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Autore: Icegirl592    15/02/2016    1 recensioni
Hannibal è sempre stato presente per Will, come una roccia e una guida attraverso gli ostacoli della sua mente. Cosa succede quando, in una notte ventosa, i ruoli si invertono?
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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QUI ACCANTO A TE

Il vento riempiva la notte dei suoi ululati, andando a picchiare contro le imposte ben serrate del cottage isolato, situato da qualche parte nell’Europa Centrale. All’interno dell’abitazione regnava il silenzio più totale. Era d’altronde piuttosto tardi e i suoi abitanti si erano ritirati già da tempo per dormire dopo una giornata abbastanza tranquilla – se non si contava l’episodio con l’impiegato che li aveva superati in fila in modo quanto mai scortese mentre facevano acquisti, ma ci sarebbe stato tempo per occuparsi di lui.

Da ormai diverse settimane si erano stabiliti lì nel corso della loro eterna fuga, dopo essere passati per il Sud America e l’Australia. Il richiamo di quei luoghi era stato troppo forte e, dal momento che ormai l’FBI sembrava aver allentato la corda, avevano deciso di rischiare. L’Italia restava fuori discussione ma chissà, forse un giorno ci sarebbero passati di nuovo. D’altronde Hannibal l’aveva promesso a Will, prima o poi gli avrebbe mostrato Firenze.

All’inizio, certo, non era stato semplice adattarsi a tutte le nuove dinamiche del vivere insieme, ma in qualche modo erano riusciti a trovare una stabilità, a metà strada tra i loro caratteri e le loro personalità.

Quella notte, come tutte le altre prima di allora, i due dormivano l’uno accanto all’altro, vicini, quasi a voler tenere ancora più lontano il vento che continuava a fischiare, che penetrava sotto gli infissi, sui pavimenti, sotto le coperte, nella mente di uno dei due dormienti.

Vento… forte, freddo, impetuoso fuori dalla baracca. Le sue folate riescono a raggiungerli, intirizzendoli fino al midollo. Cerca di stringere a sé Mischa più di quanto non stesse già facendo, nel tentativo di scacciare i brividi febbrili che le scuotono il corpo. Avvolge la coperta intorno a loro per trovare un poco di calore. All’improvviso, come purtroppo capita sempre, vede aprirsi la porta della loro cella rudimentale. Sa cosa sta per succedere e sa benissimo che non potrà fare nulla per impedirlo. Ciononostante, guarda in cagnesco gli uomini che si stanno avvicinando, stringendosi di più alla sorellina.

Accade tutto in un lampo, troppo veloce perché possa anche solo reagire: le sue braccia vengono immobilizzate da mani più forti di lui e tutto ciò che può fare è guardare sua sorella venire trascinata fuori, con un’ascia che la segue a poca distanza. Ormai sa cosa le accadrà e lotta con tutte le sue forze senza risultati. O meglio, questo è ciò che capita di solito nel sogno. Invece succede qualcosa di diverso: un paio di mani, attaccate a un corpo senza volto, si posano sulle sue guance, come a cercare di distoglierlo dal fato che sta per subire sua sorella. “Calmati, non è niente” gli dice. Tanto basta: con una forza che non sapeva di avere si libera dalla stretta dei suoi carcerieri e si avventa sullo sconosciuto, serrando le dita intorno alla sua gola e stringendo. Riesce a spingerlo a terra di peso e comincia a stringere la presa sempre di più, sempre di più. Le dita dell’uomo si chiudono intorno alle sue, nel disperato tentativo di liberarsi ma no, non può lasciarlo andare, non può permettergli di vivere, non dopo quanto ha fatto a Mischa. Cerca di guardarlo negli occhi ed è allora che se ne accorge: le iridi chiare e spaventate, fisse nelle sue, somigliano a quelle di Mischa. Sua sorella però non ha i capelli scuri, né tantomeno ricci. Poi la sente: è flebile, quasi afona per la mancanza di ossigeno, ma Hannibal riesce comunque a sentire una voce. La conosce, per tanto tempo l’ha cercata, ha tentato di coglierne le sfumature e di scolpirsele in testa, ormai la riconoscerebbe ovunque.

