un pigiama scuro e disegnato in volto un sorriso eloquente, che avrebbe significato più di mille parole.
 
*
 
Giugno era alle porte, le giornate iniziavano lentamente a farsi più calde e per i corridoio del liceo di Beacon Hills iniziava a diramarsi un certo fermento, il solito che d’altronde precedeva le vacanze estive. Questo però non interessava tutti gli studenti della scuola, non quelli dell’ultimo anno almeno, che non sognavano altro che poter dilatare i giorni che li dividevano dal termine dell’anno scolastico, alla disperata ricerca di più tempo per studiare in vista degli esami.
Quando però la campanella che annunciava la pausa pranzo suonò quel giorno, anche tra gli alunni del quarto anno si propagava un insolito chiacchiericcio eccitato che coinvolgeva un po’ chiunque, anche chi da un paio di settimane a quella parte non faceva altro che mangiarsi le unghie e sudare freddo in vista dei test imminenti. L’argomento che aveva attirato l’attenzione di così tanti riguardava una certa rossa che, volente o nolente, pareva trovare sempre un modo per finire costantemente sulla bocca di tutti lì al liceo. Il pettegolezzo che la riguardava quel giorno, però pareva particolarmente succulento.
“Hai visto? È entrata due ore dopo.”
“Sì, e questa mattina pare avere la testa da tutt’altra parte.”
“Infatti, ha dato una risposta sbagliata durante la lezione di francese. Hai mai sentito la Martin dire qualcosa di sbagliato in classe?”
“Britt l’ha vista questa mattina prima di venire a scuola, sembrava stesse tornando a casa sua e aveva indosso gli stessi vestiti di ieri.”
“Impossibile, sono in classe con Lydia dalle medie, non l’ha mai vista portare gli stessi abiti per due giorni di fila.”
“Eppure è andata proprio così: stessi vestiti. E invece di venire a scuola ha preferito perdere due ore di lezione, probabilmente è andata a casa a cambiarsi, adesso è vestita diversamente.”
“Lydia Martin ha passato la notte fuori casa, chissà con chi era.”
“Ieri mi ha detto che sarebbe rimasta a casa a studiare.”
“No, ti sbagli, ha detto che sarebbe andata a studiare da Stilinski.”
Lydia Martin, più di ogni altra cosa, odiava i pettegolezzi. Non li odiava tutti in realtà, quelli che la mettevano in buona luce non le davano poi così fastidio a dirle tutta, ma non sopportava sentire altri parlare di cose che la riguardava e che lei per prima non era ancora riuscita ad inquadrare.
Sì, aveva fatto sesso con Stiles. Era proprio necessario mettere i manifesti!?
Sbuffò infastidita, ignorando con tutte le sue forze l’ennesimo sussurro che conteneva il suo nome ed aumentò la velocità dei suoi passi, percorrendo il corridoio che l’avrebbe condotta in mensa sulle decolté di vernice blu, senza guardare in faccia nessuno.
In realtà però, le bastò mettere piede nella mensa per rendersi conto che lì le cose non avrebbero potuto far altro che peggiorare. Se non fosse bastato il brusio costante che la seguiva ovunque da quanto era arrivata a scuola, solo osservando il tavolo cui solitamente prendeva posto insieme al resto del branco, si rese conto che lì non avrebbe potuto evitare Stiles, come invece aveva abilmente fatto fino a quel momento.
“Oh per l’amore del cielo” sussurrò tra i denti, prima di ruotare decisa sui tacchi ed andarsene.
“Hai visto? È entrata e se ne è andata senza degnare nessuno di uno sguardo.”
“Pensi che Lydia abbia litigato con Scott e Stiles? Di solito se ne stanno sempre appiccicati, oggi invece non gli ha nemmeno rivolto la parola.”
“Povero Stiles, prima va a letto non lui e poi nemmeno gli parla.”
“Non è andata a letto con nessuno, è stata di sicuro immischiata in un altro casino dei loro.”
Stiles, innervosito, sbatté il pugno contro la superficie del tavolo, allontanando da sé il suo vassoio. Scott, Kira, Liam, Malia e Mason si voltarono simultaneamente verso di lui, richiamati dal rumore improvviso, in viso dipinta la medesima espressione interrogativa.
“Mi sono stufato” spiegò Stiles, con un verso scocciato: “Ci vediamo più tardi.” E, senza aggiungere altro, si allontanò a sua volta dalla mensa.
 
*
 
“Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando” la informò Lydia, riponendo come niente fosse uno dei libri che stringeva al petto nello scaffale dove l’aveva trovato.
Gli occhi a mandorla di Kira incontrarono il soffitto, mentre lei scuoteva la testa: “Oggi sei strana Lydia e non strana come prima di un esame, strana come una che sta per avere un crollo nervoso.”
“Non sarebbe certo il primo” sussurrò l’altra, senza sollevare lo sguardo dai titoli dei libri che stava scandagliando.
“Non è divertente.”
“Non voleva esserlo.”
Con un gesto brusco, in realtà nient’affatto da lei, Kira strappò di mano all’amica il libro che stava osservando, costringendola così a sollevare lo sguardo verso di lei: “È tutto il giorno che sento cose assurde sul tuo conto, tra poco mi racconteranno che hai passato le ultime ventiquattrore a… sacrificare teneri coniglietti a non so quale demone maligno e io finirò per crederci, perché tu non mi spieghi cosa sta succedendo!” si fermò appena un istante a riflettere sulle sue parole e, con una smorfia, decise di ritrattare: “Uh no, la metafora dei coniglietti era terribile, fai finta che non l’abbia usata… ma insomma, hai capito il concetto.”
Fu il turno di Lydia per alzare gli occhi al cielo, nel tentativo però di camuffare una risatina: “Senti, non c’è nulla da dire, sono le solite sciocchezze che la gente inventa quando si annoia. Domani avranno già trovato qualcos’altro di cui parlare.” Ma forse, nonostante cercasse di non darlo a vedere, stava provando di convincere più sé stessa che l’amica.
“Supponiamo che io ti creda” concesse questa in tono sarcastico: “Vuoi almeno spiegarmi perché ti stai comportando in questo modo assurdo oggi? E non negare, lo stai facendo” la interruppe, vedendola accennare ad aprir bocca prima ancora che lei avesse finito la domanda.
“E come mi starei comportando, sentiamo?”
“Sei entrata due ore dopo…”
“Non ho sentito la sveglia.”
“… e non hai parlato con nessuno di noi per tutto il giorno.”
“Scusami tanto se stavo seguendo le lezioni!”
“Lydia, non hai nemmeno pranzato!”
“Beh non avevo fame. Che cosa sei Kira, mia madre?”
La mora scosse la testa, cercando di addolcire il tono, mentre allungava una mano per sfiorarle il braccio: “No, non sono tua madre. Ma questo non significa che non possa preoccuparmi per te. E per la cronaca non sono l’unica, anche Scott e Malia hanno notato che…”
Sono andata a letto con Stiles, ok!?” sbottò di punto in bianco Lydia, interrompendo la sua frase a metà, a voce abbastanza alta però da far voltare nella sua direzione più di una persona. Chiuse gli occhi per un istante mentre serrava la labbra, si era sempre ritenuta una persona estremamente intelligente, ma a volte sapeva essere così stupida: “Beh, cosa avete da guardare? Questa è una biblioteca, non avete qualcosa da leggere?!” aggiunse in tono stizzito, rivolgendo un’occhiataccia a chiunque la stesse osservando.
