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Autore: BleuNacht    22/03/2009    7 recensioni
“Mi scusi, lei chi è?”
Una bellissima signora con i capelli color miele si voltò verso di lui, osservandolo con curiosità.
“Il mio nome è Wilhelm Kaulitz, ma tutti mi chiamano Bill. Sono qui per leggerle un mio racconto. Sa, quella pazza dell’infermiera mi ha detto che lei adora i libri, così sono mi son seduto qui, per vedere cosa ne pensa della mia storia”
La donna rise, asciugandosi una lacrima. “Non le pare di esser un po’ troppo vecchio per pubblicare un libro?”
Bill sorrise a sua volta. Quella sua battuta lo faceva ridere sempre, sempre. “Oh, no. Io credo che non ci sia un’età per scrivere libri, soprattutto, se questi aiutano le persone”
Vincitrice del concorso "The First Love Shot", indetto dal forum ufficiale dei gemelli Kaulitz.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come disse il vecchio saggio, chi non muore si rivede.
Ebbene, io non sono né morta, né completamente sparita; ho solo preso una piccola pausa di riflessione e studio, perché fare al giorno cinque saggi brevi su Kant e argomenti vari, mi occupava più tempo di una quasliasi Fan Fiction completata in un'ora.
Ho scritto questa One Shot non solo per partecipare ad un concorso di Fan Fiction, che potete trovare QUI (della quale son anche la vincitrice), bensì, per soddisfare me stessa, in quanto, da un po' di tempo, il povero e piccolo Word non sentiva le mie battute riguardo alle piccole Shot.
Questa trama mi è venuta in un momento così, un momento in cui anche il soffitto della camera mi sembrava troppo alto per poter essere un soffitto. Eppure, penso di aver scritto la mia miglior trama su One Shot, in quanto reputata alta anche da altre persone (ma vi dico la verità, le ho drogate tutte prima di sentire il loro parere).
Comunque, bando alle ciance e ciancio alle bande.
Troverete, ad un certo punto della storia, una parola che, colorata di blu, rimanda ad un link di youtube. Ecco, non abbiate paura di quel link, cliccatelo con serenità; è solo la colonna sonora dell'ultimo istante di sentimenti.
Inoltre, mi duole dirvi che i Tokio Hotel non mi appartengono, né la loro realtà, né le loro emozioni, in quanto, questa storia è stata pubblicata senza alcun scopo di lucro, bensì, solo per puro e semplice piacere verso la testa bacata della sottoscritta.
Naturalmente, i commenti son sempre graditi.
Buona lettura.








Un due di Agosto


Quella mattina aveva già fatto colazione. Il sole che rifletteva nel lago, davanti alla sua camera, l’aveva svegliato presto, e non era più riuscito ad addormentarsi.
In vita sua non avrebbe mai pensato che all’età di ottant’anni suonati, sarebbe stato ancora in grado di poter ammirare il riflesso dell’albero di ciliegio in fiore, sulle acque di quel bacino.
Eppure, dopo tanti anni ci riusciva ancora. Dopo tanti anni sentiva ancora la brezza di quell’estate, l’estate in cui aveva conosciuto lei; quella strana metà che ti si spezzava tra le mani come fiori di ghiaccio, e non ti lasciava respirare l’aria con normalità.
Alzò lo sguardo dubbioso, rigirando velocemente un fazzoletto tra le mani.
Una ragazza si stava avvicinando alla porta della sua stanza, indicandogli con un gran sorriso il corridoio. “Signor Kaulitz, è l’ora della passeggiata”.
L’uomo sospirò, trattenendo un groppo in gola. “Arrivo, mi lasci prendere il libro”
Spostò delicatamente la mano rugosa sopra la scrivania color mogano, probabilmente una delle più belle della Casa di risposo, e si allontanò lentamente dalla stanza con in mano un piccolo volume in pelle, ricordandosi ogni tanto di aggiustare la stecca degli occhiali lungo la catenella, per non farli cadere.
Il parco dell’Istituto distava non pochi metri dalla sua camera, ma non riusciva ancora a rendersi conto che il gran fiatone ottenuto dopo aver varcato la porta non era per l’enorme distanza percorsa, ma per la persona che stava per incontrare.
Si ricordava, spesso, che la vita giocava brutti scherzi alle persone che non se lo meritavano, ma a lui, a lui che non aveva chiesto nient’altro se non l’amore, aveva tolto il piacere del contraccambio, il piacere di esser ricordato da lei.
“Buon giorno Signora Meyer”
Sorrise delicatamente, sedendosi lungo quella panchina invecchiata dalla pioggia, di un verde ormai sfinito.
“Mi scusi, lei chi è?”
Una bellissima signora con i capelli color miele si voltò verso di lui, osservandolo con curiosità.
“Il mio nome è Wilhelm Kaulitz, ma tutti mi chiamano Bill. Sono qui per leggerle un mio racconto. Sa, quella pazza dell’infermiera mi ha detto che lei adora i libri, così sono mi son seduto qui, accanto a lei, per vedere cosa ne pensa della mia storia”
La donna rise, asciugandosi una lacrima. “Non le pare di esser un po’ troppo vecchio per pubblicare un libro?”
Bill sorrise a sua volta.
Quella sua battuta lo faceva ridere sempre, sempre. “Oh, no. Io credo che non ci sia un’età per scrivere libri, soprattutto, se questi aiutano la gente”
“E lei crede di poter aiutare la gente con un libro?” rispose la donna.
Bill aprì la prima pagina, ridendo. “Sì, soprattutto, una in particolare”
“Di cosa parla il suo racconto?” chiese la donna.
“Di una bellissima storia d’amore”
La Signora Meyer rise di nuovo, sistemandosi comodamente sulla panchina. “Le storie d’amore non aiutano le persone. Di solito, servono soltanto ad incasinarle” disse, muovendo la mano con nonchalance.
Bill sorrise, sistemandosi gli occhiali. “Oh, beh. Questo è sempre e solo un suo parere, no?”
La donna rimase incerta. “Va bene, va bene. Sentiamo questa storia”
L’anziano si avvicinò a lei, prendendola a braccetto ed alzandosi per portarla lungo il lago.
“Dobbiamo per forza camminare?”
“No, ma mi si bloccano le gambe se rimango troppo fermo” rise divertito. “Ed ora mi lasci leggere, si sta facendo tardi” continuò sorridendo.
La donna annuì imbarazzata, seguendo i passi svelti dell’ uomo e godendosi il panorama.


