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Autore: whiteangeljack    16/02/2016    3 recensioni
Killian affronta la sua punizione in purgatorio. È così che viene condannato ad una vita solitaria, senza alcun ricordo di una ragazza con i capelli dorati e gli occhi verdi come il mare. Questo almeno finché lei non comincia a venire ogni giorno al suo piccolo negozio fuori città.
[TRADUZIONE!]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Liam Jones, Milah
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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I ain’t done much healing


-dall’originale di bemusedbicycle
 
 
 




Agganciare le esche agli ami non è mai stato il suo forte ma Liam ha appena comprato le ultime tre, lasciandolo completamente senza. Ha quasi l’impressione che suo fratello lo faccia apposta – a comprare in blocco l’unica cosa che non ha alcuna voglia di mettersi a fare.
Ma un comportamento simile sarebbe troppo diretto per i gusti di Liam. Suo fratello preferisce invece una forma più passiva di rivalsa. Si ferma per far spesa al suo negozio ogni settimana senza dire nulla, non degnandolo nemmeno di uno sguardo. Prende solo la sua merce, lasciando spesso le monete sul bancone prima ancora che Killian possa tentare di raggiungerlo dal retro del negozio.
 
Killian suppone che la sua sia l’unica bottega in città che si occupi di rifornire le navi: Liam non ha quindi molta scelta.
Non sa se la cosa lo fa sentire meglio o peggio.
 

-/-
 

Qualche volta li vede, nel fine settimana. The Jewel of the Realm è all’ancora in un angolo  della baia visibile dalle vetrine del suo negozio e, mentre cerca di non torturarsi troppo piazzandosi in sua vista, il telescopio ha sviluppato un sottile strato di polvere che non può più essere ignorato.
Sente le loro risate e li guarda mentre salgono a bordo della nave, i loro passi pesanti sulla passerella. Si ricorda dei giorni spesi in mare aperto, il sale sulla lingua e il sole a bruciargli la pelle per ore ed ore prima di tramontare oltre l’orizzonte. Se chiude gli occhi, può sentire ancora la mano di suo padre guidarlo mentre gli insegna a navigare seguendo le stelle.

Li guarda mentre le vele vengono ammainate, suo padre e suo fratello insieme sulla nave a cui una volta pensava come ad una casa.

Li guarda mentre il vento porta via la famiglia di cui ormai non fa più parte.
 

-/-
 

Di notte la radio riempie il silenzio quando l’oscurità proietta la sua ombra sulle pareti e Killian sente la solitudine farsi concreta e animarsi di vita propria. Come un incudine sul petto, il suo peso continua a spingerlo giù e giù, finché riesce a malapena a respirare.

Sorseggia la zuppa e sfoglia le pagine del suo libro con il polso, tenendolo ben spiegato con il braccio offeso mentre ripercorre le stesse parole lette già centinaia e centinaia di volte prima. È una storia vecchia che conosce quasi a memoria  e solitamente leggerla gli porta sollievo. Ma c’è una tempesta che soffia da est e in qualche modo diventa sempre ansioso quando il vento inizia a fischiare tra le crepe nelle pareti – antiche fitte e dolori che si risvegliano nel braccio e nella sua testa e nel suo cuore.

Ha sempre i suoi alti e bassi, ma di notte è ancora più difficile.
 

-/-
 

“Ciao, Milah.”

La donna sobbalza quando lui farfuglia il suo saluto, tenendo la testa bassa per ripararsi dal vento forte mentre attraversa la strada. La tempesta è rimasta, e lui si sente pesante come le nuvole sopra la sua testa. Specialmente quando vede le sue labbra arricciarsi in una smorfia e lei si scansa di un passo.

“Killian,” si limita a fargli un cenno.

È molto lontano dal mondo in cui era solita sussurrare il suo nome, le labbra premute contro il suo collo nella quiete della stanza, le lenzuola calde aggrovigliate attorno alla vita e il pallore della luce lunare a danzarle sulla pelle.

Ma ovviamente ha rovinato anche quello.