Kira, il cui stupore pareva più contenuto di quanto in realtà l’altra si sarebbe aspettata, nascose non vista un sorrisetto dietro il dorso della mano, mentre la rossa al suo fianco si passava stancamente una mano tra i capelli che portava sciolti sulle spalle.
“Senti io… non voglio parlarne. E poi ho davvero molto da studiare.” Sollevò i libri che teneva in mano, a conferma di quell’ultima frase: “Tu però stai tranquilla, va tutto bene.” Lei per prima non ne sembrava particolarmente convinta, ma si stava impegnando così tanto nel fingere che fosse tutto a posto che a Kira parve poco carino insistere ancora.
“Come vuoi. Sappi solo che se hai bisogno di qualcosa, di un’amica con cui sfogarti, io ci sono.” Rimase un attimo in silenzio, ritrovandosi senza volerlo ad abbassare lo sguardo per fissarlo sulle sue dita con le quali aveva iniziato a tormentare i bracciali che portava al polso: “So che non sono lei ma… siamo un branco, no? È quello che facciamo, ci sosteniamo l’un l’altro.”
Non ricordava di avere mai avuto una vera amica Kira, non come quelle che si vedono nei film sui teenager per lo meno. Aveva avuto delle conoscenti, delle persone con le quali le piaceva passare del tempo, ma mai qualcuno di cui si fidasse davvero, qualcuno con cui fare qualsiasi cosa, con cui condividere ogni segreto. Eppure voleva davvero bene a Lydia e a Malia e sentiva che con loro avrebbe potuto costruire quel tipo di rapporto che sognava fin da bambina. Per troppo tempo però il fantasma di Allison aveva aleggiato attorno a Lydia e lei, troppo spesso, aveva come l’impressione di dover reggere un confronto che sapeva essere perso in partenza. Chiunque avesse conosciuto Allison l’aveva adorata – lei per prima l’aveva fin da subito osservata con stima, desiderando forse troppo spesso di poter essere un po’ più come lei – e Kira non si sarebbe mai sentita all’altezza di ricoprire un ruolo che un tempo era stato suo – inutile dire che quegli stessi pensieri l’avevano tormentata all’inizio della sua relazione con Scott.
Lydia non avrebbe esitato a raccontare ciò che era successo ad Allison, lei non avrebbe avuto bisogno di estorcerle le parole a forza. E questo da solo bastava per provare ciò che Kira pensava da tanto tempo.
“Sì, lo so.” La voce di Lydia la riportò al presente, se la ritrovò davanti, un po’ più vicino di quanto non fosse prima, con un sorriso gentile a distenderle le labbra truccate di rosa: “E non serve che tu sia lei, ciò che sei va benissimo.”
La ragazza sorrise, distogliendo lo sguardo mentre le sue guance si arrossavano appena. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e, quando sollevò nuovamente la testa, si rese conto che l’altra era scomparsa. Non poteva crederci, rimase immobile per qualche secondo, ad osservare con le labbra dischiuse il punto in cui si trovava Lydia appena una manciata di secondi prima. Si era fatta fregare in un modo così stupido che le veniva voglia di sbattere i piedi a terra e mettersi a strillare come una bambina.
Sbuffando, afferrò il telefono e digitò velocemente un messaggio.
È come pensavamo, ma non ho scoperto altro. Fammi sapere se hai più fortuna.
 
*
 
In generale Scott non era mai stato un tipo particolarmente fortunato, ma quando si trattava del suo migliore amico era tutta un’altra storia. Si conoscevano da così tanto tempo che sapevano sempre come comportarsi l’uno con l’altro, dicevano sempre la cosa giusta al momento giusto e si capivano con uno sguardo.
Quella sera i due viaggiavano da ormai qualche minuto nella Jeep di Stiles, ma stranamente l’unico suono che si udiva nell’abitacolo era quello della radio. Si trattava di una situazione quantomeno anomala, perché Stiles non stava mai zitto, mai. Eppure da tutto il giorno pareva immerso in una sorta di silenzio contemplativo e, se si escludeva qualche borbottio privo di senso logico, non aveva ancora aperto bocca. Scott iniziava a preoccuparsi, conosceva l’amico da tutta una vita ma non ricordava di essere mai rimasto per così tanto tempo senza udire il suono della sua voce.
Aveva già azzardato un paio di volte ad iniziare una conversazione – “Bella giornata oggi eh?”, “Mi piace questa canzone, come si chiama?” – ma in risposta non aveva ottenuto altro che brontolii indistinti. Quella situazione lo innervosiva, non aveva mai bisogno di convincere Stiles a raccontargli ciò che accadeva nella sua vita, al contrario la maggior parte delle volte desiderava possedere un telecomando per spegnerlo.
Spostò lo sguardo verso il finestrino oltre il quale sfrecciava veloce la fila di alberi che costeggiava la strada e si passò una mano tra i capelli già spettinati. Aveva sentito così tanti pettegolezzi quella mattina – in grado chissà come di riportare notizie diametralmente opposte – che se qualcuno non gli avesse chiarito in fretta la situazione sarebbe andato fuori di testa.
Kira era andata a parlare con Lydia, inizialmente si era offerta Malia ma era molto probabile che il problema riguardasse Stiles e visto che i due avevano da poco trovato una sorta di equilibrio dopo essersi lasciati, Scott aveva preferito non rischiare, per non parlare del fatto che forse sarebbe servito un po’ di tatto e Malia, per quanto fantastica, ne fosse del tutto sprovvista. Comunque, Kira aveva preso in mano la situazione ed era andata a fare un paio di domande alla ragazza e, secondo il messaggio che gli aveva mandato pochi minuti prima, pareva proprio che – come volevano i pettegolezzi più rumorosi – fosse successo qualcosa tra lei ed il ragazzo che ora stringeva tra le mani il volante tanto forte da farsi sbiancare le nocche.
“Allora come… come stai?” azzardò Scott, dopo aver preso un lungo respiro.
“Una meraviglia” rispose Stiles, senza staccare un istante lo sguardo dalla strada.
Parlare con Stiles non era mai stato così difficile, ma questo non significava che il ragazzo avrebbe facilmente desistito: “Non sembra” ammise, spostando lo sguardo oltre il parabrezza: “Voglio dire, è tutto il giorno che ti comporti in modo strano, se non vuoi parlarmene è ok, ma non fare finta di niente con me, non sono stupido.”
Le dita del ragazzo presero a tamburellare nervose sul volante ad un ritmo diverso da quello proveniente dalla radio, mentre lanciava qualche occhiata all’amico seduto accanto a lui. Non gli piaceva l’idea di tenere dei segreti a Scott – né era mai stato bravo a farlo – ma in quel caso era diverso; per prima cosa le idee nella sua testa erano ancora troppo confuse per essere trasformate in parole, e poi non era certo che parlare di ciò che era successo con Lydia sarebbe stato particolarmente carino da parte sua, anche se si trattava del suo migliore amico. D’altra parte però la ragazza sapeva che loro due si dicevano ogni cosa, con ogni probabilità credeva che lui fosse corso subito a raccontargli tutto.
“Forse è… successo qualcosa” ammise dopo infiniti secondi di tentennamento.
Scott dovette stringere forte le mani a pugno per non emettere un verso di vittoria. Sapeva che prima o poi l’avrebbe fatto cedere, considerando le premesse era accaduto anche prima del previsto, probabilmente Stiles non vedeva l’ora di raccontare qualsiasi cosa gli fosse accaduta, aveva solo bisogno di una piccola spinta: “Vuoi parlarne?” chiese, ostentando noncuranza.
