QUI ACCANTO A
TE
Il vento riempiva la notte dei suoi
ululati, andando a picchiare contro le imposte ben serrate del cottage isolato,
situato da qualche parte nell’Europa Centrale. All’interno dell’abitazione
regnava il silenzio più totale. Era d’altronde piuttosto tardi e i suoi abitanti
si erano ritirati già da tempo per dormire dopo una giornata abbastanza
tranquilla – se non si contava l’episodio con l’impiegato che li aveva superati
in fila in modo quanto mai scortese mentre facevano acquisti, ma ci sarebbe
stato tempo per occuparsi di lui.
Da ormai diverse settimane si erano
stabiliti lì nel corso della loro eterna fuga, dopo essere passati per il Sud
America e l’Australia. Il richiamo di quei luoghi era stato troppo forte e, dal
momento che ormai l’FBI sembrava aver allentato la corda, avevano deciso di
rischiare. L’Italia restava fuori discussione ma chissà, forse un giorno ci
sarebbero passati di nuovo. D’altronde Hannibal l’aveva promesso a Will, prima o
poi gli avrebbe mostrato Firenze.
All’inizio, certo, non era stato
semplice adattarsi a tutte le nuove dinamiche del vivere insieme, ma in qualche
modo erano riusciti a trovare una stabilità, a metà strada tra i loro caratteri
e le loro personalità.
Quella notte, come tutte le altre
prima di allora, i due dormivano l’uno accanto all’altro, vicini, quasi a voler
tenere ancora più lontano il vento che continuava a fischiare, che penetrava
sotto gli infissi, sui pavimenti, sotto le coperte, nella mente di uno dei due
dormienti.
Vento… forte, freddo, impetuoso
fuori dalla baracca. Le sue folate riescono a raggiungerli, intirizzendoli fino
al midollo. Cerca di stringere a sé Mischa più di quanto non stesse già facendo,
nel tentativo di scacciare i brividi febbrili che le scuotono il corpo. Avvolge
la coperta intorno a loro per trovare un poco di calore. All’improvviso, come
purtroppo capita sempre, vede aprirsi la porta della loro cella rudimentale. Sa
cosa sta per succedere e sa benissimo che non potrà fare nulla per impedirlo.
Ciononostante, guarda in cagnesco gli uomini che si stanno avvicinando,
stringendosi di più alla sorellina.
Accade tutto in un lampo, troppo
veloce perché possa anche solo reagire: le sue braccia vengono immobilizzate da
mani più forti di lui e tutto ciò che può fare è guardare sua sorella venire
trascinata fuori, con un’ascia che la segue a poca distanza. Ormai sa cosa le
accadrà e lotta con tutte le sue forze senza risultati. O meglio, questo è ciò
che capita di solito nel sogno. Invece succede qualcosa di diverso: un paio di
mani, attaccate a un corpo senza volto, si posano sulle sue guance, come a
cercare di distoglierlo dal fato che sta per subire sua sorella. “Calmati, non è
niente” gli dice. Tanto basta: con una forza che non sapeva di avere si libera
dalla stretta dei suoi carcerieri e si avventa sullo sconosciuto, serrando le
dita intorno alla sua gola e stringendo. Riesce a spingerlo a terra di peso e
comincia a stringere la presa sempre di più, sempre di più. Le dita dell’uomo si
chiudono intorno alle sue, nel disperato tentativo di liberarsi ma no, non può
lasciarlo andare, non può permettergli di vivere, non dopo quanto ha fatto a
Mischa. Cerca di guardarlo negli occhi ed è allora che se ne accorge: le iridi
chiare e spaventate, fisse nelle sue, somigliano a quelle di Mischa. Sua sorella
però non ha i capelli scuri, né tantomeno ricci. Poi la sente: è flebile, quasi
afona per la mancanza di ossigeno, ma Hannibal riesce comunque a sentire una
voce. La conosce, per tanto tempo l’ha cercata, ha tentato di coglierne le
sfumature e di scolpirsele in testa, ormai la riconoscerebbe
ovunque.
