Disclaimer: i
personaggi utilizzati sono © di Hoshino-sensei. Non
li utilizzo a scopo di lucro, è solo che la mia mente ossessivo-compulsiva
ha bisogno di sfogarsi XD
Alcuni dialoghi della parte
iniziale sono © del manga (volume 16)
Note: io non so, perché flasho
cose simili. So soltanto che, ahimé, poi mi tocca
scriverle.
Decisamente questa oneshot rientra nel
“What if”, pur essendo un missing moment. Vorrei riuscire a farlo senza mandare OOC
nessuno dei due protagonisti. Speriamo di farcela.
Ambientata
nell'allenamento che fanno Kanda e Allen in uno degli ultimi capitoli del volume, mi sono
detta: "ehi, non è possibile che Allen non scleri apertamente
nemmeno una volta con tutto quello che gli capita!"
E così, ne
è uscito questo. E siccome Kanda
è quello che è, io l'ho vista probabile così. Per farla breve: "e se Allen e Kanda,
ad inizio allenamento fossero stati soli e Allen
avesse dato di matto?" XD
Dediche: senza alcun dubbio, al mio personalissimo moyashi.
Perché sei dannatamente complessato, tanto da farmi saltare i
nervi.
E al mio altrettanto personale stupido coniglio, perché
odio quando ti attacchi alla mia gamba attaccando la solfa di “Yucchan”, con quel tono lamentoso che hai.
Destino vuole che non ho
mai le mie katane a portata di mano e che vi voglio
così bene, che sono troppo indulgente :**
Say it to
me
Si sentiva spossato e senza
più fiato. Kanda ci era
andato giù pesante, e dire che lui gli aveva chiesto un semplice allenamento. Aveva dimenticato la possibilità che Kanda per “allenamento” intendesse: uccidimi.
Non si era risparmiato e la
sua abilità con la spada era stata palese quanto determinante:
era in addebito di ossigeno e aveva bisogno di una pausa che il giapponese di
certo non gli avrebbe concesso.
«Non… riesco più a
muovermi.» disse, ansimando per lo sforzo. Alzando lo
sguardo, incontrò quello di Kanda, sicuro e
soddisfatto dello stato in cui versava l’albino.
«Sei tutto chiacchiere e
basta, mammoletta.» lo sfotté, come d’altronde c’era da aspettarsi.
Sia mai che Yuu Kanda si smentisse almeno una
volta nella vita.
Fu Allen
stesso il primo ad ammetterlo che sì, Kanda era sempre Kanda e non sarebbe mai
cambiato: «Non ti smentisci, Kanda… alla spada non ti
batte nessuno.» ammise il più
giovane, seduto a terra e con la spada di bambù ridotta a qualcosa di
irriconoscibile, mentre osservava un Kanda in piedi e
torreggiante su di lui. La sua spada – ancora degna di tale nome – era puntata
contro di lui.
«Ovvio. Bene, adesso ti
radiamo a zero.» replicò strafottente, senza lasciarsi
toccare da quello che sembrava un elogio volto a distrarlo o ad impietosirlo,
forse. Dannata scommessa.
Ma ad Allen,
quel brevissimo lasso di tempo datogli dalla frase di Kanda, era bastato: assunse un’aria che Lavi, avendo
conosciuto il suo “lato oscuro”, probabilmente avrebbe definito diabolica.
«Eh no! Non ho mica detto…
che ho perso!» esclamò, arrivando con una manovra ad intrappolare il braccio di
Kanda la cui mano teneva la spada fra le proprie
gambe, facendo leva sulle braccia per trascinarlo a terra.
Kanda, preso alla sprovvista, esclamò di rimando un:
«Dannato!» finendo però irrimediabilmente contro il suolo sabbioso dell’arena
dove si erano messi ad allenarsi.
Sempre che si potesse
ancora parlare di allenamento e non di “rissa”.
Mentre Lavi
e Marie, al bordo di quell’arena, spiegavano ad un Jhonny appena arrivato che quella storia andava avanti da
ore, e mentre partivano epiteti di ogni genere da parte dei due litiganti, Allen riusciva anche a formulare un pensiero diverso dal:
«Tale maestro, tale discepolo.» che aveva pronunciato
in risposta al delicato e fine “Crepa! Finto gentiluomo dei miei stivali!” rivoltogli da Kanda.