“Non credo” rispose l’altro dopo qualche istante, decisamente poco convinto di quell’affermazione.
Scott finse indifferenza, tenendo lo sguardo ben piantato oltre il finestrino: “Strano, hai proprio l’aria di uno che ha voglia di raccontare qualcosa.”
Aveva ragione, come quasi sempre accadeva quando si parlava di lui, ma comunque a Stiles non andava di raccontare all’amico della notte passata con Lydia come avrebbe fatto se si fosse parlato di una qualunque conquista – non che ne avesse avute molte a dirla tutta – l’ultima cosa che voleva era mancarle di rispetto, e poco importava che molto probabilmente a lei non sarebbe interessato: “Forse, ma non sono certo di poterlo fare.”
“Poterlo fare? In che senso?” All’istante Scott dimenticò ogni pettegolezzo e insinuazione, davanti all’ipotesi che il suo migliore amico si fosse davvero messo nei guai. Forse ciò che doveva dirgli non aveva nulla a che fare con quel che pensava, forse gli era successo qualcosa di grave di cui lui era del tutto all’oscuro. Si voltò di scatto, fissando lo sguardo su di lui: “È successo qualcosa? Stiles, se ti è successo qualcosa devi dirmelo, non importa cosa sia, troveremo un soluzione insieme.”
La paranoia del ragazzo fece quasi scoppiare a ridere l’altro, che l’avrebbe trovata ancora più divertente se non fosse stato così nervoso: “Nulla di grave, tranquillo” si sbrigò a rispondergli, cercando senza successo di nascondere un ghigno: “O per lo meno, nulla che coinvolga il soprannaturale o metta in pericolo le nostre vite.” Il che in realtà non era molto ma, considerate le situazioni che in passato si erano ritrovati a fronteggiare, si trattava comunque di un passo avanti.
“Oh” commentò Scott, tornando lentamente a poggiarsi contro lo schienale del sedile, tirando un sospiro di sollievo: “Ottimo allora.”
“Già.”
Ci fu un altro instante di silenzio, giusto il tempo necessario perché il ragazzo realizzasse che nessuno di loro avrebbe rischiato la vita in un futuro prossimo: “Allora perché… perché non puoi dirmelo?” domandò dopo poco.
“Perché…” Stiles esitò appena un secondo, prima di decidersi a dirgli la verità: “Perché è una cosa che riguarda anche Lydia.”
Bingo.
Scott si sforzò con tutto se stesso per non sorridere. Dire che attendeva quel momento da tutta una vita sarebbe stato restrittivo. Dopo tutte le ore passate a parlarne, il ragazzo aveva quasi l’impressione di essere ossessionato da Lydia tanto quanto lo era il suo migliore amico; a volte aveva addirittura pensato di desiderare che i due finissero insieme con ancora più intensità dello stesso Stiles. Aveva sempre saputo che se mai fosse successo qualcosa tra loro avrebbe organizzato una festa, non in onore di Lydia e Stiles, ma di se stesso, che aveva sopportato quest’ultimo per dieci lunghi anni di amore non corrisposto. Peccato che l’alcool non avesse effetto sui lupi mannari, quella volta si sarebbe davvero meritato un’ubriacatura con i fiocchi.
Attese qualche istante prima di porre la domanda che aveva in mente – e della quale in realtà a quel punto già conosceva la risposta – il tempo necessario per essere sicuro di non rischiare di iniziare a ridere o intonare un inno alla gioia né nulla di simile: “È successo qualcosa tra voi due?” Decisamente, fingere di non aver intuito nulla era la tattica migliore.
Stiles annuì lentamente, senza staccare gli occhi dalla strada: “Lei ha… passato la notte da me.”
“Sì, mi ricordo che avevate detto che avreste ripassato insieme. Si è addormentata mentre stavate studiando?” chiese Scott, fingendo di essere totalmente all’oscuro di tutto. Sinceramente, non ricordava l’ultima volta che si era divertito così tanto.
“No, noi…” la pelle chiara del ragazzo iniziava ad arrossarsi in modo insolito, all’altezza delle guance. Se anche fosse stato più determinato nel raccontare all’amico ciò che era successo, era abbastanza sicuro che non avrebbe trovato le parole adatte.
“Voi…?”
“Dai hai capito…”
“Capito cosa?”
Stiles esitò ancora qualche istante, facendo sfrecciare lo sguardo da un punto all’altro della strada oltre il parabrezza, come se lì potesse trovare le parole giuste, per poi prendere un profondo respiro: “IoeLydiasiamostatialettoinsieme” sputò tutto d’un fiato.
Scott dovette trattenere un risata: “Scusa? Non ho capito una parola.” In realtà aveva colto a grandi linee il significato di quel borbottio, ma era troppo divertente vederlo annaspare.
L’altro sospirò di nuovo: “Io e Lydia siamo stati a letto insieme” ripeté più lentamente, ben deciso a non guardare in direzione dell’amico.
Questi, la cui mente era già rivolta al pensiero della festa che di certo lui, Kira e gli altri avrebbero presto organizzato a loro insaputa, si impose di mantenere una parvenza di tranquillità mista a sorpresa: “Questo spiega molte cose” commentò a bassa voce, quasi tra sé e sé.
“E questo che vorrebbe dire?” chiese Stiles, inarcando un sopracciglio.
“È tutto il giorno che voi due vi comportate in maniera assurda, all’inizio con gli altri abbiamo pensato che per Lydia si trattasse di qualche strana sensazione da Banshee, ma per te non avevamo alcuna spiegazione.”
“Quindi parlate di noi alle nostre spalle?”
Scott sollevò gli occhi al cielo, scuotendo piano la testa: “Lo avresti fatto anche tu se avessi visto uno di noi comportarsi in quel modo.”
Rimasero in silenzio per qualche istante, rimuginando su ciò che si erano appena detti. Il motore della Jeep borbottava rumorosamente come suo solito, mentre procedevano per la strada, accodandosi a decine di macchine i cui autisti guidavano con la fretta di chi ha solo voglia di tornare a casa, dopo una giornata di lavoro. Solo in quel momento Stiles si rese conto che era praticamente ora di cena, era assurdo ma quel giorno la sua testa era stata così occupata che non si era letteralmente accorto dello scorrere delle ore. Forse il suo migliore amico aveva ragione, forse si stava davvero comportando come uno che ha perso qualche rotella.
“Ne vuoi… parlare?” a rompere il silenzio fu Scott, che pronunciò quella domanda senza sembrarne troppo convinto, come se non fosse certo che si trattasse della cosa giusta da dire.
E infatti non lo era: “Mi stai davvero chiedendo di raccontarti come è stato?” gli domandò l’altro, guardandolo di traverso.
Scott sollevò le mani, come a voler provare la sua innocenza: “Non era inteso in quel senso!” si difese: “Voglio dire se… se tu vuoi parlare di come…” si fermò, portando una mano a grattarsi la nuca, quando aveva deciso di parlargliene l’intero processo gli era parso molto più semplice: “Di come ti fa sentire, ecco.”
Stiles voltò appena il capo, per lanciargli un’occhiata divertita: “‘Di come mi fa sentire’? E poi cosa? Mi comprerai un vaschetta di gelato e ci chiuderemo nella mia stanza per metterci lo smalto a vicenda?”
Dalle labbra del ragazzo sfuggì uno sbuffo, mentre ricambiava l’amico con un occhiataccia: “Guarda che ero serio” disse, sforzandosi per non alzare di nuovo gli occhi al cielo.