«Han—Hannibal»

Svanì la casa, svanirono i suoi aguzzini e l’ultima immagine di Mischa insieme a loro. Ciò che rimase e che lo investì in pieno fu un’ondata di consapevolezza quando vide le sue mani strette intorno al collo di Will, bloccato sotto di lui, che stava disperatamente cercando di respirare.

Hannibal ritrasse le mani come ustionato, scoprendo di stare ansimando, e vide così Will spostarsi su un fianco e tossire violentemente quando l’aria riempì nuovamente i suoi polmoni. Eppure il suono gli giunse lontano, ovattato, l’udito completamente annullato dalla vista: gli aveva fatto del male. Oh, era capitato anche in passato, certo, ma in quel caso aveva avuto delle motivazioni o comunque degli scopi ben precisi. Questa volta, ogni sua azione era stata dettata dall’irrazionalità di Morfeo, aveva perso il controllo e aveva rischiato di ucciderlo. Con rapida cautela, si spostò dalla sua posizione, scendendo dal letto e prendendo la sua vestaglia, infilandosela velocemente prima di lasciare la stanza, ignorando i rochi richiami di Will.

L’ex agente speciale dell’FBI lo guardò andare via, desistendo dall’intento di richiamarlo e passandosi le dita sulla gola dove, fino a poco prima, si erano strette le mani di Hannibal: non si aspettava certo un simile risvolto da quella situazione. Altre volte, nel corso del loro viaggio, lo psichiatra si era lamentato nel sonno, ripetendo il nome che lo tormentava, Mischa. Di solito bastava avvicinarsi e toccarlo su una spalla per riportarlo a sogni più tranquilli. Quella notte, però, c’era stato qualcosa di diverso: si era svegliato sentendolo gemere debolmente, si era proteso verso di lui per cercare di aiutarlo, poi, vedendo che il suo tocco non aveva effetto, preoccupato, si era avvicinato di più. L’espressione disperata sul viso del compagno lo aveva fatto agire d’istinto: senza pensarci due volte, gli aveva preso il viso tra le mani, implorandolo di calmarsi e dicendogli che tutto andava bene, che non era niente. Quando Hannibal aveva aperto gli occhi, aveva pensato di essere riuscito in ciò che si era proposto. Ma lo sguardo nelle iridi rossastre dell’uomo gli aveva dato sì e no una frazione di secondo per capire che qualcosa non andava. Era stato un attimo, poi si era ritrovato attorno al collo le mani del dottore che lo stringevano in una morsa ferrea. Qualche istante dopo si era sentito ribaltare sulla schiena, Hannibal sopra di lui con la chiara intenzione di soffocarlo. Sul momento aveva lottato, pensando che l’altro fosse sveglio, ma si era quasi subito accorto dallo sguardo che aveva negli occhi che Hannibal era ancora in uno stato tra il sonno e la veglia e che non si rendeva bene conto di cosa stava accadendo. Allora gli aveva preso le mani, cercando di fargli allentare la presa, chiamandolo per nome, cercando di farlo tornare in sé. Alla fine ci era riuscito e, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe sospirato di sollievo, ma in mancanza d’aria era soltanto riuscito a boccheggiare un paio di volte prima di mettersi a tossire.

Sentendo che l’altro si alzava dal letto, aveva aperto gli occhi, lievemente annebbiati dalle lacrime provocate dallo sforzo di respirare, e lo aveva seguito con lo sguardo, cercando di richiamarlo quando aveva capito che stava uscendo dalla stanza, ma senza successo.