Come è capace di fare sempre con tutto.


Killian vuole chiederle se sta bene. Se alla fine lo ha perdonato per aver causato la sua rovina. Se vede suo figlio o se si occupa dei ragazzini che hanno bisogno di aiuto per attraversare la strada come tentativo di espiazione.

Vuole dirle che gli dispiace.

Invece abbassa gli occhi verso l’asfalto e cammina a passi misurati mentre copre l’ultimo pezzo di strada che gli resta per raggiungere la drogheria. È rimasto a corto di patate e quando la pioggia lo coglie,  bagnandolo fin nelle ossa, gli viene solo voglia di zuppa.

Si assicura di prenderne due dozzine. Non ha alcuna intenzione di uscire di nuovo presto di casa.

(Non vuole vedere il dolore nei suoi occhi).
 

-/-
 

Il punto di vivere fuori città in un negozio che nessuno frequenta, ripudiato dalla propria famiglia e dalla propria ex amante, è che spesso è l’ultimo a ricevere le notizie.

È cosi che non viene a sapere del piccolo gruppo di nuovi arrivati finché loro praticamente non finiscono con il venire da lui.

A guidarli è una donna. Sembra quasi brillare di luce propria con i suoi capelli dorati, la giacca rossa e le guance arrossate, specialmente sotto il diluvio
torrenziale che continua ora ad abbattersi notte e giorno. La porta al suo magro negozio viene aperta con tanta forza al loro arrivo, da sbattere contro la parete e spostare una mappa incorniciata delle rotte di navigazione tra i continenti.

Quando i loro sguardi si incontrano, la ragazza si immobilizza, gli occhi verdi che si spalancano mentre a fatica lascia andare il respiro che ha trattenuto fino a quel momento. Sembra a pezzi: ha le spalle curve e una mano premuta sul petto, e d’un tratto Killian si domanda cosa le abbia fatto in quei pochi secondi per rendere il suo sguardo così dannatamente affranto.

“Posso aiutarla?” Riesce a dire alla fine, la voce roca. Tossisce per schiarirsi la gola e lascia che il suo sguardo passi in rassegna le persone alle spalle della donna dai capelli d’oro. Tutti lo stanno guardando con un velo di stupore appena celato e lui di riflesso si porta una mano dietro l’orecchio, combattendo l’impulso di scomparire su per le scale del suo alloggio. “Mi dispiace ma – beh, temo che non siano rimaste molte esche se è quello che cercate,” riesce a tirar fuori un sorriso, anche se tremulo. “Questo tempo è pessimo per pescare.”

La donna sbatte le ciglia, mentre una lacrima scivola via dai suoi occhi e rotola giù lungo la guancia. La sconosciuta la scaccia via con il dorso della mano e gli rivolge un sorriso così luminoso, che Killian non può fare a meno di restituirglielo.

(Il suo ha i contorni vacillanti, le guance sono così tirate da fargli male. È passato così tanto tempo dall’ultima volta che ha sorriso).

“Non c’è problema,” ribatte lei con calma e Killian si ritrova a sporgersi sul bancone per ascoltarla meglio. “Abbiamo trovato quello per cui siamo venuti.”
 

-/-
 

Comprano una mappa – una carta vecchia e sbiadita che è sempre stata nel suo negozio da che abbia memoria.

Ma è solo dopo che se ne sono andati, che Killian se ne accorge.

La pioggia ha smesso di cadere.
 

-/-
 

Quella notte sogna di tenere in punta di dita la luce del sole, sogna di cannella nel caffè, e di una pianta di fagioli così alta da toccare le nuvole. Si sveglia con un gemito ansante e un terribile mal di testa e inciampa per raggiungere il bagno dove sono gli antidolorifici che tiene sotto il lavandino per le emergenze.

Killian fissa il suo riflesso mentre manda giù le pillole e si chiede perché mai stia pensando alla donna vestita di pelle rosso ciliegia con due labbra dello stesso colore.

“Dannazione,” mormora poi, premendo le dita alla radice del naso.