Quando si erano diretti lì, prima che Lavi, Marie e Chaoji li raggiungessero…
***
Avanzava seguendo Kanda verso l’arena designata per quell’allenamento così
strano al quale, probabilmente, nessuno dei due aveva mai pensato. Lui e BaKanda che si allenavano insieme? L’Apocalisse era più
probabile.
Glielo aveva chiesto più
come una provocazione che come altro e nemmeno ricordava esattamente da quale
discorso fosse uscita un’idea simile: ovviamente, Kanda non era stato da meno rispetto a lui.
Avevano, in definitiva,
reso un allenamento presumibilmente normale, una vera e propria scommessa con
tanto di penitenza.
Ma il punto non era quello, no: era che Kanda avesse accettato.
Per quanto provocatorio potesse essere stato il suo modo di porsi, alla fin fine si
parlava sempre di Yuu Kanda.
Avrebbe tranquillamente potuto liquidare il tutto con uno “Tsk”
e un “moyashi” piazzato da qualche parte nella frase
– sicuramente breve e concisa.
Invece no, ora addirittura
gli lanciava una spada da… com’è che l’aveva chiamato?
Kendo, ecco.
«Sveglia, non voglio
perdere tempo.» lo riprese ancora prima di cominciare.
L’espressione era il classico misto fra il freddo e il seccato. Sembrava
volesse essere ovunque, tranne che lì e soprattutto tranne che con lui.
Oh, non che quello fosse il
suo sogno proibito, tanto per essere chiari.
Afferrò la spada,
occhieggiando prima quella, poi Kanda, già in
posizione: «Allora, da chi vuoi farti radere a zero, moyashi?» lo sfotté, come chi ha già la vittoria in
pugno e lo sa.
Allen sorrise di rimando, divertito: «Non dovrei essere io
a chiederlo a te, BaKanda?» ribatté a tono,
mettendosi in guardia alla meno peggio.
A vederli così, pure lui si
rendeva conto che poteva apparire chiaro fin da quel momento chi avrebbe vinto
quella scommessa: la figura di Kanda era ferma e
compassata. La posizione era impeccabile ed elegante, sebbene in guardia. Non
c’era un solo movimento che lui facesse fuori posto,
d’altra parte, se ne era reso conto già tempo addietro, durante la sua prima
missione – proprio con Kanda.
Il giapponese sembrava in
perfetta armonia con la spada: forse, era dovuto anche
al fatto che combattesse sempre con Mugen, si era
detto Allen nell’osservare la differenza fra sé e
l’altro.
La presa del moro sull’elsa
era sicura e ferma, mentre lui reggeva la spada con entrambe le mani, come se
pesasse troppo e ad intervalli più o meno regolari tremolava anche, appena un
po’.
Vide Kanda
sorridere di scherno: «Allora?» lo incalzò, provocazione palese.
Allen rispose con un semplice sorrisetto
altrettanto sarcastico, prima di lanciarsi all’attacco: dopotutto, presto o
tardi avrebbero dovuto iniziare, no?
Kanda bloccò il suo attacco con una facilità sorprendente e
quasi vergognosa, chiaramente per l’albino: valeva così poco un attacco, per
quanto il frontale fosse certamente più intuibile?
«Sorprendente.» commentò Allen, fissando Kanda.
Il moro, per tutta
risposta, pronunciò un secco: «Scarso.» rivolto
ovviamente all’attitudine di Allen dimostrata in
quell’attacco.
«Decisamente
insopportabile.» aggiunse Allen,
facendo forza contro la spada di bambù di Kanda, il
quale imitandolo replicò con un: «Tsk.» tipico di lui, per poi aumentare ancora la forza e
allontanare Allen con facilità, sbilanciandolo.
Impietoso, vibrò un secondo
colpo senza alcuna incertezza, contro la gamba del più
giovane, il quale non riuscì ad evitarlo. Arrivò, forte come era
partito.
«Ahia!» sbottò. Cavolo se
faceva male! Non pensava che una spada di legno avesse quell’effetto! E dire che lui era andato tranquillo al pensiero che Kanda non avrebbe usato Mugen, o
una qualunque spada che potesse tagliuzzarlo.