«Han—Hannibal»
Svanì la casa, svanirono i suoi
aguzzini e l’ultima immagine di Mischa insieme a loro. Ciò che rimase e che lo
investì in pieno fu un’ondata di consapevolezza quando vide le sue mani strette
intorno al collo di Will, bloccato sotto di lui, che stava disperatamente
cercando di respirare.
Hannibal ritrasse le mani come
ustionato, scoprendo di stare ansimando, e vide così Will spostarsi su un fianco
e tossire violentemente quando l’aria riempì nuovamente i suoi polmoni. Eppure
il suono gli giunse lontano, ovattato, l’udito completamente annullato dalla
vista: gli aveva fatto del male. Oh, era capitato anche in passato, certo, ma in
quel caso aveva avuto delle motivazioni o comunque degli scopi ben precisi.
Questa volta, ogni sua azione era stata dettata dall’irrazionalità di Morfeo,
aveva perso il controllo e aveva rischiato di ucciderlo. Con rapida cautela, si
spostò dalla sua posizione, scendendo dal letto e prendendo la sua vestaglia,
infilandosela velocemente prima di lasciare la stanza, ignorando i rochi
richiami di Will.
L’ex agente speciale dell’FBI lo
guardò andare via, desistendo dall’intento di richiamarlo e passandosi le dita
sulla gola dove, fino a poco prima, si erano strette le mani di Hannibal: non si
aspettava certo un simile risvolto da quella situazione. Altre volte, nel corso
del loro viaggio, lo psichiatra si era lamentato nel sonno, ripetendo il nome
che lo tormentava, Mischa. Di solito bastava avvicinarsi e toccarlo su una
spalla per riportarlo a sogni più tranquilli. Quella notte, però, c’era stato
qualcosa di diverso: si era svegliato sentendolo gemere debolmente, si era
proteso verso di lui per cercare di aiutarlo, poi, vedendo che il suo tocco non
aveva effetto, preoccupato, si era avvicinato di più. L’espressione disperata
sul viso del compagno lo aveva fatto agire d’istinto: senza pensarci due volte,
gli aveva preso il viso tra le mani, implorandolo di calmarsi e dicendogli che
tutto andava bene, che non era niente. Quando Hannibal aveva aperto gli occhi,
aveva pensato di essere riuscito in ciò che si era proposto. Ma lo sguardo nelle
iridi rossastre dell’uomo gli aveva dato sì e no una frazione di secondo per
capire che qualcosa non andava. Era stato un attimo, poi si era ritrovato
attorno al collo le mani del dottore che lo stringevano in una morsa ferrea.
Qualche istante dopo si era sentito ribaltare sulla schiena, Hannibal sopra di
lui con la chiara intenzione di soffocarlo. Sul momento aveva lottato, pensando
che l’altro fosse sveglio, ma si era quasi subito accorto dallo sguardo che
aveva negli occhi che Hannibal era ancora in uno stato tra il sonno e la veglia
e che non si rendeva bene conto di cosa stava accadendo. Allora gli aveva preso
le mani, cercando di fargli allentare la presa, chiamandolo per nome, cercando
di farlo tornare in sé. Alla fine ci era riuscito e, se ne avesse avuto la
possibilità, avrebbe sospirato di sollievo, ma in mancanza d’aria era soltanto
riuscito a boccheggiare un paio di volte prima di mettersi a tossire.
Sentendo che l’altro si alzava dal
letto, aveva aperto gli occhi, lievemente annebbiati dalle lacrime provocate
dallo sforzo di respirare, e lo aveva seguito con lo sguardo, cercando di
richiamarlo quando aveva capito che stava uscendo dalla stanza, ma senza
successo.
Ormai da solo, nella camera da
letto, si tirò a sedere sul materasso, passandosi una mano sugli occhi e
prendendo un ultimo respiro profondo per calmarsi. L’abisso degli incubi non gli
era sconosciuto, per anni lui stesso aveva dovuto combattere con le visioni
orribilmente vivide che i ricordi proiettavano nella sua mente. Ricordi di scene
del crimine ripugnanti, tristi, violente, sanguinose, spesso causate da moventi
senza una motivazione sensata – non per la gente comune, quanto meno. Con il
tempo aveva cominciato a sospettare che gli incubi derivassero non dai delitti
in sé, quanto più dal fatto che lui sentiva di capirli, in un certo qual modo.