Di colpo il sorriso divertito scomparve dalle labbra di Stiles, che si trovò a stringere con maggiore forza il volante, mentre inevitabilmente tornava a pensare a quella mattina ed al modo in cui Lydia lo aveva trattato – o meglio non trattato – per tutto il giorno. Scott aveva posto la domanda in un modo davvero idiota, ma effettivamente aveva ragione, il suo comportamento lo stava facendo impazzire ed aveva davvero bisogno di parlarne con qualcuno: “Questa mattina quando ci siamo svegliati lei… insomma, è scappata.”
“Scappata?”
“Già” ammise con una smorfia: “Ha preso le sue cose e se l’è data a gambe, letteralmente.”
“Oh” fu tutto ciò che Scott riuscì a dire. Ad essere sincero quello non se l’era aspettato. Aveva capito ormai da diverso tempo che quello sarebbe stato l’unico ovvio finale di quei due ed anche che Lydia per certe cose era molto lenta – tanto quanto era veloce per altre – ma immaginava che ormai anche lei si fosse accorta che i sentimenti che Stiles provava non erano a senso unico. Insomma, se anche i muri a quel punto sapevano che Stiles era innamorato di Lydia, negli ultimi mesi era diventato palese a tutti che anche lei provasse qualcosa, magari non con la stessa intensità, ma comunque abbastanza perché altri – lui e Kira per primi – se ne accorgessero.
E allora perché si era comportata così? Scott dubitava che si fosse pentita di qualsiasi cosa fosse accaduta tra lei ed il ragazzo – non era certo il tipo – ma era innegabile che quella non fosse una reazione normale. Si passò una mano tra i capelli, mentre la Jeep si fermava in fila ad un semaforo rosso, ed azzardò un’occhiata in direzione dell’amico. Era ovvio che lui si stesse tormentando da tutto il giorno con quegli stessi quesiti.
“E tu che hai fatto?” gli domandò dopo qualche istante.
“Come che ho fatto?” ribatté lui, rimettendo in moto: “L’ho lasciata andare.”
“Sì certo, non potevi obbligarla a restare” fece Scott, in modo sbrigativo: “Ma dopo? Vi siete parlati? Le hai scritto?”
Stiles aggrottò le sopracciglia, senza distogliere lo sguardo dalla strada: “No, certo che non l’ho fatto. Sinceramente non ci tenevo a ritrovarmi un tacco dodici in fronte.”
L’occhiata sconvolta che l’altro gli rivolse, in una diversa situazione, lo avrebbe di certo fatto ridere: “Cioè dopo averla lasciata andare non le hai più parlato?” dire che in quel momento lo avrebbe picchiato sarebbe stato restrittivo: “Non ci posso credere, non mi stupisco che ti ci siano voluti dieci anni.”
“Non sei di aiuto” fu l’unico commento di Stiles, borbottato tra i denti.
“Ok scusa, scusa.” Il ragazzo sollevò ancora le mani, scuotendo la testa: “Voglio solo dire che dopo tanto tempo non ci credo che tu ti sia lasciato sfuggire questa occasione. Insomma, se non sei stato sincero adesso… quando mai lo sarai?”
Aveva ragione, ovvio che l’aveva. Ma in fondo quando mai era stato il contrario quando si era trattato di lui? Se nemmeno dopo aver fatto l’amore con lei era stato in grado di parlare di ciò che sinceramente provava, quando ci sarebbe riuscito? Per tutta la giornata si era ripetuto di non averlo fatto solo perché non ne aveva avuto l’occasione, ma era molto più probabile che quella fosse solo una scusa. Non aveva ancora parlato con Lydia perché sapeva che se lei l’avesse rifiutato, per loro non ci sarebbero state altre occasioni, o meglio, lui non sarebbe più stato in grado di guardarla in faccia.
“Non penso che lei voglia parlarmi” si limitò però a rispondere, con il tono di chi desidera solo cambiare argomento.
Questa volta Scott non riuscì a trattenere una breve risata dal retrogusto amaro: “Senti Stiles, a te ci sono voluti dieci anni, ma se adesso aspetti Lydia fate in tempo a diventare vecchi entrambi.” Non era sua intenzione essere così lapidario ma insomma, rendeva bene l’idea: “Io dico che devi darti una mossa e devi farlo subito.”
Di nuovo Stiles rimase in silenzio, fingendo di essere concentrato sulla guida quando in realtà la sua testa lavorava freneticamente. In effetti Lydia non aveva dato esattamente l’impressione di desiderare di parlare con lui e più ci pensava più era certo che se non si fossero chiariti presto non l’avrebbero più fatto. Ma lui aveva così tante cose da dirle che se anche se la fosse trovata davanti disposta ad ascoltarlo – cosa che in realtà pareva alquanto improbabile – non avrebbe saputo da dove iniziare.
“Cosa dovrei fare?” domandò frustrato: “Legarla ad una sedia per costringerla ad ascoltarmi e dirle che la amo da dieci anni e tutto ciò che desidero è che lei provi lo stesso?”
“Beh esclusa la parte del legarla, mi pare un’ottima idea” concordò Scott.
Stiles scosse la testa, affatto convinto che quella fosse una buona idea. Lydia gli avrebbe aizzato contro Prada prima ancora che lui potesse aprire bocca. E allora a cosa sarebbero serviti dieci lunghi anni d’attesa per concludere poi con una morte così penosa?
“Non posso.”
“Non puoi o non vuoi?”
Con un verso d’esasperazione, Stiles sterzò bruscamente, fino a portare la macchina sul ciglio della strada, tra il suono dei clacson degli altri automobilisti infastiditi dalla manovra improvvisa. Senza calcolarli, il ragazzo spense il motore e si voltò verso l’amico: “E se mi dovesse rifiutare?” più che una domanda, pareva un urlo disperato.
Scott non poté evitarsi di sorridere: “È una possibilità certo, ma non lo scoprirai mai se non provi.”
“Non posso andare da lei. Mi sbatterà la porta in faccia ed io me ne pentirò per il resto dei miei giorni.”
“Forse, ma te ne pentirai di più se non provi.”
E cos’altro c’era da aggiungere? Non aveva mai nemmeno sperato davvero di poter arrivare a quel punto con lei, e se quella mattina si era dimostrato un idiota a permetterle di andarsene in quel modo, in quel momento stava solo rincarando la dose. Con ogni probabilità lei non lo avrebbe nemmeno ascoltato, ma Scott aveva ragione; se non ci avesse provato se ne sarebbe pentito per sempre.
Attese solo qualche altro secondo prima di rimettere in moto l’auto con una determinazione tutta nuova e, con una manovra non propriamente sicura, si rimise sulla strada ma in direzione opposta rispetto a quella di poco prima. Prese un respiro profondo e si rimise a guidare, rapido quanto il traffico gli permetteva.
Scott, spaesato, si guardò attorno cercando di capire cosa stesse facendo l’amico: “Ehi, casa tua è dall’altra parte” gli fece notare.
“Non stiamo andando a casa mia.”
“Ma non dovevamo studiare storia insieme?”
“Cambio di programma, ti riporto a casa.”
Sul volto del ragazzo, si dipinse un sorriso a trentadue denti, mentre tutto assumeva chiarezza. L’indomani si sarebbe trovato a festeggiare con lui o ad offrirgli una spalla su cui piangere, ma in ogni caso sapeva che ne sarebbe valsa la pena: “Ottima scelta, amico.”
Stiles scosse la testa, visibilmente agitato: “Sto per mandare a puttane tutti i piani elaborati in dieci anni. E sappi che se si rivelerà un disastro, sarà tutta colpa tua.”
