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Autore: Ciulla    15/02/2016    7 recensioni
"E pensare che non più di cinque giorni prima lo stesso bambino lo aveva abbracciato felice, stringendolo forte. “Sei il miglior maestro dell’universo!” Gli aveva urlato. E lui ci aveva creduto, e si era sentito fiero e orgoglioso. Perché, in fondo, chi non crede ai complimenti di un bambino?"
Piccolo litigio tra Beerus e Whis.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
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LITIGI



Beerus aveva un’aria cocciuta negli occhi mentre, con sguardo indolente, rifiutava di allenarsi oltre. A suo parere quel giorno si era impegnato fin troppo e nulla ormai lo attraeva più della prospettiva di concedersi un weekend di meritato riposo. A nulla valevano gli sforzi e le promesse del suo maestro e questi, dopo ore di tentativi infruttuosi, lasciò libero il piccolo di fare quello che voleva, rinunciando all’illusione di riuscire a farlo impegnare seriamente.
Il piccolo, emozionato per la sua vittoria, cominciò a saltellare in giro ridendo felice. “Evviva!” Urlò. “Adesso possiamo divertirci! Cosa facciamo questo weekend, Maestro? Dove mi porti?”
Il gattino era infatti abituato ad un’escursione nuova ogni fine settimana. Il vantaggio di queste gite era enorme per entrambi gli alieni, in quanto il cucciolo si divertiva ed al ritorno era così stanco da crollare addormentato sul letto senza nemmeno cambiarsi, in modo tale che Whis potesse concedersi qualche ora di pausa. Inoltre, era necessario che, in quanto futuro dio, Beerus conoscesse la struttura e le zone principali dell’universo sotto la sua giurisdizione. 
Whis prese velocemente una triste decisione, cercando di ignorare le speranze del cucciolo. Si erano allenati pochissimo durante tutta la settimana, e non era possibile che tenessero quel ritmo, o Beerus sarebbe diventato dio solo dopo milioni di anni. Non era concepibile, e doveva capirlo anche lui. 
“Questo fine settimana non andremo da nessuna parte. Sei in castigo”. 
A quelle parole il gatto smise di saltellare e si rivolse allibito verso Whis. “Che cosa?” Chiese sorpreso, prima che il suo tenero muso si aggrottasse in una smorfia triste e i suoi occhi si riempissero di lacrime. “Niente gita?”
Suo malgrado, col cuore chiuso in una stretta di compassione, Whis non abbandonò la sua fermezza. “Un dio non può essere così pigro, Beerus. Mi dispiace, ma questa settimana non ti muoverai da qui. Rimarrai in camera tua, a pensare alle tue responsabilità e all’impegno che devi mettere in quello che fai”.
Comprensibilmente, il piccolo scoppiò in lacrime. Implorò Whis, gli chiese scusa, gli fece mille promesse, ma non smosse la sua posizione di un millimetro.
Infine si lasciò andare al più primordiale sentimento di rabbia, e come un bambino infuriato si precipitò sul maestro cominciando a tempestarlo con piccoli pugni feroci dritti in pancia, pugni che avrebbero ucciso il più forzuto dei suoi simili, ma che Whis non sentì nemmeno, impegnato com’era a non cambiare idea di fronte alle suppliche del cucciolo.
Rassegnato, Beerus fece un salto indietro e guardò Whis con gli occhi pieni di furore e tristezza. “Sei cattivo, Maestro! Non mi piace più stare con te!”
Mentre correva verso la sua camera, Whis sorrise piano, riconoscendo la sua furbizia: non potendolo ferire fisicamente, lo aveva ferito nell’unico punto in cui davvero poteva causargli dolore.


