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Between these lines of dust ∞
Il ragazzo che una volta
era stato Thomas Arclight fissò per l’ennesima
volta il batacchio di metallo
della porta di casa sua.
Non sapeva bene come, dopo il boato dell’ attacco
decisivo di Shark, e il dolore che si era propagato nel suo corpo dopo
il duro
impatto col suolo, fosse riuscito comunque a rialzarsi e a tornare,
seppur
barcollante, a casa.
Sapeva bene ciò che lo
attendeva dall’ altra parte.
Avrebbe potuto andarsene, ma sapeva che rimandare
quella sentenza sarebbe stato quanto inutile quanto insensato.
Si fece forza, aprì la
porta ed entrò.
In mezzo al corridoio,
immobile come una statua, c’era ad attenderlo Five.
“Hai perso, non è
vero?”
“Five…-“
“Fai sempre così. Dici
che ce la farai, che arriverai al top, ma puntualmente arrivi sempre
troppo in
alto. Non te l’avevo detto forse più e
più volte che l’arroganza sarebbe stata
il tuo tallone d’Achille?”
“Five, ti prego,
ascoltami… E’ vero, ma è stata colpa di
Tron, è lui che mi ha distratto dal
duello e…” tentò di replicare il
fratello, prevedendo ciò che si stava
prefilando.
“…E andrai avanti
così,
incolpando qualcun altro per i tuoi stessi errori.” rispose
il maggiore, gli
occhi blu che lampeggiavano pericolosamente “Non so quando
imparerai che devi
crescere e prenderti le tue responsabilità ma, quando
avverrà avvertimi che
farò una festa.” aggiunse senza celare il tono
sarcastico delle proprie parole.
Four tacque, sapendo che
quando Five diventava sarcastico era solo l’inizio di una
tempesta.
“Ma, soprattutto, non so
quando imparerai a mostrare il dovuto
rispetto per Tron.”
“Dovuto, uh?”
“Sì, Four, dovuto. Anzi,
per quello che fa, tu-… anzi, tutti noi, dovremmo strisciare
ai suoi piedi.”
“Non mi ridurrei mai così
in basso, e nemmeno tu, orgoglioso come sei.”
replicò Four alzando le spalle.
“Non ho detto che lo
farei, ma io almeno mostro un po’ di riconoscenza nei suoi
confronti, al
contrario di te, talmente preso da te stesso che a stento ti accorgi
del mondo
esterno.”
“Ma guarda chi parla,
quello che la mattina passa ore in bagno col solo scopo di ammansire
quello
scopettone che ti ritrovi in testa…!”
Dopo questa risposta Four
seppe di aver oltrepassato il limite.
Ferire nell’amor proprio Five equivaleva
a buttarsi in pasto ad un leone.
Un
suicidio.
La reazione del maggiore
non tardò ad arrivare.
In un istante gli fu addosso, una mano attorno al suo
mento, gli occhi blu scuro che dardeggiavano come tizzoni accesi, unico
segno
di vita in quel viso altrimenti impassibile.
“Cos’hai detto?” gli
domandò, il tono pericolosamente calmo.
“Hai sentito benissimo,
Raperonzolo.” replicò il duellante dagli occhi
carminio ridacchiando.
Five con forza gli
conficcò le unghie nel mento e gli sollevò il
viso.
“Taci, e ringrazia il cielo
che ci sia io qui, a sentire le tue sciocchezze, e non Tron, altrimenti
ti
assicuro che sarebbe stato molto meno gentile di quanto non lo sia
io…!” disse rafforzando la stretta.
“No, ma infatti Tron in
confronto a te è un gentiluomo, per come ci
tratta…” replicò Four mordendosi un
labbro per non emettere neppure un gemito, non gli avrebbe dato la
soddisfazione di sentirlo urlare.
“Taci, che tu non hai
nemmeno diritto di nominarlo, per quello che non
fai…”
“Come puoi ancora
difenderlo?” domandò il diciassettenne guardando
fisso il consanguineo,
chiedendosi come potesse essere così cieco davanti a tutto
che Tron aveva
fatto.
“Forse perché è
l’unico
modo per andare avanti.” ringhiò Five in risposta.
Four per tutta risposta
gli mostrò la cicatrice che gli sfregiava parte del
viso
“Ti pare un buon modo
questo?
Avanti, rispondimi, voglio proprio sentire. Dimmi se per te ferire e
umiliare è davvero un modo
di andare avanti!”
“Sangue chiama sangue. E
non c’è tributo che non possa essere pagato se non
con il sacrificio.” Rispose il
maggiore, gli occhi blu tanto vuoti da sembrare quelli di una bambola.
Perché lui in fondo non
era altro un burattino a cui erano stati tagliati i fili.
Peccato che Four non
accettasse affatto di essere una bambola di pezza. Lui voleva solo
tornare
padrone della sua vita, pur misera che fosse e non gli sembrava che
fosse una
pretesa così insensata.
Ma per il suo problema
non v’era soluzione: era vittima di un destino crudele che
all’apparenza non
aveva alcun senso, quello stesso destino che beffardamente
l’aveva legato a
persone che non poteva fare a meno di deludere.
Five intanto seguitava a
guardarlo, e il diciassettenne sentiva su di sé il peso di
quegli occhi, di
tutto il dissenso e la delusione che vi leggeva dentro.
“Sei inutile.”
Non appena le labbra di
Five sputarono fuori queste parole, colme di astio e rabbia, il Puppet
Master
avvertì nitidamente un sonoro “crack” da
qualche parte nel petto.
Il rumore di tutte le sue
speranze che andavano il frantumi davanti a quella sentenza dura, aspra
e
inevitabile.
Era inutile continuare a illudersi: Five non l’avrebbe mai
accettato per com’era, troppo diverso da lui.
A questo punto sarebbe bastato
che rinnegasse il legame che li univa e avrebbe saputo di avere firmato
la loro
condanna.
Four, privato di tutte le
forze da quel giudizio così netto, si appoggiò a
una parete, per poi lasciarsi
cadere a terra.
Five gli lanciò un ultimo sguardo carico di disprezzo e se ne andò, lasciandolo lì a terra, a crogiolarsi nella sua infelicità, seduto tra quelle linee di polvere, ultimo cimelio del suo cuore spezzato.
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