Aveva sempre saputo che correre con quella velocità, alle due di notte, fosse un rischio per lui e per chi gli stava accanto, ma quando rimaneva da solo, in quella Audi R8 grigio metallizzato, niente aveva più importanza dello scagliarsi contro il vento.
Era come trafiggerlo con una lama, sentirsi liberi ed inconsci della vita, mentre questa invecchiava al di fuori di quegli stessi sportelli.
Come aveva previsto, quel due di Agosto era diventata una giornata infernale lungo le strade di Amburgo. A dir a verità, non aveva mai apprezzato un’estate tedesca calda, ma non gli importava più di tanto; gli bastava sentire il motore della macchina ruggire, e provare l’aumento della pressione sull’acceleratore, per poter tornare a casa soddisfatto.
Eppure, c’era qualcosa che non andava in quella strada. Certo, non riusciva a vedere chiaramente i tratti specifici lungo il guard rail, ma da quel che poteva intuire pareva fosse una persona.
Spesso, la gente si chiedeva perché quei ragazzi, i ragazzi della loro generazione, si lasciassero andare così istintivamente a festini notturni o a tutto ciò che più li divertiva, e spesso, sbagliavano nell’intuire una risposta.
Non potevano sapere cosa significasse lottare ogni giorno contro i muri della vita, non potevano capire cosa provasse una ragazza di 18 anni nel vedere le sue coetanee assumere sostanze tante volte vietate dai genitori, ma mai giustificate; perché lei non era una di quelle ragazze, lei non era una facile.
Stare alle due di notte lungo una strada buia non era di certo cosa rassicurante per le sue gambe, ma non aveva avuto altra scelta. Forse, era meglio chiedere un passaggio ad uno sconosciuto, che iniettarsi della droga danzando nuda.
Ed aveva appena visto una macchina rallentare, ma il suo cuore non batteva.
“Tutto apposto?”
Una voce maschile si fece eco lungo le vie del quartiere, rimbombando dentro la testa della ragazza.
“Sì, no, cioè... ” sbuffò, imbarazzata. “Me lo daresti un passaggio?” disse infine.
Il finestrino nero della macchina si abbassò, mostrando ai suoi occhi una figura color marmo, contornata di strani strati di matita nera e laccata dalla testa ai piedi.
“Reduce di un festino, eh?” domandò divertito.
Le si arrossarono le guance sentendosi osservata. “Già”
Il moro sorrise, aprendo lo sportello. “Dai, sali”
“Senti... azzardati a toccarmi e ti taglio mani e bagaglio di famiglia” avvertì minacciosa, indicando il basso ventre del moro.
“Tranquilla, non sono quel genere di persona” rise. “Forse, con mio fratello non avresti avuto scampo, ma saresti stata tu ad invocargli il piacere del sesso” concluse sorridendo.
La ragazza sbuffò, ridendo. “Dicono tutti la stessa cosa”


Era avvenuto così il loro primo incontro. Ma lei... lei non se lo ricordava mai.
“Questa storia mi pare di averla già sentita" biascicò la signora, incerta.
Bill sorrise, sfogliando la pagina seguente. "Oh, sicuramente".


