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Autore: CrisNialler    21/02/2016    0 recensioni
Sentii dei rumori di passi dietro di me. Erano degli zombie? Speravo solo non fossero i miei amici, non potevano vedermi così, ero scappata proprio per questo: morire da sola. Ma no, dietro di me non c'erano i miei amici: c'era l'uomo spietato che aspettavo con ansia, solo che non mi uccise come desideravo.
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Nuovo personaggio, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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In this world you have to die to find peace.
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"È bello stare qui."
"Vero Cleo, le stelle si vedono troppo bene e non ci sono più le luci delle città ad offuscarle."
"Sì, ma non si vede nient'altro, Crys."
"Jason, non rovinare questo momento di pace." Ridemmo.
"Pace? Non per te."
"Come scu-"
"Devi svegliarti, è qui, è tornato." Disse Eliza.
"Eliza, che cos-"
"Principessa svegliati." Era Lowell, e nel dirlo mi toccò leggermente la spalla.
"È qui, lo so, ma non voglio svegliarmi. Ragazzi mi farà del male. Non vogl-"
"Devi Crys, lui vuole aiutarti." Era Eliza a parlare, si era alzata e mi aveva circondato le spalle sedendosi questa volta accanto a me.
"Mi sta dissezionando, mi ha preso un pezzo di pelle, saliva, sangue, tutto! Cosa vuole ancora da me?" Chiesi tra le lacrime.
"Lui vuole aiutarti."
"No non vuole, io sto benissimo. Non sono la risposta e non vuole accettarlo. Smettete di difenderlo." urlai alzandomi e allontanandomi dai miei amici.
"Svegliati è qui." Dissero in coro.
"Come scappo? Come vado via?" dissi inginocchiandomi prendendo le mani di Lowell tra le mie. "Tu sai sempre cosa fare, aiutami."
"Crys devi svegliarti." Mi rispose con sguardo vuoto.
"No, no, ti prego."
"PRINCIPESSA SVEGLIA." urlò il ragazzo con un urlo che gli deformò la bocca.

 

Aprii di scatto gli occhi mettendo faticosamente a fuoco l'uomo che mi urlava contro.
Un altro sogno. Non ce la facevo più.

Clide continuava con ricerche ed esperimenti sul mio corpo. Nulla sembrava migliorare: il mio sangue era come quello di tutti gli altri, il cervello anche.
Il morso era quasi completamente guarito nella settimana che mi trovavo lì, e non faceva più male.
I contatti umani si erano limitati ad urla verso il falso medico, a battibecchi assurdi dettati dalla morfina con i miei fantasmi che mi torturavano, dalla mezz'ora di cibo durante la quale Clide mi nutriva e da qualche toccatina di troppo che l'uomo non riusciva a controllare quando mi aiutava per andare in bagno. Le notti erano insonni, in quanto non riuscivo realmente a capire quando fosse buio fuori: mi aveva analizzata ininterrottamente, e a giudicare dalla sua cera, anche il dottore non dormiva molto più di me. La sua debolezza era la mia unica fonte di salvezza, mi ci sarei aggrappata fino a strapparla con i denti se necessario.

 

Nella stanza c'era un perenne gemito in quanto il corpo dell'assistente, oramai trasformato in zombie si trovava nella gabbia difronte a me che sentiva il nostro sangue pulsare e gemeva, ringhiava per averlo.
Avevo paura di scoprire lo scopo di quel mangia cervelli; includeva me, e non riponevo in Clide le speranze di una vita migliore.

 

"Ma siamo solo noi qui?" chiesi in cerca di conversazione, in quanto se era così che dovevo  vivere volevo farlo in modo dignitoso almeno. "Mi risponda la prego."
"Siamo una piccola comunità." rispose secco, continuando ad armeggiare con attrezzi che non riuscivo ad indentificare in quanto avevo le lacrime agli occhi che mi appannavano a vista.
Una piccola comunità.
Chissà se sanno della mia esistenza, di ciò che mi sta succedendo, se sono d'accordo. Certo che sono d'accordo! Potresti trovare loro una cura, venderebbero un dito pur di assistere allo scuoiamento del mostro immune, della privilegiata! Le persone sono cattive, Crystal, farebbero di tutto per sopravvivere.