Ormai da solo, nella camera da letto, si tirò a sedere sul materasso, passandosi una mano sugli occhi e prendendo un ultimo respiro profondo per calmarsi. L’abisso degli incubi non gli era sconosciuto, per anni lui stesso aveva dovuto combattere con le visioni orribilmente vivide che i ricordi proiettavano nella sua mente. Ricordi di scene del crimine ripugnanti, tristi, violente, sanguinose, spesso causate da moventi senza una motivazione sensata – non per la gente comune, quanto meno. Con il tempo aveva cominciato a sospettare che gli incubi derivassero non dai delitti in sé, quanto più dal fatto che lui sentiva di capirli, in un certo qual modo. Ne aveva avuto la certezza durante il caso Hobbs, dopo il quale le sue visioni notturne erano aumentate e peggiorate – anche a causa dell’encefalite, ovviamente. Il primo spiraglio di luce era stato Hannibal. Non con la terapia, oh no, anche se quella aveva senza dubbio contribuito a portarlo alla guarigione. No, Hannibal gli aveva mostrato che era naturale per un uomo avere degli istinti e che reprimerli del tutto era sbagliato e distruttivo. Gli aveva insegnato ad accogliere quegli istinti, a farli suoi e a sfruttarli al meglio per ottenere i suoi scopi. Doveva molto a quell’uomo così enigmatico e meravigliosamente diabolico, forse gli doveva tutto. Da quando erano fuggiti insieme, ritrovandosi dopo essere stati tanto tempo lontani, gli incubi si erano per lo più tenuti alla larga, concedendogli un riposo che per tanto aveva agognato. Aveva però presto capito che la serenità era limitata a lui: Hannibal, infatti, era sovente visitato dai ricordi durante la notte, ricordi di un passato del quale conosceva pochissimo e soltanto grazie al racconto di Cheyoh. Lo psichiatra non aveva mai voluto parlarne e lui non lo aveva mai spinto a farlo, ben sapendo che tanto non ne avrebbe cavato fuori niente: Hannibal aveva la necessità di sentirsi perfettamente in grado di controllare i propri sentimenti secondo la ragione e la logica e Will era consapevole di quanto debole e impotente lo facessero sentire quegli incubi su un passato che non avrebbe mai potuto cambiare. Sospirò, guardando la porta: era la prima volta che Hannibal si svegliava da uno di quegli episodi, la prima volta che lo aggrediva nel sonno e la prima volta che se ne andava così dalla loro stanza. Probabilmente si era convinto di dover affrontare e metabolizzare quanto accaduto per conto suo, da solo.

Un’espressione risoluta gli si dipinse sul viso, mentre si alzava dal letto, rabbrividendo quando i piedi nudi toccarono il parquet: che ad Hannibal piacesse o meno, non era più da solo. Erano in due, i Murder Husbands, così come Freddie Lounds li aveva soprannominati, e lui lo avrebbe aiutato, in un modo o nell’altro. Rimase fermo per un attimo, chiudendo gli occhi e ascoltando i rumori della casa per capire dove fosse Hannibal. Il silenzio regnava sovrano, quindi non era nella stanza della musica, o quantomeno non stava suonando. Forse era in biblioteca. Decidendo di cominciare da lì, uscì dalla camera e si diresse verso la stanza, vedendo una luce tenue filtrare da sotto la porta. La risolutezza con la quale era partito cominciò a scemare: cosa avrebbe potuto dirgli? Che non era colpa sua? Che non gli aveva fatto male, non troppo almeno? Che non era successo niente di grave?

Parole inutili, vuote e circostanziali che di certo non sarebbero servite a placare l’animo del dottore. No, doveva pensare a qualcos’altro e il problema era che la sua mente sembrava essersi improvvisamente svuotata. Alla fine si decise ad entrare: in quel caso un’attenta pianificazione non sarebbe servita a nulla. Una volta aperta la porta, vide che la luce proveniva dal caminetto in cui danzavano allegramente le fiamme di un fuoco appena acceso. Hannibal era seduto sul divano davanti al focolare e lo fissava, evidentemente senza vederlo, le mani giunte strette tra le ginocchia. Ad un occhio esterno sarebbe sembrato tranquillo, ma Will sapeva perfettamente che dietro quel contegno composto c’era una tempesta di emozioni che l’uomo stava cercando di tenere a freno con tutte le sue forze. Si sentì frustrato: Hannibal sapeva sempre cosa dire al momento giusto, mentre lui in quel momento si trovava senza parole. D’un tratto si rese conto del fatto che parlare, in quel momento, sarebbe stata la cosa sbagliata, in quanto avrebbe causato un ribaltamento dei ruoli. Poteva capire Hannibal, poteva anche psicanalizzarlo, ma non doveva prendersi la libertà di diventare il suo psichiatra, di porgli domande che lo costringessero ad aprirsi. Sapeva che l’uomo non lo avrebbe mai accettato e che si sarebbe chiuso ancora di più nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore… la mente gli volò a Bedelia e alla promessa di diventare la prossima portata principale.