Se possibile, il sorriso di Scott si allargò ulteriormente: “Come sempre.”
 
*
 
Quella volta era stato lui a baciarla. Non che cambiasse molto certo, ma Stiles non le era mai sembrato tipo da fare il primo passo.
Sospirò Lydia, affondando il viso nel cuscino del divano, in sottofondo le voci dei personaggi di "La verità è che non gli piaci abbastanza". Aveva deciso di guardarlo perché era un film leggero, divertente, che di certo l'avrebbe distratta. Eppure per quanto provasse a non pensarci - e lo stava facendo davvero intensamente - il nome di Stiles si insinuava tra i suoi pensieri ogni mezzo minuto.
Sembrava uno di quegli stupidi esperimenti mentali: "Non pensare ad un elefante rosa."
Come se non bastasse, Stiles non aveva fatto solo il primo passo, ma anche il secondo ed il terzo e, prima che lei potesse accorgersene, si era ritrovata sdraiata sul suo letto sotto di lui. Gli appunti di chimica su cui stavano studiando erano finiti sul pavimento, presto raggiunti dalla felpa di lui.
Non le era mai piaciuto, non in quel senso. Stiles era goffo, logorroico, imbranato e... e un sacco di altri difetti che in quel momento non le venivano in mente ma di certo lo avrebbero descritto alla perfezione. Era un pessimo partito, il peggiore. E allora perché quando l'aveva baciata era stata in grado solo di desiderare che la stringesse di più?
Le aveva chiesto il permesso prima di slacciarle la camicetta, quasi fosse un pura quattordicenne. Eppure, nonostante l'assurdità della richiesta, lei non aveva riso come avrebbe fatto con chiunque altro, si era limitata ad annuire, cercando i suoi occhi.
Era tutto il giorno che si domandava cosa fosse accaduto appena prima del fattaccio, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare. Forse non era successo niente di particolare, forse stavano solo studiando insieme come avevano fatto altre mille volte e Stiles aveva deciso - per chissà quale assurdo motivo - che quello fosse il momento giusto. E il momento giusto pareva esserlo davvero.
L'aveva toccata come se fosse stata un oggetto di vetro, come se si potesse spezzare alla minima pressione. Lydia non era fragile, detestava sentirsi così, eppure non lo aveva ripreso, non lo aveva fatto perché era troppo bello e non aveva voluto che si fermasse.
Non aveva voluto che si fermasse? Era ufficiale, Lydia Martin, che aveva mantenuto intatta la sua salute mentale in seguito ad attacchi di lupi mannari, assurdi poteri che ancora non era in grado di comprendere a pieno, assassini professionisti, strani demoni giapponesi e ogni altro tipo di essere soprannaturale, stava perdendo la testa per essere andata a letto con qualcuno. No, non con qualcuno, con Stiles.
Era stato impacciato come se quella fosse stata la sua prima volta. Ma non lo era, Lydia lo sapeva già certo, ma ne aveva avuto la conferma quando lui si era allungato verso il comodino per prendere un preservativo dal pacco che teneva nascosto sotto un paio di fumetti.
Si sentì quasi male ritrovandosi a ricordare che si era domandata, non senza una punta di gelosia, se fossero gli stessi che usava con Malia.
Gelosa, di Stiles. Ecco la prova che stava impazzendo.
Ma nonostante tutto, nonostante per buona parte del tempo Stiles fosse sembrato terrorizzato mentre sfiorava qualsiasi punto del suo corpo, Lydia non poteva negare che fosse stato bellissimo.
"Bellissimo..." lo sussurrò tra sé e sé, così piano che faticò a sentirsi da sola. Sembrava così strano a pensarci adesso che era sola, eppure era stato proprio così.
Bellissimo.
Lei non aveva detto una sola parola dall'inizio alla fine, non lo aveva ripreso per la sua titubanza, non gli aveva detto cosa fare o come farlo, non aveva pronunciato nemmeno il suo nome. Ma alla fine si era stretta a lui e gli aveva posato un bacio sul petto, quasi volesse ringraziarlo, prima di addormentarsi con le gambe intrecciate alle sue.
Bellissimo.
Prada iniziò ad abbaiare prima ancora che il campanello di casa suonasse. Lydia che, concentrata com’era, se non avesse posseduto tutta quell'innata eleganza avrebbe fatto un salto di tre metri sul divano, mise in pausa il film e scattò in piedi.
"Chi è?" domandò avvicinandosi alla porta, mentre allacciava meglio la vestaglia fiorata sopra la corta camicia da notte. Era tardi, di solito nessuno si presentava a casa sua a quell'ora, a meno che non ci fosse un morto, ma in quel caso lei sarebbe stata la prima a saperlo.
"Io."
Ed "Io" era una risposta stupida da dare davanti ad una porta che non fosse quella di casa propria, ma a Lydia bastò per capire. Valutò seriamente l'ipotesi di fingere di non essere in casa. E poco importava che le luci fossero accese e lui avesse già sentito la sua voce, la situazione era disperata e non le venivano in mente altre idee.
Non voleva parlare con lui, nella sua testa c'era abbastanza disordine anche in quel momento che era da sola, non poteva aggiungervisi la sua presenza.
Doveva essere rimasta in silenzio per qualche secondo di troppo, perché il ragazzo riprese a parlare: "Lydia, sono Stiles. Posso entrare?"
Odiava come diceva il suo nome, perché lo pronunciava esattamente come chiunque altro ma in quel momento quel banalissimo suono ebbe il potere di farla tremare.
Ma cosa diavolo le stava accadendo?
"N-no Stiles, non penso sia una buona idea" rispose dopo un solo attimo di esitazione, accostandosi alla porta di entrata.
"Io invece penso il contrario." Fu la pronta risposta di lui.
Lydia, palmi e guancia premuti contro la liscia superficie di legno, sospirò: "È tardi Stiles, dovresti essere a casa."
"Io invece penso di essere proprio dove dovrei essere." Ci fu qualche momento di silenzio, per un po' nessuno disse nulla, l'uno in attesa che la porta si aprisse e l'altra che lui se ne andasse: "Ok, non mi vuoi aprire? Perfetto, io resto qui."
Stiles, con un inopportuno sorrisetto in volto, si lasciò cadere a terra a gambe incrociate, allungando le braccia indietro per poggiare le mani contro il pavimento di legno. Sollevò lo sguardo sereno verso il cielo, quasi avesse tutte le intenzioni di starsene lì a rimirare le stelle. Lui per primo non capiva da dove venisse tutta quella determinazione, forse semplicemente la chiacchierata con Scott aveva sortito l’effetto desiderato o forse più che determinazione quella era disperazione, ma in fondo poco importava, era lì con uno scopo e di certo non se ne sarebbe andato senza averle parlato.
"Cosa stai facendo?" volle sapere Lydia, vagamente allarmata dai rumori che aveva sentito.
"Non sei costretta ad aprirmi, figurati. Ma nemmeno io lo sono ad andarmene."
"Tecnicamente questa è casa mia ed avrei tutto il diritto di-"
"Vuoi cacciarmi?" la interruppe di colpo lui, voltando il capo verso la porta che la nascondeva alla sua vista.
Lydia rimase zitta qualche istante, a valutare quella domanda forse ancora più attentamente di quanto non fosse necessario: "No" ammise in fine.
E perché mai avrebbe dovuto, d'altronde? Stiles non le aveva mai fatto altro che bene. Si era sempre preoccupato per lei prima che per chiunque altro - incluso se stesso - le era stato vicino anche quando era stato difficile farlo, e le aveva sempre dimostrato amore, in modalità differenti certo, ma la mera idea dell'affetto che Stiles provava per lei era stata in grado di scaldarla quando si era sentita sola, molte più volte di quante non volesse ammettere.