«Che ti aspettavi, di
combattere con una piuma o il cuscino da notte, moyashi?»
lo sfotté il giapponese, riavvicinando la spada al proprio corpo e
allontanandola dalla gamba di Allen.
Questi lo guardò male: «È Allen.»
replicò, calcando sul proprio nome. Kanda si limitò a far schioccare le labbra per tutta
risposta.
Allen si rimise in guardia: non gliel’avrebbe mai data
vinta.
Erano andati avanti per una
decina di minuti, o forse un quarto d’ora appena.
Dopo quel ristretto lasso di tempo – almeno in confronto a quanto ancora sarebbe
durato l’allenamento – Allen si sentiva come se gli
fosse passato sopra un esercito di Akuma.
Kanda aveva colpito, dopo la gamba, il braccio, il fianco,
l’altra gamba, la spalla e persino la schiena. Non gli aveva risparmiato nulla.
Lui, vuoi forse anche la scarsa concentrazione, non era stato in grado né di
prevedere i colpi, né di evitarli.
Non che si aspettasse di
superare Kanda con la spada, ma addirittura farsi
pestare…
Sospirò, la schiena ancora
dolorante per l’ultimo colpo: alzò lo sguardo, per ritrovarsi la spada di Kanda a ben pochi centimetri dalla faccia.
«L’allenamento finisce
qui.» sentì commentare a Kanda,
ritrovandosi a sgranare gli occhi per la sorpresa. Kanda
che mostrava pietà?
In ogni caso, non
gliel’aveva chiesta e non voleva finire l’allenamento
così presto: non aveva ancora perso, dopotutto.
«Non ho chiesto la tua
indulgenza, BaKanda.» ironizzò, ma Kanda si voltò con
un’espressione talmente scocciata e svogliata che per un attimo Allen fu spaesato: «Non è indulgenza. È che non ho
intenzione di perdere tempo.» replicò
secco il moro.
Allen si accigliò: «Scusa tanto se ti annoio, BaKanda.» disse
per ripicca.
Kanda lo fulminò: «Tsk, come se
tu stessi combattendo con il cervello qui, anziché altrove.»
replicò freddo.
Allen fu costretto a tacere: era con la testa altrove? Ma se non aveva fatto altro che cercare di evitare di farsi
prendere a legnate!
Osservò Kanda
andare a sedersi contro il bordo, sul suolo sabbioso. Non poteva essersene
accorto davvero. Si rifiutava anche solo di immaginare un’eventualità così
inquietante e… spaventosa.
Se non riusciva a
nascondere di avere dei pensieri a Kanda, col quale
certamente aveva un legame di amicizia, come dire…
inesistente, figurarsi quanto poco avrebbe impiegato a farsi scoprire da Lavi.
O da Linalee.
Avanzò, avvicinandosi al
giapponese: «Che intendi?» indagò, cercando di risultare
più neutro possibile nel chiederglielo. Kanda, che
aveva socchiuso gli occhi, ne riaprì uno: non sembrava avesse tutta questa
voglia e pazienza di mettersi lì a conversare con lui.
«Moyashi,
non prendermi per stupido, se non vuoi farti ammazzare a breve.» minacciò semplicemente.
D’altronde, per lui era all’ordine del giorno.
Allen…
anche se tu conosci la canzone,
noi
non sospettiamo di te!
Loro no.
Mai lui… sì.
Sgranò appena gli occhi, a
quel ricordo che gli aveva improvvisamente attraversato la mente.
E dire che lui si era
semplicemente detto: “devo cercare di non
preoccuparmi”.
Eppure non ci riusciva.
Nonostante quel suo proposito, stavolta non riusciva ad andare
avanti, semplicemente come se nulla fosse.
Era spiazzante,
paralizzante.
Era… disgustoso davvero.
«…Come volevasi
dimostrare.» sentì dire a Kanda,
che aveva nuovamente socchiuso gli occhi. Perso nei suoi ragionamenti, se anche
Kanda aveva detto qualcosa prima di quello, lui non
lo aveva sentito.
«Eh?» mormorò, incerto.
«Di nuovo nel mondo dei
sogni.» ripeté il moro. Allen
sbuffò: «Ma…» tentò.
Inutile dire che Kanda lo bloccò sul nascere con un’occhiata a dir poco
feroce: «Ho detto che l’allenamento è finito.» sibilò.