Forse, se preme abbastanza forte, il mal di testa se ne andrà via.

Forse, se preme abbastanza forte, sarà lui a scomparire.
 

-/-

 
La donna torna anche il giorno successivo e acquista un rotolo di corda, gli occhi che si fanno timidi quando la punta delle sue dita le sfiora le nocche mentre le porge i soldi.

Si chiama Emma, e resterà in città per qualche giorno. Sta cercando qualcuno, dice, anche se lui si è sforzato deliberatamente per tutto il tempo di non chiederglielo.

“Come ti chiami?” Gli domanda quando l’unico commento che ottiene è un vago verso d’assenso.

“Killian,” mormora lui in risposta, senza essere in grado di staccare lo sguardo da quegli occhi che d’un tratto mutano espressione e sembrano essere capaci di leggergli fin nell’anima.

Anche oggi è radiosa: ha i capelli raccolti  in una coda disordinata e la giacca di pelle rossa che porta sembra risplendere per via dei piccoli fasci di sole che provengono dal soffitto.
Emma porta la luce con sé, a partire dal tempo fuori fino ad arrivare agli angoli più grigi del suo negozio.

“Mi chiamo Killian.”

Lei sorride, sfiorando distrattamente il ciondolo che porta al collo mentre afferra il rotolo di corda dalla sua mano tesa.

“É un piacere conoscerti, Killian.”
 

-/-
 

Il giorno dopo compra una boa.

Nei giorni successivi prende un giubbotto di salvataggio, poi un libro di navigazione e un compasso.

Ogni giorno Emma entra e si trattiene nel suo negozio mentre Killian pretende di far finta che non ci sia. Mentre cerca di convincersi che non passa veramente il suo tempo a starsene lì, a fissarla da dietro il bancone.

È questo quello che sta facendo quando Liam decide che ha bisogno di altre esche e scivola noncurante dentro il negozio, salvo poi fermarsi bruscamente quando si rende conto che stavolta Killian non è nel retrobottega. Purtroppo non c’è nessun modo di prendere l’attrezzatura di cui ha bisogno senza venir notato.

Per un momento Killian pensa di girarsi e dargli le spalle, ma Liam serra la mascella – un gesto familiare che riconosce come tipico di suo fratello.

I Jones sono sempre stati tipi ostinati.

“Rilassati, fratello,” Sospira Killian, chinandosi per tirar fuori la scatola di esche da sotto il bancone. “Non c’è alcun bisogno che tu-“  

“Ti ho detto di non chiamarmi così!” Liam scatta, sbattendo i soldi sul piano da lavoro e afferrando la scatola delle esche, gli occhi azzurri furiosi. In quel momento assomiglia così tanto a suo padre, da spingere Killian a fare un passo indietro. “Non provare mai più a rivolgerti a me in quel modo.”

“Si,” annuisce, deglutendo rumorosamente e abbassando lo sguardo verso i piedi. Rimane così, a fissarli, finché la campanella appesa alla porta non suona. È allora che un paio di mani pallide si piazzano di fronte al registratore di cassa e un colpo di tosse esitante spezza il silenzio.
Killian alza lo sguardo e incontra quello della donna, sorpreso di scorgere ancora una volta lacrime nei suoi occhi.

“Stai bene?” Gli chiede e lui annuisce nonostante non si senta affatto apposto. Il suo malessere non è dovuto solo all’essersi tirato indietro di fronte a Liam, ma anche al mal di testa e ai sogni strani che continuano a tormentarlo. Al momento non si sente affatto bene.

Dubita fortemente che Liam tornerà troppo presto per prendere nuove esche.

 La donna esita sulle parole da scegliere per un momento, mordicchiandosi il labbro inferiore in un modo che lo lascia con la gola a secco. Killian distoglie lo sguardo da lei, imbarazzato dal fatto di ritrovarsi a desiderarla proprio quando è appena riuscito a rovinare ulteriormente il rapporto già fragile con suo fratello.