Quel giorno, il giorno del suo compleanno, l’aveva portata al mare, anche se avrebbe dovuto percorrere centinaia di chilometri.
Non gli importava sprecare litri di benzina o rovinarsi la sua Audi lungo strade bianche, gli importava veder felice lei.
“Oddio, tu sei pazzo” esclamò Kathe, uscendo dalla macchina. “E’ bellissimo”
Willy, come lo chiamava sempre lei, sorrise, cingendole i fianchi. “Auguri”
Compiere 20 anni non era di certo una cosa da poco, e di solito stentavano a credere, ogni tanto, che in realtà fossero passati due anni dal loro incontro.
“Non mi lascerai mai, vero?” sussurrò la ragazza, abbracciandolo. Will sorrise, stringendola a sé. “Mai”


Non si era più ricordato, alla fine, il preciso motivo per cui era partito in America con il suo gruppo, lasciando Kathe lungo le rive dell’Elba, ad aspettare un suo ritorno.
“Non si vorrà fermare proprio adesso, vero? E' una così bella storia” disse la signora.
Bill rinvenne dai suoi pensieri, massaggiandosi la testa. “No, stavo solo pensando”

Dopotutto, era colpa sua. Era colpa di quell’inestimabile fiducia che provava per quel ragazzo, se ora, si ritrovava lungo il bordo del letto a stringere in lacrime le fragili lenzuola color notte.
“Avevi promesso” biascicò, chiudendo le mani in un pugno, a stringer l’ennesima lettera scritta per lui. “Promesso”


In realtà era stata colpa di David, se in cinque anni, quelle lettere non erano mai arrivate.
L’aveva sempre catalogata come una di troppo. Una che potesse far fallire il gruppo, una che potesse far ingelosire le fan.
Ma come al solito, quell’imbecille non aveva capito niente. Non poteva immaginare cosa significasse star lontano dalla persona che si amava, non poteva immaginare cosa significasse star lontano da lei.
“E lui, è mai tornato?” chiese la signora, asciugandosi una lacrima nella guancia destra.
Bill sorrise, sfiorando una delle pagine più importanti del libro. “Manca poco alla fine, aspetti un attimo”


Un due di Agosto, di cinque anni dopo, una ragazza era nuovamente seduta sul ciglio della strada, a leggere l’ennesimo libro che le capitava fra le mani.
Non le importava se qualche depravato avesse potuto rapirla in un qualsiasi istante; quel posto le ricordava il suo profumo, la sua pelle. Non le importava se le dessero, ogni volta, l’appellativo di “ragazza facile”; perché lei sapeva e ricordava di aver baciato una sola persona nella vita, un solo lui.
Alzò lo sguardo, distratta da una leggera brezza estiva, mentre si sistemava un ciuffo che di star dietro l’orecchio proprio non ne voleva sapere.
E l’aveva rivisto lì, con il finestrino abbassato, a sentire il battito del cuore che le saliva fino alla gola.
“Tutto apposto?” chiese Will, sorridendole.
Pianse, come non aveva mai fatto, come non avrebbe dovuto fare. E poi si mise a ridere, asciugandosi le lacrime. “Sì, no, cioè... oh, insomma. Sono cinque anni che ti chiedo questo benedetto passaggio, me lo vuoi dare?”


Chiuse il libro, lentamente.
La donna sussultò, osservandolo. “Mi ricordo ora”. Delle lacrime scesero dalle sue rosee guance, sfiorandole il rossetto sbiadito. “Eravamo noi, eravamo noi” biascicò.
Bill si alzò di scatto, abbracciandola. “Oh, Kathe”
“Che mi è successo?”
Sorrise, nascondendo una lacrima. “Niente, sei solo andata via per un po’”
“Quanto ci rimane ancora?” biascicò.
Il vecchio alzò lo sguardo, muovendo la testa. “Non ne sono sicuro. L’ultima volta non mi hai più riconosciuto dopo cinque minuti”
La demenza senile gliela portava sempre via per qualche ora. Il dottore l’aveva avvisato, non c’era più segno di ripresa. Ma lui non credeva di certo a quelle parole, anzi, era convinto che i ricordi affiorassero sempre. Dopotutto, non potevano esser volati via come cenere.
E forse, era questo che ogni giorno gli dava la forza di rileggere ancora, fino a quando, durante il tramonto del sole, lei sarebbe ritornata da lui.

Quella sera era rimasto solo due minuti con lei, la sua malattia aveva avuto la meglio sui suoi ricordi, ma era sicuro che il giorno dopo sarebbe stato migliore, perché gliel’avrebbe restituita almeno un minuto di più, un attimo in cui avrebbe di nuovo rivisto i suoi bellissimi occhi ridere tra le righe di quelle pagine.
D'altronde, gli amori passati hanno amori presenti, e i primi amori diventano sempre grandi amori, anche se iniziati a diciotto anni.


“Per sempre?” domandò Kathe, sorridendo ed aprendo lo sportello della macchina.
Bill rise, indicandole il sedile di pelle nera. “Sì, per sempre al mio fianco”


Dopotutto, ottant'anni suonati non erano poi così tanti per amarsi come la prima volta.

  
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