Seduto sull’erba, Whis contemplava il cielo senza realmente vederlo. I suoi pensieri non seguivano la direzione che egli avrebbe voluto, ma tendevano sempre verso quelle cattive parole dette da un gattino ferito. Aveva abituato troppo bene quel piccolo mostricciattolo, ed ora ne pagava le conseguenze.
E pensare che non più di cinque giorni prima lo stesso bambino lo aveva abbracciato felice, stringendolo forte. “Sei il miglior maestro dell’universo!” Gli aveva urlato. E lui ci aveva creduto, e si era sentito fiero e orgoglioso. Perché in fondo, chi non crede ai complimenti di un bambino? Sono sempre pronti a prodigarsi in lusinghe verso chiunque li circondi. “Sei la mamma migliore del mondo”, “Sei il fratello migliore del mondo”, esclamazioni sulla bocca dei cuccioli di tutte le specie, sentimenti sentiti e sinceri, ma temporanei. Complimenti che ti riempiono il cuore di gioia in un istante, e che altrettanto repentinamente se ne vanno nel momento in cui tutti i tuoi gesti e le tue cortesie vengono dimenticate. Perché non c’è nulla di più volubile di un bambino: nel momento prima ti ama, nel momento dopo ti odia, poi si rende conto che senza di te non ce la può fare, torna da te con lo sguardo basso e sperando che sia tu il primo a chiedere scusa. Poi cede, perché ti vuole bene; ti chiede scusa per primo, e poi si arrabbia con te perché non l’hai fatto tu. Un bambino è così complicato, ma allo stesso tempo così semplice. Fai quello che vuole e ti amerà per qualche istante; fai quello di cui ha bisogno e, dopo qualche istante di rabbia, ti amerà per sempre.
Whis sorrise, tranquillizzato dai suoi stessi pensieri. Beerus avrebbe capito che il castigo gli era stato imposto solo per il suo bene e, forse, questo lo avrebbe portato ad allenarsi un po’ di più.


Ma Beerus non lo capì quel giorno, né il giorno dopo. Fu solo dopo due giorni che si fece vivo, avvicinandosi a Whis con la coda tra le gambe e porgendogli un piatto di ceramica, che necessitava di essere riempito. Era evidente che la fame aveva sconfitto la sua cocciutaggine, e fu con un sorriso che Whis glielo riempì di cibo in abbondanza, appoggiandolo poi sul tavolo e aspettando che lo svuotasse. 
Giunto alla fine, Whis si sedette accanto a lui e gli sorrise. “Mangiato bene?” Gli chiese dolcemente.
Lui annuì e chinò la testa. “Grazie per il cibo”, borbottò. Poi cominciò a rigirarsi i pollici, imbarazzato. “Non sei arrabbiato con me per quella brutta cosa che ti ho detto?” Chiese.
Whis scosse la testa. “Sono qui per prendermi cura di te, non per farmi voler bene. Se non ti piace più stare con me, allenati tanto e me ne andrò presto”, gli disse, fingendo un’indifferenza che non aveva.
“Ma io ti voglio bene”, mormorò il gatto. “Ero arrabbiato perché volevo fare una gita, ma mi piace comunque stare con te. E poi cucini bene”. 
Whis sorrise, divertito dal suo affetto “disinteressato”, e gli fece una tenera carezza sulla testa.
“Mi spiace di non averti accontentato, piccolo mio. Ma devo farti capire in qualche modo che devi allenarti. Altrimenti non diventerai mai un dio e i Kaioshin mi ordineranno di prendere un altro allievo”.
Il gattino seppellì il viso tra le braccia incrociate sopra il tavolo e protestò debolmente. “Non voglio che prendi un altro allievo”, borbottò. Poi sollevò la testa e sospirò. “Scusa, Maestro. Mi impegnerò di più, promesso”.
Whis ne fu soddisfatto, pur sapendo che i suoi buoni propositi non sarebbero durati che qualche settimana. 
“Molto bene”, gli disse. “Allora vai a cambiarti. Cominciamo subito gli allenamenti”.
“Ma Maestro, io sono stanco!”
... Qualche settimana? Forse era stato troppo ottimista.
   
 
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