Lentamente, socchiuse la porta.
Stiles rimase ancora un po' seduto sotto il portico, non molto in realtà, ma abbastanza da far domandare a Lydia se non fossero bastati un paio di minuti per fargli cambiare idea. Quando finalmente si alzò, non poté che tirare un sospiro di sollievo e muovere un passo verso l'interno per permettergli di entrare.
"Vuoi qualcosa?" domandò Lydia, chiudendosi la porta alle spalle: "Dovrei avere del succo di frutta e del the freddo e... del vino, ma non credo sia una buona idea." Nella sua testa, il tentativo di non farlo parlare risultava molto meno palese.
"Lydia?"
"Sì."
"Non sono certo di essere in grado di farla funzionare."
"... che?"
Per un istante Lydia si sentì meglio, per lo meno non era l'unica che stava perdendo qualche rotella. Questo in ogni caso non l'aiutava a capire di cosa stesse parlando Stiles, su quel fronte brancolava nel buio. Aveva immaginato che fosse lì per parlare di ciò che era successo...
"Ma questo non vuol dire che io non sia intenzionato a provarci."
A quel punto le sopracciglia rossicce della ragazza scattarono in alto e lei, sebbene si fosse ripromessa di limitare sotto lo zero il contatto fisico, si ritrovò a fare un passo verso di lui: "Stiles, non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando. Potresti gentilmente ricominciare da capo e contestualizzare?"
Inaspettatamente, Stiles scoppiò a ridere, per poi passarsi una mano tra la zazzera di capelli spettinati che si trovava in testa. Era nervoso, più di quanto non volesse dare a vedere, non capiva bene come ma pareva stesse riuscendo ad incasinare le cose più di quanto già non fossero, il che aveva dell'impossibile, ma per qualche strano motivo lo faceva ridere.
"Mi ero preparato un discorso, sai?" ammise lasciandosi ricadere il braccio lungo il fianco: "Me lo sono ripetuto in macchina mentre venivo qui. Suonava bene, ma penso di essermelo mangiato per metà, passando direttamente alla conclusione."
Dire che Lydia era spaesata sarebbe stato un eufemismo, si era immaginata una frase alla 'dobbiamo parlare' seguita da una lunga quanto imbarazzante conversazione su quanto accaduto tra loro la notte precedente, ma quel discorso senza capo né coda forse era anche peggio.
"Penso che ora andrò a bere quel vino di cui ti ho parlato."
"No." Pronunciando quella sillaba Stiles allungò di scatto una mano in avanti, palesando l'agitazione che fino a quel momento era riuscito in parte a celare. Non poté che darsi mentalmente dello stupido, prima di riabbassare il braccio e schiarirsi la gola: "Voglio dire, posso riprovare?"
"A fare cosa, Stiles?!" Iniziava decisamente a perdere la pazienza.
"A parlare."
Lydia prese un lungo respiro e incrociò le braccia al petto con fare stizzito, ma alla fine annuì: "Questa volta non dimenticare il soggetto."
Il ragazzo le fece un cenno affermativo, prima di schiarirsi la gola: "Forse, nell'arco di questi anni, hai avuto sentore della piccola cotta sviluppata da parte mia nei tuoi confronti." Lydia non poté far altro che inarcare un sopracciglio a quell'affermazione, ma comunque non lo interruppe: "Insomma, è durata un bel po', davvero. E tu non sei sempre stata particolarmente carina nei miei confronti."
Al che la ragazza non poté più stare zitta: "Stiles, ti trovavo appostato in macchina davanti a casa mia alle otto del mattino, altro che carina, avrei potuto denunciarti per stalking!"
Lui sollevò un dito nella sua direzione: "È successo solo una volta ed avevo sentito che la tua macchina era dal meccanico!" si giustificò, la voce insolitamente acuta. Davanti al sorrisino di lei però scosse la testa e riprese a parlare, non senza un sospiro: "Ma non è questo il punto. Il punto è che ero preso da te come gli altri ragazzini lo erano da Megan Fox."
"Megan Fox?"
"Sì, io..." Stiles si bloccò, grattandosi frustrato la nuca. Com'era possibile che ciò che nella sua testa pareva così lineare e semplice risultasse poi così complesso da spiegare a parole? Quelle erano consapevolezze che aveva ormai da mesi, non avrebbe dovuto avere nemmeno bisogno di pensarci.
Era lei, lei che nonostante tutto il tempo passato insieme aveva ancora il potere di mandare in tilt il suo cervello che di solito funzionava tanto bene, come quando aveva sedici anni e ad educazione fisica indossava quei pantaloncini così dannatamente corti e stretti. Sospirò, per la millesima volta, apprezzando il fatto che lei per lo meno non gli stesse mettendo fretta.
"Eri bella. E simpatica. Ed intelligente, forse anche troppo. Tutte le altre ragazzine volevano essere come te e metà dei nostri compagni si sarebbero picchiati per portarti fuori a cena. Per me eri... perfetta."
Lydia si ritrovò a sorridere, cercando di non dare troppo peso ai complimenti: "Ancora non capisco cosa c'entri Megan Fox."
"Non era reale" spiegò Stiles, che pareva aver trovato un nuovo slancio: "Dicevo di conoscerti meglio di chiunque altro ma non era così. Passavo le giornate ad osservarti e avevo notato un sacco di dettagli che gli altri non conoscevano, ma mi ero solo illuso che questo significasse sapere veramente chi tu fossi. Un po' come quando ci si prende una cotta per un attore."
Non sapeva come sentirsi in merito a quelle parole, indubbiamente ne apprezzava l'onestà, ma una parte di lei pareva assurdamente dispiaciuta, quasi per tutti quegli anni avesse custodito l'idea di uno Stiles in grado di vederla davvero ed ora lui ci fosse saltato sopra di peso. Aveva ragione, lo sapeva, ma non per questo faceva meno male. Comunque, lo lasciò continuare senza dire una parola.
"Ma poi le cose sono cambiate, poi siamo diventati amici." Sì, erano diventati amici e lui non era più stato costretto ad appostarsi dietro gli alberi in cortile durante la pausa pranzo per spiarla, perché ora sedevano allo stesso tavolo. Non ricordava quanti pizzicotti si fosse dato per accertarsi di essere sveglio e che non si trattasse solo di un sogno. Questo però immaginava potesse essere omesso.
"Non avevo mai pensato all'ipotesi di esserti amico. Prima eri nei miei sogni la madre dei miei figli e nella realtà una che non ricordava nemmeno il mio nome."
Non resistette all'impulso di interromperlo per l'ennesima volta: "Lo ricordavo invece."
"Ora lo so, ma eri molto brava a nasconderlo." Sorrise appena, prima di continuare: "Non voglio che tu pensi che mentre eravamo insieme a mangiare o a chiacchierare o a fare qualsiasi altra cosa io pensassi solo a quanto volessi baciarti. Insomma, pensavo anche a quello, anche con una certa frequenza a dirla tutta..."
"Stiles..."
"Sì, scusa hai ragione. Voglio solo dire che sono contento di esserti amico. Mi piace passare il tempo con te, parlare e tutto il resto. Tutti quei morti soprannaturali non mi piacciono molto è vero, ma è bello anche quando indaghiamo insieme. Ciò che voglio dire è che mi piace essere tuo amico, e adesso so di non esagerare quando dico che ti conosco davvero, che ho visto ogni lato del tuo carattere."
