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Autore: Pareidolia    21/02/2016    0 recensioni
-SPOILER ALERT-
Questo breve racconto narrerà le vicende del capitolo mancante di Metal Gear Solid V The phantom pain, seguendo le informazioni relative alla missione 51 e a ciò che sarebbe dovuto accadere durante quel capitolo.
Lo dedico a tutti i fan che vorrebbero tanto avere una conclusione del gioco tanto quanto lo desidererei io, nella speranza che possa piacere.
-La squadra di spionaggio della Mother Base trova dei rapporti relativi a un gigante nel cielo, sopra l'Angola e notizie relative alla ricomparsa di alcuni bambini soldato nella regione. Intuendo che si tratta di Eli e dei bimbi fuggiti con lui, Snake inizia a seguire le tracce di una pista che porterà lui e tutti i Diamond Dogs verso un baratro profondo dal quale non potranno mai più uscire.-
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kazuhira Miller/Master Miller, Naked Snake/Big Boss
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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-Ocelot, sono arrivato sul posto, sembra che non ci sia nessuno..-

-Soltanto per adesso, stai in guardia. Anche se la zone sembra deserta ciò non significa che lo sia per davvero. I prigionieri sono almeno cinque, fra loro c'è senza dubbio il pilota.-

-Proprio qui? Ne sei sicuro?-

-Assolutamente, Snake. La trasmissione che abbiamo ricevuto proveniva proprio da lì, ne sono assolutamente certo ma effettivamente sembra strano che quel posto sia così vuoto...-

Il soldato si guardò attorno nuovamente e si accorse che, nascosti dalla luce del giorno, numerosi laser dei mirini di almeno una decina di fucili si agitavano qua e là, seguendo precise traiettorie e fu lì che Snake si accorse degli uomini nascosti fra gli alberi, che in silenzio attendevano probabilmente il suo arrivo.

Snake comprese subito che avevano intercettato il messaggio del pilota e, probabilmente, lo avevano già portato lontano da lì.

Il villaggio abbandonato di Ditadi, il luogo in cui si trovava in quel momento, era un luogo desolato, sperduto nel mezzo della parte più a sud dell'Angola.

Costituito principalmente da edifici crollati dei quali erano rimasti solo alcuni muri di pietra o lamiere ormai arrugginite, offriva in realtà un buon posto in cui nascondersi per dei soldati poiché lì tutto fungeva da copertura e ben pochi si sarebbero mai aspettati di trovare qualcuno, in quel piatto e impenetrabile silenzio rotto solo di tanto in tanto dal fruscio delle foglie e dal canto degli uccelli tropicali della zona.

Finì di contare i laser che riusciva a scorgere contro il terreno e le rocce e proseguì, con cautela, aggirando le macerie spare ovunque.

Ora riusciva a vederli, i soldati, e sapeva che al minimo errore un proiettile gli avrebbe bucato il cranio senza alcuna pietà.

Per l'ansia continuava a guardarsi attorno e ad asciugarsi il sudore dalla fronte continuamente mentre strisciava a terra cercando di non fare rumore ma con la costante paura di attirare l'attenzione di uno dei soldati, poco distanti da dove stava lui.

Ansimando leggermente per la fatica avanzava nella terra umida e fredda, lanciando rapide occhiate dal lato opposto rispetto a dove si trovava lui fin quando non raggiunse una postazione da cui nessuno l'avrebbe potuto vedere.

Imbracciò il fucile e uno ad uno eliminò i soldati, i quali si allarmarono solo quando il terzo di loro cadde a terra.

Uno degli uomini attivò la radio ma un proiettile gliela mandò in frantumi e un secondo lo colpì al collo, facendolo crollare addosso a un suo compagno che, sorpreso, premette d’istinto il grilletto, sparando una raffica che si schiantò contro alcuni degli altri lì vicino e gli alberi tutt’attorno.

Il panico esplose all’interno del gruppo di soldati e Snake potè approfittarne per poterli eliminare in fretta e facilmente, dato che questi non facevano altro che guadarsi attorno disperatamente alla ricerca dell’intruso che stava proprio lì, a pochi metri da loro.

Ne lasciò in vita solo uno, dopo avergli sparato alle mani per impedirgli di accendere la radio e lanciare l’allarme.