Ne aveva avuto la certezza durante il caso Hobbs, dopo il quale le sue visioni
notturne erano aumentate e peggiorate – anche a causa dell’encefalite,
ovviamente. Il primo spiraglio di luce era stato Hannibal. Non con la terapia,
oh no, anche se quella aveva senza dubbio contribuito a portarlo alla
guarigione. No, Hannibal gli aveva mostrato che era naturale per un uomo avere
degli istinti e che reprimerli del tutto era sbagliato e distruttivo. Gli aveva
insegnato ad accogliere quegli istinti, a farli suoi e a sfruttarli al meglio
per ottenere i suoi scopi. Doveva molto a quell’uomo così enigmatico e
meravigliosamente diabolico, forse gli doveva tutto. Da quando erano fuggiti
insieme, ritrovandosi dopo essere stati tanto tempo lontani, gli incubi si erano
per lo più tenuti alla larga, concedendogli un riposo che per tanto aveva
agognato. Aveva però presto capito che la serenità era limitata a lui: Hannibal,
infatti, era sovente visitato dai ricordi durante la notte, ricordi di un
passato del quale conosceva pochissimo e soltanto grazie al racconto di Cheyoh.
Lo psichiatra non aveva mai voluto parlarne e lui non lo aveva mai spinto a
farlo, ben sapendo che tanto non ne avrebbe cavato fuori niente: Hannibal aveva
la necessità di sentirsi perfettamente in grado di controllare i propri
sentimenti secondo la ragione e la logica e Will era consapevole di quanto
debole e impotente lo facessero sentire quegli incubi su un passato che non
avrebbe mai potuto cambiare. Sospirò, guardando la porta: era la prima volta che
Hannibal si svegliava da uno di quegli episodi, la prima volta che lo aggrediva
nel sonno e la prima volta che se ne andava così dalla loro stanza.
Probabilmente si era convinto di dover affrontare e metabolizzare quanto
accaduto per conto suo, da solo.
Un’espressione risoluta gli si
dipinse sul viso, mentre si alzava dal letto, rabbrividendo quando i piedi nudi
toccarono il parquet: che ad Hannibal piacesse o meno, non era più da solo.
Erano in due, i Murder Husbands, così come Freddie Lounds li aveva
soprannominati, e lui lo avrebbe aiutato, in un modo o nell’altro. Rimase fermo
per un attimo, chiudendo gli occhi e ascoltando i rumori della casa per capire
dove fosse Hannibal. Il silenzio regnava sovrano, quindi non era nella stanza
della musica, o quantomeno non stava suonando. Forse era in biblioteca.
Decidendo di cominciare da lì, uscì dalla camera e si diresse verso la stanza,
vedendo una luce tenue filtrare da sotto la porta. La risolutezza con la quale
era partito cominciò a scemare: cosa avrebbe potuto dirgli? Che non era colpa
sua? Che non gli aveva fatto male, non troppo almeno? Che non era successo
niente di grave?
Parole inutili, vuote e
circostanziali che di certo non sarebbero servite a placare l’animo del dottore.
No, doveva pensare a qualcos’altro e il problema era che la sua mente sembrava
essersi improvvisamente svuotata. Alla fine si decise ad entrare: in quel caso
un’attenta pianificazione non sarebbe servita a nulla. Una volta aperta la
porta, vide che la luce proveniva dal caminetto in cui danzavano allegramente le
fiamme di un fuoco appena acceso. Hannibal era seduto sul divano davanti al
focolare e lo fissava, evidentemente senza vederlo, le mani giunte strette tra
le ginocchia. Ad un occhio esterno sarebbe sembrato tranquillo, ma Will sapeva
perfettamente che dietro quel contegno composto c’era una tempesta di emozioni
che l’uomo stava cercando di tenere a freno con tutte le sue forze. Si sentì
frustrato: Hannibal sapeva sempre cosa dire al momento giusto, mentre lui in
quel momento si trovava senza parole. D’un tratto si rese conto del fatto che
parlare, in quel momento, sarebbe stata la cosa sbagliata, in quanto avrebbe
causato un ribaltamento dei ruoli. Poteva capire Hannibal, poteva anche
psicanalizzarlo, ma non doveva prendersi la libertà di diventare il suo
psichiatra, di porgli domande che lo costringessero ad aprirsi. Sapeva che
l’uomo non lo avrebbe mai accettato e che si sarebbe chiuso ancora di più nella
migliore delle ipotesi. Nella peggiore… la mente gli volò a Bedelia e alla
promessa di diventare la prossima portata principale.