Non
devi preoccuparti,
di
ciò che dice certa gente…
Come poteva non preoccuparsi,
quando iniziava persino a temere
di guardarsi allo specchio?
Non gli rimase altra scelta
che sedersi a sua volta.
Dubitava che fosse un’idea
geniale forzare Kanda ad accettare di continuare il
loro allenamento. Decisamente no.
Poggiò la schiena contro il
bordo dell’arena, con un sospiro: maledetto BaKanda.
«Non ero nel mondo dei
sogni.» chiarì, quasi fosse d’obbligo, con lui,
tentare di avere sempre l’ultima parola, anche quando il più delle volte
significava dare vita ad un battibecco infinito.
Il giapponese nemmeno si
degnò di aprire gli occhi: «Tsk.» fu
l’unico commento di cui lo degnò. Allen si imbronciò, infastidito da quel comportamento molto più
delle altre volte, senza neanche sapere perché.
Non era
il fatto che fosse Kanda: era un problema… “di
fondo”, avrebbero detto alcuni.
In alcun modo era riuscito
a dire a nessuno quello che gli si agitava dentro: era spossante.
Pensare
che Linalee – era successo quando avevano
rintracciato Miranda: lo aveva schiaffeggiato, perché
era uno stupido moccioso. Lo era
ancora. Credeva in una speranza che nemmeno vedeva. E Kanda aveva ragione. – lo considerava un compagno
importante da proteggere e che lui non aveva il coraggio di dirle la verità.
E come a lei, neanche a Lavi, Crowley,
anche se ora – ancora – dormiva. E Miranda,
lei non si era forse affidato alle sue parole e a quelle di Linalee
la prima volta?
Tradiva. Lui… li stava
tradendo tutti quanti.
«Kanda…
non è proprio possibile, diventare un distruttore che salva le persone?»
mormorò, senza guardare il moro.
Quello riaprì entrambi gli
occhi, stavolta: moyashi era impazzito, lo sapeva.
Quel che non capiva, era dove andasse a parare la
domanda: «Tu hai i sogni di un moccioso. Per questo non riesci a realizzarli.» replicò, cinico come solo lui,
davanti ad un Allen così palesemente perso, poteva
riuscire ad essere.
«Perché, tu invece che
sogni?» chiese, una lieve nota di irritazione nel tono
di voce. Non sapeva cosa si era aspettato in risposta,
certo non una consolazione, ma nemmeno una presa in giro era stata la sua
massima aspirazione.
«Io non sogno,
è questo il punto. Quella è roba per smidollati, per quelli che credono
che arriverà un eroe a salvargli il culo
quando non saranno più in grado di sconfiggere gli Akuma
di questa guerra. Io non sto aspettando nessuno e non sarò l’eroe di nessuno.
Al contrario di te.» replicò chiaro e conciso.
Allen, sul momento, non comprese: «Al contrario di me?»
fece eco.
«Tu giochi a fare l’eroe
buono che vuole proteggere tutto e tutti e non hai capito che non sei nemmeno
in grado di salvare te stesso. Prometti e non ha senso.» gli
chiarì il concetto, il tatto che evidentemente non era mai rientrato fra le
virtù di Yuu Kanda. Ma lui, d’altronde, era fatto così.
Allen si sentì punto nel vivo e incredibilmente,
inaspettatamente irritato.
«Oh, invece è meglio
mandare la gente a morire senza il minimo rispetto, vero BaKanda?»
lo sfotté, l’ironia anche piuttosto pesante.
«Meglio che ingannare le
persone.»
«I-io
non inganno nessuno!»
«Fai promesse che non puoi
mantenere, se non è ingannare questo…»
«Io do soltanto una speranza
alle persone anziché demoralizzarle come fai tu!» sbottò il più giovane.
La reazione successiva, lo
fece tremare appena – anche se mai lo avrebbe ammesso.
Lo sguardo di Kanda era stato più feroce e irritato del solito, quando
gli aveva rivolto la frase che da sempre, forse inconsciamente, aveva temuto di
sentirsi dire.
«E chi,
esattamente, ti ha chiesto di farlo?!» sibilò, gelido. Allen lo guardò spiazzato,
come un bambino che non capisce di cosa gli stanno
parlando: «Ma…» fu il suo vago tentativo.