Gli si avvicinò piano, consapevole di incutergli maggior terrore in quella maniera e, quando gli fu davanti, lo fissò negli occhi con estrema serietà prima di abbassarsi per potergli parlare, tenendo il fucile puntato contro il suo petto.

-Sto cercando i prigionieri, dove sono?-

-Uh...loro sono..in cima..! Sì, sono in cima a quella salita, dove si trovano le tende, le vedi?- Rispose il soldato, tanto impaurito da bagnarsi i pantaloni.

Snake se ne andò, lasciandolo lì a terra in un lago di sangue, senza interessarsi molto alla sua condizione.

Ormai era vicino al pilota e, di conseguenza, anche al trovare i bambini e non gli importava di nient’altro, che si trattasse di un moribondo o di nemici armati e pronti ad ucciderlo.

Quando pensava a cosa avrebbe fatto quando tutta quella faccenda fosse finita non sapeva che risposta darsi ma in quel momento, mentre si avviava quasi correndo per l’impazienza di trovare quell’uomo, il pensiero del dopo era lontano chilometri, solo una leggera sfumatura in un dipinto per lui enorme e al cui centro si trovavano Eli, il Sahelanthropus e il virus.

Finalmente giunse sulla cima dell’altura, dove un piccolo gruppo composto da quattro uomini in tutto, sorvegliava alcuni prigionieri e gli ordinava di alzarsi.

Stavano per andarsene, il rumore degli spari che avevano sentito e le grida dei loro compagni li avevano allarmati fino a quel punto e, sicuramente, avevano già chiamato i rinforzi e con altrettanta sicurezza mancava poco tempo al loro arrivo.

Doveva agire in fretta e seguendo il suo istinto di soldato alzò il fucile e sparò singoli colpi alle teste dei soldati, i quali caddero a terra seminando il panico fra i prigionieri, i quali erano almeno una decina.

Improvvisamente, come dal nulla, un pianto si levò verso il cielo, interrompendo tutto quanto.

Il tempo rallentò, o almeno così parve a Snake che lentamente abbassò l’arma alle prime note di quel pianto così indifeso, immaturo e disperato.

Un neonato, stretto fra le braccia della madre inginocchiata al suolo in lacrime, lanciava il suo grido verso quella vicenda così spietata e macabra.

Un solo pianto interruppe tutto, lasciando attorno a sé lo sgomento di quelle azioni, di quella situazione e di tutta quella storia, aprendo gli occhi a Snake riguardo a cosa stesse succedendo, a cosa avesse appena fatto e per quanto fosse consapevole di non aver potuto fare nulla se non quello, di non aver potuto evitare in quel modo il conflitto in quella e mille altre situazioni, provava un leggero pentimento, nascosto in un mare di burrascosi e orridi sentimenti.

Non ricordava da quanto non sentisse il pianto di un neonato e nemmeno da quanto non vedesse un bambino senza un’arma fra le mani.

In quell’attimo, pensò a quanto fosse terribile la gerra ma non si rese conto che lo era a tal punto da fargli gettare via quei pensieri all’istante, lasciandogli solamente un secondo per formarsi prima di sparire, facendolo tornare quello che per gli altri era sì un salvatore ma sanguinario e portatore di distruzione, proprio come i loro aguzzini.

I prigionieri si tennero distanti da lui, impauriti ed ammaliati dalla sua presenza allo stesso temo e silenziosi.

La loro pelle era scura, il che indicava che non erano prigionieri nemici ma dei villaggi vicini, gente comune che si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato e che avrebbe potuto fare una fine terribile, se lui non fosse intervenuto ma se ciò era davvero un bene nessuno poteva certo saperlo, almeno non in quel momento.

Il pilota si fece largo fra di loro, euforico per l’emozione e con un denso barlume di speranza negli occhi.

-Boss...Boss! Boss sono qui!- Gridò verso Snake, cercando in tutti i modi di farsi notare nonostante gli appena due metri di distanza che li dividevano ma ciò era comprensibile poiché, dopo tutto, quell’uomo ne aveva passate davvero parecchie fino a quel momento e anche se erano vicini, quella poca distanza sembrava essere di decine di chilometri, un mare che li separava e univa allo stesso tempo.