“Le cose non sono sempre così come sembrano, lo sai vero?” Lei inclina la testa, le punte dei capelli che piovono giù a solleticargli l’avambraccio. Killian si tira indietro e sorride tristemente. “Io penso – Credo che se sei disposto a provarci, potresti riuscire ad esser parte di qualcosa.”

Stavolta ride. Non riesce a farne a meno. Ride così tanto da farsi lacrimare gli occhi e da dover far leva sulla mano e sulla protesi del braccio offeso contro il bancone per rimanere in piedi.

“Non ho mai fatto parte di un dannato bel niente in tutta la mia vita.”

Lei sorride, le dita che corrono a stringere ancora una volta l’anello che porta al collo.

“Pensaci.”
 

-/-
 

Quella notte sogna di capelli biondi contro la lana nera, di un braccio teso e di un fagiolo appoggiato nel palmo della sua mano.

“Puoi unirti a noi e diventare parte di qualcosa, oppure puoi fare ciò che sai fare meglio e rimanere solo.”

Si sveglia. Fissa il soffitto. Conta ogni respiro che prende e lascia andare.

È stanco di essere solo.
 

-/-

 
Giorno dopo giorno Emma continua a venire al suo negozio, comprando cianfrusaglie e cose sparse qua e là.  Killian non è sicuro dell’uso che faccia di tutti i suoi acquisti, ma non gli interessa molto se ciò significa che può continuare a vederla.

È così che impara a conoscere il suono della sua risata quando fa una battuta particolarmente stupida. È così che scopre qual è il suo gusto di gelato preferito e che preferisce la cioccolata calda al caffè. È così che si accorge che stringe l’anello intorno al collo ogni volta che dice qualcosa che le rende gli occhi tristi.

“Dove lo hai preso?” Le chiede un giorno quando si sente abbastanza coraggioso da domandarglielo, le dita che scivolano sull’amo mentre aggancia l’esca. Liam è passato di lì il giorno prima e ha acquistato come al solito tutte le sue riserve. Solo che stavolta ha aspettato anche che lui riuscisse a raggiungerlo fino alla cassa, rivolgendogli persino uno sguardo e un cenno del capo prima di andar via. È stato più di quanto Killian abbia mai osato sperare.

Più di quanto meritasse.

Le cose hanno iniziato a cambiare da quando Emma Swan e la sua famiglia sono arrivate in città.

Lei lascia cadere la corda che sta annodando con  nodi tutti diversi, la mano che corre immediatamente ad afferrare l’anello dai complicati intarsi che porta al collo.

“Me lo ha dato l’uomo che amo,” afferma calma, lo sguardo intenso fisso nel suo.  Killian sente la sconfitta gravargli dura sullo stomaco mentre si domanda
quando mai abbia iniziato a nutrire speranze per questa Swan.

Probabilmente dal momento in cui lei è entrata nel suo negozio e lo ha fissato con quello sguardo come se volesse dirgli qualcosa.

Ma è stato sciocco sperare.

“É un uomo fortunato,” è tutto ciò che riesce a dire. Poi si punge il pollice con la punta del gancio e comincia a maledire a mezza voce il sangue che ha iniziato a colare sulla piuma arancione che sta provando a legare da sette minuti.

Lei ridacchia, un suono roco e oscuro come un piccolo segreto. Una melodia che scivola giù, lungo la sua spina dorsale,  lasciandolo lì in piedi, pietrificato.

“Lo è di certo.”
 

-/-

 
È rimasto di nuovo a corto di patate e per questo se ne sta a fissare per un po’ l’interno vuoto della  dispensa prima di sospirare  pesantemente e decidersi a prendere il cappotto. Non ha alcuna voglia di percorrere la strada che costeggia le rovine della torre dell’orologio, rimasto fermo ad un’ora ormai lontana, ma può già sentire le prime avvisaglie della fame.

Tuttavia almeno stavolta è felice di sapere che Milah lo eviterà, è troppo stanco per essere costretto a confrontarsi con i suoi errori, se non fosse che quando la incontra sembra  che il suo umore sia cambiato. È così che la vede indugiare per qualche istante ad un incrocio che non è il solito,  ma uno più vicino alla libreria abbandonata.