Kanda non gli permise di andare oltre
quello: «Ti hanno chiesto di salvarli? Qualcuno ti ha chiesto di
sacrificarti per lui? È questo che non capisci, per questo tu morirai presto,
molto più di quanto ti aspetti. Blateri di speranza e di credere nei compagni,
che li proteggerai. Nessuno di noi vuole essere
protetto da te.» gli sbatté
in faccia.
Una realtà così dura – ed
era tragicamente vera – che sentì male, come quando era stato
vittima dei colpi di quella spada di legno ora era abbandonata sulla
sabbia.
«Non sarà, invece, che stai
soltanto cercando di avere il consenso degli altri recitando la parte
dell’eroe?» sibilò in conclusione.
Senza che nessuno dei due
se ne fosse reso conto, in quello scambio Kanda l’aveva afferrato per il colletto della maglia, avvicinando
il viso al suo, fino al punto che sussurrare bastava a farsi sentire con la
stessa capacità che se avesse urlato contro di lui.
Allen tacque. Perché non c’era
assolutamente nulla da dire.
È che mi dà… la nausea.
Kanda lo lasciò andare, stizzito da troppe cose: l’assenza
di una risposta, quel suo modo arrendevole, lo sguardo che gli dava ragione
senza nemmeno replicare.
E l’essersi irritato al
punto tale che per un attimo, uno solo, non era più importato
il fatto che a lui, di quel che faceva moyashi,
si disinteressava completamente.
Come faceva col resto del
mondo, d’altronde.
Non gli importò di far
cozzare la schiena di Allen
contro il bordo dell’arena, né del gemito leggerissimo, quasi impercettibile,
che quell’urto comportò.
Era come una bambola, ed
era la marionetta più stupida che lui avesse mai
maltrattato.
«Tsk,
sei un fallito, anche come falso eroe.» concluse, alzandosi con il chiaro intento di allontanarsi.
Ma Allen Walker,
era troppo sciocco e testardo, per capire che un movimento quale afferrargli il
polso e quindi fermarlo, poteva significare ritrovarsi pieno di lividi.
Vivo solo perché Mugen non era a portata di mano del giapponese.
«Beh, che
vuoi?» sbottò Kanda, fissandolo con disinteresse. Allen tirò appena il
braccio per issarsi in piedi; a quel punto, caricò il pugno, che si abbatté sul
viso di Kanda.
Il giapponese, oltre a
voltare il capo per il colpo subito, non fece altro che spostare lo sguardo
nuovamente su Allen, gelido. La guancia colpita si
stava arrossando, ma lo sguardo era quello di sempre: impietoso e pieno di
disprezzo verso il resto del mondo.
«Che
cosa ne sai, tu, Kanda?! Tu che te ne freghi di tutto
e di tutti, come puoi giudicarmi?! Non mi conosci, non mi
conosci affatto!» sbottò, il tono alto, alterato dalla rabbia per le
parole dell’altro, dalla confusione per essere stato scoperto, analizzato così
facilmente e profondamente proprio da lui, così dannatamente diverso.
Lui, che sopportava meno di
chiunque altro.
Lui, che reputava una
missione più importante di una vita.
Lui che
era così menefreghista, e spietato, e che non dava importanza a nulla che non
fosse sé stesso e a quella stupida katana, alla sua Innocence. Lui
che non esitava ad uccidere, a sacrificare… cosa ne sapeva, uno come Kanda, di come era fatto lui?!
Gli dava la nausea, pensare
che avesse smascherato i suoi pensieri.
«Proprio tu, che
uccideresti persino un tuo compagno, non ha alcun
diritto di parlare a quel modo, di azzardare insinuazioni del genere! Perché?!
Perché devo sentirmi dire queste cose proprio da uno
come te, che non sorride, non incoraggia, non fa niente, niente per nessuno che
non sia sé stesso?! Perché una persona meschina e insensibile come te deve dire a me, che sono un fallito?! Se rischiassi di morire, nessuno verrebbe a darti una mano,
perché tu non ti sacrifichi per gli altri, non ci provi nemmeno! Nessuno
farebbe nulla per te!» concluse, il tono che era rimasto alto fino a quel
momento, mentre stavolta era toccato a lui afferrare il colletto di Kanda, abbassando il viso del giapponese perché fosse più
vicino al proprio. La rabbia nello sguardo, nelle parole, gli saturava persino
il cervello.