Lydia si trovò di colpo ad avere la gola secca, affatto sicura di desiderare che proseguisse: "Qui arriva il 'ma'?"
Stiles però scosse la testa, mettendo su un mezzo sorriso che aveva però qualcosa di stranamente malinconico: "È questo il punto, Lydia: non c'è nessun 'ma'. Una parte di me vorrebbe davvero che ci fosse, solo perché forse sarebbe più semplice, ma non è così. Ti ho vista trattarmi come fossi uno zerbino, ti ho vista piangere per un altro ragazzo, ti ho consolato mentre piangevi per un altro ragazzo. Diamine, ti ho vista anche dare di matto in più di un'occasione, eppure niente è cambiato. Esserti amico è una delle cose più belle che mi siano successe nella vita, ma nemmeno questo ha cambiato ciò che provo per te."
Lydia avrebbe voluto dire qualcosa, trovare una frase arguta e dischiudere le labbra per pronunciarla, ma in quel preciso momento non trovava né le parole né i muscoli necessari ad aprire la bocca. Nessuno mai le aveva parlato così. Certo, c'era stato Jackson, lo aveva amato davvero e se lo erano detti più di una volta, ma questo era diverso. Stiles non le stava dichiarando il suo amore, Stiles le stava direttamente porgendo il suo cuore, vulnerabile ed indifeso, dicendole di farci pure ciò che più la aggradava.
Quando lui, vedendo che lei non sembrava intenzionata a ribattere, riprese a parlare, la ragazza trattenne il fiato.
"Vorrei dirti che la scorsa notte è stata la più bella della mia vita - il che sarebbe la verità, tra parentesi - e che la mia vita ha senso solo perché tu sei la mia luce o qualche romantica stronzata del genere, ma penso che non sia nemmeno questo il punto. Il punto è che tra tre mesi tu finirai a studiare in chissà quale prestigioso college mentre io andrò nell'università più vicina, e sento che se non facessi qualcosa adesso, dopo la scorsa notte - che per la cronaca è stata davvero la più bella della mia vita... ma forse questo l'ho già detto - non lo farei mai più."
Stiles pareva fisicamente provato da quel discorso, come se pronunciare ogni singola parola gli fosse costato un sforzo immane, e probabilmente era così davvero. L'intero ragionamento continuava a suonare molto meglio mentre era intrappolato sotto forma di pensiero nella sua scatola cranica, ma era abbastanza sicuro di non poter fare di meglio, non con Lydia a poco più di un metro di distanza che lo fissava con quella faccia.
Mille frasi le passavano per la mente in quell'istante, ma nemmeno una pareva all'altezza di quel momento. Non era stupida, aveva capito quale fosse l'implicita richiesta del ragazzo, ma non era certa di avere una risposta per lui. Cosa poteva dirgli? Di sì per poi cambiare idea nell'arco di pochi giorni – come già le era capitato con troppi ragazzi – e finire per farlo soffrire? Di no per poi rischiare di pentirsene per tutta la vita?
Si cacciò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, incapace al momento di incrociare il suo sguardo. Prima di parlare rimase in attesa per diversi secondi, ma alla fine si ritrovò comunque a pronunciare la frase più stupida che potesse trovare: "Non so cosa dire."
Un angolo delle labbra sottili di Stiles si sollevò appena: "Potresti ammettere di essere innamorata di me da dieci anni e di non aver detto nulla per tutto questo tempo per paura di un mio rifiuto perché insomma, è palese che tu non sia alla mia altezza."
"Stiles..."
"Ah no scusa, quello sono io."
Gli occhi di Lydia non poterono che sollevarsi sino ad incontrare il soffitto, mentre la loro proprietaria scuoteva la testa, in una breve parentesi dalle sue angosce: "Ti prego, puoi almeno provare a restare serio per due minuti di fila?"
"Cercavo solo di sdrammatizzare!"
"Beh non funziona."
Ancora silenzio, questa volta se possibile più imbarazzante dei precedenti. Il punto era che finivano sempre lì, ogni volta che si concedevano un gesto o una parola che due semplici amici non si sarebbero scambiati, semplicemente non ne parlavano più, rimanevano in silenzio, finché non erano certi di poter far finta di nulla. Ma non era così che doveva andare, non per forza. Stiles sapeva di essere un disastro - a scuola, a lacrosse, a parlare, con le ragazze - ma non aveva mai desiderato qualcosa con tanta intensità come in quegli ultimi dieci anni aveva desiderato stare con Lydia Martin ed ora che quella possibilità pareva così vicina, non poteva farsela sfuggire.
"Tutto questo infinito discorso, che sono certo abbia perso di senso almeno un paio di minuti fa, era per dirti che nella mia vita dico un sacco di stronzate e ho poche, pochissime certezze, ma una di questa è che voglio starti vicino, in qualsiasi modo tu vorrai."
Lydia si strinse maggiormente nella vestaglia leggera, si sentiva piccola e confusa e indifesa. E ciò che lui le aveva detto era bellissimo, ma lei non aveva ancora nulla da rispondergli. Le stava dicendo che l'amava ma lasciava a lei la possibilità di scegliere del loro futuro, le stava dicendo che poteva esserle anche solo amico se era ciò che lei voleva. Le stava dicendo che voleva che lei lo sapesse, ma avrebbe comunque messo da parte i suoi sentimenti pur di starle vicino, ed in fondo questo non era ciò che aveva già fatto negli ultimi due anni?
Il cuore le martellava nel petto con un'intensità tale da farle quasi male. Avrebbe voluto chiedergli più tempo per dargli una risposta ma sapeva che sarebbe stata una richiesta idiota. Non poteva rimandare ancora e ancora quel discorso, né poteva convincersi che di lui non le importasse. Non gli avrebbe detto che lo amava come lui amava lei, in quel momento la sua testa era un tale groviglio delle più contrastanti emozioni che nemmeno lei sapeva più cosa provava, ma forse per una volta avrebbe potuto concedergli la verità.
"Non so se la scorsa notte sia stata la più bella della mia vita" ammise, sforzandosi di guardarlo negli occhi: "Ma in questo momento non me ne vengono in mente di migliori."
L'ammissione fece spuntare un mezzo sorriso sulle labbra di Stiles, che non riuscì a trattenersi dal commentare: "Direi che è già un inizio."
Anche lei sorrise, per appena un istante, prima di scuotere la testa: "Sinceramente Stiles, io non... non ho idea di come potrebbero essere le cose tra noi."
"Nemmeno io" esclamò subito lui, con una convinzione che non si addiceva al significato delle parole che aveva appena pronunciato: "Ma è proprio quello che ti ho detto all'inizio; non so se le cose tra me e te possano funzionare, ma so al cento per cento di volerci provare comunque, se lo vuoi anche tu."
E ancora la scelta spettava a lei, perché se da una parte nessuno aveva mai messo in dubbio i sentimenti che Stiles provava, Lydia non gli aveva mai dato alcuna conferma, mai fino alla notte prima almeno.
"E se non dovesse funzionare?" domandò la ragazza, muovendo mezzo passo verso di lui ed accorciando ulteriormente la già misera distanza che li divideva.
Stiles le posò una mano sul braccio in una sorta di carezza: "Sei tu quella intelligente, sono sicuro che troverai una soluzione."