Chiuse la porta alle sue spalle e si
diresse verso il divano con passo deciso. Hannibal non dette cenno di aver
notato la sua presenza, nemmeno quando prese posto accanto a lui. Lasciò che
passassero alcuni secondi, in modo che il dottore potesse decidere in tutta
libertà cosa fare o meno. Quando quest’ultimo non si mosse, Will decise di osare
e avvicinarsi ancora un po’, posando la testa sulla sua spalla, sempre senza
dire una parola.
Hannibal era rigido come una statua
e sembrava essere lontano anni luce da lì. Da quella posizione, Will si accorse
che le mani del dottore si stringevano in una morsa ferrea, le nocche bianche
per lo sforzo. Dal momento che non si era opposto alla sua vicinanza, l’ex
agente dell’FBI allungò un braccio e posò la sua mano su quelle del dottore,
stringendo delicatamente ma con decisione le membra fredde. Passarono diversi
minuti durante i quali nessuno dei due disse niente, lo scoppiettio delle fiamme
come unico sottofondo insieme agli ululati del vento, e quando Will ormai
cominciava a pensare che avrebbero trascorso il resto della notte in quella
posizione, Hannibal si rilassò e le sue mani si mossero, stringendo quella più
piccola dell’uomo accanto a lui. Quando Will si voltò per guardarlo, scorse un
piccolo sorriso sulle labbra del dottore e sentì la medesima espressione
stamparsi sul suo viso: a quanto pare aveva preso la decisione giusta. Spostò la
testa dalla sua spalla per osservarlo meglio. Le ombre del passato erano ancora
lì, annidate da qualche parte, ma sembrava che Hannibal adesso fosse più sereno,
come se il sapere che la sua vicinanza, la sua presenza lì accanto a lui,
nonostante quanto avvenuto non solo pochi minuti prima, ma anche negli anni
della loro conoscenza, lo stesse aiutando a far fronte ai demoni che lo
tormentavano e questo, almeno per il momento, poteva essere sufficiente.
Sempre stringendogli le mani, Will
si alzò in piedi e lo tirò appena, invitandolo a fare altrettanto.
«Torniamo a letto» gli disse semplicemente, guardandolo
negli occhi. Hannibal non gli rispose, ma si alzò, lasciandosi portare in
camera. Percorsero la strada verso la stanza e, una volta arrivati, si stesero
sul materasso, vicini. A seguito di quanto accaduto, Will sarebbe stato tentato
di abbracciare Hannibal, di fargli posare la testa sul suo petto e di attendere
che si addormentasse così. Scelse invece di accoccolarsi accanto a lui,
lasciando che il dottore gli passasse un braccio intorno alla vita, mostrandogli
così che si fidava di lui.
Il vento continuava ad ululare fuori
dalla casa, ma ormai non era più latore di incubi, bensì di una melodia che, in
pochi minuti, fece tornare i due uomini nel mondo dei sogni, stretti l’uno
all’altro, e pronti, come sempre, ad affrontare insieme conscio e
subconscio.
FINE
N/A: qualche breve parola su questa
shot. Anzitutto è la mia prima Hannigram, quindi sentitevi liberi di dire ciò
che ne pensate, avrei piacere di saperlo.
Questa… cosa che non so definire con
esattezza nasce come regalo di compleanno per la mia Hannibal. Tanti cari
auguri, spero ti possa piacere.
Con affetto
La tua Nakama.