Questa volta è lei a sorridergli quando si avvicina.

Il suo cuore quasi si ferma nel petto.

“Killian,”prorompe tutto d’un fiato quando le passa accanto. È a quel punto che i suoi piedi inciampano contro il cordolo del marciapiede. Le mani di Milah si protendono a sostenerlo, e una risata felice lascia le sue labbra. Gli occhi di Killian si riempiono di lacrime e il pollice di lei corre a sfiorargli gentilmente la piega del gomito.

“Milah? È tutto a posto?”

Il suo sorriso si fa più ampio, i riccioli che scendono ad incorniciarle le guance. “Sto bene, brutto scemo,” scuote le spalle e lui corruga le sopracciglia, confuso, mentre lei lo strattona quasi: “Sto benissimo. Anzi, ultimamente anche di più.”

“Beh, questa è-“ scuote la testa. “una notizia fantastica.”

“Non è stata colpa tua, sai,” Milah inclina la testa da un lato. “Nulla di tutto ciò che è successo è colpa tua. Ero felice con te e adesso ho appena-“ esita, il suo respiro una nuvoletta di condensa bianca fra di loro. “Hai portato così tanta luce nella mia vita. Grazie, Killian.”

Si sente come se gli stesse sfuggendo qualcosa. Forse è caduto mentre andava alla drogheria e ha battuto la testa. Forse sta sanguinando da qualche parte in mezzo alla strada e questa è solo un’allucinazione.

“Adesso,” stavolta lo spintona con forza, le sopracciglia alzate in un cipiglio autoritario che lo convince a smuoversi. “Smetti di fare il cretino e cerca di ricordare, ok? Ci sono alcune persone qui che vorrebbero riportarti a casa.”

E con questo lo spinge in direzione della torre dell’orologio.

Killian segue la sua indicazione senza protestare.
 

-/-

 
Liam lo trova mentre sta riempiendo il solito sacco di patate, gli occhi azzurri spalancati e cerchiati di rosso mentre continua a guardarlo e aspetta in silenzio che si risollevi.

Quando lo fa, Killian afferra il sacco e lo stringe con così tanta forza che le nocche iniziano a fargli male. Sta solo aspettando il suo commento sprezzante, quando la bocca di suo fratello prende ad aprirsi e chiudersi senza lasciar uscire un suono.

“Fratellino,” sospira Liam alla fine, un sorriso a incurvargli le labbra che mette in luce un paio di fossette e le guance arrossate.


È decisamente vittima di un’allucinazione.
 

-/-
 

Emma. È lei che trova in piedi di fronte alla torre dell’orologio quando arriva.

I suoi occhi risplendono: ha una spada in mano e non è mai stata così bella e radiosa.  All’improvviso il flash di una rigogliosa foresta verde gli attraversa la mente. Killian può sentire il sapore di rum sulla lingua, e una ciocca di capelli di seta stretta tra le dita. Perle di sudore iniziano a scivolargli lungo l’incavo del collo e d’un tratto si ritrova oppresso da un caldo soffocante, mentre un sorriso sghembo solca le labbra di Emma andando e venendo così in fretta da non permettergli di afferrarlo.

Sta perdendo la testa.


(Non gliene frega niente quando lei lo guarda così).


Lei esita, ondeggiando sulle punte mentre si avvicina, le dita strette a giocherellare (di nuovo) con quel ciondolo.

“Credo proprio di dover ringraziare te di questa cosa, tesoro.”

Lei si morde il labbro inferiore, un’altra lacrima che scivola via. Questa volta è lui a permettersi di asciugarla.

“Sono abbastanza certa di essere io la persona che devi ringraziare, sì,” Emma sorride, abbandonandosi al suo tocco. “Ma possiamo parlarne più tardi.”