E Kanda taceva.
Rimaneva impassibile in
quella sua eterna maschera d’indifferenza.
«Hai finito?» domandò, come
se Allen non gli avesse sputato veleno contro per
tutto il tempo, ma al contrario gli stesse raccontando qualcosa di estremamente noioso.
Allen sgranò gli occhi, e la verità di ciò che aveva
pronunciato gli crollò addosso.
Gli dava la nausea… quello
che era. O che stava lentamente diventando.
È come se avessi una roba strana dentro di me…
Mi dà il voltastomaco.
«Se
hai finito, lasciami.» fu riportato alla realtà
proprio da Kanda.
Perché, improvvisamente,
gli tremavano le mani mentre lasciava andare il bavero della maglia di Kanda, lasciando che il giapponese ripristinasse la
distanza tra di loro?
Per quale motivo sentiva un
opprimente quanto improvviso senso di colpa?
«Kanda…»
richiamò, incerto lui stesso su cosa dire, qualora si voltasse. L’altro, quasi
volesse complicargli le cose, tornò a fissarlo con aria stizzita: «Che vuoi, teme?» domandò.
Allen deglutì.
Che diritto aveva di
parlare dopo quello che gli aveva appena detto? Malgrado si trattasse di Kanda,
non poteva credere che l’altro non fosse stato minimamente toccato da quel che
aveva detto.
«Quello che ho detto…»
«Non vorrai rimangiartelo,
voglio sperare.» lo bloccò Kanda a metà frase.
Allen non poté non guardarlo spiazzato, stupito: perché? Perché Kanda non sembrava mai
toccato da nulla, nemmeno dalla peggiore cosa che gli si potesse dire?
«Ma
io…»
«Se
è quello che pensi, non dovresti. Anche se sei un baka
moyashi, almeno questo dovrebbe riuscirti: basta
tacere.» replicò pratico e
con tono piuttosto impersonale.
Allen strinse i pugni: era combattuto tra l’irritazione che
ancora sentiva da qualche parte, dentro di sé, e la consapevolezza di essere
andato troppo oltre, pur trattandosi di Kanda.
«Però
quello che ho detto…!»
«Quale parte di “taci”, non
ti è chiara?» ringhiò il moro contro di lui.
«Non volevo dire che
nessuno dell’Ordine tiene a te come compagno, solo…»
«Credi che mi interessi?»
«Non può non interess…» iniziò, fermato dal vedere la spada di bambù
nuovamente vicina al suo viso.
«Io dico che può eccome.» sentì dire a Kanda, non trovando
alcuna esitazione nella sua espressione o nel suo sguardo.
Perché Kanda sembrava non vedere,
o addirittura ignorare… qualsiasi parte di lui, per quanto orrenda potesse
essere?
Quella parte di sé che non
sentiva sua e gli sembrava prendesse tragicamente
sempre più il controllo, se anche Kanda la vedeva, la
ignorava. Sempre.
Sempre.
Voglio parlare con il maestro!
Ne aveva bisogno.
Aveva bisogno dell’unica
persona che non ignorava quello che diceva.
Che sapesse di cosa parlava, della qualifica di
suonatore, della canzone che sapeva senza aver mai imparato da nessuno.
Del codice di Mana – faceva così male, pensare che qualcun altro lo aveva
usato.
Del
codice che era solamente suo. Suo
e di suo padre – perché era così bello, ricordare la neve che fungeva da foglio
bianco per quelle linee e quei punti inventati, creati solo per loro due, con
un dito che si improvvisava penna, mentre la neve
cadeva, cadeva e loro sorridevano per un semplice gioco da bambini.
Voglio che mi dica… che andrà tutto bene.
Perché non riusciva più a crederci.
Perché, come un bambino,
quell’ombra nello specchio era così spaventosa e paralizzante, e lui aveva così
paura di guardarla e ritrovarvi il proprio riflesso fatto solo di oscurità, che se nessuno gli avesse detto, assicurato
che sarebbe andato tutto bene, sarebbe crollato.
Lo sapeva, che sarebbe
successo.
Perché quell’ombra – Dio, ti prego, fa che sia solo un gioco
della mia mente – era come se raccogliesse il peggio di sé e poi lo lasciasse
andare, uscire fuori, quando lui non voleva o non poteva.