Chiuse la porta alle sue spalle e si diresse verso il divano con passo deciso. Hannibal non dette cenno di aver notato la sua presenza, nemmeno quando prese posto accanto a lui. Lasciò che passassero alcuni secondi, in modo che il dottore potesse decidere in tutta libertà cosa fare o meno. Quando quest’ultimo non si mosse, Will decise di osare e avvicinarsi ancora un po’, posando la testa sulla sua spalla, sempre senza dire una parola.

Hannibal era rigido come una statua e sembrava essere lontano anni luce da lì. Da quella posizione, Will si accorse che le mani del dottore si stringevano in una morsa ferrea, le nocche bianche per lo sforzo. Dal momento che non si era opposto alla sua vicinanza, l’ex agente dell’FBI allungò un braccio e posò la sua mano su quelle del dottore, stringendo delicatamente ma con decisione le membra fredde. Passarono diversi minuti durante i quali nessuno dei due disse niente, lo scoppiettio delle fiamme come unico sottofondo insieme agli ululati del vento, e quando Will ormai cominciava a pensare che avrebbero trascorso il resto della notte in quella posizione, Hannibal si rilassò e le sue mani si mossero, stringendo quella più piccola dell’uomo accanto a lui. Quando Will si voltò per guardarlo, scorse un piccolo sorriso sulle labbra del dottore e sentì la medesima espressione stamparsi sul suo viso: a quanto pare aveva preso la decisione giusta. Spostò la testa dalla sua spalla per osservarlo meglio. Le ombre del passato erano ancora lì, annidate da qualche parte, ma sembrava che Hannibal adesso fosse più sereno, come se il sapere che la sua vicinanza, la sua presenza lì accanto a lui, nonostante quanto avvenuto non solo pochi minuti prima, ma anche negli anni della loro conoscenza, lo stesse aiutando a far fronte ai demoni che lo tormentavano e questo, almeno per il momento, poteva essere sufficiente.

Sempre stringendogli le mani, Will si alzò in piedi e lo tirò appena, invitandolo a fare altrettanto.

«Torniamo a letto»  gli disse semplicemente, guardandolo negli occhi. Hannibal non gli rispose, ma si alzò, lasciandosi portare in camera. Percorsero la strada verso la stanza e, una volta arrivati, si stesero sul materasso, vicini. A seguito di quanto accaduto, Will sarebbe stato tentato di abbracciare Hannibal, di fargli posare la testa sul suo petto e di attendere che si addormentasse così. Scelse invece di accoccolarsi accanto a lui, lasciando che il dottore gli passasse un braccio intorno alla vita, mostrandogli così che si fidava di lui.

Il vento continuava ad ululare fuori dalla casa, ma ormai non era più latore di incubi, bensì di una melodia che, in pochi minuti, fece tornare i due uomini nel mondo dei sogni, stretti l’uno all’altro, e pronti, come sempre, ad affrontare insieme conscio e subconscio.

FINE

N/A: qualche breve parola su questa shot. Anzitutto è la mia prima Hannigram, quindi sentitevi liberi di dire ciò che ne pensate, avrei piacere di saperlo.

Questa… cosa che non so definire con esattezza nasce come regalo di compleanno per la mia Hannibal. Tanti cari auguri, spero ti possa piacere.

Con affetto

La tua Nakama.

 

 

 

 

   
 
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