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Autore: The Writer Of The Stars    15/02/2016    5 recensioni
"Non l’aveva mai chiamato “innamorarsi.” Non perché non fosse vero, ma semplicemente perché quel termine racchiudeva in sé una parvenza di adolescenziale desiderio che in lei non albeggiava nemmeno, una sicurezza che rasentava quasi il ridicolo, a voler considerare il suo spirito ribelle. La prima volta che aveva visto Vegeta aveva provato qualcosa che andava oltre il semplice desiderio fisico, una sorta di desiderio ancestrale di voler unire quei due mondi così opposti che da allora aveva soppiantato il puro erotismo che contraddistingueva la loro relazione. Al posto di gridare infantilmente “Ti amo” al vento notturno, Bulma aveva deciso di riporre la propria fede in ciò in cui credeva di più, sebbene fosse anche l’incognita e l’insicurezza più grande della propria esistenza."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Put your faith in what you most believe in.
Two worlds, one family.”

Il crepitio della fiamma si specchia nei buchi neri incastonati tra le cavità oculari infantili, riverberandosi come piccole pagliuzze dorate nella notte oltremodo gelida. Il monossido di carbonio si infila prepotentemente su per il setto nasale principesco che si arriccia infastidito. La cassa toracica sussulta ad una brusca contrazione del diaframma, accompagnata da colpi di tosse talmente forti da squarciare il petto di un comune mortale. Ma lui, comune mortale non è, e sebbene l’ossatura infantile rechi solo dieci anni di vita con sé, ha già deciso dittatorialmente che non sarà un po’ di stupida anidride carbonica a togliergli la vita. Eppure la fiamma che ardeva innanzi a lui ora sembra bruciare finanche l’epidermide livida, ma non è l’ustione a lacerare l’orgoglio, quanto più la consapevolezza di trovarsi ai piedi dell’assassino della sua razza, di colui che gli ha tolto la corona. Si diverte lui, deve essere uno spettacolo esilarante per le sue iridi violacee iniettate di sangue osservare come il fuoco bruciante della notte stia divampando leggermente sulla falce lunare del corpo infantile e martoriato. Dolore non sente, o forse finge di non sentirne, eppure chissà cosa gridano gli occhi persi tra le fiamme aranciate che danzano nell’iride misogina.
 
La fiamma ora sembra quasi più nitida, più evidente, poiché ad accoglierla vi sono lapislazzuli adolescenziali, frivoli e avidi di attenzioni superflue che scrutano la candelina rosa, con la cera che lentamente cola verso il basso, schiantandosi su una nuvola di diabetica panna colma di zucchero. Risate gaie e spensierate che si elevano da labbra vagamente dipinte di rosa brillante, fruscii di carte da regalo che vengono strappate via, ringraziamenti che si confondono tra di loro in un mormorio smodato irritante, tanto convenevole che alla fine nemmeno si capisce più a chi vengono rivolte dolci parole di circostanza. Fuori la notte è fredda, nello spazio probabilmente ancor di più, ma cosa importa ai lapislazzuli che riflettono la candelina di compleanno, se qualcuno là fuori da qualche parte sta ingoiando cenere e fuoco al posto del marzapane fatto in casa. Al di fuori c’è un altro mondo, perché mai dovrebbero incontrarsi?

 ****
Spettacolo appagante è di certo osservare il riverbero della fiamma placida nei numerosi occhi dalle sfumature più anticonvenzionali. C’è un che di alieno e quasi inconcepibilmente eccitante nell’osservare il fuoco crepitare nelle iridi blu di due bambini; iridi che hanno visto la fiamma marchiare la pelle per sempre, ed iridi che conoscono solo il tepore del fuoco domestico. Un dna fuso in un unico cromosoma, un pigmento che racchiude in sé due esperienze di vita parallele, due mondi distinti. Bra ridacchia inconsciamente all’avvampare della fiamma nel camino in pietra e Trunks ride con lei, perché è bella la risata di Bra, perché è piccola ed è l’unico suono che riesce ad emettere e perché sembra racchiudere in sé l’apoteosi di un’unione che fino a pochi anni prima, sebbene esistente, risultava quasi irreale persino a lui. Bulma li osserva oltre lo stipite ligneo della porta, incurva le labbra imbellettate di rosso borgogna in un sorriso colmo di dolcezza ma non ride, poiché consapevole che la sua risata stonerebbe solamente con l’ idilliaco suono salito dalle corde vocali dei suoi bambini. Non l’aveva mai chiamato “innamorarsi.” Non perché non fosse vero, ma semplicemente perché quel termine racchiudeva in sé una parvenza di adolescenziale desiderio che in lei non albeggiava nemmeno, una sicurezza che rasentava quasi il ridicolo, a voler considerare il suo spirito ribelle. La prima volta che aveva visto Vegeta aveva provato qualcosa che andava oltre il semplice desiderio fisico, una sorta di desiderio ancestrale di voler unire quei due mondi così opposti che da allora aveva soppiantato il puro erotismo che contraddistingueva la loro relazione. Al posto di gridare infantilmente “Ti amo” al vento notturno, Bulma aveva deciso di riporre la propria fede in ciò in cui credeva di più, sebbene fosse anche l’incognita e l’insicurezza più grande della propria esistenza. I bambini continuano a ridere dinanzi al crepitio della fiamma, e Bulma ringrazia per l’ennesima volta il vuoto per aver permesso alla sua fede di incarnarsi in due iridi blu, dalla genesi Sayan e terrestre nella pupilla; alla fine, due mondi opposti avevano semplicemente finito per concentrarsi in una sola famiglia.


Nota:
Ispirata da “Two worlds (One family) di Phil Collins, dal film Disney “Tarzan”.
Letizia
   
 
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