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Autore: A r y a_    23/02/2016    4 recensioni
[SanSan - One Shot partecipante al contest "Le membra fanno a l'alma velo" indetto da DonnieTZ sul forum di EFP.]
~
«Amore è quando il desiderio
di esser desiderata è così insopportabile
che ne potrei morire;
perché allora Morte non mi prende?
Ahi, dannata me, cosa ti mosse
a scegliere una gabbia dorata
anziché il cuore di chi già ti volle?»
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Colombella e il Cane


 
«Love is when the desire to be desired takes you so badly that you feel you could die of it.» (Henri de Toulouse-Lautrec)

 
C’era una volta un grosso cane, che viveva legato nel giardino di un bel castello. Egli serviva una nobile famiglia ed era molto vigoroso e molto fedele, perché lo nutrivano con buona carne ogni giorno.
Però era anche scorbutico e di cattivo carattere, per cui nessun altro animale aveva il coraggio di avvicinarlo, e si azzuffava con gli altri cani da guardia.
Un giorno, il giovane padrone tornò al castello con una meravigliosa gabbia dorata tra le braccia; si avvicinò al cane e gli parlò.

«Guarda, Mastino, che bel giocattolo mi ha portato mia madre! Se qualche volta vorrò lasciarlo libero in giardino, dovrai sorvegliarlo; se prova a scappare, riportalo da me».
Il cane sbirciò all’interno della gabbia, aspettandosi di vedere qualche particolare bestia esotica arrivata da chissà dove, ma digrignò i denti deluso quando scorse, nascosta tra le piume fulve, una piccola colombella.
Il colore del piumaggio era insolito e aveva molto attratto il ragazzo, ma comunque si convinse che non sarebbe vissuta ancora a lungo, tra quelle sbarre d’oro.


Il Mastino era grosso e spaventoso e violento, beveva molto vino – puzzava di vino, spesso. Puzzava anche di sangue, a dire il vero. E di morte.
Era una guardia reale, obbediva ciecamente al suo re, non faceva differenza se gli ordinava di uccidere un temuto brigante, un ragazzino innocente o un coniglio. Lui amava la morte, amava la sofferenza, amava il sangue, ma nessuna di queste cose si addiceva affatto all’incarnato niveo di Sansa Stark. Nemmeno ai suoi capelli di rame, nemmeno ai suoi occhi luminosi, insolenti, pieni di orgoglio nonostante le continue umiliazioni di re Joffrey.
Il Mastino non comprendeva come una ragazza così fragile e inerme riuscisse a sopravvivere a una corte di pazzi, a raccogliere i frammenti di una dignità più salda ogni volta che essa veniva frantumata.
Non osava parlarle, quando si presentava al cospetto del sovrano, solo la aiutava a recuperare quei frammenti. Con un fazzoletto dopo un colpo sul viso da parte di un’altra guardia, col suo mantello dopo che la giovane era stata quasi denudata di fronte a tutti.
Non avrebbe mai e poi mai voluto che un uccellino così delicato si rovinasse perché venuto a contatto con un animale come lui, un vile, disonorevole cane. Assetato di sangue, per di più.

Il padrone, infatti, non era un buon padrone. Maltrattava i servi e le dame che gli facevano visita, era viziato e si stancava subito dei suoi balocchi – li cambiava ogni settimana!
Per un attimo aveva compatito il povero uccellino, ma se ne era tornato nella cuccia, senza interessarsi più di quanto aveva già fatto.
I giorni che seguirono il cane ebbe modo di udire il canto della bestiola, fioche melodie di solitudine e infelicità, ma dignitosamente limpide. Gli uomini non comprendevano le parole celate in quel cinguettio, ma lui, che era un animale, apprese il nome e la triste storia della colombella.
Il suo nido era stato rovinato dagli uomini, i suoi fratelli e i suoi genitori uccisi dai cacciatori, ma lei era stata catturata perché era rossa, come nessun’altra colomba.