Le labbra le tremavano e si sentiva la gola troppo secca per parlare, ma a quel punto immaginava che non servissero più grandi discorsi. Sollevò le braccia e con delicatezza posò i palmi sulle sue guance, iniziando a carezzargli le tempie con le dita. Il modo in cui la guardava la faceva sentire bellissima e amata, ma non era solo questo, non era solo questione di come lui la facesse sentire, era anche il fatto che Stiles fosse la parte più bella delle sue giornate, era il fatto che qualcosa le diceva che la sua vita sarebbe stata migliore se ogni mattina, svegliandosi lo avesse trovato al suo fianco, se solo la prossima volta non fosse fuggita come una ladra.
Annuì, e quel gesto quasi impercettibile fu abbastanza.
Le loro labbra erano all'altezza perfetta, bastava che lui chinasse appena il capo e lei si sollevasse di poco in punta di piedi perché si incontrassero. E baciarsi non era solo meraviglioso, ma anche così giusto da far quasi male al cuore.
Stiles le abbracciò la vita e se la strinse tanto forte contro il petto da toglierle il fiato, ma Lydia non vi fece caso, troppo occupata a domandarsi cosa in quegli ultimi anni avesse ritenuto più importante di baciarlo, perché in quel momento non le veniva in mente nulla.
Quando infine si staccarono, rimasero comunque abbracciati, i corpi premuti l'uno contro l'altro che si incontravano come il più prefetto dei puzzle.
"Ho dieci anni da farmi perdonare" sussurrò Lydia dopo qualche istante, allontanandogli una ciocca di capelli dalla fonte.
Stiles scosse la testa: "Anche solo questo momento vale ogni secondo di quei dieci anni" ammise, appena in imbarazzo, prima di posarle un altro bacio sulle labbra.
La ragazza inarcò un sopracciglio e svincolò dalla sua presa, per andare a prendere posto sul divano: "Peccato, avevo un paio di idee..." confessò in tono vago, per poi recuperare il telecomando e far partire nuovamente il film.
Cogliendo in ritardo il significato di quelle parole, Stiles si gettò letteralmente sul divano: "Ripensandoci..."
"Ah no, è troppo tardi ormai."
Il ragazzo scoppiò a ridere, mentre senza nemmeno bisogno di pensarlo i loro corpi si facevano più vicini, come attratti l'uno dall'altro: "Vuoi iniziare a farmi impazzire fin da subito?"
"Così ti abitui" gli spiegò lei, prima di cercare nuovamente le sue labbra.
Quando si staccarono, nel televisore a schermo piatto, Justin Long stava giusto dicendo: "La verità è che se un uomo si comporta come se non gliene fregasse un cazzo di te, non gliene frega un cazzo di te davvero!"
Stiles, una mano ancora posata sul suo viso, scoppiò a ridere: "E se lo fa una ragazza?" le domandò.
Lydia gli circondò il collo con le braccia: "Dimmelo tu."
 
*
 
Lydia si lasciò ricadere sul materasso, ancora ansante: “Te lo avevo detto che… la seconda volta sarebbe stata anche migliore.”
Stiles, sdraiato accanto a lei, pareva ancora troppo intontito per comprendere davvero ciò che gli stava dicendo. Prima di parlare impiegò qualche secondo per riprendere fiato, lo sguardo fisso sul soffitto immacolato: “Non pensavo fosse possibile” ammise.
La ragazza sorrise, voltandosi su un fianco per accoccolarsi contro il suo petto, godendosi per qualche istante il silenzio rilassato che riempiva la stanza. Non era mai stata il tipo di ragazza che amava le coccole post sesso, ma in quel momento si sentiva così a suo agio da desiderare di rimanere esattamente così per ore. Quando, mesi prima ormai, si era ritrovata a dover ammettere almeno a se stessa che i sentimenti che provava per Stiles non fossero puramente amichevoli, aveva deciso che comunque una relazione tra loro sarebbe stata impossibile proprio perché credeva che l’imbarazzo, in situazioni come quella, sarebbe stato alla stelle, ma fu con gioia che si rese conto di essersi raramente sentita così a suo agio con qualcuno come in quel momento.
Strusciò la guancia sulla sua spalla, lasciando sfuggire dalle sue labbra un mugolio appagato: “Sai, pensavo che domani sera potresti portarmi fuori a cena” buttò lì, come fosse una cosa normale, cercando di nascondere la trepidazione per la sua reazione.
Stiles, che si stava decisamente godendo il momento, strabuzzò gli occhi un istante, per poi abbassare lentamente lo sguardo su di lei. Contro ogni logica, quando i loro sguardi si incrociarono, il ragazzo scoppiò a ridere.
Sorpresa – ed anche non troppo sottilmente offesa – Lydia scattò a sedere, strascinandosi dietro il lenzuolo per coprirsi il petto: “Lo trovi divertente?” chiese, la voce di colpo più acuta del solito.
Lui scosse la testa, agitando una mano mentre cercava di placare le risate quel tanto che bastava per parlare: “No, io… è solo che hai appena realizzato il più grande sogno dello Stiles tredicenne.”
La rossa inarcò un sopracciglio, poco convinta della spiegazione: “E perché questo dovrebbe farti ridere?”
“Perché stai avverando tutti i miei sogni al contrario” le confidò, dopo essersi schiarito la gola: “Quando ero alle elementari sognavo di sposarti, poi ho pensato fosse opportuno ridimensionare un po’ il tutto e desideravo solo avere un appuntamento con te, mentre per i primi anni del liceo riuscivo solo a pensare a quanto intensamente desiderassi fare sess-”
Stiles!” lo interruppe lei, con uno strillo molto più scandalizzato di quanto non fosse in realtà.
Di colpo lui si rese conto di aver iniziato a parlare a ruota libera e, imbarazzato, si mise a sua volta a sedere: “Ok, forse la parte del matrimonio è stata un po’ inquietante. È stata inquietante, vero? Non avrei dovuto dirlo.”
Lydia sollevò gli occhi al cielo, mentre si sforzava per trattenere una risatina: “Non era per quello…”
“E allora per cosa? Se è per l’appuntamento ti giuro che voglio uscire con te. Davvero, nemmeno immagini quanto. Non voglio che sia solo sesso, ok? Cioè a meno che non sia ciò che vuoi tu ma insomma, mi sembrava che avessi già chiarito questo…”
“Stiles.”
“Dimmi.”
“Sta’ zitto.”
“’kay”
Le labbra di Lydia calarono nuovamente sulle sue, per sorridervi contro, mentre si rendeva conto di aver già perso il conto dei baci che si erano scambiati. Fece scivolare le dita tra i suoi capelli già sconvolti e non riuscì a trattenere un brivido quando le sue braccia si strinsero attorno alla sua vita e la trascinarono ancora una volta sopra di lui.
Fu però con un verso scocciato che, pochi secondi dopo, gli permise di staccarsi da lei: “E ora che c’è?
“Stavo pensando che dobbiamo ancora definire quale sia il miglior piano di azione per domani e dopo domani e i giorni a venire. Insomma, stiamo insieme? Voglio dire, posso dire in giro che sei la mia ragazza? Pensavo di non fare nulla di esagerato, solo appendere un paio di striscioni ed inviare una mail a tipo tutti quelli che conosco…”
Stiles.
“… sto zitto?”
Lydia non poté evitarsi di sorridere, maliziosa: “Vedo che impari in fretta.”
Stiles, le cui labbra erano tese in un sorriso entusiasta da ormai un paio d’ore, si ritrovò a scuotere la testa: “Dopo tutto il tempo passato con te immagino che un po’ della tua intelligenza sia…”
Stiles!
“Cosa?”
“Ti dispiacerebbe utilizzare quella tua dannatissima bocca per qualcosa di più produttivo?”
No, non gli dispiaceva affatto.


 
  
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