Si avvicinò al soldato, incredulo davanti alla sua presenza e attese delle sue parole ma queste non arrivarono poiché quel flash di un secondo aveva lasciato Snake perplesso fin quando non si accorse, finalmente, della presenza del pilota.

-Ti ho fatto aspettare?- Gli domandò, a metà fra il serio e l’ironico, accennando un sorriso che però gli riuscì male ma che per l’uomo fu come una benedizione.

-Sì, era ora...non ce la facevo più! E anche loro, Boss, anche loro hanno dovuto subire parecchio, spesso anche più di me.-

-Bene, li porteremo con noi alla Mother Base, saranno al sicuro là.-

-Boss...lo senti anche tu questo suono?- Domandò il pilota, alzando perplesso la testa verso il cielo.

Elicotteri.

Si avvicinavano a gran velocità, due, uno accanto all’altro e pronti a far fuoco a vista su chiunque gli fosse estraneo.

Snake afferrò rapidamente l’I-Droid e con la stessa velocità digitò delle coordinate sulla mappa elettronica che gli illuminò il volto di una debole luce bluastra.

-Muovetevi, là in fondo vi aspetterà l’elicottero di recupero. Falli muovere in fretta, io vi coprirò le spalle.- Urlò, facendo segno a tutti i prigionieri, ancora piangenti e impauriti, di correre.

Né le sue grida né quelle del pilota servirono a convincerli e fu così costretto a prendere ancora una volta il fucile e a sparare a poca distanza da loro per spaventarli e farli correre in quella direzione il più in fretta possibile.

Tutti finalmente se ne andarono e il soldato rimase da solo, in attesa dell'arrivo dei velivoli, i quali non tardarono affatto.

I due elicotteri raggiunsero il villaggio disabitato e sorvolarono le macerie degli edifici crollati da tempo, lentamente e tenendo gli occhi aperti su tutta l'area e, immaginando che ormai se ne fosse andato, esploravano anche alcune zone più lontane da lì, alternandosi per non perdere comunque di vista il villaggio.

Snake se ne stava nascosto in una delle tende dei soldati, osservando la situazione e decidendo cosa fare.

Con sé aveva soltanto un fucile e una pistola, niente che potesse essere molto utile contro dei simili velivoli, corazzati e armati sia di missili che di mitragliatori.

Cercò un elemento dell'ambiente che potesse aiutarlo, qualsiasi cosa che gli offrisse la possibilità di eliminare almeno uno di quegli elicotteri, poiché non poteva fuggire dalla zona senza farsi notare.

Tutt'attorno a Ditadi non vi erano molti alberi e la strada che lo circondava quasi interamente rendeva impossibile fuggire senza che nessuno lo notasse.

D'un tratto lo vide.

Abbandonato in mezzo a uno spiazzo di terra, poco lontano dalla strada, stava un furgoncino dal telaio leggermente arrugginito e incrostato di polvere, con la vernice slavata dal tempo e dalla pioggia.

Snake non ci mise nemmeno un secondo per farsi venire in mente un'idea su come utilizzarlo e, strisciando in mezzo all'erba, provo ad avvicinarglisi senza farsi vedere dagli elicotteri.

Non appena lo raggiunse si appoggiò su un lato e attese che uno dei velivoli passasse di lì e, quando finalmente uno dei due sorvolò quel punto, il soldato aziono il sistema Fulton che aveva posizionato sul furgoncino il quale, trasportato da un largo pallone, si alzò da terra fino a raggiungere le pale dell'elicottero, rompendole e facendolo crollare a terra con una fragorosa esplosione che lo mandò in frantumi in mezzo alle grida del pilota e dei due soldati a bordo.

L'altro, allarmato dal rumore, virò sulla zona dello schianto e cominciò a sparare in alcuni punti cercando di stanare l'intruso che, però, ormai si era già spostato e col fucile ben stretto tra le mani attendeva il momento giusto per premere il grilletto, steso a pancia in giù sulla roccia.

Finalmente riuscì ad avere una buona visuale del pilota ma dovette sparare almeno tre colpi prima di prenderlo, dato che le sue mani tremavano, ma quando finalmente il proiettile si conficcò nel cranio dell'uomo, si sentì libero.