 

                                                              __________________________________

 

"Alzati, sbrighiamoci."
Clide mi slacciò le mani e le caviglie; le fascette nere erano state sostituite da una spessa corda plastificata che comunque veniva stretta troppo forte.
Le gambe erano addormentate, come sempre, per questo dovetti sorreggermi alla camicia bianca del dottore, che mi staccò bruscamente appena riuscii a reggere il mio stesso peso sulle gambe malferme.
Mi avviai verso il bagno con la sua pistola puntata dritta alla mia tempia: sapevo che non mi avrebbe mai ucciso, anche se lo avessi attaccato con le mie stesse mani, ero troppo unica ed utile per morire.

Entrai nel piccolo bagno chiudendomi come sempre la porta alle spalle. Mi girava la testa e gli occhi facevano fatica a tenersi aperti. Aprii il rubinetto sciacquandomi il viso con l'acqua fredda che mi svegliò leggermente rendendomi più attiva. Mi guardai allo specchio e non mi piacque per nulla ciò che rifletteva.

Feci mente locale: mi trovavo lì da poco più di una settimana, un pazzo psicopatico voleva trovare una cura usando me e il mio corpo grazie alla mia immunità. Pensa, pensa, pensa!

C'è sempre una soluzione. Sempre una via di uscita. Sempre qualcosa per la quale vale la pena lottare, che sia una persona, un' idea, una speranza. Ma nulla è certo: le sbarre alla finestra mi impediranno di scappare. Nulla è certo, nulla! Solamente la morte.
La morte.
LA MORTE!

Ero immune non immortale.

Cosa usare: doveva essere una morte veloce, la porta non era chiusa a chiave e lui era proprio dietro di essa ad aspettarmi. Come a ricordamelo bussò e chiese con tono sgarbato se avessi fatto: risposi che mi serviva altro tempo e potei tastare nell'aria lo sguardo accigliato nella risposta che seguì.
Posai lo sguardo sul mio corpo nello specchio, la debolezza era visibile dalla punta delle dita a quella dei capelli spettinati e tropo lunghi. Desideravo molto tagliarli, ma non avevo forbici o nulla di appuntito da utilizzare, non un coltello, non un taglierino. Tutto ciò che c'era in quel bagno era una tazza, una vasca, un lavabo un bicchiere in ceramica con dentro lo spazzolino da denti e lo specchio.

Avevo ciò che mi serviva, lo avevo avuto davanti gli occhi tutto questo tempo e non lo avevo notato. Dannazione.
Veloce e non pensarci due volte.
Catturai tra le dita magre il bicchiere di ceramica e feci per lanciarlo verso il mio stesso riflesso quando mi bloccai: ero e rimanevo una codarda, non ci sarei mai riuscita.
Respira e fallo. Non ce la farò mai. Devi. Devo!

Sentii Clide allontanarsi verso il tavolo degli attrezzi grazie al suono metallico della caduta di una forbice ed agii.

Lo specchio si ruppe al primo colpo in due grandi metà ed al secondo fui pronta a prenderne tra le mani uno spicchio abbastanza grande. Con la scheggia in mano mi trovai spiazzata perché non sapevo dove usarla e avevo meno di tre secondi per recidermi una vena.

L'avambraccio, verticalmente.
Ed è così che caddi a terra, con un braccio sanguinante, il palmo tagliato e la felicità sul volto.
Immediatamente arrivò Clide che imprecò qualcosa di incomprensibile prima di caricarmi  e buttarmi su quella che era stata la mia casa da una settimana, cioè la sedia. Mi fissò per un secondo e io ricambiai il suo sguardo terrorizzato con un sorriso soddisfatto e di sfida. Finalmente ero io a ridere, ad essere in pace.

Non sentivo dolore, l'adrenalina era molta, che però andava scemando insieme al sangue sul pavimento.
Corse fuori dalla stanza che si era fatta stranamente pacifica e silenziosa. Con un ultimo briciolo di lucidità capii che c'era qualcosa di sbagliato. Lo zombie. Lo zombie era silenzioso, muto, immobile, indifferente a me al mio sangue.
Anche lui voleva la mia morte, e non voleva dare fastidio nei miei ultimi secondi.

Il silenzio si spense subito quando fu Clide ad entrare nella stanza con ago, filo e garze.
No, no, no. Fottuto dottore.
La vista si appannò ancora di più, e vedevo tutto bianco.
Sentivo Clide schiaffeggiarmi il viso per farmi stare sveglia, e quasi piangere frasi di incoraggiamento alla mia vita.
"Non morire."
"Non puoi morire."
"Sono troppo vicino ad una soluzione."
"Ragazzina egoista."
Esatto, ero stata egoista e non me ne pentivo.