Dopo qualche sera, il padrone iniziò a lasciare nella stanza della gabbia alcuni gatti infidi e affamati, che si affilavano le unghie su quelle sbarre; s’infuriavano perché non riuscivano a rigarla, poiché era fatta d’oro puro, e la colombella si nascondeva tra le piume piena di terrore, aspettando che i felini si stancassero di importunarla. Il Mastino, dalla sua cuccia in cortile, sentiva anche quello, i soffi dei gatti e lo stridio degli artigli contro il metallo, addirittura qualche frullo d’ali se una zampa riusciva a raggiungere la prigioniera, ferendola.
Nella stessa misura in cui il padrone si divertiva a torturare l’uccellino, trascurava il cane, dimenticando di nutrirlo e di fargli sgranchire le ossa ogni tanto. Così la sua fiducia e la sua fedeltà iniziarono a scemare, sempre di più, sempre di più.
Una volta, una soltanto, il giovane lasciò uscire la colomba dalla gabbia, ma le immobilizzò le ali cosicché non sarebbe potuta fuggire. Volle portarla dal cane, convinto che a un suo ordine avrebbe potuto sbranarla senza remore – bestia del disonore, così obbediente da ammazzare indifesi e innocenti!
Ma la corda con cui esso era legato si era logorata così come la sua lealtà al padrone, e non appena lui gli fu davanti con la colombella che zampettava incespicando per tenere il passo, il cane balzò in avanti, azzannando la mano candida e bugiarda dell’umano. Gliela staccò tutta intera.
Poi, con le zanne lorde di sangue, si gettò sull’uccellino e scappò nel bosco.


Per questo non l’aveva mai sfiorata nemmeno con un dito – con qualsiasi altra dama avrebbe potuto concedersi qualsiasi cosa. Ma lei era Sansa Stark.
Lui era il Mastino del re, nessun piacere gli era precluso. Né le donne, né il vino, né la guerra.
Tuttavia quando si appagava affondando le grosse mani nelle carni soffici e abbondanti di prostitute, o quando si affogava nel sapore aspro dell’alcol i suoi pensieri presto deviavano rovinosamente, spesso involontariamente, alla pelle di Sansa Stark, alle sue labbra, a come sarebbe stato bello poterle sfiorare per sentire se erano davvero così morbide come sembravano. A come sarebbe potuto essere risvegliarsi accanto a lei, nudi e paghi, coi capelli spettinati dalla notte.
Ma erano pensieri che duravano un pesante sospiro, o un lungo sorso di vino, per poi venire sommersi dalla cruda realtà. Certo, certo che avrebbe voluto tutto quello; ma lui era il Mastino del re, e lei era Sansa Stark.

Alla colombella stava scoppiando il cuore nel petto dalla paura, immaginando l’orribile sorte che le sarebbe toccata, racchiusa tra le fauci insanguinate e puzzolenti di un violento cane da guardia.
Invece, esse si schiusero per posarla delicatamente su di una felce. La piccola bestiola rimase atterrita dall’aspetto del cane, che aveva metà muso sfigurato da un’ustione terribile. Egli, però, si sedette sull’erba e le foglie con stanchezza, ansimando per la corsa.

«Sei libera».
La colombella aprì il becco, indecisa se parlare o meno, ma in fondo era coraggiosa.
«Perché mi hai liberata?», chiese infine.
«Non l’ho fatto per te. L’ho fatto per dispiacere il padrone, non mi accudiva più ed è crudele con i più deboli», rispose con schiettezza il cane.
«Ma lui è il padrone, gli dobbiamo obbedienza e amore», ribatté lei, sapendo di mentire. Al Mastino venne da ridere.
«Non sei brava a mentire quanto lo sei a cantare», commentò, «so che lo odi, comprendo le parole dei tuoi canti». Di quegli stessi canti si era, giorno dopo giorno, irrazionalmente innamorato.

La colomba tacque, il Mastino le lanciò un’occhiata obliqua – quasi timorosa, celava una richiesta e un desiderio.
«Conosco le terre del nord, le tue terre; ti ci posso portare. Non ti accadrebbe nulla di male, ti proteggerei. Anche il freddo sarebbe innocuo, poiché ti riscalderei col mio fiato».
«Non mi farai del male..?»
Il cane scosse la testa, tirando un sorriso bonario, in contrasto con la bruciatura che occupava metà del suo muso.
«No, non ti farò del male, colombella».