L'elicottero volteggiò un paio di volte su se stesso per poi crollare vicino a Snake, il quale si lanciò il più lontano possibile per evitare di essere colpito.

-Boss! Tutto bene? Il pilota e i prigionieri sono appena arrivati alla base e hanno raccontato ciò che è successo.- Domandò allarmata la voce di Ocelot, gracchiante a causa di un'interferenza della radio.

-Sì, sono riuscito ad eliminare entrambi gli elicotteri senza problemi, ora torno alla base. Abbiamo molto di cui parlare io e quel pilota.-

 

L'interno della sala degli interrogatori era stranamente freddo quella sera.

Vi si trovavano Snake, Miller e Ocelot insieme al pilota dell'elicottero, in un angolo Code Talker ascoltava in silenzio, con uno strano sguardo sospettoso nei confronti di quell'uomo.

-Allora, raccontaci cosa è successo dall'inizio alla fine.- Disse prontamente Ocelot, senza attendere le parole degli altri presenti.

-Dopo avermi costretto a portarli in volo verso l'Africa si sono divisi in due gruppi. Una parte è andata con Eli ma non saprei dirvi dove mentre l'altra mi ha fatto atterrare dove avete trovato l'elicottero. Mi hanno legato al sedile e sono fuggiti verso ovest, dove si trova il fiume. Non so esattamente dove siano ora ma ho sentito parlare i soldati di un villaggio sulla riva del fiume Munene. Questo villaggio sarebbe gestito solo da bambini ma è più che altro una leggenda.-

-Dice la verità.- Confermò gravemente Ocelot, abbassando per un secondo la testa e stringendo i già sottili occhi, come a voler fissare la sua mente su un pensiero.

-Dovremmo controllare quella zona e interrogare anche gli alti prigionieri, magari ne sanno qualcosa anche loro, potrebbero esserci utili.- Affermò con decisione Miller, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l'uscita e poco a poco lo seguirono anche gli altri.

 

Snake lasciò fare agli altri l'interrogatorio a tutti i prigionieri, preferendo distrarsi per un attimo da tutta quella faccenda.

Camminando per la Mother Base raggiunse il punto più alto, la cima della piattaforma di comando.

Da lì poteva vedere tutte le altre piattaforme illuminate, tanti piccoli fari lontani, immersi in una soffusa nebbia grigiastra e fredda ma allo stesso tempo rilassante.

Osservando il mondo attorno a sé si accese un sigaro e piano, fra una boccata di fumo e l'altra, chiuse gli occhi rendendosi terribilmente conto che anche in quei momenti, anche quando si sentiva in pace con l'universo, gli incubi lo seguivano.

Si sentiva il sangue colargli addosso su tutto il corpo, impiastricciargli i capelli, entrargli nell'unico occhio da cui ci vedeva per poi raggiungere la bocca e da lì giù fino in gola mentre all'esterno tutti i suoi vestiti erano densi di un rosso scuro, terrificante, che gli dava l'aspetto di un mostro.

Quello era il sangue delle sue vittime, dei compagni morti, degli amici scomparsi e di quella vita rovinata e caduta in pezzi poco a poco, sfociando in una feroce vendetta che, probabilmente, non avrebbe mai avuto fine.

La guerra lo feriva spiritualmente ma allo stesso tempo lo faceva sentire vivo, potente; sensazioni queste che mai avrebbe potuto ignorare e abbandonare per quanto il dolore fosse forte e spesso accecante.

In tutto questo, spesso non riusciva come mai non volesse perdere quei bambini.

Spesso pensava che fosse per recuperare il Sahelanthropus ma, delle volte, lo sfiorava l'idea che in realtà fosse proprio per loro, per recuperare i compagni che aveva perso o per espiare i propri peccati in una disperata e forse anche sciocca maniera.

In questi pensieri Snake si perdeva, senza poter più comprendere chi fosse, conscio di agire in maniera totalmente diversa e sbagliata a quella in cui avrebbe svolto solitamente il proprio compito.

Stette lì a lungo, fumando e pensando a tutto questo ma quando l'alba iniziò a gettare le proprie luci sulla base e sull'Africa intera, illuminando le verdi fronde degli alberi e la gialla erba della savana, lui era già altrove.

   
 
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