Si era impegnato così
tanto, per essere gentile con le persone vicine, per non farle soffrire ed ora,
quel mostro – perché, Dio, perché proprio a lui doveva accadere? – rovinava
tutto.
Ogni cosa che per lui era
preziosa – ma Kanda no, Kanda
non era prezioso per lui.
Che devo credere in Mana, e andrà tutto bene.
Perché Mana era tutto il suo
mondo.
Quello a
colori, fatto di tante cose e tanti giochi, e così tanti posti da vedere e in
cui esibirsi.
E quello in bianco e nero,
quello spaventoso, fatto di maledizioni e bambole rotte, di mostri che si immaginano sotto il letto e che invece lo seguivano,
senza dargli tregua.
Mai un attimo di respiro,
per Allen il maledetto.
Voleva che il suo maestro
tornasse e lo rassicurasse, come un bambino che si infila
nel letto sicuro e caldo dei suoi genitori.
Voleva che lo spronasse a
credere, perché lui doveva farlo, o non ne sarebbe più
uscito.
Non gli interessava, in chi o che cosa, non gli
importava che fosse il suo amato padre o quel fottutissimo
Dio, la persona in cui credere; aveva solo bisogno di “qualcosa”.
Perché in quel codice, no, lui non riusciva più a crederci.
«Muoviti.» sentì dire e solo allora parve ricordarsi che Kanda era ancora lì. Aveva nuovamente allontanato la spada
dal suo viso e lo fissava seccato. Da cosa, esattamente, Allen
non riusciva a capirlo.
Poi, con un’occhiata più
attenta, individuò Lavi e Chaoji, insieme a Marie e il vecchio Bookman:
spettatori di quell’allenamento così inusuale.
Tornò su Kanda: cercava di non metterlo nei guai ignorando il
battibecco di poco prima? O, semplicemente, ancora una
volta ignorava quello che solitamente lo infastidiva?
Era un
aiuto, quello che Yuu Kanda,
facendo finta di niente, gli stava
dando?
Una mano tesa in avanti, a
sostegno di te che sei lì a terra, e non riesci a rialzarti.
Che sciocchezza,
si disse con un sorriso amaro ad incurvargli le labbra anche solo per pochi
istanti, è pur sempre BaKanda.
Si rialzò, un cenno ai
compagni, il sorriso di sempre.
Lui sapeva recitare solo
quella parte, probabilmente.
Quindi, Kanda si sarebbe dovuto
prendere le sue scuse, volente o nolente: «BaKanda.» lo chiamò, recuperando una spada di bambù nuova. Il
giapponese lo fulminò con lo sguardo: «Taci, moyashi,
ho già detto che non voglio le tue scuse.» sibilò, inudibile per gli altri.
Allen si imbronciò e stava per
aggiungere qualcosa, quando Kanda per distanziarsi e
ricominciare il combattimento gli aveva dato le spalle: «Per
una volta che non fai il buonista e sei sincero, non
rimangiarti le cose. Mi irriti.» concluse, seccato.
Allen sgranò gli occhi, mantenendo lo sguardo sulla schiena
di Kanda.
Un ben poco anonimo: “Yucchaaaaan!” aveva distolto da lui l’attenzione di Kanda, portando il moro a cercare di affettare – sì, anche
se la spada non era affilata – Lavi.
Quella normalità, quei
gesti "ovvi" erano così... veri.
Come una realtà che non
cambierà mai.
Era il sogno di un bambino,
forse, che tutto restasse immutabile: ma... non era
male.
Sorrise, impercettibilmente:
magari, c’era ancora qualcosa in cui credere.
Mi basterebbe solo questo…
E potrei affrontare qualsiasi difficoltà.
Note finali: brevi brevi, promesso. Ci
tenevo soltanto a ringraziare Liy e Aki_, per i commenti a "We'll surely come
back". Mi hanno fatto davvero piacere, grazie <3
E un grazie speciale a nacchi,
che ogni tanto mi risolleva dai momenti che hanno tutti i ficwriter,
ossia quando apri il documento word concluso per correggerlo e inizi a
lamentarti (con tanto di tono da moccioso): "Nacchiiiii,
non so scrivere ç_ç"
Grazie, nacchi, se non ci fossi tu <3