La voglia di baciarla ha continuato ad agitarsi in lui sin dal primo momento in cui l’ha vista entrare nel suo negozio, ma ora si è fatta praticamente incontrollabile: il modo in cui lei lo sta guardando da sotto le ciglia umide... Killian fa un passo avanti e i suoi occhi si chiudono. Emma ha il mento inclinato verso l’alto, il suo respiro caldo gli solletica la pelle.

Quando la bacia, sa di cannella e caffè . É allora che succede: in un lampo Killian vede una pianta di fagioli così alta da riuscire a toccare le nuvole. Vede un abito rosa pallido che le sfiora le ginocchia e una giacca di pelle nera che le copre le spalle. Poi sente un pugnale premuto contro la gola e il palmo di lei stretto al suo. La vede gridare in una strada, le dita serrate attorno alla sua giacca, le labbra che si muovono sulle sue. Vede i suoi capelli biondi sul ponte di una nave, accarezzati dallo stesso vento che gonfia le vele mentre lei si volta e gli sorride da sopra la spalla.

Vede – vede Emma.

Killian si stacca da lei con un sorriso affannato mentre tutto torna a posto e allora abbassa la testa di nuovo fino ad appoggiarla contro la sua fronte, una mano che affonda tra i suoi capelli mentre sospira quando i suoi denti gli afferrano il labbro inferiore. Emma ride nella sua bocca quando le sue dita premono alla base del cranio, spingendola a reclinare di più la testa, mentre lui insegue le sue labbra con le proprie, impedendole di tirarsi indietro.

Rimangono lì così, i loro nasi che si sfiorano, i loro respiri che si mescolano mentre ondeggiano abbracciati.
Hanno così tanto da dirsi – ci sono così tante cose dette e non dette da chiarire e scelte fatte e promesse tradite e ferite nate da parole dure e da scelte impulsive. Ma c’è una sola domanda che in quel momento preme sulla punta della lingua di Killian. Un’ultima cosa che ha bisogno di sapere prima di lasciar spazio a tutto il resto.

“Possiamo tornare a casa?”

 Emma si sporge in punta di piedi verso lui. Lo bacia di nuovo, altre lacrime che prendono a scivolare tra la punta delle dita. L’ultima volta che ha pianto, Killian ha provato a catturarle con il pollice mentre il dolore sbocciava nel suo petto e lui le crollava addosso. Questa volta si ritrova invece a baciarle via, chinandosi su di lei dall’alto e tenendo la sua schiena premuta contro di lui con il braccio offeso.

“Diamine, sì,” sospira.  
 







Note della traduttrice:

Allora: inizio con il ringraziare tutte le anime pie che si prendono l'impegno di recensire le mie traduzioni e mi fanno piangere con i loro commenti! Un grazie veramente speciale a Halosydne, Lady Lara, Hoi e Itsyouemma perchè se non ci foste voi, probabilmente non tradurrei/scriverei più una ceppa e allora sì che sarei una persona triste. Detto questo, stavo ricercando in giro questa storia perchè quando l'avevo letta, all'epoca, mi aveva fatto piangere e mi era piaciuta troppo ( A questo proposito il titolo è tratto da Hello di Adele e significa 'non sono poi guarita così tanto). So di dover aggiornare già 'Conversations with dead people' (ecco il link per chi fosse rimasto indietro cone le pubblicazioni o avesse voglia di farsi un giro http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3377982&i=1) ma vi giuro che ho già tradotto il secondo capitolo e che, appena finita la revisione, lo pubblicherò. Previsto prossimamente anche l'aggiornamento di 'So cold' (che trovate qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3317000&i=1) e la miriade di risposte alle varie recensioni che ho lasciato disattese. Alle solite chiunque recensirà avrà la gratitudine mia e dell'autrice. Accetto proposte di traduzione e vi comunico che finito di gestire il terzo capitolo di Conversations dovrei tirar fuori anche qualcosa su Neal, anche se per ora il progetto è ancora top secret!!! Vi lascio quindi il link dell'originale: https://archiveofourown.org/works/5378861
Alla prossima!

Whiteangeljack



 
  
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