Una sola volta non ebbe coraggio, nonostante l’elsa della spada ben stretta in pugno e l’elmo nero e pesante calato sul viso pieno di sfregi.
Non ebbe coraggio e si nascose nelle stanze dell’uccellino di Grande Inverno, in quella meravigliosa gabbia dorata così inutilmente bella. Le gabbie erano sicure, ma terribilmente ingannatrici. Si può vedere il mondo esterno, ma vi è precluso l’accesso.
Soprattutto, è impossibile uscirne, se non si ha qualcuno che abbia le chiavi per aprirne un lato. Si dà il caso che il Mastino non le avesse, ma fosse abbastanza forte da forzarla, quella serratura menzognera.
Finalmente la ragazza entrò nella camera, sinistramente illuminata da una luce verdastra e scostante; l’uomo manifestò la sua presenza solo dopo qualche attimo, e la ragazza arretrò atterrita.
«Uccellino, cantami una canzone».
Fu la prima cosa che egli disse, ma Sansa stette in silenzio, con gli occhi spalancati. Ma dopo solo pochi istanti dischiuse le labbra per farne uscire qualche nota fievole e graffiante; una consapevolezza le stava crescendo nel cuore, ed essa la rassicurava e la riscaldava come non avrebbe creduto.
Quando si interruppe, la guardia reale fedifraga parlò ancora, con la voce arrochita dall’alcol, un compagno di cui ancora non si era privato.
«Vado al nord. Sì, credo di andare a Grande Inverno. Ti porterò con me, sarai al sicuro, ti proteggerò», esordì, come se quello fosse un ordine, ma vedendo sorpresa e timore negli occhi di cui si era tanto innamorato aveva desistito dall’insistere in caso di rifiuto.
Tuttavia lei aveva risposto con una domanda, che lo sorprese e gli rese speranza.
«Non mi farai del male, vero?»
«Certo che no, uccellino».

~

Nei giorni che seguirono non riuscì a pensare ad altro. Alla fine, aveva bevuto davvero troppo vino, durante la notte della battaglia delle Acque Nere. Non ricordava esattamente cosa fosse successo dentro quelle mura, dentro quelle stanze, non abbastanza chiaramente da determinare cosa era stato sogno e cosa realtà.
Eppure, se era stato un sogno, come poteva ricordarsi così chiaramente un sapore così dolce e inebriante, una sensazione così morbida contro le sue labbra ruvide e screpolate?
Non si era mai fidato delle illusioni dell’alcol, ma questa, allucinazione o meno che fosse, sarebbe stata l’ultima e l’unica cosa per cui avrebbe combattuto, per cui avrebbe difeso la propria vita con le unghie e con le zanne del Mastino che era.

Il giorno dopo, quando il padrone si svegliò con la mano medicata, per prima cosa controllò la sua gabbia dorata.
All’interno, una piccola colomba dalle piume rosse fischiava una canzone che gli fece venire nostalgia, così si ritirò nelle sue stanze senza dar noia alla bestiola.

 
«Amore è quando il desiderio
di esser desiderata è così insopportabile
che ne potrei morire;
perché allora Morte non mi prende?
Ahi, dannata me, cosa ti mosse
a scegliere una gabbia dorata
anziché il cuore di chi già ti volle?»


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[One Shot - 1597 parole]









 
[Note d'autore]
Ecco qua, la mia prima "opera" partecipante ad un contest ("Le membra fanno a l'alma velo" di DonnieTZ) con protagonisti appartenenti a un fandom su cui non avevo mai scritto. Bene.
Come avrete capito, questa shot è metà favola, metà storia narrata secondo gli eventi di Game of Thrones (anche se mi sono presa qualche libertà nelle parole del Mastino, dato che non le ricordavo esattamente e non ho avuto modo di ricontrollare la scena...), mentre la canzoncina alla fine - sì, è la canzone dell'uccellino! - non è altro che la traduzione un po' favolesca della citazione iniziale. Diciamo, la traduzione estesa dato che l'ho completata con altri versi di mio pugno. ^^
Non credo di aver altro da dire, quindi: alla prossima!
A r y a_
   
 
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