Sentii l'ago ricucirmi lo squarcio verticale e subito dopo una siringa entrarmi in una vena.
I miei occhi erano chiusi, la mia ferita cucita, il mio corpo ricaricato e la mia vita finita.
Avevo fallito nella mia unica opportunità di libertà, ero costretta qui per molto altro tempo.

                                                                   ____________________

 

A svegliarmi fu il forte martellare del mio sangue, lo sentivo ovunque dal cranio alle punte dei piedi. Cercai di sedermi in modo composto sulla sedia che mi ospitava da troppo tempo e cercai di recuperare energie.
Il braccio sinistro era fasciato da uno spesso strato di bende bianche che non riuscivano a contenere tutto il sangue dello squarcio che mi ero inflitta, infatti un'ombra scura dominava su tutto l'avambraccio. Un ago mi nutriva dal braccio destro.
Mi guardai intorno ed ero sola, nessun rumore echeggiava nella stanza.

Ma io non ero mai sola.

Lo zombie.
Guardai nella gabbia che era dietro di me in quanto la sedia era stata spostata e dava verso la porta ma lui era lì. Era esattamente dove doveva essere solo che non mi vedeva. Non sentiva il mio odore, non mi gemeva contro, per lui la stanza era vuota ed era anche girato di spalle da ciò che riuscivo a vedere.
Impossibile, spesso sono rimasta sola con lui e spesso mi svegliava nelle poche ore di sonno che avevo per colpa dei suoi ringhi.
Cosa è cambiato, io sono la stessa, anche lui.

In quel momento mi tornò in mente, come un ricordo vecchio dieci anni che ti fa venire i brividi. 
Lo stesso silenzio si era creato quando Clide mi aveva buttata sulla sedia ed era scappato a prendere la garza sterile per la ferita. Nulla era cambiato, si era solo aggiunto il sangue.
Riuscivo a sentirlo anche io attraverso la stoffa macchiata, denso e rugginoso.
Forse ero morta, ero una di loro.
Pensa lucidamente, stupida!
Sentivo il cuore battere ed era tutto ciò che mi serviva per capire di essere viva.


Un ciuffo ribelle di capelli mi cadde davanti al viso e pensai di scostarlo, ma stranamente potetti. Avevo un braccio libero, il sinistro quello fasciato. L'altro invece era ammanettato alla sedia. Non mi scoraggiai neanche quando notai che nulla di appuntito o affilato era nelle vicinanze.
Sbuffai cercando di forzare - sapevo già in partenza inutilmente- le manette con le poche forze che avevo e l'ago mi pizzicò debolmente. Un illuminazione mi colpii: avevo visto in un film, che non mi misi a ricordare, un ragazzo che usava come chiave delle manette un ago, riuscendosi a liberare, ma era un film.
Ma non hai altre opportunità, sfrutta almeno questa.
Lentamente staccai il nastro che attaccava l'ago alla pelle e lo sfilai dalla vena. Respirai profondamente e lo infilai nella fessura delle manette: girai, cercai i forzare delle piccole sporgenze che intravedevo e solamente dopo che la punta dell'ago si ruppe riuscì a sentire lo scatto della serratura e liberarmi il polso.

La mia idea era quella di agire velocemente senza pensare a nulla, avrei ucciso di nuovo se necessario, ma lo zombie silenzioso mi incuriosiva troppo e avrei anche potuto sfruttare la situazione.
Raccolsi la katana che vidi in un angolo e accarezzandola piano mi diressi verso la gabbia del mangia cervelli. La stanchezza era sempre lì, persistente sulle ginocchia e le braccia, mi faceva muovere lentamente e mi faceva girare la testa.
Mi aggrappai con le dita alla rete scura che mi divideva dal mangia cervelli e la mossi leggermente per farmi notare. Con un ringhio l'essere si girò, avanzò di un passo e si fermò, osservando con occhi vitrei e odorando l'aria.
"Sono qui." Dissi piano. Ebbe la stessa reazione, ringhiò ma smise subito dopo.
Cosa vuol dire? Perché non mi vedi, sono qui, cazzo!
Non potetti finire il mio ragionamento che una porta in lontananza si aprì.

Clide era tornato.


Hallo
finalmente siamo ad una svolta della storia, spero vi piaccia, lasciate una recensione se volete :)

  
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